Raccolto nel
giorno di sabato il frutto maturò tre giorni dopo, il martedì, quando fu
portato dalla dispensa direttamente sulla mensa del sovrano.
Il Re ne mangiò, si saziò e subito fu preso da un dolce torpore, come di ebbrezza
e chiuse gli occhi ancora seduto sullo scranno. La mente liberò immediatamente
i suoi legami col mondo terreno e si trovò seduto non più sul suo trono, ma su
un tronco, bordo fiume. Si accorse di non essere più gravato dal peso della
corona ne oppresso dalla calura delle vesti pesanti di broccato e pelliccia. Si
ritrovò con una veste di panno ruvido indosso, con i piedi scalzi che
affondavano nel terreno umido donando a tutto il corpo una dolce sensazione di
refrigerio. Un attimo solo durò lo smarrimento per il ritrovarsi in una così piacevole
sensazione, tanto lontana dal caldo asfissiante della sala da pranzo regale,
colma di commensali vocianti e di fumo e di odori.
Il profumo del bosco risvegliò in lui immagini ormai lontane nel tempo, ricordi
delle fughe che, ancor bambino, faceva da palazzo per scappare nel bosco,
lontano dai fasti, dalle opulenze ancora non capite e mai amate.
Si alzò e mosse i primi passi, il percepire l'umidità del terreno e la
sensazione dell'erba bagnata di rugiada, era ancora mattina, rinvigorirono
subito le sue stanche membra che assecondarono volentieri il movimento.
Si diresse verso il bordo della piccola radura, dove il bosco tornava ad
essere, con ancora fragili arbusti che facevano da proemio agli alti larici,
che in lontananza, svettavano sui fianchi delle colline. Quando sentì che i
cespugli gli graffiavano le gambe nude, percepì con piacere il pizzicare del
sangue e il pulsare delle vene.
Scostò con le mani alcuni arbusti più alti e si avventurò in un sottobosco
carico di odore di muschio e funghi, con in sottofondo il lieve mormorio del
ruscello.
Camminò per circa tre ore nella frescura della selva, osservando con gioia i
colori tenui, riconoscendo a prima vista le miriadi sfumature del verde, del
marrone e del nero. Per un attimo percepì anche il rosso che pulsava dalle
gravide bacche di un cespuglio spinoso. L'odore del muschio e della terra
lasciava man mano il posto alle resine odorose, al polline pungente e, in
alcuni punti, lungo il sentiero, al dolce e rinfrancante odore dei pochi frutti
che nascevano selvatici.
L'ombra cominciò a diradarsi per dare spazio all'azzurro del cielo e al dolce
odore dello zefiro.
Finalmente giunse in un'altra radura e subito il bagliore del sole si stagliò
su di un variegato susseguirsi di violetti, un inebriante odore di lavanda
riempiva il vuoto del bosco ed offriva ai sensi un'ovattata sensazione di ebbrezza.
Subito, ancor prima della vista, l'olfatto tradì un sentiero, polvere di sasso
e sabbia ormai seccate dal sole.
Il tatto fu appagato dal rovente rispondere delle pietre e dallo spigoloso
susseguirsi delle superfici instabili della strada. La bocca s’impastò di
saliva e sabbia, alzata dai passi veloci e pesanti facendogli sentire subito il
ricordo dell'acqua dolce del ruscello cui non aveva voluto accostarsi per non
perdere il dolce odore del bosco e del terreno muschioso. Camminò sul sentiero
dirigendosi verso le montagne le cui vette brillavano per la neve ancor bianca.
Sentì vicina la sua meta quando raggiunse la vetta di un colle e vide in
lontananza ergersi l'albero, la vecchia quercia che allargava i suoi nodosi
rami sulla radura intorno. Discese di corsa, inciampando e cadendo più volte
sull'acciottolato bianco del sentiero, tanto che oramai la veste impolverata e
il bianco della strada tradivano solo in pochi punti il verde del panno.
Il sole oramai feriva i suoi occhi, la dolce sensazione riposante dello
smeraldo che saliva dai campi di grano rendeva ancor più doloroso il colpo del
bianco accecante della strada.
Giunse e vide ciò che la sua mente aveva già tante volte visto. Come un gigante,
l’antica quercia stendeva i suoi frondosi rami come braccia possenti e nella
sua ombra svettavano le infinite variazioni di colore che i turgidi fiori
lanciavano agli occhi. Gialli, verdi, rossi, viola, aranci, porpora, neri...
Miriadi e miriadi di fiori creavano un'onda iridea spazzata dal vento. I
boccioli pieni esplodevano della loro florida esultanza.
Tra tanti lui ne cercava uno, uno solo. Lo cercava, lo bramava, lo conosceva da
mille e mille anni.
Non osava entrare nel manto compatto, profanare la pienezza completa dello
spettacolo che si offriva ai suoi occhi. Lo vide, appena nascosto tra un
violetto ed un cremisi, lo vide un attimo quando il vento scostò gli altri
vicino e subito lo riassorbì nella marea.
Il timore passò, affondò nella selva che sembrava volerlo afferrare e
travolgere nei colori e negli odori inebrianti.
Tre passi ed allungò una mano, afferrò il gambo, lo strappò e cadde. Sotto di
lui i colori si aprirono per richiudersi subito sulla sua testa.
Quando si accorsero che il Re era morto lì, nel suo scranno, nella sala
vociante e fumosa, nessuno badò a cosa gli cadde di mano, un fiore strappato di
fresco, un piccolo tulipano di un blu intenso, che nessuno aveva mai visto e
che nessuno vide mai più.