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Autore: SummerRestlessness    11/04/2010    2 recensioni
Continua da dove è finito Veronica Mars (sigh), alla fine della terza serie, senza tenere conto del pilot della quarta...Veronica torna dallo stage che ha fatto durante l'estate all'FBI e non molto è cambiato...o perlomeno così sembra a prima vista! Il suo lavoro di detective la tiene sempre occupata, questa volta con un caso che coinvolgerà anche la sua vita privata...
Genere: Commedia, Mistero, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Cindy Mac Mackenzie, Dick Casablanca, Logan Echolls, Veronica Mars, Wallace Fennel
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Veronica non aveva la più pallida idea di cosa le stesse succedendo.

Questo caso era uno dei più semplici (e stupidi… ma chi se ne importava della stupidità quando c’era in ballo un cane. E così tanti soldi.) che le fossero mai stati affidati, eppure non riusciva proprio a farsi venire in mente un’idea. Chi poteva rapire un chihuahua? Ma soprattutto… chi poteva voler rapire un chihuahua? E che cosa aveva di speciale Trudy, a parte un nome da femmina e dei probabili dubbi relativi al proprio genere?

Veronica si ritrovò a sperare che Lori non mettesse al povero cane uno di quegli orrendi cappottini rosa che si vedevano in giro, quando invece avrebbe dovuto concentrarsi a risolvere il caso.

“Pensa, Veronica. Non può essere così difficile.”

Un cane, una ragazza (…la ragazza di Logan), figlia di genitori spesso assenti e anche per questo perfetti… Veronica aveva visto la loro casa, pulita e ordinatissima, lussuosa ma non eccessivamente. Aveva visto alcune foto di famiglia, come quella incorniciata che aveva trovato sul camino: un uomo brizzolato di mezz’età abbracciava una bionda dall’acconciatura curatissima che doveva essere sua moglie e teneva una mano sulla spalla della figlia, Lori.

Tutti e tre sorridevano. Tutti e tre avevano sorrisi smaglianti, radiosi. Sembravano felici. “Perfetti” fu quello che pensò Veronica.

Prima che il ricordo della sensazione che aveva avuto vedendo quella foto inevitabilmente le arrivasse di nuovo al cervello (“Io non ho e non avrò mai una foto così.”) però, si distrasse con un commento acido ad alta voce:

- Ha una casa perfetta, una famiglia perfetta, un sorriso perfetto,… un nome perfetto! Che altro?

Rendendosi conto che in quel momento era sola nella sua stanza, Veronica si sentì una stupida e si sentì ancora più stupida notando che ultimamente le succedeva spesso di sentirsi così.

Ed ora aveva varie opzioni: andare avanti ad analizzare i motivi per cui poteva aver perso le sue capacità da detective e a piagnucolare per questo, oppure darsi una mossa e distrarsi un po’.

Il destino scelse per lei tra due opzioni.

 

Keith entrò in quel momento in casa, buttando chiavi e ventiquattrore sul divano e sbuffando. Era stato fuori città per “lavoro” per qualche giorno e Veronica non gli aveva detto di essere tornata a casa dallo stage. Fu quindi stupita quando lui entrò con nonchalance nella sua stanza e la salutò come se niente fosse: non si vedevano da mesi, non avrebbe dovuto essere più felice di riaverla a casa, o almeno sorpreso?!?

- Ehi, Veronica. – le disse in tono monocorde. Tutto qui.

- Ehm, ciao papà.- fece lei come per suggerirgli che dimenticava qualcosa.

Lui fece per uscire dalla stanza richiudendo la porta, ma finalmente lei lo bloccò: - Ti sei accorto che era da un po’ che non ero qui a casa oppure la mia sagoma di cartone a grandezza naturale che ti ho lasciato per non sentire la mancanza ha svolto bene il suo lavoro?!?

Keith girandosi verso di lei sorrise malizioso, tornando finalmente in sè: - Non solo ha svolto bene il suo lavoro, ma era persino meglio di te. Forse perché non parlava. E soprattutto…- le fece l’occhiolino - …non ha mai portato a casa un fidanzato. Beh, comunque ho deciso di tenere lei e scartare te, quindi se non ti dispiace fai i tuoi bagagli, ragazza.

Veronica fece una smorfia di delusione e poi sorrise raggiante buttandosi al collo dell’uomo:

- Vedo che non sei cambiato! Vuoi ancora scaricarmi appena possibile…

- Mai, Veronica. – disse lui sempre sorridendo ma in tono serio ora, stringendola forte.

- Bentornata, piccola.

I due sciolsero l’abbraccio e Veronica guardò suo padre sospettosa: - Grazie. Ma come hai fatto a sapere che ero tornata?!?

Keith alzò un sopracciglio: - Ehe. Sono un grande detective.

Le voltò le spalle ed uscì dalla porta molleggiandosi sulle gambe; poi, appena fuori, aggiunse:

- E poi hai lasciato le tue pantofole pelose a forma di leone in salotto.

Veronica non ebbe quasi il tempo di sorridere per questa risposta; si alzò in fretta dal letto e prese il suo cellulare, componendo in fretta un numero.

- Lori?

- Ciao Veronica, dimmi. Hai novità?

- No, ma credo di avere una pista.

- Davvero? Di cosa parli?

- Pantofole pelose in salotto.

- Cosa?!?

- I chihuahua sono cani a pelo corto, vero?

- Beh, sì. Trudy sì, comunque.

- Ok, grazie, Lori.

- Ma cosa c’entrano le pantof…- provò a dire l’altra, ma Veronica le aveva già chiuso il telefono in faccia. Quando aveva un’intuizione niente poteva fermarla.

 

Mezz’ora dopo, la sua intuizione si era bloccata ad un punto morto.

Mac sbuffò: - Potrebbero essere di milioni di cani.

Veronica prese in mano il sacchetto di plastica per prove che conteneva un mucchietto di peli di cane e lo squadrò per l’ennesima volta.

- Quante razze hai detto che ci sono con il pelo lungo di questo colore?

- Ok, vedi questa lista? Questa è la prima pagina di 237.

- Bene, lasciamo stare.- disse sbuffando e lasciando andare la testa sulla scrivania di legno. Era andata da Mac con una pista sicura: i peli di cane che aveva trovato nel salotto di casa Silverstone non potevano essere quelli di Trudy ed erano un indizio importante, visto che la casa era, per il resto, pulitissima. Qualcun altro doveva averli portati là dentro. Qualcuno che aveva preso Trudy.

Qualcuno che quindi aveva un altro cane, un cane dal pelo lungo e marrone scuro. Un cane del quale non riusciva a scoprire nemmeno la razza, figuriamoci il padrone.

 

Veronica iniziava a pensare che il caso in apparenza più semplice della sua carriera l’avrebbe fatta impazzire. Doveva assolutamente fare qualcosa.

- Mac, io vado.

- Ok…dove vai?

- …non so. Ma sono una detective, posso scoprire almeno questo, no?

Già, qualcosa… ma cosa?

Uscì dalla camera di Mac e Parker e iniziò a camminare piano per i corridoi del dormitorio: di solito, nel momento in cui era in alto mare, le veniva un’intuizione, un lampo di genio, un flash che le permetteva di risolvere qualsiasi mistero.

Stavolta, niente di niente.

Di solito era facile, normale. Di solito sapeva esattamente cosa fare.

Era come se l’esperienza non proprio positiva all’FBI avesse interrotto una fortunata serie di occasioni in cui era stata la migliore in qualcosa, cioè risolvere i problemi degli altri…

Perché per quanto riguardava i suoi…

Meglio non pensarci.

Anzi. Forse era proprio questa la soluzione. Quando pensava alla parola “guai” non poteva non venirle in mente un nome in particolare. Un nome che non solo si accompagnava spesso a questa parola, ma che in parecchi casi avrebbe potuto sostituirla.

   
 
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