Sperando sia decente °-°"
Buona lettura.
Happy Time
Dalla casa dei
Salvatore, la mattina, poco prima di pranzo, proveniva il dolce profumo
del sugo. Infatti, a discapito della normalità, le signore
della casa scendevano loro stesse in cucina, mandavano via le serve e
trasformavano quella camera pulita e bianca in un piccolo regno
culinario.
Era proibito entrare lì dentro; nessuna di loro accettava uomini e con risate allegre e minacce scherzose con le pentole li scacciavano non appena si avvicinavano.
Così il piccolo Stefan aveva ben presto imparato ad uscire di casa, giocando all'aria aperta ed accontentandosi semplicemente di immaginare le prelibatezze lì cucinate.
Damo no. Insistente e perseverante ritornava sempre sul campo di battaglia, sgusciando tra le mani delle serve e cercando in tutti i modi d'entrare.
Ma finiva sempre per essere buttato fuori in malo modo, qualche volta con uno scapaccione come monito.
Sbuffava ed andava con il morale a terra nel salotto; si sedeva sulla poltrona, così enorme per lui, e lasciava ciondolare le gambe. Si scrutava attorno annoiato; cercava di carpire ogni dettaglio che potesse allietare un poco la sua giornata.
Finché non fissava lo sguardo sulle piccole strisce di luce e ne rimaneva ammaliato. La polvere turbinava e creava strani ed affascinanti ghirigori. Si alzava e cercava di prenderle, le piccole mani paffute afferravano l'aria. E rideva.
Correva velocemente fino al fondo della stanza e puntando le iridi chiare, accese dall'eccitazione del gioco, davanti a sé , iniziava a saltare.
Evitava gli spicchi di pavimento illuminati. Immaginava che ci fosse del fuoco, lì.
Se cadeva era la morte.
Vita.
Morte.
Vita.
Morte
Con quanta serietà evitava la luce!
Ad ogni arrivo nell'ombra sospirava, grato, e riprendeva.
Per evitare che nella casa lo ascoltassero -e sgridassero- si toglieva le scarpe, eliminando quel fastidioso rumore dei piccoli tacchetti.
Stefan era richiamato da tutta quella allegria nel fratello. Entrava e si accostava a lui, sincronizzando i movimenti e seguendolo in quei balzi.
Damon, in quei momenti, rideva. E rideva.
Si spostava dal viso tenero i capelli neri e continuava. In quello strano gioco di luce ed ombra. Vita e morte.
Dove bruciarsi era solo un'illusione e così sarebbe dovuto essere.
Per sempre.
Era proibito entrare lì dentro; nessuna di loro accettava uomini e con risate allegre e minacce scherzose con le pentole li scacciavano non appena si avvicinavano.
Così il piccolo Stefan aveva ben presto imparato ad uscire di casa, giocando all'aria aperta ed accontentandosi semplicemente di immaginare le prelibatezze lì cucinate.
Damo no. Insistente e perseverante ritornava sempre sul campo di battaglia, sgusciando tra le mani delle serve e cercando in tutti i modi d'entrare.
Ma finiva sempre per essere buttato fuori in malo modo, qualche volta con uno scapaccione come monito.
Sbuffava ed andava con il morale a terra nel salotto; si sedeva sulla poltrona, così enorme per lui, e lasciava ciondolare le gambe. Si scrutava attorno annoiato; cercava di carpire ogni dettaglio che potesse allietare un poco la sua giornata.
Finché non fissava lo sguardo sulle piccole strisce di luce e ne rimaneva ammaliato. La polvere turbinava e creava strani ed affascinanti ghirigori. Si alzava e cercava di prenderle, le piccole mani paffute afferravano l'aria. E rideva.
Correva velocemente fino al fondo della stanza e puntando le iridi chiare, accese dall'eccitazione del gioco, davanti a sé , iniziava a saltare.
Evitava gli spicchi di pavimento illuminati. Immaginava che ci fosse del fuoco, lì.
Se cadeva era la morte.
Vita.
Morte.
Vita.
Morte
Con quanta serietà evitava la luce!
Ad ogni arrivo nell'ombra sospirava, grato, e riprendeva.
Per evitare che nella casa lo ascoltassero -e sgridassero- si toglieva le scarpe, eliminando quel fastidioso rumore dei piccoli tacchetti.
Stefan era richiamato da tutta quella allegria nel fratello. Entrava e si accostava a lui, sincronizzando i movimenti e seguendolo in quei balzi.
Damon, in quei momenti, rideva. E rideva.
Si spostava dal viso tenero i capelli neri e continuava. In quello strano gioco di luce ed ombra. Vita e morte.
Dove bruciarsi era solo un'illusione e così sarebbe dovuto essere.
Per sempre.