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Autore: Stella Livingston    17/04/2010    5 recensioni
Ash e il suo viaggio nei ricordi.
Genere: Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ash, Misty | Coppie: Ash/Misty
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: Pokémon è di proprietà di Nintendo, Game Freak, Satoshi Tajiri e compagnia bella. Pertanto tutti i personaggi presenti in questa storia non mi appartengono. La storia però è mia, perciò è vietato copiarne anche una sola singola parola senza il mio esplicito consenso.

                                                                  Remember Me

A volte sente il bisogno di salire in macchina e partire. Non dice a nessuno dove va, nemmeno a sua madre; sa già che non capirebbe. Brock non lo fa, del resto – dice che tornare nei luoghi in cui sono stati insieme, tutti e tre, gli procura solo ulteriore dolore, e che perciò andarselo a cercare di propria sponte non ha senso.

Anche per Ash è stato lo stesso, nei mesi immediatamente successivi alla sua morte. Di quel periodo ricorda il dolore la rabbia e l’apatia e poi di nuovo il dolore la rabbia e l’apatia, ricorda i sorrisi stentati, lo stomaco che non si apriva mai, la gola ostruita da un blocco di vuoto e lacrime, gli occhi che al buio di una stanza terribilmente grande non si chiudevano mai.

Rimase fermo a lungo, allora. Si rifiutava di camminare, persino di vivere; pensandoci adesso si stupisce di quanto sia risultato effettivamente facile respirare senza fare nient’altro. Misty morta. Misty immobile. Solo questo contava, e solo in base a questo doveva regolare la sua non vita, bloccarla in maniera da sincronizzarla perfettamente alla sua assenza.

Ora non è più così. Ora, dove prima sentiva il bisogno di rifugiarsi, di allontanarsi da qualsiasi cosa che fosse lei, c’è la necessità contraria. Deve muoversi. Deve andare là dove sa di poterla incontrare ancora.

Per questo Ash adesso è in macchina e corre veloce, l’autostrada che gli scorre davanti in una luce di sole caldo d’estate, il mare che si staglia azzurro all’orizzonte, oltre il grigio sporco dei guardrails.

La radio passa una canzone che andava di moda diverso tempo prima – Ash calcola svelto: lui e Misty dovevano aver avuto circa tredici anni. Fischietta. Canta due parole. Solo due, eppure per qualche istante l’aria intorno a lui si ferma e le sue orecchie quasi si aspettano che la voce di lei inizi a cantare le strofe successive. Immaginarla gli dà la sensazione di vederla, quasi, occhi scintillanti e capelli liberi di svolazzare oltre il finestrino aperto. Si chiede quanti di quei capelli gli sarebbero finiti addosso, con quel vento.

 

Ash guarda al di là del vetro e pensa ad un giorno di qualche anno prima. Subito dopo le immagini del funerale di Misty iniziano a sgomitare nella sua mente e poi gli si affacciano prepotenti davanti agli occhi. Gli succede ancora, qualche volta. Qualche volta pensare a lei viva automaticamente aziona nel suo cervello un meccanismo crudele, sadico e distorto, tale che permetta a tutte le memorie del passato remoto di fondersi a quelle di un passato più recente; e quelle in un attimo finiscono per intrecciarsi, stringersi l’un l’altra, unirsi fino a che diventa difficile pescare quelle giuste, quelle che non fanno niente se non strappargli un sorriso lievemente tremante ed inumidirgli un po’ gli occhi di lacrime. Spesso pensare agli anni in cui c’era lei comporta anche pensare a come la storia sia finita davvero. Promesse di eternità spezzate. Risate spente. Capelli rossi da ritrovare sigillati in sacchetti al profumo di lavanda.

Il mare non è più lontano, adesso. La strada si riempie di auto stipate di bambini accaldati e mamme sorridenti e papà nervosi, e ancora di turisti stralunati e curiosi con le loro valige dai mille colori.

Finalmente Ash riesce a pescare il ricordo giusto, quello che fa male perché bello e non perché nero come le nuvole di un cielo il mattino di un funerale.

 

La ricorda bene, quella serata d’inizio giugno. Era ancora fresco, di quel clima mite tipico della primavera inoltrata: la temperatura ideale. Subito dopo aver mangiato Brock stanchissimo andò a dormire, e così lui e Misty rimasero a guardare le stelle nella piccola radura dove avevano cenato rischiarati solo dal tenue brillare del fuoco.

Ricorda che stettero in silenzio per svariati minuti, e che fra loro due si frapponeva solo il canto dei grilli e il rumore sommesso dei loro respiri. A volte succedeva, che trascorressero intere ore insieme senza dirsi una parola. Erano quelle le volte in cui a lui sembrava di riuscire a dirle tutte le cose più importanti, quelle che forse a voce non sarebbero uscite mai.

Quella sera, però, Ash scorse dei riflessi particolarmente tormentati negli occhi di Misty. Si chiese se non fosse uno dei suoi "momenti in cui la malinconia ti prende per mano" – così li chiamava lei; e fu per quello che decise di spezzare quella pace fatta di notte e natura. "A cosa pensi?"

Misty si voltò a guardarlo. Nei suoi sogni confusi lui riesce ancora a vedere distintamente il suo viso illuminato dalla luna, trasparente ed irreale. "Mi stavo domandando come tu fra qualche anno ti ricorderai di me."

C’erano tante cose che lo spiazzavano, di lei. Tanti atteggiamenti, tante parole, tanti sorrisi, persino tanti sguardi e tanti sospiri. Quella sera non capì cosa fu a stupirlo di più: se quelle parole bisbigliate in fretta, lievi come l’aria, o se i suoi occhi enormi e tristissimi.

"A quest’ora dovresti solo pensare alla bella dormita che ci aspetta, altroché" scherzò Ash, non perché ne avesse realmente voglia ma perché la voce di Misty era stata troppo malinconica e troppo sofferta, e la voce di Misty non era fatta per essere nessuna delle due cose.

"Stupido" lo ammonì lei ridacchiando, e poi nella sua memoria si portava le braccia al petto e tornava a guardare davanti a sé. Cambiò ancora tono quando riaprì bocca e allora non ci furono più dubbi, era davvero uno di quei momenti. "Rispondi."

Ash temporeggiò. Non aveva ancora capito dove Misty volesse andare a parare. "Cosa intendi dire?" le chiese infine.

Lei si voltò verso di lui. "Mi ricorderai come un incidente che in quanto tale è avvenuto per puro caso, o come un’amica che sei stato felice di aver conosciuto?" chiarì; negli occhi aveva ancora quell’espressione spaurita ed immensamente fragile, ma sulle sue labbra era nel frattempo comparso un sorriso indefinibile, teso e intimorito e tenero insieme.

La risposta di Ash fu immediata, e oltremodo innocente. "Non avrò bisogno di ricordarti, visto che staremo sempre tutti e tre insieme, tu e Brock ed io."

A quel punto Misty rise, ma non era una risata felice. "Non è vero, Ash. Lo sai meglio di me che non potrà essere così per sempre." Nonostante la durezza disincantata di quelle parole lei lo fissava con un atteggiamento di speranza così intensa che pareva farle vibrare tutto il corpo di fremiti impazienti, quasi fosse in attesa che lui la contraddisse.

Chiaramente in Misty, allora, non poteva esserci alcun presagio di morte (con il senno di poi, Ash avrebbe saputo dire piuttosto con esattezza a cosa lei stesse pensando quella sera. Pensava alle persone che crescono, alla vita che si ingigantisce, ai bivi. Alle scelte che sei obbligato a fare per costruirti il tuo mondo adulto. Alle persone che trattieni con te e a quelle che lasci indietro. Dio, com’era ingenuo allora).

A volte Misty cercava rassicurazioni in lui, le pretendeva quasi, sembrava dovervi aggrapparsi per non cadere.

"Non mi hai ancora risposto" gli fece presente lei.

"Mh?"

"Come mi ricorderai?"

Ash non voleva pensarci, a quel futuro; non in quel momento. Allora viaggiava per realizzare un sogno, certo, e più viaggiava più la voglia che aveva di realizzarlo appena possibile non faceva che aumentare; ma, anche se a stento era in grado di ammetterlo a se stesso, a volte gli sembrava di non riuscire a capire se il sogno fosse davvero quello che si era prefissato o se non fosse invece diventato quel viaggio stesso, quel viaggio che in teoria era solo l’anticamera di quello che avrebbe dovuto regalargli gioia e gloria eterne. Gli capitava di pensare di non saper più stabilire cosa nel frattempo avesse assunto le dimensioni più importanti, per lui; e allora si chiedeva se dopotutto non sarebbe stato disposto a prolungare quel viaggio all’infinito, piuttosto che vederlo un giorno concluso. Ed aveva paura; paura di scoprire che i sogni cessano di essere tali una volta avverati, oppure che al di là di essi poi resta poco e niente da inseguire. Temeva di finire un po’ come Alessandro Magno, che pianse perché non aveva più nulla da conquistare.

"Ti ricorderò per quella che sei" le rispose Ash infine, sorridendole e passandosi una mano fra i capelli, ancora incerto su cosa Misty avesse realmente voluto intendere."Però, se ci sarà un modo per evitare che debba farlo, se tutto questo potrà andare avanti a lungo, be’… lo preferirei" confessò ancora dopo alcuni istanti, mentre qualcosa di commosso e indesiderato gli stringeva il cuore. Ash non lo sapeva, in quel momento, ma senza volerlo la sua anima stava dando a Misty quella risposta che forse lei per anni aveva cercato in lui. Starai sempre con me. Quando non potrai più farlo così, io troverò un altro modo in cui tu possa continuare a restarmi accanto.

Non se ne rese conto. Un tempo non si rendeva conto di tante cose.

Probabilmente Misty notò la sua confusione, quella sua fiducia inespressa e spaventata; ma lo stesso non gli suggerì niente. "Anch’io lo preferirei. Ma se non fosse possibile… mi ricorderesti?" gli disse invece. Di colpo gli occultò il volto. I suoi occhi, nascosti dietro una cortina di capelli rossissimi, non si vedevano più.

"Sì."

Ricorda il modo in cui la voce di lei tremò, quando parlò di nuovo, e ricorda il suo corpo di contro rilassato. La rassicurazione che cercava l’aveva ottenuta. "Sempre?"

Le sorrise. "Certo. Ti ricorderò sempre, è logico. Non hai bisogno di chiedermelo."

Ash tacque un istante prima di continuare. I grilli cantavano.

"Tu ricordati di questo."

 

Svolta a destra. Il ticchettare della freccia gli dà la sensazione di scandire in secondi la sua libertà, e non riesce a non trovarla una sensazione del tutto ridicola.

Il bisogno che ha di ritornare nei luoghi in cui sono stati insieme è diventato, negli ultimi mesi, talmente intenso da poter essere definito fisico. Teme di parlarne, con Brock ad esempio, perché può capitare che le persone accumunate dallo stesso dolore siano incapaci di capirsi proprio su quel punto. Le cose si vivono in tante maniere diverse, e forse non ce ne è nessuna universalmente giusta.

Per Ash la cosa giusta è quella che sta facendo. Si è accorto che raggiungere i posti in cui è stato con Misty gli fa bene, e anche se non può parlarne non gli importa. Gli importa di imboccare quella strada d’improvviso tanto familiare, gli importa di ascoltare di nuovo il suono divertito della risata allegra di lei, gli importa di udire i singulti dei gabbiani nel cielo e di pensare agli occhi di Misty che si illuminano nel tentativo di seguirne il volo. Il ricordo fa male come uno schiaffo in pieno viso, gli strappa il cuore dal petto e lo prende a pestate fino a ridurlo in poltiglia. Ma Ash sa che, una volta tornato al suo posto, gli sembrerà più leggero.

A volte si può scegliere di modellare il dolore per crearne qualcosa di positivo. Sempre meglio avere un’anima che grida e sanguina piuttosto che non averla affatto, no? E perciò è meglio superare l’ennesima curva – il ricordo di un gelato che colava giù lungo il mento, le prese in giro di lei – che non andarci mai oltre, a quella curva, con il rischio di sbandare e poi di precipitare al di là del ciglio della strada perché mentre tu stavi fermo le altre macchine ti sono venute addosso.

Ci sono tante cose di Misty, in quei posti, così tante che Ash ha quasi paura di perdercisi dentro. Gli alberi. Il cielo. Il sole e gli uccelli. La barca di un pescatore col viso rugoso e la canna in mano. I granelli di sabbia dentro la bocca di un bambino – Misty che ride e si prende gioco di lui, Misty con i capelli rossi e gli occhi trasparenti come il mare e la pelle scottata perché lei non si abbronza, mai, Misty che lo sfida ad una stupida gara di nuoto e si volta a guardarlo con un sorriso immenso; Misty. Camminare per quelle strade è come prenderla – finalmente – per mano. È incontrare in ogni cosa una muta richiesta di ricordo, e la voce di lui che risponde Non hai bisogno di chiedermelo. E forse dopotutto ci è riuscito a trovarlo, quel modo per restarle sempre accanto, anche se non è quello che avrebbero voluto entrambi anni prima.

Ash si siede sulla sabbia e fissa l’orizzonte finché anche quello non scompare alla sua vista, inghiottito dal blu quasi uguale del cielo. Dallo zaino estrae una confezione di muffins al cioccolato e ne addenta uno con avidità. Piacevano tanto anche a lei.

Note: È una storia semplice e senza pretese, scritta martedì sera prima che andassi a dormire xD (perché sapevo che se avessi rimandato la scrittura l’ispirazione sarebbe andata a farsi benedire, senza contare che al PC non sarei riuscita a buttare giù una parola). Mi ritengo fisicamente incapace di scrivere una deathfic, soprattutto se riguarda questi due :__:, ed in effetti considero questo racconto un “concentrato” di alcuni miei pensieri piuttosto che una storia vera e propria. Avevo anche un sonno terribile mentre la scrivevo xD, perciò non so cosa ne sia venuto fuori alla fine. Lo stile è un po’ diverso dal mio solito, così come l’andamento della narrazione, confuso e distorto come un ricordo.
Il titolo è quello di un film uscito in questi giorni, Remember Me appunto.

  
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