I don’t know why…
by Nihon
“Ehilà, Rukawa.”
“Ehilà.”
“COSA?? Rukawa??” urlarono la Sakuragi Gundan in preda
allo sgomento totale “Ci avevi detto che aspettavi qualcuno qui, ma non
pensavamo proprio LUI!!”
“Allora, si va?” Domandò Hanamichi tutto esaltato.
Rukawa annuì
alzando le spalle.
“Rukawa, sei mai stato al Pachinko?” chiese Mito a metà
strada. Lo sgomento era già tanto e la curiosità di saperne di più su quel
strano e insolito inizio di giornata lo stava divorando. Voleva scoprirne di più.
Poche domande avrebbero potuto riempire gli spazi vuoti di un puzzle che da
qualche tempo sembrava essersi impossessato della sua mente quando pensava al
suo migliore amico.
“No.”
“Cosa!!!?? Allora perché hai accettato?”
“Non è possibile!”
“Deve esserci stato almeno una volta!” Discutevano i
suoi amici.
“Bene! Così vedremo se sei più fortunato di me anche a
Pachinko!” rideva Hanamichi. In fondo, uno come Rukawa che giocava in una sala
di Pachinko non ce lo vedeva proprio.
Arrivati a destinazione, Sakuragi spiegò subito al numero
undici come si giocava e notò che aveva una buona capacità di apprendimento,
infatti era arrivato al suo stesso punteggio.
“Avete visto, sono pari!”
“Incredibile!”
“Sakuragi è stato sempre il più bravo di tutti noi!”
“Deve essere tutta fortuna!” dicevano Takamiya e gli altri.
“Chi perde paga un gelato. Ci stai?” lo sfidò il
rossino.
“Ci sto!” non si sarebbe mai tirato indietro di fronte
ad una sfida
Qualche minuto dopo…
“Stupido gioco!” Rukawa
aveva perso per qualche decina di punti ed ora mentre camminavano continuava,
come un disco incantato, ad insultare il gioco.
Intanto Hanamichi, al contrario dell’"amico",
si esaltava di averlo battuto e di essere il Re del Pachinko.
“Ahahaha, sono il RE del pachinko! Ahahaha, solo un
Tensai come me poteva fare una cosa così sublime!!! Ammettilo, kitsune, ti rode
che IO, l’immenso Tensai ti abbia battuto, vero?!”
Quando arrivarono ad un bar per prendere il gelato,
Takamiya e Hanamichi, i due pozzi fondi del gruppo, presero i gelati più grandi
con la scusa ‘Tanto paga Rukawa!’.
“E’ davvero strano che siate usciti insieme e che
ancora non vi siete presi a botte o insultati.” parlava Mito.
“Già, Hanamichi. Ancora non ci hai spiegato come mai hai
fatto venire anche Rukawa.” proseguì Noma.
“Ieri abbiamo fatto a botte e parlando gli ho chiesto se
voleva venire con noi.” Rispose Hanamichi girando il cucchiaino tra le mano
avendo finito il gelato.
A Mito quel ‘parlando’, come a tutti gli altri, del
resto, suonò molto strano. Se
c’erano due persone sul pianeta che non si sarebbero mai parlate quelle erano
sicuramente loro due.
Com’era possibile?
“Porca sono già le 6. Ragazzi, mi dispiace ma io devo
tornare a casa!” dichiarò dispiaciuto Mito dopo aver dato un’occhiata
all’orologio del bar.
“Non ti preoccupare.” Risposero gli altri alzandosi dal
tavolo.
Davanti al bar gli amici si divisero: i Guntai andarono
verso destra e Hanamichi e Kaede a sinistra.
Mentre camminavano i quattro amici parlavano dello strano
comportamento del loro amico con Rukawa.
“Per me c’è sotto qualcosa!” ripeteva con l’aria
da detective Okusu. Gli altri annuivano e parlavano di alcuni momenti della
giornata che non li convincevano.
“Come, quando eravamo al bar…” iniziò Mito.
Rukawa aveva finito
il suo gelato, mentre Sakuragi ne aveva ancora molto.
Il cucchiaino
indesiderato del volpino affondò sul gelato al cioccolato del rossino, che
vedendo l’azione in corso si mise ad urlare contro il compagno di squadra.
“Maledetto volpino
frega gelato! Ritira quelle zampe! Spero proprio che ti venga
un’indigestione!” e non notando alcuna reazione dal nemico continuò “Come
hai osato mangiare il mio gelato!”
I quattro amici
intanto ridevano di gusto non riuscendo a controllarsi.
“Si da il caso che
il gelato lo abbia pagato io.” Rispose con il cucchiaino in bocca.
“E allora! Lo hai
pagato A ME ed è PER ME quindi è comunque mio! Non ti ho autorizzato!”
continuava ad urlare Sakuragi a Rukawa che, sempre nella stessa posizione,
ripeteva “L’ho pagato io.”
Hanamichi sospirò
rassegnato, bofonchiando qualcosa contro le stupide volpi frega gelato, e tornò
a magiare il suo gelato al cioccolato. Rukawa guardò il rossino con uno sguardo
divertito e felice, che non passò inosservato dai quattro.
“Non è da Sakuragi non fare ha botte con Rukawa. Anzi,
cerca sempre l’occasione per menarlo!” affermava Okusu.
“E mentre eravamo a giocare a Pachinko? Ho visto
Hanamichi guardare Rukawa diverse volte per poi rimettersi a giocare sorridendo.
Chissà cos’aveva in testa!” dichiarava Noma.
“Già! Speriamo che non ne sia innamorato!” rise
Takamiya.
“Macché lui ha la sua Harukina e poi sono due
ragazzi!” lo rimproverò Okusu.
“Mai dire mai!” affermò Mito. Quella frase fece
rabbrividire tutti.
Poi aggiunse, capendo di aver sbagliato. “Ma è
impossibile perché Hanamichi è un donnaiolo di professione quindi dobbiamo
escludere l’ipotesi che gli piaccia.”
“Giusto!” confermarono gli altri. Arrivati ad un
incrocio si divisero per andare ognuno a casa sua.
Intanto sulla strada per la casa di Rukawa, i due neo-amici
parlavano, ridevano (Rukawa rispondeva con un sorriso appena visibile) e si
davano spinte quasi da cadere per terra.
‘Oh, Santo Cielo! Fa che domani non nevichi! Quei due
stanno…’
Ayako stava andando nella direzione opposta ai due e li
aveva riconosciuti da lontano: Hanamichi stava passando la sua mano tra i
capelli di Kaede arruffandoli e tenendogli la testa tra le braccia, ben strette
contro di se, ridendo.
‘…stanno giocando come due bambini…da amici…!! No,
Non posso essere loro…mi sto sbagliando!...’
continuava a pensare sbigottita, ma tutto gli fu chiaro
quando la voce del rossino la chiamò.
“Aya-chan! Che ci fai qui?”
“Ha--hanamichi. Rukawa. Ciao. Sono andata a fare la
spesa. E voi come mai qui?” chiese cercando di essere il più naturale
possibile.
“Accompagno questa sottospecie di volpe non evoluta a
casa sua.” rispose immediatamente
esaltato con un sorriso smagliante.
“A si? Non
è che volete andare ad ammazzarvi a casa sua?”
disse sforzandosi di nascondere lo stupore.
“Oh, no, Aya-chan, è solo per assicurarmi che torni
effettivamente a casa così domani potrò batterlo, sai tanto per fargli capire
che sono il Tensai del Basket!”
“Do’aho…”
‘Devo andare al tempio per ringraziare gli dei!’ fu il
primo pensiero della manager appena si lasciarono.
“Hai visto che faccia aveva prima che la salutassi!”
esclamò Hanamichi ridendo.
“Ci posso credere: non è una cosa di tutti i giorni
incontrare noi due insieme.” Spiegò Kaede alzando un sopracciglio.
“Lo so. Ma prima o poi saremo pur diventati amici, no?”
affermò affondando le mani nelle tasche del giubbotto con una faccia
leggermente imbronciata.
“Non lo so, forse si forse no. Ma ora direi… che siamo
quasi amici.”
“No. Siamo amici!” Concluse Sakuragi guardandolo con
uno sguardo sicuro e con il suo sorriso altrettanto sicuro.
Rukawa rispose semplicemente con un piccolo sorriso.
Non gli dispiaceva ammetterlo, ma
in fin dei conti l’essere che gli stava accanto era davvero simpatico,
divertente, solare, pieno di energia, felice della vita e di viverla.
Queste cose gli fece ricordare chi, molti anni prima, lo
aveva lasciato solo. Da solo con un padre sempre via per lavoro, in balia della
solitudine, della paura di rimanere abbandonato e dimenticato, delle notti in
bianco passate a piangere una madre che non c’è più.
Qualche volta, quando il padre non c’è perché via per
lavoro, il ricordo amaro della madre tornava a bussare alla porta dei ricordi e
arrivavano con esso le lacrime, lacrime che versava solo per lei. Tutte le
volte, dopo aver pianto, si prometteva che non lo avrebbe più fatto perché
quelle lacrime che segnavano il suo volto, segnavano un’altra ferita sul suo
orgoglio, e questo faceva maledettamente male, faceva male sentirsi così
fragili, senza nessun sostegno.
Ma ora, era riuscito a mantenere quella promessa che si
ripeteva tutte le volte dopo aver pianto.
Non ricordava più neanche come ci si sentisse piangendo,
dopo aver pianto, sentendo le proprie lacrime rigare il volto; non ricordava più
come ci si sentiva feriti, fragili. Era diventato proprio come tutti lo avevano
descritto: freddo, impassibile, incapace di provare emozioni.
Ora, quando pensava alla madre non piangeva più, ansi, si
chiedeva come fosse riuscito a diventare così freddo tanto da non riuscire
neanche a piangere per lei, e questa domanda portava dietro di se solo
malinconia e tristezza e si urlava dentro che voleva di nuovo piangere, piangere
solo per lei, per nessun’altro, perché non aveva nessuno su cui piangere,
nessuno che lo amava come aveva fatto lei, nessuno che avesse cercato di
aiutarlo, di comprenderlo, di volergli bene. Ma poi, la parte fredda sovrastava
quella che voleva di nuovo provare emozioni e si chiedeva che senso avesse
piangere.
‘Con le lacrime non
si fa rinascere chi si sta piangendo’.
Subito la parte emotiva ribatteva e si metteva in un angolo
isolato della casa, seduto per terra ad ascoltare la musica, musica dolce e
malinconica, come il ricordo della donna che lo aveva dato alla luce. Dolce
erano i pensieri rivolti a lei, delle giornate passate al campetto di basket
poco lontano da casa sua, in cui gli insegnava tutto ciò che sapeva e gli dava
consigli sul gioco in campo, sull’ one-on-one…; malinconico era il ricordo
di non averla più accanto, vicino che lo abbracciava, di non poterle far vedere
quanto era diventato bravo, quanto era migliorato dall’ultima volta che lo
aveva visto toccare quel pallone a spicchi arancione. Gli mancava, non gli
dispiaceva ammetterlo, ma, in fondo… era sua madre.
Sua madre…
Hanamichi…
due persone uguali…
la prima l’aveva persa, ma la seconda…
non voleva perdere anche lui!
“Kaede, qualcosa non va?” Hanamichi si era accorto
dell’improvviso cambio d’umore di Kaede.
“Hn? Niente, non ti preoccupare.” Rispose
massaggiandosi con una mano gli occhi.
Sakuragi avrebbe voluto chiedere spiegazioni, ma non lo
fece sapendo che non avrebbe avuto una risposta molto eloquente, non lo aveva
fatto anche perché voleva vederlo sorridere come prima: finalmente era riuscito
a sciogliere il ghiacciolo vivente e a mostrare un segno di felicità e di
allegria, libero da quel muro che da solo si era creato; solamente guardandolo
in quel momento aveva avvertito in lui un senso di pace e felicità interiore.
Arrivati di fronte alla casa di Rukawa, una villetta a due
piani, con una bella terrazza rivolta verso il mare, i due si salutarono e si
lasciarono, andando in direzioni diverse.
Il giorno dopo a scuola, Hanamichi e Kaede si comportarono
come al solito per non destare sospetti e anche perché si divertivano a
prendersi in giro e fare a botte: era stato il loro modo di comunicare fino a
qualche tempo prima! Era diventato per loro un rito ed ora non ne potevano più
fare a meno: gli piaceva sentirsi vincitore e vinto in quei pochi secondi in cui
l’uno dominava l’altro, gli piaceva il volto pieno di cerotti dell’altro,
il corpo pieno di lividi e dei segni lasciati dalla dura battaglia. Quelle
battaglie nascevano da stupide liti, sorte proprio, all’insaputa di tutti,
solo per divertirsi, come due bambini.
Mentre i due facevano, secondo rituale, a botte verso la
fine degli allenamenti, Ayako pensava al giorno prima, quando li aveva
incontrati per strada.
‘Quei due sono davvero strani. Sono nemici e lo fanno
vedere, sono amici ma non lo fanno vedere… o forse non lo vogliono far vedere. Chissà, forse perché hanno paura della
reazione degli altri o lo fanno perché si divertono a prendersi in giro e a
menarsi da mattina a sera.’
Tutti erano andati via, tranne Sakuragi e Rukawa, che
facevano a botte e Ayako che era rimasta lì di nascosto per vedere cosa
combinavano dopo aver finito la battaglia.
“Sono andati via tutti?” chiese ad un certo punto
Hanamichi per terra.
“Si. Non si sente più niente.” Rispose Kaede che gli
stava seduto sopra per tenergli le gambe.
“Allora cosa ne diresti di toglierti da sopra?” domandò
ironicamente.
“No, ci si sta comodi, sai.” Affermò dondolandosi da
destra a sinistra facendo, così, male al rossino.
“Smettila, mi fai male!” urlava.
“E a me che mi frega, io non lo sento tutto questo
dolore.” Diceva con tono malizioso e divertito.
“Invece io si!” e dicendo ciò buttò a terra il
volpino che fermò la caduta appoggiando gli avambracci a terra.
“Allora vediamo se così ti passa.” E iniziò a fargli
il solletico sui fianchi e sul torace, i suoi punti più sensibili.
“Ferma dannata kitsune! Non lì, nooo…!”
‘Guarda come giocano! Pazzesco!’
Rukawa capì che se continuava avrebbe dovuto fargli la
respirazione bocca a bocca per rianimarlo, anche se l’idea non era niente male
come il ragazzo che gli stava sotto…. Bloccò quel pensiero sul nascere
dicendosi che la stanchezza può giocare brutti scherzi e continuò nella sua
tortura.
“Smettila, kitsune…smettila…!” urlava Hanamichi tra
le risate.
“Finché non mi supplichi non mi fermo!”
“Mai. Il Tensai…non supplica nessuno…!”
“Allora continuo!” e proseguì ancora più forte.
In quel momento Ayako decise di uscire allo scoperto.
“Ehm, ehm!”
“A--Ayako?!!”
Rukawa decise che era meglio alzarsi da sopra. Hanamichi
che fece lo stesso.
“Che ci fai qui?” gli domandò con il suo solito tono
freddo e piatto.
“Mi era venuto un dubbio vedendo il vostro comportamento
tra ieri e oggi, così sono rimasta per vedere se la mia incertezza era giusta o
no. Ma a quanto pare era esatta.” spiegò con tono furbesco e innocente ed
infine sicuro.
“Quindi tu…” Sakuragi balbettava qualcosa che non
riuscì nemmeno a finire per quanto sconvolto.
“Ho visto tutto, Hanamichi. Ho visto come giocavate poco
fa e non mi è dispiaciuto affatto.”
I due pensavano solo a cosa raccontare come scusa a colei
che aveva scoperto il loro ‘segreto’ .
Ayako vedendo le loro facce terrorizzate li calmò subito.
“Tranquilli non racconterò niente a nessuno.” Affermò con uno sguardo
sincero e dolce.
“Davvero non lo farai?” chiese ancora incerto Sakuragi.
“Certo, lo sai che ti puoi fidare di me.”
“Possiamo fidarci di lei, Hanamichi, quindi stai
calmo.” Confermò Kaede, poi si voltò verso la manager “Grazie.”
“Di niente.” Rispose subito sorridendo “Ora devo
proprio andare. Ci vediamo!” Salutò girandosi e sbrigandosi a tornare a casa.
Il giorno dopo. Sabato. Niente allenamenti per lo Shohoku.
Alla fine della pausa-pranzo.
“Guarda che nuvole! Non promettono niente di buono!” si
lamentò Mito guardando fuori dalla finestra della classe i nuvoloni neri che
sovrastavano la città senza lasciare al sole di illuminare quel fine settimana
di gennaio tanto atteso.
“Già, credo proprio che pioverà un casino.” affermò
il rossino che anche lui guardava alla finestra.
“Oggi hai gli allenamenti?” chiese distrattamente il
primo.
“No, lo sai che il Gory ci ha lasciato il sabato
libero.” La domanda dell’amico gli era sembrata scontata visto che era quasi
sempre lui a ricordargli quando aveva gli allenamenti. “Come mai?” chiese
confuso e preoccupato.
Yohei non parve particolarmente felice per la risposta,
anzi sembrava avesse sbuffato. “Niente, me lo ero dimenticato.” Si giustificò
restando a fissare fuori le nuvole che si avvicinavano sempre più.
Hanamichi non potè non guardarlo confuso.
Cosa stava succedendo al suo amico?
Prima si lamenta per le nuvole poco ben auguranti, ma
quella era un’osservazione più che normale, poi chiede degli allenamenti e
inoltre sbuffa alla sua risposta come se fosse stata una scocciatura. Qualcosa
non andava. E lo sapeva fin troppo bene.
Troppe domande in quel momento gli annebbiarono la mente e
diventarono impossibili da fare a causa dell’arrivo del professore di
matematica, che li avrebbe intrattenuti per ben due ore nel pomeriggio.
Guardando la schiena del suo compagno ricurvo sul quaderno,
Sakuragi non riuscì a seguire la lezione per dare delle risposte a tutte quelle
domande che gli facevano male.
‘…che non mi volesse più come amico?...che non volesse
più seguire gli allenamenti, i miei
allenamenti e le mie
partite?...No, ci conosciamo da troppo tempo e poi se qualcosa non va me lo
direbbe…a meno che non riguardi me…’ un gelo interiore stava devastando il
suo cuore e alla fine si decise ad interessarsi alla lezione e lasciare ai
numeri il compito di togliergli tutte quelle spine sul cuore.
Le due ore passarono per il rossino più veloci del solito.
Al suono della campanella, Hanamichi vide Mito scattare
dalla seggiola, salutarlo e fuggire dietro la porta scorrevole in direzione
dell’uscita. Voleva parlagli, chiedergli spiegazioni di tutte quelle domande
che si erano create nella sua mente, cominciò a rincorrerlo arrivando dietro lo
Shohoku. L’angolo del muro della scuola. È lì che il suo migliore amico era
scomparso, se lo avesse girato sicuramente gli avrebbe potuto parlare. Aumentò
il passo. Sempre più vicino. Sempre di più. Sentì una voce provenire proprio
dalla sua meta. La voce del suo folle amore, la voce che lo aveva spinto a
giocare a basket; non si sentiva distintamente, ma sentì solo e chiaramente tre
parole “Ti amo Yohei.” Si era
confuso. Era qualcun altro, sicuramente, non lei.
Girò l’angolo.
In quell’istante il cuore si bloccò non mandando più
sangue, i polmoni non ricevevano e davano più aria, ogni singolo arto era
completamente immobilizzato. In quell’istante non potè non sentirsi
sprofondare nello sgomento totale.
Il suo miglior amico stava… cioè…la ragazza dei suoi
sogni stava…
Mito e Haruko si stavano baciando.
I due si girarono di scatto accortisi della presenza del
loro amico.
“…Hanamichi…” “…Ti posso spiegare tutto…”
I due cercavano le parole giuste per spiegarsi, ma ormai il
loro Hanamichi non riusciva più a muoversi.
‘Perché non me lo hai detto che stavi con lei? Saremmo
rimasti comunque amici. Perché non me lo hai detto?!...Io…io non ci capisco
più niente…perché non soffro all’idea di aver perso Haruko? Perché?...Non
ci capisco più nulla…perché?’
“PERCHE’?”
Una, due, tre, dieci, venti, cento gocce. Aveva iniziato a
piovere. Sembrava che il cielo stesse piangendo per e con lui e stava sempre più
peggiorando.
“Hanamichi, per favore, non fare così…Vieni dentro. Ti
prenderai un’influenza …” Haruko pregò Sakuragi che la bloccò.
“No. È meglio che torni a casa, ho delle cose urgenti da
fare.” Salutò girandosi.
Doveva assolutamente fare ordine nella sua testa e nel suo
cuore. Capire perché lo spaventava l’idea che la perdita della ‘sua
Harukina’ non lo sconvolgeva. Doveva parlarne con qualcuno.
Ma con chi?
La sua testa pensò alla sola persona capace di farlo
scaricare.
Rukawa Kaede.
Si diresse alla palestra, sicuramente era lì.
Non c’era.
Gli sembrò strano che non fosse, poi ripensò che gli
aveva detto infatti che quel giorno non sarebbe venuto a scuola, non spiegandone
il motivo.
A casa sua.
Probabilmente con questo tempo era tornato a casa.
Ci sarebbe arrivato anche se un po’ distante dalla
scuola.
La pioggia incessante non dava tregua ai pochi passanti che
erano finiti sotto il temporale inaspettato di fine gennaio. Molta gente cercava
di salvarsi passando sotto le terrazze dei palazzi, altri, i più fortunati o
solo più provvidenti, camminavano protetti dagli ombrelli, sui marciapiedi
quasi vuoti della città e altre persone correvano cercando di raggiungere un
riparo più in fretta possibile.
Un ragazzo alto, con dei capelli corti rossi fuoco che
indossava un giacchetto rosso e nero, completamente fradicio, la divisa
scolastica nera con i classici bottoni dorati e la cartella, correva schivando i
passanti a gran velocità.
Forse non aveva una meta, probabilmente doveva anche lui,
come tutta la gente che stava correndo, cercare un riparo, sfuggire dalla
pioggia che già da qualche ora stava cadendo incessantemente, senza lasciare
alcuna speranza in una prossima e confortante fine.
No.
Lui non stava sfuggendo dalla pioggia, ma dal dolore troppo
grande che neanche lui riusciva a sopportare. Stava correndo, anzi no,
scappando, verso l’unico posto dove sicuramente lo avrebbe trovato. Se non gli
fossero venuti tutti quei sospetti, se non avesse seguito di nascosto il suo
amico, non avrebbe capito che i suoi ‘Harukina’ ‘Harukina cara’ erano
diventati una copertura per qualcos’altro che non riusciva a capire, a mettere
a fuoco ma, che sicuramente non era rivolto più a lei.
Non guardava neanche più dove stava andando, era così
abituato a fare quella strada che ormai la conosceva a memoria. Il ristorante.
Il lungo mare. Il parco giochi con annesso il campetto, dove spesso si
allenavano. Qualche abitazione e finalmente la sua. Ecco il tragitto che faceva
tutte le volte per andare a casa del suo nuovo miglior amico.
Gli era piaciuta fin dalla prima volta
che vi entrò: aveva un non so che di accogliente, forse il fuoco che ardeva nel
camino che riscaldava e dipingeva
di colori caldi e intensi la sala, il gatto nero ancora cucciolo sempre
addormentato sul divano, o, quasi sicuramente, gli piaceva semplicemente perché
era la casa di Rukawa Kaede.
Appena arrivato si riparò sotto il piccolo ingresso
davanti al portone.
Dopo aver suonato diverse volte, la porta
si aprì. Il ragazzo che ne era dietro, stava di sicuro dormendo perché il
volto faceva subito intendere l’elevato tasso di sonno che ancora aveva.
“Scommetto che stavi dormendo!?” fu subito la sua
affermazione appena varcata la soglia sforzando un sorriso.
“Sei finito sotto la pioggia?” gli chiese Kaede
chiudendo la porta.
“Si.” Rispose togliendosi il
giacchetto e andando in salotto dove, come al solito, trovò il gatto
addormentato sul divano di fronte al camino.
“Vuoi qualcosa di caldo? Un tè?” gli
domandò seguendolo.
“Se è bollente mi fai un gran
favore.”
Hanamichi si sedette sul divano su cui
era addormentato il micio. Era stato proprio lui a regalarglielo.
Ricordava bene quella sera: era il 25
dicembre…
Si erano ritrovati la mattina di
Natale a casa di Akagi per
festeggiare tutti insieme e il divertimento e le risate non erano mancate; dopo
aver ricevuto un regalo ciascuno dalla loro brava e gentile manager Ayako e aver
pranzato, si misero a giocare a poker. Rukawa quel giorno non faceva altro che
vincere e riscuotere ‘soldi’ così che lui, Miyagi e Mitsui si incavolarono
notevolmente. Verso sera decisero finalmente di tornare ognuno a casa propria.
Si erano lasciati dopo aver
percorso più della metà del lungomare, per poi andare ognuno a casa propria.
Dopo essere passato a casa a prendere il regalo, andò a casa di Rukawa per
dargli la sorpresa.
Era da qualche settimana che lui
e la kitsune uscivano o andavano ad allenarsi insieme prima di qualche partita
importante e finivano sempre per parlare del loro passato e dei loro problemi.
In una di quelle occasioni,
Kaede gli rivelò la prematura morte della madre.
Non mancavano neanche due
settimane alla festività e non sapeva ancora cosa diavolo regalargli. Ci aveva
pensato tutto il tempo, fino al giorno prima, e finalmente si decise finalmente
sul regalo da fargli per rendergli quel Natale migliore degli altri.
DRIIINNN DLOOONN…
“Arrivo.” la voce di Kaede
sembrava quasi seccata. Doveva avere indubbiamente molto sonno e Kaede Rukawa
non perdona chi lo disturba quando vuole dormire.
Quando aprì la porta, la sua
faccia diventò da dura e inflessibile, come è di solito, a stupita.
“Che ci fai qui?”
“Se mi fai entrare te lo
dico.” Faceva decisamente freddo
fuori!
Lo fece entrare, ma aspettava
una risposta più esplicita, rimanendo sull’ingresso e guardandolo: il suo
silenzio diceva tutto questo.
“Sono venuto per
darti… il regalo di Natale.”
E mentre parlava gli diede la
sorpresa tra le mani la faccia di Kaede divenne ancora più sorpresa: un piccolo
gattino con il pelo nero, corto e
lucido, mostrava due dolci occhi azzurri e il musino incuriosito dalla vista del
nuovo sconosciuto che presto sarebbe diventato il suo inseparabile padrone.
Rukawa continuava a guardare il
cucciolo che aveva tra le mani, non sapendo che dire.
“Ti piace?” chiese
interrompendo il silenzio che si era creato.
“E’ stupendo. Grazie
Hanamichi.”
La sua faccia mostrava chiaramente la sua felicità e la sua
sincera gratitudine, accentuata dal sorriso che le sue labbra avevano formato.
“Allora…auguri di buon
Natale, Kaede.”
“Auguri, Hanamichi.”
Il tocco lieve di una mano sulla spalla
lo fece tornare alla realtà, lasciando lo sguardo dal felino che non accennava
a svegliarsi. Si voltò verso la parte da cui proveniva il tocco: era Kaede.
“Il tè.” Gli disse semplicemente
porgendoglielo.
“Grazie.” rispose prendendo la tazza
di ceramica blu lucido. Rukawa si
sistemò su l’altro divano.
Hanamichi continuava a mordersi il labbro
inferiore e a far tremare la gamba destra come se indeciso su qualcosa.
Rukawa non riusciva a capire cosa stava
succedendo all’amico.
Poi all’improvviso lacrime come
torrenti in piena scesero le guance a tutta velocità.
“Non ci capisco più niente… perché…
non capisco… perché?”
“…” Rukawa non ci capiva può
niente. Non era da lui parlare in quel modo.
Si alzò dal divano e si inginocchiò di
fronte a lui cercando di guardarlo negli occhi coperti dalle mani del rossino
piangente.
“Mi dici cos’hai?” chiese
gentilmente poggiando una mano sulla spalla destra.
“Non lo so, non ci capisco più
niente.”
“E’ successo qualcosa a scuola?”
Il rossino annuì con un cenno della
testa.
“Allora dimmelo. Cos’è successo?”
“Così poi mi prederai in giro per
sempre…”
Rukawa non prese molto bene quella
risposta, ma si fece calma mentalmente e provò di nuovo.
“Cosa ti è successo? A me puoi dirlo,
avanti. Non ti prenderò in giro, lo giuro.” La calma e la dolcezza con cui
disse quelle parole lo rendevano completamente un’altra persona.
“Stai zitto! Lo so che non t’importa
di me!” aveva urlato. Ora Kaede non riusciva più a trattenere la calma: il
modo in cui l’aveva respinto e le cose che aveva urlato non gli erano piaciute
per niente.
Hanamichi era l’unico che gli si era
avvicinato veramente ed era riuscito a farlo sentire a suo agio con lui.
Era l’unico con cui ora gli piaceva di
stare, di giocare a basket, di parlare e non si annoiava mai ad ascoltarlo.
Come diavolo aveva potuto dire che
non...non gli importava niente di lui?!?
“Credi davvero che non mi importi di
te! E’ questo che pensi?!” Kaede lo prese
per la maglietta “Bhè allora credo proprio che dovresti far funzionare quel
poco di cervello che hai! Se non sai riconoscere le persone che ti vogliono
bene, incomincia ad aprire gli occhi, Hanamichi!” La faccia di Rukawa mostrava
tutta la sua rabbia che stava uscendo insieme alle dure parole che fecero
rimanere allibito Sakuragi.
Non aveva mai visto Kaede in quel modo.
Sembrava offeso, furioso per quelle parole che gli aveva urlato. Si, sicuramente
erano state loro. Si sentiva ferito da quello che aveva fatto a Kaede: non
voleva vederlo soffrire.
Quanto avrebbe voluto sprofondare in un
baratro, nell’oscurità assoluta.
“Gomen nasai, Kaede. Gomen ne.”
abbassò lo sguardo e il tono di voce, mentre ancora le lacrime scendevano senza
interruzione.
Kaede lasciò la presa e gli fece
appoggiare la testa sulla sua spalla per farlo sfogare. Si sedette sul divano
continuando a tenergli la testa e a cullarlo.
“Non dire più cose del genere,
capito?” gli chiese accarezzandogli i capelli.
Hanamichi fece un leggero segno con la
testa e dopo pochi secondi si allontanarono.
“Ora, vuoi dirmi cosa ti ha ridotto così,
per favore?”
Sakuragi rimase meravigliato dalla
dolcezza e dalla sicurezza che quei occhi trasmettevano.
Qualcosa di leggero si posò sulle sue
gambe, per un attimo sperò che fosse la mano di Kaede, ma poi si accorse che
era la gattina.
“Ciao piccolina!” la salutò
Hanamichi accarezzandola sulla testa. “miao”
“Tienila tu.” Lo incitò dandogliela
in braccio.
Aveva ancora il fiocco rosso che aveva
fatto mettere alla commessa per renderlo un regalo. Appena l’ebbe tra le mani,
si perse subito nel suo dolce sguardo, infatti quegli occhi erano azzurri. E davvero bellissimi.
“Come si chiama?” chiese quasi in
trance.
“Night. Allora, mi vuoi dire cosa ti è
succeso o devo toglierti le parole di bocca con una rissa?!”
“Night...” Ripeté senza staccare lo sguardo dal felino.
Night. Era il nome che aveva dato alla
piccolina perché quello era il nome della madre di Kaede in inglese e per
mantenere il ricordo del suo sogno: l’America e quello di sua madre vivo in
lui e per sentirsela vicino sempre.
Kaede gliene aveva parlato come se fosse
stata una dea, con un po’ di tristezza, era logico, ma lo aveva meravigliato:
ne sembrava innamorato. Gli aveva mostrato una sua foto: era davvero una bella
donna, che aveva gli occhi azzurri identici ai suoi, i capelli neri e lisci che
arrivavano alla fine della schiena e che in alcune di esse era ritratta con una
coda; gli aveva detto che non era molto alta, ma comunque snella ed energica,
che amava il basket e che lavorava
come pediatra in un’ ospedale, dove lo portava spesso poiché non poteva
lasciarlo solo a casa.
Poiché il padre era quasi sempre via per
lavoro così aveva passato la maggior parte della sua infanzia con la madre.
Lo conoscevano tutti in ospedale, lo
chiamavano ‘il piccolo MJ’ o ‘il piccolo Micheal Jordan’, di cui erano
un fan scatenati sia lui che la madre.
Gli aveva rivelato che di lei aveva solo,
oltre l’aspetto fisico, il suo ricordo, oltre alle foto
anche alcuni cd sia di musica moderna che di musica classica suonata
al pianoforte.
“Ehi! Io sto aspettando!” lo scosse
con una mano.
“Hn. Scusa, ma questo gatto ha due
occhi…”
“Non inventarti delle scuse. Adesso però
me lo vuoi dire!” era stufo di ripetergli un’altra volta la solita frase.
“E va bene!” fece mente locale e
continuò “Oggi ho visto Yohei e Haruko che si baciavano.” Dichiarò atono
tutto di un fiato guardando ancora la gattina.
“Cosa?! Mito e Haruko?” era rimasto
un po’ stupito ma, non gli suonavano bene quei due nomi. Insieme, poi…!
“Esatto, stamattina Mito era strano. Mi
erano venute un sacco di domande in testa, dubbi, incertezze sulla nostra
amicizia così, dopo le lezioni volevo parlargli, ma è andato via come un
fulmine. Volevo dare risposte a tutti quei dubbi che avevo, così l’ho seguito
e…” il tono all’inizio del discorso era normale, ma nell’ultima parte si
era fatto più basso e lo sguardo era tornato sulle sue mani che accarezzavano
il pelo liscio di Night.
“Li hai visti baciarsi.” Concluse
Kaede che aveva seguito ogni singola parola.
Il rossino rispose con un cenno della
testa.
“E loro?” Hanamichi non capì la
domanda.
“Loro come hanno reagito?” si accomodò
meglio e incrociò le braccia.
“Erano terrorizzati! Non riuscivano a
dire una parola. Poi ha cominciato a piovere e sono corso qui a casa tua.”
“Cos’è che ti ha fatto tanto
male?” lo sapeva, ma se non glielo avrebbe detto sarebbe di nuovo scoppiato
come una pentola a pressione.
“Il fatto che il ragazzo che abbia
preso Haruko sia proprio Yohei! Pensavo fosse mio amico, sapeva quanto
l’amavo, ma lui me l’ha portata via. E non me ne ha neppure parlato, non me
lo ha detto. Ci confidavamo sempre. Gli dicevo sempre tutto!...e invece
lui…lui ha deciso di non parlare! Credo che io sia stato l’unico a cui non
l’abbia detto.” Il ritmo era spezzato, come lo era la voce, ma le lacrime
tardavano a farsi vedere. Ne aveva spese troppe. L’ultima frase l’aveva
detta con un sorriso. Ma non era uno dei suoi: questo era forzato, per far
vedere che non aveva più dolore.
“Sicuramente per farti meno male.”
“Invece mi hanno fatto più male che se
non me lo avessero detto.”
“Questo non lo puoi dire con certezza.
Cos’hai intenzione di fare ora: ammazzarli tutti di botte o hai in mente
qualcos’altro?” gli chiese muovendo la mano.
“Non lo so, sono confuso... Ci penserò
su.”
Rukawa lasciò che le labbra formassero
un leggero sorriso per dare il suo pieno consenso.
Hanamichi starnutì violentemente,
lasciando la presa sul gatto che cercò riparo su Kaede.
“Ti sei preso un bel raffreddore!”
affermò sorridendo Kaede mentre coccolava la sua Night.
“Già. Ho tutti i vestiti fradici.”
Si toccò la maglietta e la sentì talmente bagnata che se l’avesse strizzata,
avrebbe riempito una bottiglia.
“Perché non ti fai una doccia?” gli
consigliò “Ti presto alcuni dei miei vestiti e quando sono asciutti me li
ridarai.”
“Non ti preoccupare…” non sapeva
cosa dire: era rimasto sinceramente stupito dalla proposta.
Rukawa si alzò dal divano e gli fece
cenno di seguirlo “E se poi ti viene un’influenza? Non possiamo perdere il
nostro grande giocatore!” lo prese in giro.
“Beh, questo è vero! Senza di me la
squadra non può andare avanti!” e incominciò a fare il solito esibizionista.
Il giorno seguente Mito e Hanamichi si
chiarirono e con grande sorpresa di tutti, il rossino accettò la nuova coppia.
Una settimana dopo.
‘Lo fatto di nuovo. L’ho sognato
ancora. La sua pelle bianca come la neve…i suoi lineamenti dolci e così
perfetti…i suoi capelli neri e lisci come la seta…i suoi occhi blu
intenso…il suo modo di camminare quasi felino facendo ondeggiare i fianchi
perfetti…i suoi sorrisi rivolti solo per me…oh, ma perché stai diventando
un’ossessione…ti amo è questa la dura verità…”
Quest’ultimo pensiero lo sconvolse e si
alzò dal futon. Decise velocemente di farsi una doccia che forse gli avrebbe
fatto passare quei pensieri e renderli ridicoli quando ci avrebbe ripensato.
L’acqua calda scorreva sul suo corpo
senza interruzione rendendo i pensieri di Sakuragi ancora più intensi.
‘…ti amo…suona bene. Oddio, mi sto
innamorando di lui! Non può essere, l’acqua calda gioca brutti scherzi!’ e
aprì completamente l’acqua fredda, ma socchiudendola velocemente perché
troppo gelida. Appena ebbe constatato che la temperatura dell’acqua fosse
giusta, i suoi pensieri tornarono sul ragazzo dei suoi sogni. ‘Ti amo, ormai
lo so. Ma non mi accetterai quindi sarà meglio toglierti dalla testa per
evitarmi il mio 51° rifiuto.’
La giornata passò normale finché Mito
non lo riaccompagnò a casa.
“Allora non c’è niente che devi
dirmi?” gli chiese Yohei.
“No, perché?”
“Io credo che mi devi dire alcune cose
riguardo un certo Rukawa Kaede.”
Hanamichi rimase impalato senza muoversi
guardando l’amico stupito.
“Non fare quella faccia. L’ho capito,
sai.”
“Capito cosa?” lo guardò minaccioso.
“Oh, non far finta di non aver capito,
Hanamichi, lo sai di cosa parlo.”
“E di cosa dovresti parlare?” non
voleva dargliela vinta, voleva vedere quanto aveva capito sul suo conto.
“Del tuo nuovo amore che prende il nome
di Rukawa Kaede.”
Il rossino sospirò constatando che aveva
capito tutto e si lasciò andare alle spiegazioni.
“E va bene. E’ vero, amo Rukawa, ma
non ci posso fare niente. Questa volta non è come le altre volte: con lui è
diverso.”
Nel frattempo si erano seduti in una
panchina di un parco giochi lì vicino.
“Forse perché è un ragazzo?”
“Non per quello, cioè un po’ anche
per quello però non lo so…”
“Ancora non glielo hai detto, vero?”
“No, ma è meglio lasciare così le
cose come stanno. Non voglio perdere la sua amicizia ed avere tutto il suo
ribrezzo né tanto meno il mio 51° rifiuto!”
“Secondo me, dovresti dirglielo.
Provaci. Non credo che ti allontanerà da lui, sei stato l’unico che ha
superato la sua barriera e l’unico a cui tiene, oltre al basket ovviamente.”
Il suo discorso non faceva una piega, era
tutto esatto. Ma il problema restava sempre quello: dirglielo o non dirglielo.
Dopo quel discorso e aver rimuginato su qualche minuto prese la sua decisione:
male o come vada glielo avrebbe detto!
Un altro pomeriggio di allenamenti.
Altri cinque minuti e poi la partita finisce qui. E con la
mia vittoria.
Oggi Hanamichi si tanto da fare…chissà come mai?
E’ da un po’ di giorni che si impegna molto e alla fine di ogni allenamento mi chiede come
sia andato e quando gli rispondo che può migliorare si esalta e inizia a dire
che lo farà perché i tensai, come dice lui, possono fare questo e altro…
Hanamichi mi passa la palla, mi dirigo verso il canestro
avversario. Poco distante da me, il do’aho mi segue per aiutarmi nel
compimento della nostra azione. Sono a due passi dal canestro, faccio finta di
voler andare a canestro frantumando la difesa del mio avversario del secondo
anno e la passo dietro ad Hanamichi che la intercetta e tira. Canestro. Quando
mi volto verso di lui, un sorriso implorante di approvazione appare sul suo
volto. Io faccio cenno con la testa, lo guardo fiero e lascio che le labbra si
allarghino leggermente per fargli capire quanto sia contento del suo canestro.
“Bel tiro, do’aho.”
Vedo i suoi occhi illuminarsi e riempirsi di gioia. E’ un
sensazione strana per me sentirsi importante per qualcuno, una cosa vaga e
lontana. Già, perché per Hanamichi io sono il suo punto di riferimento, il suo
maestro, e sono importanti per lui i miei giudizi.
Mitsui contro Hanamichi, un bello scontro, direi.
Mitsui, un buon difensore e Hana-chan, quando vuole fare
una cosa la fa, quindi in qualche modo ora passerà la sua difesa.
Sei fritto, Mitsui! Il Grande Tensai ti
farà vedere di cosa è capace.
Sono alla riga dei tre punti e se voglio
fare bella figura devo fare uno slam dunk da manuale.
Mi libero del teppista e corro verso
canestro, ma la figura imponente del gorilla mi appare davanti. Non importa, lo
sconfiggerò con la mia schiacciata! E tutto diventerà più spettacolare!
Salto, le mie mani stanno per agganciare
l’anello, ma il gorilla mi precede e scaraventa la palla dalle mani sul
parquet. Sento il suo corpo spingersi sul mio e in pochi secondi mi ritrovo a
terra schiacciato dal peso del gorilla. Un dolore acuto mi passa per la schiena
e all’istante il mio urlo di dolore riempie la palestra.
Akagi si toglie immediatamente da sopra
di me e vedo tutti gli altri venirmi intorno con le face preoccupate.
“Ti fa male la schiena, Sakuragi?” è
la domanda di Ayako che subito mi è sopra per controllare.
Annuisco con la testa.
Oggi i miei allenamenti si fermano qui.
E’ l’ordine di Akagi.
Ayako ordina a Mitsui e ad un altro di
portarmi allo spogliatoio. Io mi alzo da solo, anche se ancora indolenzito.
“Non è niente, ora sto meglio.”
Un’altra scossa di dolore.
“Ma se non riesci quasi a reggerti in
piedi.” Ribatte Ayako.
Diciamo che ha pienamente ragione, se non
mi siedo credo che crollerò qui davanti a tutti.
“Sei appena uscito dall’ospedale ed
eri guarito completamente, com’è possibile che si ripresentino questi
dolori?” chiese Mitsui dando voce alla domanda che tutti si stavano ponendo,
ma meno che te. Non è vero, Rukawa? Tu non ti stavi facendo questa domanda, tu
sai che ho ancora qualche acciacco ed ora mi guardi preoccupato perché di
solito non ho dolori così forti, sono semplici doloretti che avverte qualsiasi
persona quando è stanca, mentre ora sono più forti. Vorrei vedere, dopo che un
gorilla di 90 chili ti piomba addosso, se i dolori non aumentano!!
“Mi hanno detto che sarebbe stato
normale e se ogni tanto si facessero risentire, mi hanno detto che bastava un
massaggio e sarebbe passato.”
“Se lo dicono loro. Qualcuno di voi è
capace a fare dei massaggi?” sbraitò Mitsui.
“Ci penso io.” La voce di Rukawa
sovrastò tutte le negazioni e le scuse dei sempai.
“Sei sicuro.” Mitsui era
meravigliato, come tutti gli altri, che il ghiacciolo vivente volesse aiutarmi.
Kaede lo guardò torvo come a dire ‘ne dubiti, forse?’.
“Aiutalo a venire negli spogliatoi.”
Ordinò sempre freddo e impassibile mentre si avviva.
“Non prendo ordini da te, capito,
stupido freezer!” urlò contro di
lui.
Non si girò neanche, lo guardò
solamente da sopra la spalla. “Allora ti muovi?!”
Tutti rabbrividirono nel sentire il suo
sibilo così gelido.
Se solo si aprisse come ha fatto con
me… se solo facesse veder agli altri quello che mi ha fatto vedere di lui: il
suo sorriso, il suo volto rilassato e felice quando è con me. Perché non fai
vedere a tutti quello che sei, Kaede?...
Il teppista ubbidì senza dire niente ma
si vedeva che ribolliva dalla rabbia. Mi prese il braccio e se lo mise intorno
al collo. Ringhiò qualcosa contro di lui intanto che lo seguivamo.
“Non è quello che sembra.” Gli
sussurro.
Si volta verso di me con espressione interrogativa
e gli rispondo con lo sguardo convinto di chi la sa lunga, poi alza le spalle e
mi porta fin davanti la porta degli spogliatoi. Qui mi lascia dopo aver cercato
di vedere qualcosa negli occhi della volpe, senza nessun risultato. Troppo atoni
per poterci vedere quello che ci vedo io… Ehehehe, mi sento privilegiato per
questo, ma anche triste perché, come ho detto prima, nessuno può vedere quello
che vedo io.
Entro nella stanza e Kaede chiude la
porta. Silenzio totale.
“Sdraiati qui.” Mi dice mettendo
un asciugamano a terra.
Oddio! Sto per svenire, Kaede che mi dice
di sdraiarmi…io questa frase l’ho immaginata in un’altra circostanza…e
pure emozionante…e se non riuscissi a controllarmi e mi avventasi su di
lui…oddio che faccio!!!
“Allora ti muovi! Oggi battete tutti la
fiacca!”
Quant’è dolce!... sarà meglio fare
quello che vuole. Allora, autocontrollo… autocontrollo, Hanamichi…
Appena mi appoggio a terra sento che si
è messo a cavalcioni su di me e le sue mani scivolano lungo la mia schiena.
Oddio, non ce la faccio, sto per
scoppiare. Sento che la mia faccia si sta facendo sempre più rossa
dall’imbarazzo! Oddio!!! Autocontrollo…autocontrollo, Hanamichi. Sei un
Tensai quindi devi farcela!
“Se non ti rilassi mi dici come faccio
a farti il massaggio?!” la voce di Kaede mi fa sobbalzare e risvegliare dai
miei pensieri.
“Ehm,…scusa…sai le fitte…”
questa è una delle più grandi cavolate che abbia mai detto, però… devo dire
che non è male…
“Si, certo. Ora rilassati: non tenterò
di ucciderti!”
“Va bene. Ci proverò.”
I rumori provenienti dalla palestra ci
fanno da sottofondo.
Quanto sono delicate le sue mani, credo
che mi stia sciogliendo come burro al sole.
Inizio a fantasticare su Kaede e me e i
suoi movimenti ritmici e dolci mi trasportano nel mondo dei sogni.
Finalmente si sta rilassando.
Aveva tutti i muscoli in tensione e non ci credo alla
storia sulle fitte. Come se con me potesse fingere, lui stava pensando a
qualcosa che lo agitava altro che fitte!...
Appena ho toccato la sua pelle scariche di tensione mi
hanno percorso tutto il corpo.
Non avevo mai provato una sensazione così: avevo una
voglia immensa di iniziare a baciare la sua schiena centimetro per centimetro,
non so cosa mi stia succedendo, ma
da un po’ di tempo mi capita spesso. Hanamichi, perché mi fai tutto questo?
Sento le voci degli altri che urlano e chiamano palla e i
rimbalzi del pallone sul pavimento danno un senso di pace alla stanza. Come se
tutto il caos fosse fuori, non appartenesse a noi. A noi appartengono solo il
silenzio e la pace.
Dopo un buon quarto d’ora guardo il suo volto e vedo che
è profondamente addormentato.
E’ proprio carino! Non sembra neanche lui: ora è qui
calmo, rilassato, abbandonato al sonno e senza preoccupazioni.
Credo che per oggi basti. Sarà meglio che me ne torni di là
insieme agli altri.
Mi alzo e continuo ad osservare la faccia, la sua bocca, il
suo corpo e senza che me ne accorga, poso le mie labbra sulla sua guancia.
Ma che mi sta succedendo?
Esco dallo spogliatoio, subito tutti mi guardano e chiedono
notizie sul do’aho. Rispondo che si è addormentato e che è meglio lasciarlo
lì per un po’.
“…michi…Hanamichi…svegliati,
forza…”
Qualcuno mi sta scuotendo una spalla e
sento che mi chiama, ma è tutto così ovattato, sembra che provenga da un mondo
lontano…
Decido di aprire gli occhi e vedo un
volto noto e due occhi che mi fissano interrogatori.
Vorrei tanto che fossero i suoi così
blu, così penetranti e misteriosi, ma questi che ho davanti sono marroni, caldi
e inquisitori e capisco chi è veramente colui che mi è davanti…non è il mio
sogno proibito…non lui…
“…Mitchi…sei tu…” sussurro
ancora in trance.
“E chi se no! Muoviti è tardi,
dobbiamo andarcene!” mi urla contro senza tanti complimenti.
Non ricordo nulla di quello che è
successo prima che mi addormentassi. Comunque mi tiro su sedendomi e appoggiando
la schiena alla panca; mi massaggi gli occhi per riprendere lucidità, ma di
questo passo ci vorrà un bel po’, se solo mi ricordassi…non ho mai dormito
così bene…perché mi hanno svegliato…
Un sorrisetto che non mi piace per niente
sorge sul suo viso, che adesso vorrei tanto massacrerei di botte. Che diavolo
gli sta frullando in quella sua testa da teppista?!
“Allora i massaggi di Rukawa vedo che
fanno bene al sonno!”
I massaggi di Rukawa?!!
Adesso ricordo: l’incidente e lui che
mi fa il massaggio…
Devo essere tornato nel mondo dei sogni
perché Mitsui mi lancia una maglietta in faccia e mi urla: “Smettila di fare
la faccia estasiata e muoviti dobbiamo chiudere!”
“Hn. Si, certo. Faccio subito.”
Rispondo senza preoccupazione. Chissà se Kaede è rimasto…però se Mitsui ha
detto che devono chiudere, la kitsune se ne è già andata e non ho potuto
accompagnarlo a casa e non posso stare di nuovo solo con lui e…
“Ah, se lo vuoi sapere Rukawa è ancora
in palestra ad allenarsi, ma credo…”
non lo lascio finire di parlare che sono
in meno di due secondi in palestra. Eccolo lì il mio volpacchiotto…oh come
sei bello…
“Ehi, kitsune, mi fai giocare un
po’?” gli chiedo a gran voce avvicinandomi a lui.
“Hn?” credo non mi abbia visto…
“Hanamichi…stai meglio ora?”
“Ma certo, il Tensai duro&puro si
è già rimesso a nuovo. Allora mi fai giocare, si o no?”
“Sei, sicuro. I dolori erano forti,
forse dovresti evitare per oggi…”
“KITSUNE, NON FARE IL PREMUROSO!!
GIOCHIAMO, SI O NO?!”
Odio quando fa finta di essere premuroso,
forse vuole proprio sapere come stia con la schiena, ma in questo modo non
sembra più lui, mi irrita quasi… io voglio giocare!!!Giocare con lui!!!
“Io non faccio il premuroso, chiaro?”
la sua voce gelida mi arriva alle orecchie come un allarme e i suoi occhi si
socchiudono accentuando le sue parole. Fa paura!!!
Ma non voglio che mi veda come una facile
preda da sopprimere così facilmente, prendo tutto il coraggio che ho e mi
faccio forza. Devo fargli vedere che voglio con tutto me stesso scontrarmi con
lui. Incateno il mio sguardo al suo, lo fisso con convinzione e tenacia, se
abbasso lo sguardo sarà come una sconfitta… “allora giochiamo?” Sono
sicuro che accetterà, gli piacciono le sfide soprattutto fatte da chi è
combattivo e convinto di poter vincere.
“Ok, do’aho si arriva a 20."
Sulla mia bocca appare un sorrisetto di
sfida. Ne ero sicuro….
Mitsui se né andato da un pezzo
assicurandomi che avrei perso almeno per 20 a 2…stupido teppista…
Siamo 14 a 6, per il volpino naturalmente
e chi sennò…
Ora ha la palla e sia avvicina al
canestro con aria sicura.
Corre verso di me. Salta. Salto
anch’io. Corpo contro corpo. Il pallone si stacca dalle sue dita andando verso
l’anello con grazia infinita. Osservo la sua parabole e nel farlo piego troppo
la schiena, un dolore lancinante mi fa ricadere a terra ansimando.
“Hanamichi! Hanamichi cos’hai?” si
avvicina a me preoccupato. “E’ la schiena, vero? Lo sapevo che non dovevo
farti giocare!...”
“Smettila di rimproverarti così. Ora
mi passa tutto.” Gli dico tirandomi su a sedere e sorridendogli.
“No, è stata colpa mia. Scusami, ti
prego, mi dispiace…”
Non l’ho mai visto così dispiaciuto né
l’ho mai sentito imprecare perdono. Se l’è presa proprio. Mi fa pena
vederlo così… povera la mia kitsune…
Senza neanche rendermene conto lo
abbraccio e lo stringo forte. Sento che lui si abbandona al mio abbraccio e
inizio ad accarezzargli i capelli. “Tranquillo, non è successo niente…”
“Non voglio vederti in un letto
d’ospedale...”
I suoi occhi si incatenano ai miei pieni
di tristezza.
La sua voce è roca e le sue parole
sincere e tristi, mi fanno capire che Mito aveva ragione: sono l’unico a cui
tenga. Lui tiene a me! Ho il cuore che mi batte a mille!!!
Lo guardo pieno di dolcezza e rafforzo
l’abbraccio. Ti amo Kaede. Non sai quanto.
Poso una mano sulla sua guancia e
avvicino il mio viso al suo, anche lui fa lo stesso.
Labbra contro labbra, un bacio leggero,
ma che si approfondisce subito. Dopo qualche secondo ci stacchiamo e ci fissiamo
negli occhi.
“Ti amo Kaede.”
Cos’ha fatto?
Mi ha baciato? Siamo sicuri che non sia uno dei miei sogni?
Forse se provo a svegliarmi tutto svanisce...
“Ti amo Kaede”
Cosa? Cos’ha detto?
Che mi ama? Ho sentito bene? Sicuri che non ho un problema
di udito?
Ora molte cose mi sono chiare. Ecco perché le sue visite
più frequenti, la sua felicità quando giocavamo insieme, quando parlavamo,
quando mi complimentavo con lui....
Ora capisco molte cose del suo comportamento...
E anche dei miei sentimenti verso di lui. Però ancora non
ne sono sicuro.
“Vuoi stare con me?”
Ho bisogno di tempo.
“Kaede, rispondi!” devo essermi incantato...
Abbasso lo sguardo.
“Ti prego, Kaede, dì qualcosa. Muoio se non dici subito
qualcosa.” La sua voce è preoccupata. Preoccupata
per un mio rifiuto.
“Dammi del tempo.”
Torno a guardarlo e vedo nei suoi occhi una luce di terrore
e inquietudine.
“Perché? Perché hai bisogno di tempo?” è la sua
supplica.
“Per capire molte cose.” Mi fa pena...chissà quanto
abbia pensato a questo momento... “Dammi solo del tempo.”
Gira lo sguardo. Sta facendo un grande sforzo per non
piangere.
“Non piangere per questo, Hanamichi...ti ho solo chiesto
del tempo, nient’altro.”
“Ok. Se è questo che vuoi. Si, ti darò del tempo.”
“Grazie, Hana.” E lo abbraccio. Non so perché
l’abbia fatto, di solito non faccio le cose d’istinto, ma per una volta si
può lasciar fare, no?
Di sicuro è sulla terrazza.
Apro la porta d’accesso alla terrazza.
È lì, solo appoggiato alla ringhiera che guarda il cielo
azzurro di oggi. Neanche una nuvola.
“Hanamichi.”
Si volta subito e appena mi vede mi si avvicina.
Agitazione e paura si leggono nei suoi occhi.
Il suo corpo mostra l’impazienza del suo cuore.
E io taglio la tensione che c’è tra noi.
Sorrido e dico: “SI.”
Il volto di Hanamichi si illumina di un luce meravigliosa.
Il sorriso che è nato dalle sue labbra mostra a pieno tutta la sua felicità. E
i suoi occhi brillano di gioia.
Non ho smesso un attimo di fissarlo negli occhi più
splendenti e radiosi che abbia mai visto.
Ci avviciniamo quanto basta per sigillare la nostra unione.
I nostri sguardi non si lasciano mai perdendosi l’uno
nell’altro.
“Voglio stare solo con te.”
Si.
No.
Due semplici parole.
Due lettere ciascuna.
Due sillabe.
Con la forza di far rinascere in tutta la
sua pienezza la felicità incontenibile che giaceva nel fondo del cuore.
Con la forza di far morire tutto ciò in
cui credevi e che provavi in fondo al cuore.
Chissà cosa risponderà?
Guardo il cielo e sospirò per
l’ennesima volta.
Sento la porta aprirsi. Deve essere lui.
Mi giro e vedo il ragazzo che ha creato
questo trambusto nel mio cuore avvicinarsi a me.
Si ferma a pochi passi da me. Il suo viso
mostra a malapena l’agitazione.
Sono preoccupatissimo.
Nelle orecchie i battiti del cuore si
ripetono sempre più velocemente.
E poi un flebile suono fuoriesce dalle
sue labbra.
“Si.”
Kami, Kaede non sai quanto ti voglio
bene.
Quanto ti abbia desiderato.
Non lo puoi immaginare!!
Ci avviciniamo.
Mi specchio in quei due mari blu e mi
perdo in essi.
“Voglio stare con te.”
Non devi dire altro, Kaede. Hai già
detto tutto. In quell’attimo durato un’eternità i nostri cuori si sono
parlati e si sono detti tutto. Non ti preoccupare delle parole, me lo hai
insegnato tu.
Poso le labbra sulle sue.
Prima è un bacio casto, leggero. Ma poi
la passione prende il sopravvento e con la lingua chiedo il permesso di entrare.
Permesso approvato immediatamente.
Non so perché hai deciso di stare con
me, kitsune, ma so per certo che io ti amo.
But
my love is all I have to give
Without you I don't think I could live
I wish I could give the world to you
But love is all I have to give
(Backstreet Boys, All I have to give)
OWARI