DEATH
NOTE
SamanTha
Bai
Parte prima: disegno.
Samantha Bai era stata inviata
dall’FBI in Giappone dopo la morte dei suoi dodici colleghi per mano di un
certo criminale che pareva dotato di un potere straordinario; in Giappone lo
avevano soprannominato “kira”, la traslitterazione di “killer”. Costui pareva
che potesse uccidere conoscendo soltanto volto e nome delle sue vittime e il
suo nome era già famoso in tutto il mondo per lo sterminio di criminali a cui
aveva dato inizio.
Samantha Bai era semplicemente nota
come Agente B; il suo nome non veniva rivelato spesso perché era ritenuta un
gioiello dell’FBI: a soli sedici anni aveva iniziato la carriera di poliziotta
grazie alle sue straordinarie capacità deduttive; a diciotto anni era diventata
una detective privata e a diciannove era entrata nell’FBI. Adesso ne aveva
venti ed era guardata dai suoi colleghi con occhio di rispetto.
Una persona che la conosceva,
tuttavia, non poteva mai scordarsela: aveva una personalità particolare, molto
movimentata, quasi infantile. Era ben identificabile anche per il modo di
vestire: mai una volta che non indossasse un cappello; le piacevano particolarmente
i colori nero e rosso, amava qualsiasi tipo di sport, rideva sempre di tutto
eccetto che di poche cose: non sopportava infatti le persone che si credevano
superiori alle altre o che manifestavano le loro eventuali “doti” in maniera
troppo esuberante. Certe volte si faceva pendere troppo dalle emozioni, ma alla
fine risultava sempre un’ottima agente.
Aveva chiesto spontaneamente di
andare in Giappone ad indagare su quel caso, anche se i suoi superiori
l’avrebbero mandata comunque.
Aveva sentito dire che il caso era
sotto le direttive di L, con il quale aveva già lavorato una volta. Anche per
questo motivo aveva insistito per andare in Giappone: L. Questa figura così
misteriosa l’aveva affascinata ed intrigata troppo per lasciarla indifferente.
Voleva indagare sia sul caso Kira sia sul suo “caso” personale: L. Doveva
vedere ad ogni costo la faccia del suo mito; doveva assolutamente vederlo.
Ad L era permesso di conoscere il suo
nome, infatti nel caso precedente lui la chiamava “Agente Bai” o addirittura
era capitato anche che le dicesse “Samantha”. Perché lei non poteva conoscere
l’identità di L, allora?
Giunse all’Hotel che le era stato
indicato dai suoi superiori e attese informazioni nella stanza che le avevano
assegnato.
Si chiuse dentro a chiave e si buttò
sul divano di pelle marrone, facendolo spostare di qualche centimetro. Stette
qualche minuto così, a pancia all’ingiù, come si era buttata, poi si rovesciò
ed iniziò a fissare il soffitto. Con la mano destra si tolse il cappello a
quadri rossi e neri e lo gettò sul piccolo tavolino di fianco al divano, mentre
con la mano sinistra si stropicciò i capelli castani e cercò di lisciare con le
dita tutte quelle curve odiose che avevano i suoi capelli. Se li teneva poco
più corti delle spalle apposta: così sembravano più lisci. Odiava i suoi
capelli mossi che la facevano sembrare una specie di riccio. Aveva anche il
naso e le guance puntellate da piccole lentiggini marroni, ma quelle le stavano
simpatiche: spezzavano quei canoni di serietà che un agente dovrebbe avere. Lei
non amava essere seria. Era vitale e allegra, ma quando non riusciva a
risolvere qualcosa si deprimeva e stava a ore a riflettere sul perché avesse
sbagliato.
Afferrò la sua borsa a mano e ne
estrasse il blocco da disegno: era pieno di disegni di volti. Per ogni caso che
seguiva provava sempre ad immaginarsi le facce dei colpevoli, ci si divertiva.
Aveva anche provato a disegnare la faccia di L, ma non ne usciva mai convinta.
Sfogliò l’album saltando i primi
fogli e giungendo ad una faccia ben precisa; la osservò con cura poi disse ad
alta voce: - Ha gli occhi troppo poco intelligenti … - ed estrasse la biro
dalla borsa; disegnava così: con la biro nera e la cancellina, il lapis e il
carboncino le davano fastidio; non sopportava di avere il dorso delle mani
tutto impiastricciato.
Era intenta a creare con la
cancellina bianca dei riflessi negli occhi del volto del suo disegno quando il
telefono della stanza d’hotel squillò.
Samantha fece un balzo e la
cancellina sbaffò sull’occhio del disegno. Restò così per qualche secondo, a
guardare l’opera rovinata e ad ascoltare gli squilli quando si rese conto che
era il caso di rispondere; appoggiò il disegno sul tavolo, vicino al cappello,
e corse a rispondere.
- Pronto?-
-
B?-
- Sono io, chi parla?-
-
Sono il responsabile della sua permanenza in Giappone e dei suoi
contatti futuri con L –
Samantha fece un sussulto, poi disse
quasi sussurrando:
- Watari?-
Sapeva che l’unico che metteva L in
contatto con il mondo era Watari, ma anche su di lui non si conosceva niente.
Tramite questa misteriosa figura infatti aveva lavorato con L nel caso
precedente.
- Esattamente. Adesso la pregherei di
attendere un momento in linea perché L vuole mettersi in contatto con lei –
Samantha si bloccò. Ebbe un brivido.
Attese senza dare risposta a Watari.
Dopo pochi secondi che però
sembrarono alla ragazza un’eternità, una voce metallica alterata da qualche
programma le parlò: la conosceva già; era L.
- Buonasera Samantha, spero che stia
bene –
- Il telefono è sicuro?- Disse
l’agente spontaneamente, rendendosi poi conto che la domanda era stupida: se L
la stava chiamando in quel telefono era ovvio che la linea fosse sicura.
- Si-
Fu l’unica risposta che le diede la
voce metallica di L.
- Mi perdoni, la domanda era stupida
… ma del resto da me cosa si deve aspettare? Piuttosto, sono tutt’orecchie per
l’incarico che mi verrà affidato … parli pure!-
I suoi superiori l’avevano spesso
rimproverata per il modo poco appropriato con il quale Samantha si rivolgeva
alle altre persone, specie le più importanti. Adesso però la ragazza non aveva
voglia di stare a pensare a come comportarsi, perciò rispose come più le
sembrava opportuno.
- La sua esuberanza è rimasta
invariata, a quanto sento … mi fa piacere, lei resta sempre un’agente con il
quale è piacevole lavorare. Il suo incarico consiste in questo: potrà sembrarle
molto semplice ma le assicuro che non lo è, perciò rifletta bene quando le
toccherà darmi una risposta ….-
L aspettò che Samantha assentisse in
qualche modo.
La ragazza capì il silenzio
dell’interlocutore e azzardò un: - Non ho fatto un viaggio in Giappone solo per
il gusto di spendere un sacco di soldi nel biglietto dell’aereo! Anche se sarà
un compito difficile stia pur certo che accetterò!-
L stette un attimo in silenzio, come
se stesse pensando, ma la risposta giunse molto velocemente:
- Mi fa piacere. Tuttavia intendo
ancora porle la questione in interrogativo: il suo compito sarà quello di fidarsi
di me. Niente di meno, niente di più.-
Samantha tacque.
Non si aspettava certo una proposta
del genere. Che senso aveva mandare un agente in Giappone per “fidarsi di L”?
Che cosa c’era sotto?
- Penso che il mio cervello non
arrivi a comprendere a fondo il significato di questa richiesta-
Disse seriamente; dall’altro capo L
azzardò una breve risata poi disse:
- Lo so, può sembrare strano, ma la
prego di rispondermi: si sente pronta ad affidarsi soltanto a me? A fare tutto
quello che le dirò di fare? A essere preparata a qualsiasi incarico? A restare
in Giappone per molto più tempo di quello che immagina?-
Samantha stava per dare un affrettato
“si”, quando L parlò ancora:
- … Non le chiedo di rispondere
subito. La prego di riflettere su tutte le eventualità che potrebbero
verificarsi. La richiamerò questa sera alle nove –
L riagganciò e la cornetta iniziò a
tubare con il suo TUU TUU.
Samantha restò con la cornetta in
mano per qualche secondo, fissando un punto indefinito al di là delle tendine
della finestra nella camera dell’Hotel.
Dopo un po’ si accorse di essere
immobile, così scrollò la testa, riagganciò anche lei, e ritornò a distendersi
sul divano.
Si voltò appoggiandosi con un gomito
al cuscino del divano e con l’altro braccio afferrò il disegno sul tavolino: la
cancellina era sbaffata e disegnava come una grande lacrima bianca sul volto di
quell’ipotetico L.
- No, non gli somiglia-
Disse Samantha voltando pagina e
cominciando un nuovo disegno.
Alle nove il telefono squillò di
nuovo.
Samantha era dietro a finire
l’inchiostro della sua penna nei capelli di quell’altro ipotetico volto che
stava disegnando. I capelli le costavano sempre un sacco di nero perché, ne era
certa, L doveva avere i capelli scuri. Non sapeva dirsi il perché, era una
certezza che avanzava nella sua mente. Lo aveva sempre raffigurato come un uomo
sui trentacinque massimo quaranta anni, non riusciva ad immaginarselo né più
giovane né più vecchio.
Quel disegno la stava convincendo
particolarmente, però era sicura che se avesse avuto una distrazione qualsiasi
la certezza sarebbe svanita e il disegno sarebbe venuto uno schifo. Quella
volta L le era venuto forse un po’ troppo giovane per l’età che si immaginava
lei, aveva disegnato soltanto il contorno della faccia e i capelli quando il
telefono suonò.
- Merda! Lo sapevo sai?! Non vuoi che
io capisca come sei fatto!-
Disse parlando al telefono che stava
ancora suonando.
Scaraventò il blocco e la penna per
terra, poi volò al telefono.
- Agente B –
Rispose; era certa che si trattava o
di Watari o di L, quindi non c’era bisogno di dire “pronto”.
- B? sono L –
Rispose la voce metallica di qualche
ora prima.
- Ho deciso che mi fido, L … -
A dire la verità, Samantha non aveva
riflettuto nemmeno un po’ su quello che le aveva detto L: sapeva che avrebbe
accettato, fine. Non le andava di farsi troppi problemi e di stare a ragionare
su cose che non sapeva: se c’era qualche opportunità di avvicinarsi ad L lei
l’avrebbe colta al volo, e quella si era presentata così bene che non poteva
certo tirarsi indietro.
- Ne ero certo-
L fece una pausa, poi riprese a
parlare:
- Un gruppo di uomini della polizia
giapponese ha dato la sua stessa risposta. Io ho bisogno di collaboratori per
risolvere questo caso e ho bisogno anche del suo grandioso intuito, Agente Bai.
Ho dato il nome dell’Hotel in cui sto alloggiando adesso al gruppo di
poliziotti, mi raggiungeranno stasera. Samantha la prego di unirsi a quel
gruppo-
Samantha esitò un attimo; le sembrava
impossibile, però la sua mente non la portava a nessun altra conclusione:
- Noi incontreremo … L?-
- Lei e il gruppo di poliziotti mi
incontrerete questa sera, adesso prenda carta e penna, che le do l’indirizzo
dell’Hotel.-
Samantha non riusciva a muoversi: era
incantata sui tasti ovali dell’apparecchio telefonico e non era capace di
cercare un foglio e una penna.
Quando L iniziò a dettare, allora si
sbloccò: si lanciò con il telefono in mano sul divano, pregando che non si
staccasse il filo, e raccolse la penna dal pavimento; scrisse sul disegno
incompleto l’indirizzo che le veniva dettato e poi, quando L riattaccò rimase
per una buona manciata di minuti così, a guardare quelle lettere fissate sul
foglio di carta. Se le imparò a memoria, controllò per cinque volte di aver
imparato bene; notò quanto fosse brutta la sua calligrafia frettolosa, quanto
fossero imprecisi e sgraziati i segni curvi o lineari delle lettere e dei
numeri che la sua mano aveva creato; poi infine, quando sentì male alla pancia
per la posizione decisamente scomoda, si alzò.
Si alzò; fece un balzo in ritardo per
l’emozione inaspettata; sorrise, corse al bagno; si lavò i denti, si strigliò i
capelli facendo attenzione a stirare per bene le onde odiose, si precipito ad
aprire la sua valigia da viaggio e ne estrasse un cappello nero di pelle; se lo
infilò, si infilò il piumino nero, si infilò pure la borsa a mano poi uscì,
sbattendo con forza la porta lasciando dentro pure la chiave.
Il tragitto fino all’Hotel fu lungo:
quello dove si trovava lei era praticamente dalla parte opposta di Tokyo. Si
domandò del perché le avessero assegnato un alloggio così distante; forse L
voleva tenere tutti lontani dal luogo dove si trovava, per non dare indizi
sulla sua posizione.
Dopo una mezz’ora di viaggio Samantha
ammise al suo cervello la grande notizia: avrebbe incontrato L, quella sera lo
avrebbe incontrato!
Le iniziarono a sudare le mani, il
cuore le batteva forte e la vista quasi le si annebbiava. Calma! Si disse; devo
arrivare là il più presto possibile!.
Arrivò decisamente prima di quanto si
aspettasse: un’ora e mezzo di auto (guidata da pazzi) era stata sufficiente a
raggiungere l’edificio situato all’indirizzo che Samantha aveva imparato a
memoria.
Anche se era italiana conosceva il
giapponese molto bene; conosceva varie lingue: inglese, francese, giapponese,
spagnolo; inoltre sapeva tradurre anche greco antico e latino. Le lingue la
affascinavano. Con i suoi continui spostamenti non aveva potuto fare a meno di
imparare tutte quelle lingue e a pararle, leggerle e scriverle correttamente.
Samantha guardò l’ora: le undici di
sera. Forse era troppo tardi, ma L le aveva detto di raggiungerlo quella sera.
Parchèggiò l’auto di fronte
all’ingresso principale e scese con calma: doveva dare sempre un’impressione
neutra, tante volte ci fossero state telecamere che avrebbero potuto
testimoniare che lei si trovava lì a quell’ora e che era di fretta.
Accanto alle porte automatiche
dell’hotel c’era un uomo appoggiato di spalle al muro dell’edificio. Stava
fissando Samantha.
“E questo cosa vuole?” Si domandò la ragazza. Cercò di non fissarlo troppo ma via
via che si avvicinava inquadrò bene la persona che aveva davanti, casomai le
fosse tornato utile fare una sua descrizione, se era un malintenzionato: era
giovane, sulla ventina. Indossava una semplice maglietta bianca a maniche
lunghe e un paio di jeans; era scalzo e dallo sguardo sembrava molto stanco.
“Questo ha bevuto. È ubriaco … ora che vuole?!” Samantha cercò di salire le scale che
portavano all’ingresso dell’hotel dalla parte opposta a quella dello strano
ragazzo; purtroppo questo le si avvicinò, sempre con quello sguardo penetrante
fisso sulla faccia di lei.
- Buonasera-
La salutò cortesemente.
- Buonasera- Rispose Samantha
affrettando il passo. Il ragazzo continuò a seguirla, anche dentro le porte.
- Posso chiederle una cosa?-
insistette il ragazzo.
-
Fai pure – borbottò Samantha cercando con lo sguardo un ascensore per
levarsi di torno quella persona.
- Ho visto una faccia uguale alla sua
su molti giornali; lei assomiglia terribilmente a quella poliziotta italiana …
quella ragazza giovane, come si chiama? Samantha Bai, quella che pare poi che
sia entrata nell’FBI –
“Quante cose sa su di me questo qui?!” si domandò la ragazza: “B’èh non posso certo smentire quello che ha detto, se dicessi che si
sbaglia darei idea di sospetto, magari che sto facendo qualcosa di segreto … e
allora chi se lo scolla più?”. Decise di rispondere una mezza verità:
- Si, sono io –
Il ragazzo continuò: - Lei ha tutta
la mia ammirazione. Se non sono indiscreto, posso chiederle che cosa ci fa
un’agente del suo calibro qui in Giappone?-
Disse lui salendo nell’ascensore
insieme a Samantha.
“Si!Sei MOLTO indiscreto!” ; Continuò con la mezza verità che si era programmata:
- Un’agente secondo te non può
concedersi un viaggio di riposo? Sono interessata al Giappone per fattori
artistici, mi sono presa una sorta di vacanza, ma teoricamente questi non sono
affari tuoi –
Cercò di non essere troppo sgarbata con
quel ragazzo che, alla fine, le aveva soltanto mostrato la sua ammirazione.
Lo strano personaggio schiacciò il
pulsante con il numero che doveva premere anche Samantha.
“Anche lui lì?” Si chiese.
Il suo compagno di ascensore le
disse:
- Mi predoni se mi sono fatto gli
affari suoi, ma credo che non sia un buon momento per farsi una vacanza in
Giappone. Forse lei non lo sa, ma pare che ci sia in giro un assassino che noi
chiamiamo Kira, capace di uccidere a distanza conoscendo solo il volto e il
nome delle persone … -
“E così informazioni di questo genere giungono persino alle orecchie
della gente comune?”
- … b’èh probabilmente lei si starà
chiedendo come faccio a sapere tutte queste cose, non è così?-
- Vedo che sei molto informato –
Rispose semplicemente Samantha, senza lasciar trasparire il fatto che lei si
trovasse lì proprio per indagare su quel caso.
- … penso che le farà piacere,
allora, scoprire che io sto indagando
su questo caso-
Disse il ragazzo. Nella mente di
Samantha iniziarono a sfrecciare migliaia di ipotesi; scartò immediatamente
quelle più improbabili e giunse ad una conclusione: quella persona era una del
gruppo di poliziotti che L aveva invitato, o meglio … la mente produsse
quell’ipotesi prima che l’emozione se ne accorgesse … quel ragazzo era …
- … Io sono L –
Samantha restò qualche secondo a
fissare la parete a specchio dell’ascensore: rifletteva la sua espressione
immobile. Rimase così a riflettere che il ragazzo le aveva svelato tutto
proprio mentre il suo cervello ci stava arrivando.
Poi si accorse di essere incantata;
scrollò la testa e si voltò verso L.
- Lo sai che ci stavo arrivando?! Lo
giuro, stavo per dirlo proprio mentre lo hai detto tu!-
Subito dopo aver pronunciato quelle
parole si rese conto di avergli dato del tu
e di essere stata sfacciatamente
scortese, perciò si corresse:
- Ops, cioè, volevo dire … - Abbassò
la testa e il busto, come tradizione giapponese e disse: - ripongo in lei tutta
la mia ammirazione. Lei è la mente più geniale che abbia mai calpestato questa
Terra –
L la guardò stupito, poi, mentre lei
era ancora abbassata, rise lievemente:
- Non c’è bisogno che tu faccia così
Samantha –
Samantha si rialzò: era felice che
lui le desse del tu e che non ci fosse un alone di serietà a separarli.
- Ti ringrazio, L. Ma devi davvero
credermi: non ho mai ammirato nessuno allo stesso modo! Quando abbiamo lavorato
insieme … ho capito che di cervelli come i tuoi non se ne vedono spesso! – Poi
allungò la mano, come si usa fare in Occidente per conoscere le persone, e
disse: - … posso avere l’onore di stringerti la mano?-
L fissò un attimo la mano che
Samantha gli aveva offerto.
Dopo averla osservata attentamente,
dopo aver notato quanto pallido fosse il colore della pelle della ragazza
(quasi simile a lui), che lei teneva le unghie cortissime e prive di qualsiasi
decorazione, la strinse.
Avevano entrambi le mani fredde, per
essere stati all’aria aperta, ma il contatto dell’uno con la mano dell’altra le
fece riscaldare subito.
Le mani ondeggiarono assieme
nell’aria, come si fa quando si conosce qualcuno; poi si sciolsero.
Samantha restò due secondi
imbambolata a percepire il calore della propria mano che svaniva ritornando a
contatto con la fredda aria dell’ascensore, e quando le porte si aprirono,
decise di lasciarla fuori dalla tasca, come per non far svanire il tocco
straordinario che aveva appena ricevuto.
L estrasse dalla tasca dei jeans una
chiave magnetica, che maneggiò con una cura estrema; anzi, a Samantha dette
quasi l’impressione che gli facesse senso toccare la chiave, tanto lievemente
la maneggiava.
Fece scorrere la barra magnetica sul
sensore e la porta si aprì con un clak.
L fece entrare Samantha per prima, poi fece lo stesso, richiudendosi la porta
alle spalle.
La stanza dove Samantha si ritrovò
era molto accogliente: era molto grande, nel piccolo salotto c’era un tavolo
basso apparecchiato con un bricco e delle tazzine bianche. C’erano due divani e
due poltrone su una tonalità di giallo stinto; era tutto molto in ordine.
L si accomodò sulla poltrona a
capotavola con un’insolita posa: in equilibrio sui piedi, appoggiando il busto
alle proprie ginocchia. Fissò Samantha:
- Siediti pure-
Le disse invitandola con una mano ad
accomodarsi su un divano.
Samantha non si fece pregare: si
avvicinò al divano e si sedette sul cuscino, duro ma comodo, e si lasciò
sprofondare un pochino. Era davvero stanca; tutto quel tempo in macchina era
stata ansiosa e l’ansia le aveva consumato tutte le energie.
D’un tratto, mentre si stava godendo
la comodità del giaciglio, si sentì fuori luogo: L indossava solo quella maglia
e quel paio di jeans, mentre lei era tutta coperta. Per la prima volta in vita
sua sentì il cappello sul capo una presenza sgradevole e pesante, e desiderò
non essere avvolta in quel piumino così ingombrante e gonfio.
Con una mossa veloce e quasi ridicola
si tolse il cappello nero e lo appoggiò accanto a sé sul divano, poi con un
altro gesto potrò una mano alla zip del giubbotto e con l’altra se lo sfilò,
ripiegandoselo sulle ginocchia.
L si alzò e si fermò davanti a lei:
- Posso appenderlo se vuoi –
Disse con la voce sì monotona ma pure
gentile.
A Samantha sembrò scortese rifiutare
quell’ospitalità così calorosa e porse ad L il piumino; per correttezza si alzò
pure lei e lo seguì fino all’attaccapanni dietro la porta. Lei trasportò il
cappello e lo appese non appena L sistemò la giacca.
Mentre ritornavano nel piccolo
salotto Samantha non poté fare ma meno di trarre le prime osservazioni sulla
persona che aveva sempre sognato di incontrare:
“ È gobbo” si disse facendo una piccola risata dentro di sé : “ Cammina
in modo strano, e anche come si siede … è particolare. È molto più giovane di
quello che mi ero sempre aspettata. Da come si è comportato fino ad ora sembra
molto gentile … “
- Sono arrivati gli altri agenti –
Disse L sentendo dei rumori da fuori
della camera.
- Ah … -
Fece Samantha voltandosi verso la
porta.
Sentì che le dispiaceva che si
aggiungesse qualcun altro in quella stanza. SI stupì di quel pensiero. Sentiva
gli altri agenti come quasi degli intrusi.
L si alzò di nuovo per andare ad
aprire alla porta.
Samantha attendeva nel piccolo
salotto, ma sentì che un numero di abbastanza uomini era entrato. Dopo un po’
di silenzio sentì L dire:
- Io sono L … -
“Ah ah!” pensò la ragazza: “L’ho
conosciuto prima di voi, alla faccia vostra!” Poi, come poco prima, si
meravigliò dei suoi stessi pensieri.
Scrollò la testa e si rimise ad
ascoltare.
Ci furono alcuni mormorii di stupore,
poi tutti frugarono nei loro abiti.
Samantha sentì un uomo prendere la
parola e dire:
- Io sono Yagami, capo della polizia
–
Subito di seguito tutti gli altri si
presentarono:
- M … Matsuda -
- Aizawa … -
- Mogi … -
- … Ukita … -
Poi quello che aveva parlato per
primo riprese la parola:
- Scusa il ritardo, L, al momento
siamo solo noi cinque … -
“Cinque …. Cavolo …. Ci si sono messi
di impegno per sconfiggere Kira!” disse Samantha con sarcasmo nella propria
testa. Poi sentì L dire: - BANG!-
Allora non poté fare a meno di
voltarsi: si inginocchiò sul divano e si sporse per vedere cosa stesse
succedendo: L aveva la mano in posizione di pistola e la puntava contro gli
agenti. Tutti erano scandalizzati e Samantha non riuscì a trattenersi dal
ridere.
Quando qualche sguardo si spostò su
di lei, si voltò velocemente sperando che nessuno l’avesse vista.
- Se io fossi Kira a quest’ora
sareste tutti morti, dico bene signor Soichiro Yagami? Per uccidere le sue
vittime a Kira basta un nome e un volto; questo ormai dovreste saperlo, giusto?
Evitate di rivelare i vostri nomi con leggerezza, tenetele ben strette le
vostre vite …-
Era la frase più lunga che Samantha
avesse sentito dire dalla bocca di L.
“Hmpf … a me non l’ha fatta la
predica. Mwahaha! Che imbranati i poliziotti di Tokio!” rise Samantha.
L invitò i signori nel salotto dove
c’era anche Samantha ma prima chiese loro di spegnere i cellulari e tutti gli
apparecchi elettronici che avessero con sé e di posarli su un tavolo
nell’ingresso.
Samantha spense spontaneamente il suo
cellulare, ma lo rinfilò nella tasca dei pantaloni.
L si riaccomodò sulla poltrona nella
sua strana posizione di prima.
Mano a mano che entravano i
poliziotti si chiesero chi fosse quella ragazza seduta sul divano. Il più
giovane fra di loro disse:
- E lei chi è?-
Samantha alzò la mano e salutò: -
Buonasera gente! Sono l’agente B, dell’FBI … - fece molta attenzione a non
pronunciare il suo nome intero, dato che L aveva appena rimproverato gli agenti
poco prima.
Tuttavia fu lui a presentarla,
nonostante ci avesse già pensato da sé:
- Lei è Samantha Bai, viene
dall’Italia. Forse avrete già sentito il suo nome; è famosa per il suo intuito
e per la sua giovane età. L’ho richiesta per questo caso proprio per le sue
doti spiccanti –
Un “ah, capisco” generale si diffuse
fra gli agenti, mentre Samantha sentì uno strano calore esploderle sulla
faccia: L aveva detto che lei aveva delle doti spiccanti! Le iniziarono a
martellare le orecchie e anche il cuore. Samantha, per la terza volta, si stupì
di sé stessa, con una mano si stropicciò la maglietta all’altezza del cuore,
come per dirgli “ma che fai? Stai fermo!”, poi tornò ad osservare gli agenti
che si posizionavano.
Accanto a lei si sedette uno con una
cesta di capelli castani sulla testa.
L iniziò a versarsi del caffè, lo
assaggiò, fece una smorfia e cominciò a rovesciarci dentro zollette di zucchero
a coppie di due. Samantha provò a tenere il conto di quante ne mettesse ma poi
si ritrovò ad osservare il movimento che le mani di L compivano, la tonalità dl
colore della sua pelle e delle unghie tenute corte come le sue.
Ritornò alla realtà solo quando L
disse:
- D’ora in avanti non chiamatemi più
L, ma Ryuzaki … per precauzione-
“Ryuzaki?” Pensò la ragazza. “che
peccato … era così carino chiamarlo L…”
L iniziò a parlare, esponendo la sua
opinione sul caso.
Samantha cercò di seguire il
ragionamento, ma dopo qualche minuto si era distratta; si stupì di nuovo di se
stessa: stava ascoltando il tono della voce di Ryuzaki; lo stava assorbendo
nella sua testa, lo stava memorizzando, analizzando, e stava percependo
tutti fonemi che si disperdevano
nell’aria.
Quando alla fine L giunse alla
conclusione che Kira si trovava in una ristretta cerchia di uomini che erano
stati indagati, Samantha tornò alla realtà: la stavano guardando tutti, anche
L, e lei non sapeva cosa si aspettassero.
- Ehm … prego?-
- Vorremmo la tua opinione sul caso,
se magari sei giunta a qualche conclusione diversa dalla mia … -
- Oh, certo – Samantha cercò di fare
ordine nella mente, ma trovava tutto vuoto. Iniziò a parlare senza sapere dove
sarebbe andata a finire: - La mia impressione su questo caso? È molto semplice:
Kira è un pazzo. Ora, possiamo allargare i campo visivo: pazzo e per giunta
assassino. Pare che uccida secondo un suo ideale di “giustizia”, quindi in
termini tecnici è un omicida che ha la consapevolezza di esserlo; dunque compie
omicidi volontari. L’omicidio è un reato imperdonabile. Noi rappresentiamo la
polizia. Noi siamo la Giustizia; noi cattureremo Kira. Ecco quello che penso. Se
qualcuno di voi non è pronto a rischiare qualunque cosa abbia di più caro
(compresa la vita) non si merita di sedere qui. La Giustizia non si piegherà mai a Kira, o almeno io non lo farò. Per quanto riguarda i
dati tecnici ho capito il ragionamento di Ryuzaki e non posso fare a meno di
concordare, come sempre, con lui. Un ragionamento che non fa una grinza …
seguendo questa pista lo cattureremo senz’altro! Penso che la cattura di Kira
non sia poi così lontana. –
Tutti tacquero ad ascoltarla, poi
iniziarono ad annuire e a sentire l’adrenalina per il desiderio di catturare
Kira.
Dopo che L ebbe consegnato dei
documenti riguardanti le persone indagate dall’FBI, fra le quali si celava
sicuramente Kira, chiese se non ci fossero domande da fare.
Samantha non aveva nulla in mente e
non domandò niente, anche per dimostrare che aveva capito tutto alla
perfezione.
Il sovrintendente della polizia,
invece, prese la parola e con tono interrogativo disse:
- Si, io avrei una domanda … prima
hai detto che anche tu, come Kira detesti perdere. Ma il fatto che tu abbia
mostrato a noi il tuo volto non potrebbe già costituire una vittoria per Kira?-
- Esatto- riprese L : - Il fatto che
abbia mostrato il mio volto così come la morte dei dodici agenti rappresenta
una sconfitta per me, tuttavia alla fine vincerò io. -
A Samantha prese una stretta al
cuore: aveva utilizzato un tono che
mostrava una sicurezza così fervida, che le venne la pelle d’oca sulle braccia.
Ryuzaki continuò a parlare con quello
stesso tono di voce e quello stesso sguardo fisso e misterioso : - Anche io sto
rischiando la vita per la prima volta. Tutti noi che ci siamo riuniti qui
mettendo in gioco le nostre vite … - i lati della sua bocca presero una piega.
La linea che divideva le labbra pallide si trasformò in un arco dalla curvatura
estremamente dolce: sorrise. - … dimostreremo che la giustizia trionfa sempre.
–
Samantha rimase incollata allo
schienale del divano.
Quel sorriso le si era stampato nella
memoria per sempre; sarebbe rimasto per sempre dentro di lei. Solo adesso
iniziava a capire i suoi strani comportamenti che aveva avuto durante quella
giornata così importante. Era come se la sua vita fosse rappresentata su un
grafico: quel giorno era il vertice, il punto in cui la vita toccava il limite,
l’estremità più alta mai raggiunta. Era successo tutto quello che avesse mai
desiderato precedentemente: era tornata in Giappone con l’intento di restarci
per un bel po’, aveva preso parte al caso Kira, aveva incontrato L. Già da
adesso nella sua mente iniziarono a prendere posto altri sogni, altri desideri
che parevano irraggiungibili, e che andarono a sistemarsi al fianco del grafico
della sua vita. Avevano nomi ben precisi, ma ancora lei non lo voleva
ammettere. L’incontro con L aveva sconvolto tutta la sua esistenza e il futuro,
nella mente della ragazza, pareva potersi proiettare soli vicino a lui: lo
avrebbe seguito ovunque; avrebbe lavorato per lui anche dopo la fine del caso;
avrebbe persino accettato di celare la sua identità dietro una lettera
simbolica, proprio come L, pur di restare vicina a quella persona che l’aveva
colpita così tanto.
“È gobbo” pensò
“ma è terribilmente bello”.
Fine parte prima.