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Autore: admelioraquotidie    12/04/2010    1 recensioni
Breve favola che impegna i cinque sensi
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Raccolto nel giorno di sabato il frutto maturò tre giorni dopo, il martedì, quando fu portato dalla dispensa direttamente sulla mensa del sovrano.
Il Re ne mangiò, si saziò e subito fu preso da un dolce torpore, come di ebbrezza e chiuse gli occhi ancora seduto sullo scranno. La mente liberò immediatamente i suoi legami col mondo terreno e si trovò seduto non più sul suo trono, ma su un tronco, bordo fiume. Si accorse di non essere più gravato dal peso della corona ne oppresso dalla calura delle vesti pesanti di broccato e pelliccia. Si ritrovò con una veste di panno ruvido indosso, con i piedi scalzi che affondavano nel terreno umido donando a tutto il corpo una dolce sensazione di refrigerio. Un attimo solo durò lo smarrimento per il ritrovarsi in una così piacevole sensazione, tanto lontana dal caldo asfissiante della sala da pranzo regale, colma di commensali vocianti e di fumo e di odori.
Il profumo del bosco risvegliò in lui immagini ormai lontane nel tempo, ricordi delle fughe che, ancor bambino, faceva da palazzo per scappare nel bosco, lontano dai fasti, dalle opulenze ancora non capite e mai amate.
Si alzò e mosse i primi passi, il percepire l'umidità del terreno e la sensazione dell'erba bagnata di rugiada, era ancora mattina, rinvigorirono subito le sue stanche membra che assecondarono volentieri il movimento.
Si diresse verso il bordo della piccola radura, dove il bosco tornava ad essere, con ancora fragili arbusti che facevano da proemio agli alti larici, che in lontananza, svettavano sui fianchi delle colline. Quando sentì che i cespugli gli graffiavano le gambe nude, percepì con piacere il pizzicare del sangue e il pulsare delle vene.
Scostò con le mani alcuni arbusti più alti e si avventurò in un sottobosco carico di odore di muschio e funghi, con in sottofondo il lieve mormorio del ruscello.
Camminò per circa tre ore nella frescura della selva, osservando con gioia i colori tenui, riconoscendo a prima vista le miriadi sfumature del verde, del marrone e del nero. Per un attimo percepì anche il rosso che pulsava dalle gravide bacche di un cespuglio spinoso. L'odore del muschio e della terra lasciava man mano il posto alle resine odorose, al polline pungente e, in alcuni punti, lungo il sentiero, al dolce e rinfrancante odore dei pochi frutti che nascevano selvatici.
L'ombra cominciò a diradarsi per dare spazio all'azzurro del cielo e al dolce odore dello zefiro.
Finalmente giunse in un'altra radura e subito il bagliore del sole si stagliò su di un variegato susseguirsi di violetti, un inebriante odore di lavanda riempiva il vuoto del bosco ed offriva ai sensi un'ovattata sensazione di ebbrezza. Subito, ancor prima della vista, l'olfatto tradì un sentiero, polvere di sasso e sabbia ormai seccate dal sole.
Il tatto fu appagato dal rovente rispondere delle pietre e dallo spigoloso susseguirsi delle superfici instabili della strada. La bocca s’impastò di saliva e sabbia, alzata dai passi veloci e pesanti facendogli sentire subito il ricordo dell'acqua dolce del ruscello cui non aveva voluto accostarsi per non perdere il dolce odore del bosco e del terreno muschioso. Camminò sul sentiero dirigendosi verso le montagne le cui vette brillavano per la neve ancor bianca.
Sentì vicina la sua meta quando raggiunse la vetta di un colle e vide in lontananza ergersi l'albero, la vecchia quercia che allargava i suoi nodosi rami sulla radura intorno. Discese di corsa, inciampando e cadendo più volte sull'acciottolato bianco del sentiero, tanto che oramai la veste impolverata e il bianco della strada tradivano solo in pochi punti il verde del panno.
Il sole oramai feriva i suoi occhi, la dolce sensazione riposante dello smeraldo che saliva dai campi di grano rendeva ancor più doloroso il colpo del bianco accecante della strada.
Giunse e vide ciò che la sua mente aveva già tante volte visto. Come un gigante, l’antica quercia stendeva i suoi frondosi rami come braccia possenti e nella sua ombra svettavano le infinite variazioni di colore che i turgidi fiori lanciavano agli occhi. Gialli, verdi, rossi, viola, aranci, porpora, neri... Miriadi e miriadi di fiori creavano un'onda iridea spazzata dal vento. I boccioli pieni esplodevano della loro florida esultanza.
Tra tanti lui ne cercava uno, uno solo. Lo cercava, lo bramava, lo conosceva da mille e mille anni.
Non osava entrare nel manto compatto, profanare la pienezza completa dello spettacolo che si offriva ai suoi occhi. Lo vide, appena nascosto tra un violetto ed un cremisi, lo vide un attimo quando il vento scostò gli altri vicino e subito lo riassorbì nella marea.
Il timore passò, affondò nella selva che sembrava volerlo afferrare e travolgere nei colori e negli odori inebrianti.
Tre passi ed allungò una mano, afferrò il gambo, lo strappò e cadde. Sotto di lui i colori si aprirono per richiudersi subito sulla sua testa.
Quando si accorsero che il Re era morto lì, nel suo scranno, nella sala vociante e fumosa, nessuno badò a cosa gli cadde di mano, un fiore strappato di fresco, un piccolo tulipano di un blu intenso, che nessuno aveva mai visto e che nessuno vide mai più.

  
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