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Autore: TurningSun    13/08/2005    3 recensioni
Quanto è sottile la liena che definisce amore e odio? e se l'odio non ci fosse mai stato? se fosse stata solo sfida?
Genere: Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I don’t know why…  by Nihon

 

“Ehilà, Rukawa.”

“Ehilà.”

“COSA?? Rukawa??” urlarono la Sakuragi Gundan in preda allo sgomento totale “Ci avevi detto che aspettavi qualcuno qui, ma non pensavamo proprio LUI!!”

“Allora, si va?” Domandò Hanamichi tutto esaltato.

 Rukawa annuì alzando le spalle.

“Rukawa, sei mai stato al Pachinko?” chiese Mito a metà strada. Lo sgomento era già tanto e la curiosità di saperne di più su quel strano e insolito inizio di giornata lo stava divorando. Voleva scoprirne di più. Poche domande avrebbero potuto riempire gli spazi vuoti di un puzzle che da qualche tempo sembrava essersi impossessato della sua mente quando pensava al suo migliore amico.

“No.”

“Cosa!!!?? Allora perché hai accettato?”

“Non è possibile!”

“Deve esserci stato almeno una volta!” Discutevano i suoi amici.

“Bene! Così vedremo se sei più fortunato di me anche a Pachinko!” rideva Hanamichi. In fondo, uno come Rukawa che giocava in una sala di Pachinko non ce lo vedeva proprio.

 

Arrivati a destinazione, Sakuragi spiegò subito al numero undici come si giocava e notò che aveva una buona capacità di apprendimento, infatti era arrivato al suo stesso punteggio.

“Avete visto, sono pari!”

“Incredibile!”

“Sakuragi è stato sempre il più bravo di tutti noi!”

“Deve essere tutta fortuna!”  dicevano Takamiya e gli altri.

“Chi perde paga un gelato. Ci stai?” lo sfidò il rossino.

“Ci sto!” non si sarebbe mai tirato indietro di fronte ad una sfida

 

Qualche minuto dopo…

“Stupido gioco!”  Rukawa aveva perso per qualche decina di punti ed ora mentre camminavano continuava, come un disco incantato, ad insultare il gioco.

Intanto Hanamichi, al contrario dell’"amico", si esaltava di averlo battuto e di essere il Re del Pachinko.

“Ahahaha, sono il RE del pachinko! Ahahaha, solo un Tensai come me poteva fare una cosa così sublime!!! Ammettilo, kitsune, ti rode che IO, l’immenso Tensai ti abbia battuto, vero?!”

 

Quando arrivarono ad un bar per prendere il gelato, Takamiya e Hanamichi, i due pozzi fondi del gruppo, presero i gelati più grandi con la scusa ‘Tanto paga Rukawa!’.

“E’ davvero strano che siate usciti insieme e che ancora non vi siete presi a botte o insultati.” parlava Mito.

“Già, Hanamichi. Ancora non ci hai spiegato come mai hai fatto venire anche Rukawa.” proseguì Noma.  

“Ieri abbiamo fatto a botte e parlando gli ho chiesto se voleva venire con noi.” Rispose Hanamichi girando il cucchiaino tra le mano avendo finito il gelato.

A Mito quel ‘parlando’, come a tutti gli altri, del resto, suonò molto strano. Se c’erano due persone sul pianeta che non si sarebbero mai parlate quelle erano sicuramente loro due.

Com’era possibile?

“Porca sono già le 6. Ragazzi, mi dispiace ma io devo tornare a casa!” dichiarò dispiaciuto Mito dopo aver dato un’occhiata all’orologio del bar.

“Non ti preoccupare.” Risposero gli altri alzandosi dal tavolo.

Davanti al bar gli amici si divisero: i Guntai andarono verso destra e Hanamichi e Kaede a sinistra.

Mentre camminavano i quattro amici parlavano dello strano comportamento del loro amico con  Rukawa.

“Per me c’è sotto qualcosa!” ripeteva con l’aria da detective Okusu. Gli altri annuivano e parlavano di alcuni momenti della giornata che non li convincevano.

“Come, quando eravamo al bar…” iniziò Mito.

Rukawa aveva finito il suo gelato, mentre Sakuragi ne aveva ancora molto.

Il cucchiaino indesiderato del volpino affondò sul gelato al cioccolato del rossino, che vedendo l’azione in corso si mise ad urlare contro il compagno di squadra.

“Maledetto volpino frega gelato! Ritira quelle zampe! Spero proprio che ti venga un’indigestione!” e non notando alcuna reazione dal nemico continuò “Come hai osato mangiare il mio gelato!”

I quattro amici intanto ridevano di gusto non riuscendo a controllarsi.

“Si da il caso che il gelato lo abbia pagato io.” Rispose con  il cucchiaino in bocca.

“E allora! Lo hai pagato A ME ed è PER ME quindi è comunque mio! Non ti ho autorizzato!” continuava ad urlare Sakuragi a Rukawa che, sempre nella stessa posizione, ripeteva “L’ho pagato io.”

Hanamichi sospirò rassegnato, bofonchiando qualcosa contro le stupide volpi frega gelato, e tornò a magiare il suo gelato al cioccolato. Rukawa guardò il rossino con uno sguardo divertito e felice, che non passò inosservato dai quattro.

 

“Non è da Sakuragi non fare ha botte con Rukawa. Anzi, cerca sempre l’occasione per menarlo!” affermava Okusu.

“E mentre eravamo a giocare a Pachinko? Ho visto Hanamichi guardare Rukawa diverse volte per poi rimettersi a giocare sorridendo. Chissà cos’aveva in testa!” dichiarava Noma.

“Già! Speriamo che non ne sia innamorato!” rise Takamiya.

“Macché lui ha la sua Harukina e poi sono due ragazzi!” lo rimproverò Okusu.

“Mai dire mai!” affermò Mito. Quella frase fece rabbrividire tutti.

Poi aggiunse, capendo di aver sbagliato. “Ma è impossibile perché Hanamichi è un donnaiolo di professione quindi dobbiamo escludere l’ipotesi che gli piaccia.”

“Giusto!” confermarono gli altri. Arrivati ad un incrocio si divisero per andare ognuno a casa sua.

 

Intanto sulla strada per la casa di Rukawa, i due neo-amici parlavano, ridevano (Rukawa rispondeva con un sorriso appena visibile) e si davano spinte quasi da cadere per terra.

‘Oh, Santo Cielo! Fa che domani non nevichi! Quei due stanno…’

Ayako stava andando nella direzione opposta ai due e li aveva riconosciuti da lontano: Hanamichi stava passando la sua mano tra i capelli di Kaede arruffandoli e tenendogli la testa tra le braccia, ben strette contro di se, ridendo.

‘…stanno giocando come due bambini…da amici…!! No, Non posso essere loro…mi sto sbagliando!...’

continuava a pensare sbigottita, ma tutto gli fu chiaro quando la voce del rossino la chiamò.

“Aya-chan! Che ci fai qui?”

“Ha--hanamichi. Rukawa. Ciao. Sono andata a fare la spesa. E voi come mai qui?” chiese cercando di essere il più naturale possibile.

“Accompagno questa sottospecie di volpe non evoluta a casa sua.”  rispose immediatamente esaltato con un sorriso smagliante.

 “A si? Non è che volete andare ad ammazzarvi a casa sua?”  disse sforzandosi di nascondere lo stupore.

“Oh, no, Aya-chan, è solo per assicurarmi che torni effettivamente a casa così domani potrò batterlo, sai tanto per fargli capire che sono il Tensai del Basket!”

“Do’aho…”

‘Devo andare al tempio per ringraziare gli dei!’ fu il primo pensiero della manager appena si lasciarono.

“Hai visto che faccia aveva prima che la salutassi!” esclamò Hanamichi ridendo.

“Ci posso credere: non è una cosa di tutti i giorni incontrare noi due insieme.” Spiegò Kaede alzando un sopracciglio.

“Lo so. Ma prima o poi saremo pur diventati amici, no?” affermò affondando le mani nelle tasche del giubbotto con una faccia leggermente imbronciata.

“Non lo so, forse si forse no. Ma ora direi… che siamo quasi amici.”

“No. Siamo amici!” Concluse Sakuragi guardandolo con uno sguardo sicuro e con il suo sorriso altrettanto sicuro.

Rukawa rispose semplicemente con un piccolo sorriso.

Non gli dispiaceva ammetterlo, ma  in fin dei conti l’essere che gli stava accanto era davvero simpatico, divertente, solare, pieno di energia, felice della vita e di viverla.

Queste cose gli fece ricordare chi, molti anni prima, lo aveva lasciato solo. Da solo con un padre sempre via per lavoro, in balia della solitudine, della paura di rimanere abbandonato e dimenticato, delle notti in bianco passate a piangere una madre che non c’è più.

Qualche volta, quando il padre non c’è perché via per lavoro, il ricordo amaro della madre tornava a bussare alla porta dei ricordi e arrivavano con esso le lacrime, lacrime che versava solo per lei. Tutte le volte, dopo aver pianto, si prometteva che non lo avrebbe più fatto perché quelle lacrime che segnavano il suo volto, segnavano un’altra ferita sul suo orgoglio, e questo faceva maledettamente male, faceva male sentirsi così fragili, senza nessun sostegno.

 

Ma ora, era riuscito a mantenere quella promessa che si ripeteva tutte le volte dopo aver pianto.

Non ricordava più neanche come ci si sentisse piangendo, dopo aver pianto, sentendo le proprie lacrime rigare il volto; non ricordava più come ci si sentiva feriti, fragili. Era diventato proprio come tutti lo avevano descritto: freddo, impassibile, incapace di provare emozioni.

Ora, quando pensava alla madre non piangeva più, ansi, si chiedeva come fosse riuscito a diventare così freddo tanto da non riuscire neanche a piangere per lei, e questa domanda portava dietro di se solo malinconia e tristezza e si urlava dentro che voleva di nuovo piangere, piangere solo per lei, per nessun’altro, perché non aveva nessuno su cui piangere, nessuno che lo amava come aveva fatto lei, nessuno che avesse cercato di aiutarlo, di comprenderlo, di volergli bene. Ma poi, la parte fredda sovrastava quella che voleva di nuovo provare emozioni e si chiedeva che senso avesse piangere.

Con le lacrime non si fa rinascere chi si sta piangendo’.

Subito la parte emotiva ribatteva e si metteva in un angolo isolato della casa, seduto per terra ad ascoltare la musica, musica dolce e malinconica, come il ricordo della donna che lo aveva dato alla luce. Dolce erano i pensieri rivolti a lei, delle giornate passate al campetto di basket poco lontano da casa sua, in cui gli insegnava tutto ciò che sapeva e gli dava consigli sul gioco in campo, sull’ one-on-one…; malinconico era il ricordo di non averla più accanto, vicino che lo abbracciava, di non poterle far vedere quanto era diventato bravo, quanto era migliorato dall’ultima volta che lo aveva visto toccare quel pallone a spicchi arancione. Gli mancava, non gli dispiaceva ammetterlo, ma, in fondo… era sua madre.

Sua madre…

Hanamichi…

due persone uguali…

la prima l’aveva persa, ma la seconda…

non voleva perdere anche lui!

 

“Kaede, qualcosa non va?” Hanamichi si era accorto dell’improvviso cambio d’umore di Kaede.

“Hn? Niente, non ti preoccupare.” Rispose massaggiandosi con una mano gli occhi.

Sakuragi avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non lo fece sapendo che non avrebbe avuto una risposta molto eloquente, non lo aveva fatto anche perché voleva vederlo sorridere come prima: finalmente era riuscito a sciogliere il ghiacciolo vivente e a mostrare un segno di felicità e di allegria, libero da quel muro che da solo si era creato; solamente guardandolo in quel momento aveva avvertito in lui un senso di pace e felicità interiore.

 

Arrivati di fronte alla casa di Rukawa, una villetta a due piani, con una bella terrazza rivolta verso il mare, i due si salutarono e si lasciarono, andando in direzioni diverse.

 

Il giorno dopo a scuola, Hanamichi e Kaede si comportarono come al solito per non destare sospetti e anche perché si divertivano a prendersi in giro e fare a botte: era stato il loro modo di comunicare fino a qualche tempo prima! Era diventato per loro un rito ed ora non ne potevano più fare a meno: gli piaceva sentirsi vincitore e vinto in quei pochi secondi in cui l’uno dominava l’altro, gli piaceva il volto pieno di cerotti dell’altro, il corpo pieno di lividi e dei segni lasciati dalla dura battaglia. Quelle battaglie nascevano da stupide liti, sorte proprio, all’insaputa di tutti, solo per divertirsi, come due bambini. 

Mentre i due facevano, secondo rituale, a botte verso la fine degli allenamenti, Ayako pensava al giorno prima, quando li aveva incontrati per strada.

‘Quei due sono davvero strani. Sono nemici e lo fanno vedere, sono amici ma non lo fanno vedere… o forse non lo vogliono far vedere. Chissà, forse perché hanno paura della reazione degli altri o lo fanno perché si divertono a prendersi in giro e a menarsi da mattina a sera.’

Tutti erano andati via, tranne Sakuragi e Rukawa, che facevano a botte e Ayako che era rimasta lì di nascosto per vedere cosa combinavano dopo aver finito la battaglia.

“Sono andati via tutti?” chiese ad un certo punto Hanamichi per terra.

“Si. Non si sente più niente.” Rispose Kaede che gli stava seduto sopra per tenergli le gambe.

“Allora cosa ne diresti di toglierti da sopra?” domandò ironicamente.

“No, ci si sta comodi, sai.” Affermò dondolandosi da destra a sinistra facendo, così, male al rossino.

“Smettila, mi fai male!” urlava.

“E a me che mi frega, io non lo sento tutto questo dolore.” Diceva con tono malizioso e divertito.

“Invece io si!” e dicendo ciò buttò a terra il volpino che fermò la caduta appoggiando gli avambracci a terra.

“Allora vediamo se così ti passa.” E iniziò a fargli il solletico sui fianchi e sul torace, i suoi punti più sensibili.

“Ferma dannata kitsune! Non lì, nooo…!”

‘Guarda come giocano! Pazzesco!’

Rukawa capì che se continuava avrebbe dovuto fargli la respirazione bocca a bocca per rianimarlo, anche se l’idea non era niente male come il ragazzo che gli stava sotto…. Bloccò quel pensiero sul nascere dicendosi che la stanchezza può giocare brutti scherzi e continuò nella sua tortura.

“Smettila, kitsune…smettila…!” urlava Hanamichi tra le risate.

“Finché non mi supplichi non mi fermo!”

“Mai. Il Tensai…non supplica nessuno…!”

“Allora continuo!” e proseguì ancora più forte.

In quel momento Ayako decise di uscire allo scoperto. “Ehm, ehm!”

“A--Ayako?!!”

Rukawa decise che era meglio alzarsi da sopra. Hanamichi che fece lo stesso.

“Che ci fai qui?” gli domandò con il suo solito tono freddo e piatto.

“Mi era venuto un dubbio vedendo il vostro comportamento tra ieri e oggi, così sono rimasta per vedere se la mia incertezza era giusta o no. Ma a quanto pare era esatta.” spiegò con tono furbesco e innocente ed infine sicuro.

“Quindi tu…” Sakuragi balbettava qualcosa che non riuscì nemmeno a finire per quanto sconvolto.

“Ho visto tutto, Hanamichi. Ho visto come giocavate poco fa e non mi è dispiaciuto affatto.”

I due pensavano solo a cosa raccontare come scusa a colei che aveva scoperto il loro ‘segreto’ .

Ayako vedendo le loro facce terrorizzate li calmò subito. “Tranquilli non racconterò niente a nessuno.” Affermò con uno sguardo sincero e dolce.

“Davvero non lo farai?” chiese ancora incerto Sakuragi.

“Certo, lo sai che ti puoi fidare di me.”

“Possiamo fidarci di lei, Hanamichi, quindi stai calmo.” Confermò Kaede, poi si voltò verso la manager “Grazie.”

“Di niente.” Rispose subito sorridendo “Ora devo proprio andare. Ci vediamo!” Salutò girandosi e sbrigandosi a tornare a casa.

 

Il giorno dopo. Sabato. Niente allenamenti per lo Shohoku.

Alla fine della pausa-pranzo.

“Guarda che nuvole! Non promettono niente di buono!” si lamentò Mito guardando fuori dalla finestra della classe i nuvoloni neri che sovrastavano la città senza lasciare al sole di illuminare quel fine settimana di gennaio tanto atteso.

“Già, credo proprio che pioverà un casino.” affermò il rossino che anche lui guardava alla finestra.

“Oggi hai gli allenamenti?” chiese distrattamente il primo.

“No, lo sai che il Gory ci ha lasciato il sabato libero.” La domanda dell’amico gli era sembrata scontata visto che era quasi sempre lui a ricordargli quando aveva gli allenamenti. “Come mai?” chiese confuso e preoccupato.

Yohei non parve particolarmente felice per la risposta, anzi sembrava avesse sbuffato. “Niente, me lo ero dimenticato.” Si giustificò restando a fissare fuori le nuvole che si avvicinavano sempre più.

Hanamichi non potè non guardarlo confuso.

Cosa stava succedendo al suo amico?

Prima si lamenta per le nuvole poco ben auguranti, ma quella era un’osservazione più che normale, poi chiede degli allenamenti e inoltre sbuffa alla sua risposta come se fosse stata una scocciatura. Qualcosa non andava. E lo sapeva fin troppo bene.

Troppe domande in quel momento gli annebbiarono la mente e diventarono impossibili da fare a causa dell’arrivo del professore di matematica, che li avrebbe intrattenuti per ben due ore nel pomeriggio.

Guardando la schiena del suo compagno ricurvo sul quaderno, Sakuragi non riuscì a seguire la lezione per dare delle risposte a tutte quelle domande che gli facevano male.

‘…che non mi volesse più come amico?...che non volesse più seguire gli allenamenti, i miei allenamenti e le mie partite?...No, ci conosciamo da troppo tempo e poi se qualcosa non va me lo direbbe…a meno che non riguardi me…’ un gelo interiore stava devastando il suo cuore e alla fine si decise ad interessarsi alla lezione e lasciare ai numeri il compito di togliergli tutte quelle spine sul cuore.

Le due ore passarono per il rossino più veloci del solito.

Al suono della campanella, Hanamichi vide Mito scattare dalla seggiola, salutarlo e fuggire dietro la porta scorrevole in direzione dell’uscita. Voleva parlagli, chiedergli spiegazioni di tutte quelle domande che si erano create nella sua mente, cominciò a rincorrerlo arrivando dietro lo Shohoku. L’angolo del muro della scuola. È lì che il suo migliore amico era scomparso, se lo avesse girato sicuramente gli avrebbe potuto parlare. Aumentò il passo. Sempre più vicino. Sempre di più. Sentì una voce provenire proprio dalla sua meta. La voce del suo folle amore, la voce che lo aveva spinto a giocare a basket; non si sentiva distintamente, ma sentì solo e chiaramente tre parole “Ti amo Yohei.” Si era confuso. Era qualcun altro, sicuramente, non lei.

Girò l’angolo.

In quell’istante il cuore si bloccò non mandando più sangue, i polmoni non ricevevano e davano più aria, ogni singolo arto era completamente immobilizzato. In quell’istante non potè non sentirsi sprofondare nello sgomento totale.

Il suo miglior amico stava… cioè…la ragazza dei suoi sogni stava…

Mito e Haruko si stavano baciando.

I due si girarono di scatto accortisi della presenza del loro amico.

“…Hanamichi…” “…Ti posso spiegare tutto…”

I due cercavano le parole giuste per spiegarsi, ma ormai il loro Hanamichi non riusciva più a muoversi.

‘Perché non me lo hai detto che stavi con lei? Saremmo rimasti comunque amici. Perché non me lo hai detto?!...Io…io non ci capisco più niente…perché non soffro all’idea di aver perso Haruko? Perché?...Non ci capisco più nulla…perché?’

“PERCHE’?”

Una, due, tre, dieci, venti, cento gocce. Aveva iniziato a piovere. Sembrava che il cielo stesse piangendo per e con lui e stava sempre più peggiorando.

“Hanamichi, per favore, non fare così…Vieni dentro. Ti prenderai un’influenza …” Haruko pregò Sakuragi che la bloccò.

“No. È meglio che torni a casa, ho delle cose urgenti da fare.” Salutò girandosi.

Doveva assolutamente fare ordine nella sua testa e nel suo cuore. Capire perché lo spaventava l’idea che la perdita della ‘sua Harukina’ non lo sconvolgeva. Doveva parlarne con qualcuno.

Ma con chi?

La sua testa pensò alla sola persona capace di farlo scaricare.

Rukawa Kaede.

Si diresse alla palestra, sicuramente era lì.

Non c’era.

Gli sembrò strano che non fosse, poi ripensò che gli aveva detto infatti che quel giorno non sarebbe venuto a scuola, non spiegandone il motivo.

A casa sua.

Probabilmente con questo tempo era tornato a casa.

Ci sarebbe arrivato anche se un po’ distante dalla scuola.

 

La pioggia incessante non dava tregua ai pochi passanti che erano finiti sotto il temporale inaspettato di fine gennaio. Molta gente cercava di salvarsi passando sotto le terrazze dei palazzi, altri, i più fortunati o solo più provvidenti, camminavano protetti dagli ombrelli, sui marciapiedi quasi vuoti della città e altre persone correvano cercando di raggiungere un riparo più in fretta possibile.

Un ragazzo alto, con dei capelli corti rossi fuoco che indossava un giacchetto rosso e nero, completamente fradicio, la divisa scolastica nera con i classici bottoni dorati e la cartella, correva schivando i passanti a gran velocità.

Forse non aveva una meta, probabilmente doveva anche lui, come tutta la gente che stava correndo, cercare un riparo, sfuggire dalla pioggia che già da qualche ora stava cadendo incessantemente, senza lasciare alcuna speranza in una prossima e confortante fine.

No.

Lui non stava sfuggendo dalla pioggia, ma dal dolore troppo grande che neanche lui riusciva a sopportare. Stava correndo, anzi no, scappando, verso l’unico posto dove sicuramente lo avrebbe trovato. Se non gli fossero venuti tutti quei sospetti, se non avesse seguito di nascosto il suo amico, non avrebbe capito che i suoi ‘Harukina’ ‘Harukina cara’ erano diventati una copertura per qualcos’altro che non riusciva a capire, a mettere a fuoco ma, che sicuramente non era rivolto più a lei.

Non guardava neanche più dove stava andando, era così abituato a fare quella strada che ormai la conosceva a memoria. Il ristorante. Il lungo mare. Il parco giochi con annesso il campetto, dove spesso si allenavano. Qualche abitazione e finalmente la sua. Ecco il tragitto che faceva tutte le volte per andare a casa del suo nuovo miglior amico.

Gli era piaciuta fin dalla prima volta che vi entrò: aveva un non so che di accogliente, forse il fuoco che ardeva nel camino che  riscaldava e dipingeva di colori caldi e intensi la sala, il gatto nero ancora cucciolo sempre addormentato sul divano, o, quasi sicuramente, gli piaceva semplicemente perché era la casa di Rukawa Kaede.   

Appena arrivato si riparò sotto il piccolo ingresso davanti al portone.

Dopo aver suonato diverse volte, la porta si aprì. Il ragazzo che ne era dietro, stava di sicuro dormendo perché il volto faceva subito intendere l’elevato tasso di sonno che ancora aveva.

“Scommetto che stavi dormendo!?” fu subito la sua affermazione appena varcata la soglia sforzando un sorriso.

“Sei finito sotto la pioggia?” gli chiese Kaede chiudendo la porta.

“Si.” Rispose togliendosi il giacchetto e andando in salotto dove, come al solito, trovò il gatto addormentato sul divano di fronte al camino.

“Vuoi qualcosa di caldo? Un tè?” gli domandò seguendolo.

“Se è bollente mi fai un gran favore.”

Hanamichi si sedette sul divano su cui era addormentato il micio. Era stato proprio lui a regalarglielo.

Ricordava bene quella sera: era il 25 dicembre…

 

Si erano ritrovati la mattina di Natale a casa di Akagi  per festeggiare tutti insieme e il divertimento e le risate non erano mancate; dopo aver ricevuto un regalo ciascuno dalla loro brava e gentile manager Ayako e aver pranzato, si misero a giocare a poker. Rukawa quel giorno non faceva altro che vincere e riscuotere ‘soldi’ così che lui, Miyagi e Mitsui si incavolarono notevolmente. Verso sera decisero finalmente di tornare ognuno a casa propria.

Si erano lasciati dopo aver percorso più della metà del lungomare, per poi andare ognuno a casa propria. Dopo essere passato a casa a prendere il regalo, andò a casa di Rukawa per dargli la sorpresa.

Era da qualche settimana che lui e la kitsune uscivano o andavano ad allenarsi insieme prima di qualche partita importante e finivano sempre per parlare del loro passato e dei loro problemi.

In una di quelle occasioni, Kaede gli rivelò la prematura morte della madre.

Non mancavano neanche due settimane alla festività e non sapeva ancora cosa diavolo regalargli. Ci aveva pensato tutto il tempo, fino al giorno prima, e finalmente si decise finalmente sul regalo da fargli per rendergli quel Natale migliore degli altri. 

DRIIINNN DLOOONN…

“Arrivo.” la voce di Kaede sembrava quasi seccata. Doveva avere indubbiamente molto sonno e Kaede Rukawa non perdona chi lo disturba quando vuole dormire.

Quando aprì la porta, la sua faccia diventò da dura e inflessibile, come è di solito, a stupita.

“Che ci fai qui?”

“Se mi fai entrare te lo dico.”  Faceva decisamente freddo fuori!

Lo fece entrare, ma aspettava una risposta più esplicita, rimanendo sull’ingresso e guardandolo: il suo silenzio diceva tutto questo.

“Sono venuto per  darti… il regalo di Natale.”

E mentre parlava gli diede la sorpresa tra le mani la faccia di Kaede divenne ancora più sorpresa: un piccolo gattino con il  pelo nero, corto e lucido, mostrava due dolci occhi azzurri e il musino incuriosito dalla vista del nuovo sconosciuto che presto sarebbe diventato il suo inseparabile padrone.

Rukawa continuava a guardare il cucciolo che aveva tra le mani, non sapendo che dire.

“Ti piace?” chiese interrompendo il silenzio che si era creato.

“E’ stupendo. Grazie Hanamichi.”

 La sua faccia mostrava chiaramente la sua felicità e la sua sincera gratitudine, accentuata dal sorriso che le sue labbra avevano formato.

“Allora…auguri di buon Natale, Kaede.”

“Auguri, Hanamichi.”

 

Il tocco lieve di una mano sulla spalla lo fece tornare alla realtà, lasciando lo sguardo dal felino che non accennava a svegliarsi. Si voltò verso la parte da cui proveniva il tocco: era Kaede.

“Il tè.” Gli disse semplicemente porgendoglielo.

“Grazie.” rispose prendendo la tazza di ceramica blu lucido. Rukawa  si sistemò su l’altro divano.

Hanamichi continuava a mordersi il labbro inferiore e a far tremare la gamba destra come se indeciso su qualcosa.

Rukawa non riusciva a capire cosa stava succedendo all’amico.

Poi all’improvviso lacrime come torrenti in piena scesero le guance a tutta velocità. 

“Non ci capisco più niente… perché… non capisco… perché?”

“…” Rukawa non ci capiva può niente. Non era da lui parlare in quel modo.

Si alzò dal divano e si inginocchiò di fronte a lui cercando di guardarlo negli occhi coperti dalle mani del rossino piangente.

“Mi dici cos’hai?” chiese gentilmente poggiando una mano sulla spalla destra.

“Non lo so, non ci capisco più niente.”

“E’ successo qualcosa a scuola?”

Il rossino annuì con un cenno della testa.

“Allora dimmelo. Cos’è successo?”

“Così poi mi prederai in giro per sempre…”

Rukawa non prese molto bene quella risposta, ma si fece calma mentalmente e provò di nuovo.

“Cosa ti è successo? A me puoi dirlo, avanti. Non ti prenderò in giro, lo giuro.” La calma e la dolcezza con cui disse quelle parole lo rendevano completamente un’altra persona.

“Stai zitto! Lo so che non t’importa di me!” aveva urlato. Ora Kaede non riusciva più a trattenere la calma: il modo in cui l’aveva respinto e le cose che aveva urlato non gli erano piaciute per niente.

Hanamichi era l’unico che gli si era avvicinato veramente ed era riuscito a farlo sentire a suo agio con lui.

Era l’unico con cui ora gli piaceva di stare, di giocare a basket, di parlare e non si annoiava mai ad ascoltarlo.

Come diavolo aveva potuto dire che non...non gli importava niente di lui?!?

“Credi davvero che non mi importi di te! E’ questo che pensi?!” Kaede lo  prese per la maglietta “Bhè allora credo proprio che dovresti far funzionare quel poco di cervello che hai! Se non sai riconoscere le persone che ti vogliono bene, incomincia ad aprire gli occhi, Hanamichi!” La faccia di Rukawa mostrava tutta la sua rabbia che stava uscendo insieme alle dure parole che fecero rimanere allibito Sakuragi.

Non aveva mai visto Kaede in quel modo. Sembrava offeso, furioso per quelle parole che gli aveva urlato. Si, sicuramente erano state loro. Si sentiva ferito da quello che aveva fatto a Kaede: non voleva vederlo soffrire.

Quanto avrebbe voluto sprofondare in un baratro, nell’oscurità assoluta.

“Gomen nasai, Kaede. Gomen ne.” abbassò lo sguardo e il tono di voce, mentre ancora le lacrime scendevano senza interruzione.

Kaede lasciò la presa e gli fece appoggiare la testa sulla sua spalla per farlo sfogare. Si sedette sul divano continuando a tenergli la testa e a cullarlo.

“Non dire più cose del genere, capito?” gli chiese accarezzandogli i capelli.

Hanamichi fece un leggero segno con la testa e dopo pochi secondi si allontanarono.

“Ora, vuoi dirmi cosa ti ha ridotto così, per favore?”

Sakuragi rimase meravigliato dalla dolcezza e dalla sicurezza che quei occhi trasmettevano.

Qualcosa di leggero si posò sulle sue gambe, per un attimo sperò che fosse la mano di Kaede, ma poi si accorse che era la gattina.

“Ciao piccolina!” la salutò Hanamichi accarezzandola sulla testa.  “miao”

“Tienila tu.” Lo incitò dandogliela in braccio.

Aveva ancora il fiocco rosso che aveva fatto mettere alla commessa per renderlo un regalo. Appena l’ebbe tra le mani, si perse subito nel suo dolce sguardo, infatti  quegli occhi erano azzurri. E davvero bellissimi.

“Come si chiama?” chiese quasi in trance.

“Night. Allora, mi vuoi dire cosa ti è succeso o devo toglierti le parole di bocca con una rissa?!”

“Night...”  Ripeté senza staccare lo sguardo dal felino.

Night. Era il nome che aveva dato alla piccolina perché quello era il nome della madre di Kaede in inglese e per mantenere il ricordo del suo sogno: l’America e quello di sua madre vivo in lui e per sentirsela vicino sempre.

Kaede gliene aveva parlato come se fosse stata una dea, con un po’ di tristezza, era logico, ma lo aveva meravigliato: ne sembrava innamorato. Gli aveva mostrato una sua foto: era davvero una bella donna, che aveva gli occhi azzurri identici ai suoi, i capelli neri e lisci che arrivavano alla fine della schiena e che in alcune di esse era ritratta con una coda; gli aveva detto che non era molto alta, ma comunque snella ed energica, che amava il basket  e che lavorava come pediatra in un’ ospedale, dove lo portava spesso poiché non poteva lasciarlo solo a casa.

Poiché il padre era quasi sempre via per lavoro così aveva passato la maggior parte della sua infanzia con la madre.

Lo conoscevano tutti in ospedale, lo chiamavano ‘il piccolo MJ’ o ‘il piccolo Micheal Jordan’, di cui erano un fan scatenati sia lui che la madre.  

Gli aveva rivelato che di lei aveva solo, oltre l’aspetto fisico, il suo ricordo, oltre alle  foto anche  alcuni cd sia di musica moderna che di musica classica suonata al pianoforte.

“Ehi! Io sto aspettando!” lo scosse con una mano.

“Hn. Scusa, ma questo gatto ha due occhi…”

“Non inventarti delle scuse. Adesso però me lo vuoi dire!” era stufo di ripetergli un’altra volta la solita frase.

“E va bene!” fece mente locale e continuò “Oggi ho visto Yohei e Haruko che si baciavano.” Dichiarò atono tutto di un fiato guardando ancora la gattina.

“Cosa?! Mito e Haruko?” era rimasto un po’ stupito ma, non gli suonavano bene quei due nomi. Insieme, poi…!

“Esatto, stamattina Mito era strano. Mi erano venute un sacco di domande in testa, dubbi, incertezze sulla nostra amicizia così, dopo le lezioni volevo parlargli, ma è andato via come un fulmine. Volevo dare risposte a tutti quei dubbi che avevo, così l’ho seguito e…” il tono all’inizio del discorso era normale, ma nell’ultima parte si era fatto più basso e lo sguardo era tornato sulle sue mani che accarezzavano il pelo liscio di Night.

“Li hai visti baciarsi.” Concluse Kaede che aveva seguito ogni singola parola.

Il rossino rispose con un cenno della testa.

“E loro?” Hanamichi non capì la domanda.

“Loro come hanno reagito?” si accomodò meglio e incrociò le braccia.

“Erano terrorizzati! Non riuscivano a dire una parola. Poi ha cominciato a piovere e sono corso qui a casa tua.”

“Cos’è che ti ha fatto tanto male?” lo sapeva, ma se non glielo avrebbe detto sarebbe di nuovo scoppiato come una pentola a pressione.

“Il fatto che il ragazzo che abbia preso Haruko sia proprio Yohei! Pensavo fosse mio amico, sapeva quanto l’amavo, ma lui me l’ha portata via. E non me ne ha neppure parlato, non me lo ha detto. Ci confidavamo sempre. Gli dicevo sempre tutto!...e invece lui…lui ha deciso di non parlare! Credo che io sia stato l’unico a cui non l’abbia detto.” Il ritmo era spezzato, come lo era la voce, ma le lacrime tardavano a farsi vedere. Ne aveva spese troppe. L’ultima frase l’aveva detta con un sorriso. Ma non era uno dei suoi: questo era forzato, per far vedere che non aveva più dolore.

“Sicuramente per farti meno male.”

“Invece mi hanno fatto più male che se non me lo avessero detto.”

“Questo non lo puoi dire con certezza. Cos’hai intenzione di fare ora: ammazzarli tutti di botte o hai in mente qualcos’altro?” gli chiese muovendo la mano.

“Non lo so, sono confuso... Ci penserò su.”

Rukawa lasciò che le labbra formassero un leggero sorriso per dare il suo pieno consenso.

Hanamichi starnutì violentemente, lasciando la presa sul gatto che cercò riparo su Kaede.

“Ti sei preso un bel raffreddore!” affermò sorridendo Kaede mentre coccolava la sua Night.

“Già. Ho tutti i vestiti fradici.” Si toccò la maglietta e la sentì talmente bagnata che se l’avesse strizzata, avrebbe riempito una bottiglia.

“Perché non ti fai una doccia?” gli consigliò “Ti presto alcuni dei miei vestiti e quando sono asciutti me li ridarai.” 

“Non ti preoccupare…” non sapeva cosa dire: era rimasto sinceramente stupito dalla proposta.

Rukawa si alzò dal divano e gli fece cenno di seguirlo “E se poi ti viene un’influenza? Non possiamo perdere il nostro grande giocatore!” lo prese in giro.

“Beh, questo è vero! Senza di me la squadra non può andare avanti!” e incominciò a fare il solito esibizionista.

Il giorno seguente Mito e Hanamichi si chiarirono e con grande sorpresa di tutti, il rossino accettò la nuova coppia.

 

Una settimana dopo.

‘Lo fatto di nuovo. L’ho sognato ancora. La sua pelle bianca come la neve…i suoi lineamenti dolci e così perfetti…i suoi capelli neri e lisci come la seta…i suoi occhi blu intenso…il suo modo di camminare quasi felino facendo ondeggiare i fianchi perfetti…i suoi sorrisi rivolti solo per me…oh, ma perché stai diventando un’ossessione…ti amo è questa la dura verità…”

Quest’ultimo pensiero lo sconvolse e si alzò dal futon. Decise velocemente di farsi una doccia che forse gli avrebbe fatto passare quei pensieri e renderli ridicoli quando ci avrebbe ripensato.

L’acqua calda scorreva sul suo corpo senza interruzione rendendo i pensieri di Sakuragi ancora più intensi.

‘…ti amo…suona bene. Oddio, mi sto innamorando di lui! Non può essere, l’acqua calda gioca brutti scherzi!’ e aprì completamente l’acqua fredda, ma socchiudendola velocemente perché troppo gelida. Appena ebbe constatato che la temperatura dell’acqua fosse giusta, i suoi pensieri tornarono sul ragazzo dei suoi sogni. ‘Ti amo, ormai lo so. Ma non mi accetterai quindi sarà meglio toglierti dalla testa per evitarmi il mio 51° rifiuto.’

 

La giornata passò normale finché Mito non lo riaccompagnò a casa.

“Allora non c’è niente che devi dirmi?” gli chiese Yohei.

“No, perché?”

“Io credo che mi devi dire alcune cose riguardo un certo Rukawa Kaede.”

Hanamichi rimase impalato senza muoversi guardando l’amico stupito.

“Non fare quella faccia. L’ho capito, sai.”

“Capito cosa?” lo guardò minaccioso.

“Oh, non far finta di non aver capito, Hanamichi, lo sai di cosa parlo.”

“E di cosa dovresti parlare?” non voleva dargliela vinta, voleva vedere quanto aveva capito sul suo conto.

“Del tuo nuovo amore che prende il nome di Rukawa Kaede.”

Il rossino sospirò constatando che aveva capito tutto e si lasciò andare alle spiegazioni.

“E va bene. E’ vero, amo Rukawa, ma non ci posso fare niente. Questa volta non è come le altre volte: con lui è diverso.”

Nel frattempo si erano seduti in una panchina di un parco giochi lì vicino.

“Forse perché è un ragazzo?”

“Non per quello, cioè un po’ anche per quello però non lo so…”

“Ancora non glielo hai detto, vero?”

“No, ma è meglio lasciare così le cose come stanno. Non voglio perdere la sua amicizia ed avere tutto il suo ribrezzo né tanto meno il mio 51° rifiuto!”

“Secondo me, dovresti dirglielo. Provaci. Non credo che ti allontanerà da lui, sei stato l’unico che ha superato la sua barriera e l’unico a cui tiene, oltre al basket ovviamente.”

Il suo discorso non faceva una piega, era tutto esatto. Ma il problema restava sempre quello: dirglielo o non dirglielo. Dopo quel discorso e aver rimuginato su qualche minuto prese la sua decisione: male o come vada glielo avrebbe detto!

 

Un altro pomeriggio di allenamenti.

Altri cinque minuti e poi la partita finisce qui. E con la mia vittoria.

Oggi Hanamichi si tanto da fare…chissà come mai?

E’ da un po’ di giorni che si  impegna molto e alla fine di ogni allenamento mi chiede come sia andato e quando gli rispondo che può migliorare si esalta e inizia a dire che lo farà perché i tensai, come dice lui, possono fare questo e altro…

 

Hanamichi mi passa la palla, mi dirigo verso il canestro avversario. Poco distante da me, il do’aho mi segue per aiutarmi nel compimento della nostra azione. Sono a due passi dal canestro, faccio finta di voler andare a canestro frantumando la difesa del mio avversario del secondo anno e la passo dietro ad Hanamichi che la intercetta e tira. Canestro. Quando mi volto verso di lui, un sorriso implorante di approvazione appare sul suo volto. Io faccio cenno con la testa, lo guardo fiero e lascio che le labbra si allarghino leggermente per fargli capire quanto sia contento del suo canestro.

“Bel tiro, do’aho.”

Vedo i suoi occhi illuminarsi e riempirsi di gioia. E’ un sensazione strana per me sentirsi importante per qualcuno, una cosa vaga e lontana. Già, perché per Hanamichi io sono il suo punto di riferimento, il suo maestro, e sono importanti per lui i miei giudizi.

Mitsui contro Hanamichi, un bello scontro, direi.

Mitsui, un buon difensore e Hana-chan, quando vuole fare una cosa la fa, quindi in qualche modo ora passerà la sua difesa.

 

Sei fritto, Mitsui! Il Grande Tensai ti farà vedere di cosa è capace.

Sono alla riga dei tre punti e se voglio fare bella figura devo fare uno slam dunk da manuale.

Mi libero del teppista e corro verso canestro, ma la figura imponente del gorilla mi appare davanti. Non importa, lo sconfiggerò con la mia schiacciata! E tutto diventerà più spettacolare!

Salto, le mie mani stanno per agganciare l’anello, ma il gorilla mi precede e scaraventa la palla dalle mani sul parquet. Sento il suo corpo spingersi sul mio e in pochi secondi mi ritrovo a terra schiacciato dal peso del gorilla. Un dolore acuto mi passa per la schiena e all’istante il mio urlo di dolore riempie la palestra.

Akagi si toglie immediatamente da sopra di me e vedo tutti gli altri venirmi intorno con le face preoccupate.

“Ti fa male la schiena, Sakuragi?” è la domanda di Ayako che subito mi è sopra per controllare.

Annuisco con la testa.

Oggi i miei allenamenti si fermano qui. E’ l’ordine di Akagi.

Ayako ordina a Mitsui e ad un altro di portarmi allo spogliatoio. Io mi alzo da solo, anche se ancora indolenzito.

“Non è niente, ora sto meglio.” Un’altra scossa di dolore.

“Ma se non riesci quasi a reggerti in piedi.” Ribatte Ayako.

Diciamo che ha pienamente ragione, se non mi siedo credo che crollerò qui davanti a tutti.

“Sei appena uscito dall’ospedale ed eri guarito completamente, com’è possibile che si ripresentino questi dolori?” chiese Mitsui dando voce alla domanda che tutti si stavano ponendo, ma meno che te. Non è vero, Rukawa? Tu non ti stavi facendo questa domanda, tu sai che ho ancora qualche acciacco ed ora mi guardi preoccupato perché di solito non ho dolori così forti, sono semplici doloretti che avverte qualsiasi persona quando è stanca, mentre ora sono più forti. Vorrei vedere, dopo che un gorilla di 90 chili ti piomba addosso, se i dolori non aumentano!!

“Mi hanno detto che sarebbe stato normale e se ogni tanto si facessero risentire, mi hanno detto che bastava un massaggio e sarebbe passato.”

“Se lo dicono loro. Qualcuno di voi è capace a fare dei massaggi?” sbraitò Mitsui.

“Ci penso io.” La voce di Rukawa sovrastò tutte le negazioni e le scuse dei sempai.

“Sei sicuro.” Mitsui era meravigliato, come tutti gli altri, che il ghiacciolo vivente volesse aiutarmi. Kaede lo guardò torvo come a dire ‘ne dubiti, forse?’.

“Aiutalo a venire negli spogliatoi.” Ordinò sempre freddo e impassibile mentre si avviva.

“Non prendo ordini da te, capito, stupido freezer!”  urlò contro di lui.

Non si girò neanche, lo guardò solamente da sopra la spalla. “Allora ti muovi?!”

Tutti rabbrividirono nel sentire il suo sibilo così gelido.

Se solo si aprisse come ha fatto con me… se solo facesse veder agli altri quello che mi ha fatto vedere di lui: il suo sorriso, il suo volto rilassato e felice quando è con me. Perché non fai vedere a tutti quello che sei, Kaede?...

Il teppista ubbidì senza dire niente ma si vedeva che ribolliva dalla rabbia. Mi prese il braccio e se lo mise intorno al collo. Ringhiò qualcosa contro di lui intanto che lo seguivamo.

“Non è quello che sembra.” Gli sussurro. 

Si volta verso di me con espressione  interrogativa e gli rispondo con lo sguardo convinto di chi la sa lunga, poi alza le spalle e mi porta fin davanti la porta degli spogliatoi. Qui mi lascia dopo aver cercato di vedere qualcosa negli occhi della volpe, senza nessun risultato. Troppo atoni per poterci vedere quello che ci vedo io… Ehehehe, mi sento privilegiato per questo, ma anche triste perché, come ho detto prima, nessuno può vedere quello che vedo io.

Entro nella stanza e Kaede chiude la porta. Silenzio totale.

“Sdraiati qui.” Mi dice mettendo  un asciugamano a terra.

Oddio! Sto per svenire, Kaede che mi dice di sdraiarmi…io questa frase l’ho immaginata in un’altra circostanza…e pure emozionante…e se non riuscissi a controllarmi e mi avventasi su di lui…oddio che faccio!!!

“Allora ti muovi! Oggi battete tutti la fiacca!”

Quant’è dolce!... sarà meglio fare quello che vuole. Allora, autocontrollo… autocontrollo, Hanamichi…

Appena mi appoggio a terra sento che si è messo a cavalcioni su di me e le sue mani scivolano lungo la mia schiena.

Oddio, non ce la faccio, sto per scoppiare. Sento che la mia faccia si sta facendo sempre più rossa dall’imbarazzo! Oddio!!! Autocontrollo…autocontrollo, Hanamichi. Sei un Tensai quindi devi farcela!

“Se non ti rilassi mi dici come faccio a farti il massaggio?!” la voce di Kaede mi fa sobbalzare e risvegliare dai miei pensieri.

“Ehm,…scusa…sai le fitte…” questa è una delle più grandi cavolate che abbia mai detto, però… devo dire che non è male…

“Si, certo. Ora rilassati: non tenterò di ucciderti!”

“Va bene. Ci proverò.”

I rumori provenienti dalla palestra ci fanno da sottofondo.

Quanto sono delicate le sue mani, credo che mi stia sciogliendo come burro al sole.

Inizio a fantasticare su Kaede e me e i suoi movimenti ritmici e dolci mi trasportano nel mondo dei sogni.

 

Finalmente si sta rilassando.

Aveva tutti i muscoli in tensione e non ci credo alla storia sulle fitte. Come se con me potesse fingere, lui stava pensando a qualcosa che lo agitava altro che fitte!...

Appena ho toccato la sua pelle scariche di tensione mi hanno percorso tutto il corpo.

Non avevo mai provato una sensazione così: avevo una voglia immensa di iniziare a baciare la sua schiena centimetro per centimetro, non so cosa  mi stia succedendo, ma da un po’ di tempo mi capita spesso. Hanamichi, perché mi fai tutto questo?

Sento le voci degli altri che urlano e chiamano palla e i rimbalzi del pallone sul pavimento danno un senso di pace alla stanza. Come se tutto il caos fosse fuori, non appartenesse a noi. A noi appartengono solo il silenzio e la pace.

Dopo un buon quarto d’ora guardo il suo volto e vedo che è profondamente addormentato.

E’ proprio carino! Non sembra neanche lui: ora è qui calmo, rilassato, abbandonato al sonno e senza preoccupazioni.

Credo che per oggi basti. Sarà meglio che me ne torni di là insieme agli altri.

Mi alzo e continuo ad osservare la faccia, la sua bocca, il suo corpo e senza che me ne accorga, poso le mie labbra sulla sua guancia.

Ma che mi sta succedendo?

Esco dallo spogliatoio, subito tutti mi guardano e chiedono notizie sul do’aho. Rispondo che si è addormentato e che è meglio lasciarlo lì per un po’.

 

“…michi…Hanamichi…svegliati, forza…”

Qualcuno mi sta scuotendo una spalla e sento che mi chiama, ma è tutto così ovattato, sembra che provenga da un mondo lontano…

Decido di aprire gli occhi e vedo un volto noto e due occhi che mi fissano interrogatori.

Vorrei tanto che fossero i suoi così blu, così penetranti e misteriosi, ma questi che ho davanti sono marroni, caldi e inquisitori e capisco chi è veramente colui che mi è davanti…non è il mio sogno proibito…non lui…

“…Mitchi…sei tu…” sussurro ancora in trance.

“E chi se no! Muoviti è tardi, dobbiamo andarcene!” mi urla contro senza tanti complimenti.

Non ricordo nulla di quello che è successo prima che mi addormentassi. Comunque mi tiro su sedendomi e appoggiando la schiena alla panca; mi massaggi gli occhi per riprendere lucidità, ma di questo passo ci vorrà un bel po’, se solo mi ricordassi…non ho mai dormito così bene…perché mi hanno svegliato…

Un sorrisetto che non mi piace per niente sorge sul suo viso, che adesso vorrei tanto massacrerei di botte. Che diavolo gli sta frullando in quella sua testa da teppista?!

“Allora i massaggi di Rukawa vedo che fanno bene al sonno!”

I massaggi di Rukawa?!!

Adesso ricordo: l’incidente e lui che mi fa il massaggio…

Devo essere tornato nel mondo dei sogni perché Mitsui mi lancia una maglietta in faccia e mi urla: “Smettila di fare la faccia estasiata e muoviti dobbiamo chiudere!”

“Hn. Si, certo. Faccio subito.” Rispondo senza preoccupazione. Chissà se Kaede è rimasto…però se Mitsui ha detto che devono chiudere, la kitsune se ne è già andata e non ho potuto accompagnarlo a casa e non posso stare di nuovo solo con lui e…

“Ah, se lo vuoi sapere Rukawa è ancora in palestra ad allenarsi, ma credo…”

non lo lascio finire di parlare che sono in meno di due secondi in palestra. Eccolo lì il mio volpacchiotto…oh come sei bello…

“Ehi, kitsune, mi fai giocare un po’?” gli chiedo a gran voce avvicinandomi a lui.

“Hn?” credo non mi abbia visto… “Hanamichi…stai meglio ora?”

“Ma certo, il Tensai duro&puro si è già rimesso a nuovo. Allora mi fai giocare, si o no?”

“Sei, sicuro. I dolori erano forti, forse dovresti evitare per oggi…”

“KITSUNE, NON FARE IL PREMUROSO!! GIOCHIAMO, SI O NO?!”

Odio quando fa finta di essere premuroso, forse vuole proprio sapere come stia con la schiena, ma in questo modo non sembra più lui, mi irrita quasi… io voglio giocare!!!Giocare con lui!!!

“Io non faccio il premuroso, chiaro?” la sua voce gelida mi arriva alle orecchie come un allarme e i suoi occhi si socchiudono accentuando le sue parole. Fa paura!!!

Ma non voglio che mi veda come una facile preda da sopprimere così facilmente, prendo tutto il coraggio che ho e mi faccio forza. Devo fargli vedere che voglio con tutto me stesso scontrarmi con lui. Incateno il mio sguardo al suo, lo fisso con convinzione e tenacia, se abbasso lo sguardo sarà come una sconfitta… “allora giochiamo?” Sono sicuro che accetterà, gli piacciono le sfide soprattutto fatte da chi è combattivo e convinto di poter vincere.

“Ok, do’aho si arriva a 20."

Sulla mia bocca appare un sorrisetto di sfida. Ne ero sicuro….

 

Mitsui se né andato da un pezzo assicurandomi che avrei perso almeno per 20 a 2…stupido teppista…

Siamo 14 a 6, per il volpino naturalmente e chi sennò…

Ora ha la palla e sia avvicina al canestro con aria sicura.

Corre verso di me. Salta. Salto anch’io. Corpo contro corpo. Il pallone si stacca dalle sue dita andando verso l’anello con grazia infinita. Osservo la sua parabole e nel farlo piego troppo la schiena, un dolore lancinante mi fa ricadere a terra ansimando.

“Hanamichi! Hanamichi cos’hai?” si avvicina a me preoccupato. “E’ la schiena, vero? Lo sapevo che non dovevo farti giocare!...”

“Smettila di rimproverarti così. Ora mi passa tutto.” Gli dico tirandomi su a sedere e sorridendogli.

“No, è stata colpa mia. Scusami, ti prego, mi dispiace…”

Non l’ho mai visto così dispiaciuto né l’ho mai sentito imprecare perdono. Se l’è presa proprio. Mi fa pena vederlo così… povera la mia kitsune…

Senza neanche rendermene conto lo abbraccio e lo stringo forte. Sento che lui si abbandona al mio abbraccio e inizio ad accarezzargli i capelli. “Tranquillo, non è successo niente…”

“Non voglio vederti in un letto d’ospedale...”

I suoi occhi si incatenano ai miei pieni di tristezza.

La sua voce è roca e le sue parole sincere e tristi, mi fanno capire che Mito aveva ragione: sono l’unico a cui tenga. Lui tiene a me! Ho il cuore che mi batte a mille!!!

Lo guardo pieno di dolcezza e rafforzo l’abbraccio. Ti amo Kaede. Non sai quanto.

Poso una mano sulla sua guancia e avvicino il mio viso al suo, anche lui fa lo stesso. 

Labbra contro labbra, un bacio leggero, ma che si approfondisce subito. Dopo qualche secondo ci stacchiamo e ci fissiamo negli occhi.

“Ti amo Kaede.”

 

Cos’ha fatto?

Mi ha baciato? Siamo sicuri che non sia uno dei miei sogni? Forse se provo a svegliarmi tutto svanisce...

“Ti amo Kaede”

Cosa? Cos’ha detto?

Che mi ama? Ho sentito bene? Sicuri che non ho un problema di udito?

Ora molte cose mi sono chiare. Ecco perché le sue visite più frequenti, la sua felicità quando giocavamo insieme, quando parlavamo, quando mi complimentavo con lui....

Ora capisco molte cose del suo comportamento...

E anche dei miei sentimenti verso di lui. Però ancora non ne sono sicuro.

“Vuoi stare con me?”

Ho bisogno di tempo.

“Kaede, rispondi!” devo essermi incantato...

Abbasso lo sguardo.

“Ti prego, Kaede, dì qualcosa. Muoio se non dici subito qualcosa.” La sua voce è preoccupata.  Preoccupata per un mio rifiuto.

“Dammi del tempo.”

Torno a guardarlo e vedo nei suoi occhi una luce di terrore e inquietudine.

“Perché? Perché hai bisogno di tempo?” è la sua supplica.

“Per capire molte cose.” Mi fa pena...chissà quanto abbia pensato a questo momento... “Dammi solo del tempo.”

Gira lo sguardo. Sta facendo un grande sforzo per non piangere.

“Non piangere per questo, Hanamichi...ti ho solo chiesto del tempo, nient’altro.”

“Ok. Se è questo che vuoi. Si, ti darò del tempo.”

“Grazie, Hana.” E lo abbraccio. Non so perché l’abbia fatto, di solito non faccio le cose d’istinto, ma per una volta si può lasciar fare, no?

 

Di sicuro è sulla terrazza.

Apro la porta d’accesso alla terrazza.

È lì, solo appoggiato alla ringhiera che guarda il cielo azzurro di oggi. Neanche una nuvola.

“Hanamichi.”

Si volta subito e appena mi vede mi si avvicina.

Agitazione e paura si leggono nei suoi occhi.

Il suo corpo mostra l’impazienza del suo cuore.

E io taglio la tensione che c’è tra noi.

Sorrido e dico: “SI.”

Il volto di Hanamichi si illumina di un luce meravigliosa. Il sorriso che è nato dalle sue labbra mostra a pieno tutta la sua felicità. E i suoi occhi brillano di gioia.

Non ho smesso un attimo di fissarlo negli occhi più splendenti e radiosi che abbia mai visto.

Ci avviciniamo quanto basta per sigillare la nostra unione.

I nostri sguardi non si lasciano mai perdendosi l’uno nell’altro.

“Voglio stare solo con te.”

 

Si.

No.

Due semplici parole.

Due lettere ciascuna.

Due sillabe.

Con la forza di far rinascere in tutta la sua pienezza la felicità incontenibile che giaceva nel fondo del cuore.

Con la forza di far morire tutto ciò in cui credevi e che provavi in fondo al cuore.

Chissà cosa risponderà?

Guardo il cielo e sospirò per l’ennesima volta.

Sento la porta aprirsi. Deve essere lui.

Mi giro e vedo il ragazzo che ha creato questo trambusto nel mio cuore avvicinarsi a me.

Si ferma a pochi passi da me. Il suo viso mostra a malapena l’agitazione.

Sono preoccupatissimo.

Nelle orecchie i battiti del cuore si ripetono sempre più velocemente.

E poi un flebile suono fuoriesce dalle sue labbra.

“Si.”

Kami, Kaede non sai quanto ti voglio bene.

Quanto ti abbia desiderato.

Non lo puoi immaginare!!

Ci avviciniamo.

Mi specchio in quei due mari blu e mi perdo in essi.

“Voglio stare con te.”

Non devi dire altro, Kaede. Hai già detto tutto. In quell’attimo durato un’eternità i nostri cuori si sono parlati e si sono detti tutto. Non ti preoccupare delle parole, me lo hai insegnato tu.

Poso le labbra sulle sue.

Prima è un bacio casto, leggero. Ma poi la passione prende il sopravvento e con la lingua chiedo il permesso di entrare. Permesso approvato immediatamente.

Non so perché hai deciso di stare con me, kitsune, ma so per certo che io ti amo.

 

But my love is all I have to give
Without you I don't think I could live
I wish I could give the world to you
But love is all I have to give

 

(Backstreet Boys, All I have to give)

 

OWARI

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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