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Autore: Little Fanny    24/04/2010    1 recensioni
Un compleanno, in compagnia del Dottore, non può essere solo un normale compleanno.
Genere: Avventura | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Doctor - 10, Rose Tyler
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Fandom: Doctor Who
Titolo: Happy birthday, Rose!
Personaggi: Dottore, Rose Tyler, Alonso
Rating: G
Genere: avventura
Conteggio parole: 5709
Riassunto: Un compleanno, in compagnia del Dottore, non può essere solo un normale compleanno.
Avvertimenti: one-shot
Note: partecipa alla F3.U.CK.S. fest @fanfic_italia , per l’iniziativa della terza settimana @unknown_fandom .
Disclaimer: la storia è basata su fatti e personaggi creati e appartenenti alla BBC e a chiunque ne detenga i diritti. La storia non è scritta a scopo di lucro, ma solo per mio puro diletto.

 
Happy birthday, Rose!

 
Un trillare insistente li distrasse dalla loro conversazione.
“Scusa,” disse Rose guardando sul display il disturbatore della loro quiete; “mia madre.”
Il Dottore le fece cenno di rispondere, mentre sistemava tutto per la loro partenza.
“Pronto?”
“Auguri!” Urlò Jackie, appena sentì la voce ridente della figlia rispondere al telefono.
“Mamma!” Esclamò Rose, allontanando il ricevitore dall’orecchio mezzo assordato, mentre il Dottore se la rideva sotto ai baffi. “Ti sento benissimo anche se sono a chilometri di distanza da te, quindi non occorre che urli nel telefono per farti sentire meglio.” Spiegò alzando gli occhi al cielo mentre sua madre iniziava a parlare a raffica, con un tono di voce veramente troppo elevato e del tutto sorda ai discorsi della figlia.
“Sì, sì.” Rispose Rose assente a un’altra domanda della madre, assestando scherzosa un pugno alla spalla del Dottore che non voleva saperne di far scomparire quel sorrisetto saputo dal volto.

“Auguri!” Sentì esclamare la ragazza a un certo punto dall’altro capo del telefono.
“Mickey! Grazie!” Rispose Rose col sorriso che si andava ad allargare sempre di più sul volto.
Si guardò attorno nell’astronave, carezzando con mano ogni suo angolo, mentre il Dottore se ne rimaneva muto e chino sulla plancia, sempre intento a fare qualcosa.
Le era mancato parlare un po’ con Mickey, ridere e scherzare con lui, ricordare cosa fosse avere una vita normale.
Prese un respiro profondo e alzò gli occhi alla ricerca della figura del Dottore, scoprendolo intento a scrutarla silenziosamente. Era fermo, in piedi di fianco alla sua poltroncina da viaggio, le mani affondate nelle tasche e lo sguardo puntato su di lei. Lei gli sorrise dolcemente, scoppiando poi a ridere sentendo dall’altro capo del telefono sua madre e Mickey bisticciare per il possesso del cellulare. Il Dottore inarcò un sopracciglio interrogativo e Rose si affrettò a spiegare il motivo di tanto trambusto in quella conversazione telefonica.
“Stanno litigando per il possesso del cellulare.” Spiegò coprendo con una mano l’apparecchio, in modo che gli altri non sentissero.
“Ah! Io punto su Jackie.” Disse conciso, rimettendosi a trafficare con i comandi della sua astronave.
“Non vuoi dare neanche una chance a Mickey?” Rispose Rose ridendo, mentre gli altri due litigavano ancora per il telefono.
“Mickey Mouse contro Mamma Tyler?” Domandò retorico il Dottore senza nemmeno staccare gli occhi dai comandi. “Dai, non c’è nemmeno partita.”
“Tesoro!” Disse Jackie, avendo vinto la battaglia per il possesso del telefono e richiedendo a gran voce l’attenzione del premio conquistato. Il Dottore si esibì in un sorriso saputo a cui Rose rispose con una linguaccia, prima di tornare a prestare attenzione alle parole di sua madre, che quel giorno sembrava un inarrestabile fiume in piena.
“Ti stai divertendo?” Le chiese dolcemente, desiderando con tutta se stessa di poter essere lì, con sua figlia.
“Sì.” Rispose Rose con lo stesso tono, cullandosi nella voce rassicurante della madre.
Era strano quel suo compleanno, non le sembrava che fosse passato così tanto tempo da che era in viaggio col Dottore. Col fatto che erano completamente scollegati dal tempo i giorni, mesi, anni non esistevano più; era tutto un viaggio infinito, lungo una vita se solo lo avesse desiderato.
I suoi compleanni, da che ne aveva ricordo, era sempre stati scanditi dal risveglio col profumo di torta appena sfornata, una colazione speciale, condita con un bacio e poi una giornata tutta per loro, unicamente madre e figlia.
Giravano senza una meta precisa per Londra, a volte facevano shopping, altre camminavano semplicemente per quelle stradine brulicanti di gente. Si concedevano un pranzo veloce alla tavola calda e chiacchieravano, chiacchieravano fino a quando mancava loro la voce. Ma quell’anno i loro piani sarebbero stati immancabilmente diversi.

“Buon compleanno, tesoro.” Le sussurrò con dolcezza infinita.
“Grazie, mamma.”
“E, mi raccomando, sii prudente.” La ammonì un’ultima volta, conoscendo perfettamente i guai in cui quei due andavano sempre a cacciarsi. Neanche il Dottore avesse un guai-radar incorporato in quel corpo.
“Sì, non ti preoccupare.” Rispose svelta Rose guardando il Dottore che le dava le spalle e facendosi scappare un dolce sorriso.
“Ci sentiamo presto.” Aggiunse in un sussurro la ragazza, prima di chiudere la telefonata. Rimase per un momento bloccata nei movimenti, col cellulare fermamente premuto contro il petto, fino a che il Dottore non le passò un braccio attorno alle spalle, riscuotendola dai pensieri in cui era caduta.
“Cosa dice mamma Tyler?”
Rose si girò a guardarlo lasciandosi scappare un: “È il mio compleanno.”
“Il tuo compleanno.” Ripeté il Dottore meccanicamente, trascinandola fino alla console.
Passò un lungo attimo di silenzio.
“Sulla Terra, almeno. Cioè, lo è. Oggi.” Cercò di spiegare lei. Tutto quell’essere fuori da qualsiasi computazione normale del tempo l’avrebbe fatta impazzire, prima o poi.
“Oh! Il tuo compleanno!” Esclamò il Dottore poco dopo, avendo davvero afferrato il vero significato delle parole della sua compagna, battendo le mani con aria compiaciuta.
“Ma allora dobbiamo festeggiare! Dove vuoi andare?” Le domandò rianimandosi improvvisamente e mettendosi a trafficare con i pulsanti del TARDIS.
“Non saprei…” Rispose lei, guardandolo mentre si muoveva senza posa intorno alla console. Il Dottore si fermò bruscamente, squadrandola per bene, una mano nei capelli a renderli ancora più disordinati.
“Ci sono!” Affermò rimettendosi in moto e ricominciando col suo balletto fatto di pulsanti da premere, leve da abbassare e rotelline da girare.
Rose scoppiò a ridere, vedendolo muoversi come un pazzo.
“So perfettamente dove portarti e, penso, ti piacerà!” Esclamò lui umettandosi le labbra, apparendo perfettamente sicuro dei propri movimenti e convinto delle sue scelte. Aveva sul volto la stessa espressione di quando stava per mettere in atto uno dei suoi piani più brillanti e potenzialmente pericolosi.
“Va bene, Dottore. Stupiscimi!” Lo sfidò lei balzando al suo fianco, sul visto la stessa espressione del compagno.
“Oh, vedrai.” Aggiunse solo, prima di abbassare la leva e avviare il TARDIS.

Furono investiti dall’usuale scossa e risero, risero fino a farsi venire male la pancia, fino a quando l’astronave non toccò il suolo con un tonfo secco.
“Dove siamo?” Domandò Rose curiosa come non mai, mettendo una mano sulla vecchia porta in legno.
“Apri e lo scoprirai.” Le rispose il Dottore in un sorriso, facendole cenno con la testa di fare quanto le aveva suggerito.

La ragazza aprì la porta e rimase ammutolita da quel paesaggio insolito. Davanti ai suoi occhi si apriva una piccola vallata, chiusa da alte montagne colorate delle più varie tonalità di azzurro. I loro pendii aguzzi scendevano morbidi verso il fondo della valle, popolandosi di alberi turchesi dalle piccole foglie argentate. Erano molto fitti, ma ogni tanto si riuscivano a scorgere gli uccellini dorati che sprigionavano quel canto soave che giungeva alle loro orecchie.
Il TARDIS era atterrato su del fino ghiaino, leggermente umido per gli schizzi d’acqua del lago che occupava il fondo della valle.

“È bellissimo.” Sussurrò Rose senza fiato, stupefatta di quante meraviglie esistessero al di fuori del pianeta Terra.
“Ahn, no!” Disse il Dottore deluso sbucando fuori dal TARDIS e raggiungendo la compagna che si guardava attorno, del tutto incantata. “Possibile che sbagli sempre dove atterrare?” Si chiese mettendosi le mani nei capelli e guardandosi attorno.
“Uh! Eccola là!” Esclamò voltando Rose nella direzione in cui puntava il suo dito. “È quello il posto dove volevo portarti.”
“Ma va bene anche qui.” Ribatté Rose ammirando l’azzurro di quell’acqua cristallina.
“Ma noi dobbiamo andare lì.” Continuò lui imperterrito prendendola sotto braccio e sospingendola verso la nuova meta.
“Perché proprio lì? C’è qualcosa che mi vuoi comprare, forse?” Rise lei lasciandosi trascinare dove desiderava andare il Dottore. “Sei arrossito.” Continuò con tono canzonatorio, seguendolo di buon grado verso la cittadella che aveva intravisto dietro le pareti del TARDIS.

A prima vista assomigliava a una piccola cittadina arroccata sulle pendici scoscese di un monte, come un paese fantastico di un mondo immaginario. I suoi pendii erano arancioni, come arancio era il cielo, ma di una tonalità leggermente più chiara. Si riuscivano a scorgere gli edifici bianchi che andavano a comporre la cittadella: alcuni erano piccoli col tetto piatto e minuscole finestre, altri invece si arrampicavano lungo quei pendii scoscesi, con delle alte torri che svettavano in quel cielo dorato; ogni tanto si intravedeva la strada principale che saliva come una spirale fino in cima, percorrendo tutta la città.
Rose si lasciò scappare un’esclamazione di puro stupore. Non aveva mai visto nulla del genere.
Il monte era come sospeso nello spazio, si librava a decine di metri dal suolo, dove si trovavano loro; era inoltre attraversato da tanti piccoli torrenti di acqua cristallina che finivano in cascate roboanti, confluendo poi nella vallata che avevano abbandonato pochi minuti prima.

“Come facciamo ad arrivare là?” Domandò lei, aggrappandosi al braccio del Dottore.
“Ho un cacciavite sonico.” Spiegò lui, tirando fuori lo strumento dal taschino del completo. “Non sarà una grande arma di difesa, ma è perfetta per aprire le porte!”
Puntò il cacciavite dritto davanti a sé e, come per magia, si materializzò una scala che si dispiegava fino a giungere alla cittadella sospesa.
“Dopo di lei, signorina Tyler.” Disse lui galante, offrendole una mano per salire il primo gradino.
“Perché la vita con te deve essere così faticosa?” Chiese lei, osservando terrorizzata la lunga salita che li attendeva.
“Come siamo prevenuti Rose, non ti fidi proprio di me?”
Cambiò l’impostazione del suo cacciavite e, in men che non si dica, si ritrovarono al centro di una grande piazza, attorniati da gente di qualsiasi specie.

“Benvenuta sul pianeta Venere III. Il paradiso degli acquisti!” Le illustrò lui riferendosi ai bianchi negozi che si intravedevano a perdita d’occhio.
“E cosa ci facciamo qui?”
“Shopping?” Rispose il Dottore come fosse la cosa più ovvia del mondo, prendendo in mano un vaso dall’aspetto antico.
Rose lo fissò scettica.
“Nessun pianeta da salvare, nessuna catastrofe imminente?”
“No.” Disse lui, posando con cura il vaso e infilando le mani nelle tasche iniziando a guardarsi attorno alla ricerca di qualcos’altro che attirasse la sua attenzione.
“Solo del normalissimo shopping. E-” aggiunse vedendo le mani di Rose allungarsi verso il cimelio che lui aveva rimesso al suo posto, “-non lo aprirei, fossi in te. Guarda sotto.”
La ragazza lo ribaltò con attenzione, assottigliando lo sguardo per poter leggere la piccola scritta parzialmente sbiadita per colpa del tempo. Recitava: ‘Non aprire. Proprietà di Pandora’.
Riposò con la dovuta cura il contenitore più in alto che poté sullo scaffale e si affrettò a raggiungere il Dottore.
“Ma era il vaso di Pandora quello?” Domandò strattonandogli una manica dell’impermeabile, indicando il vaso abbandonato alle loro spalle.
“Nah… ma la prudenza non è mai troppa. Abbiamo detto che non vogliamo guai per oggi, giusto?”
“Giusto!” Ripeté Rose felice, cominciando a rilassarsi e ad ammirare quel dedalo infinito di negozi.

C’erano prodotti di tutti i tipi: dai generi alimentari terrestri a quelli di galassie lontane, vestiti provenienti da qualsiasi mondo ed epoca. Tutte cose che avrebbero fatto impazzire di gioia ogni donna e, difatti, attorno a sé non vedeva altro che signore impegnate negli acquisti più sbizzarriti. Alcune si portavano dietro il loro uomo, che le seguiva timoroso con una faccia da funerale; altre invece passeggiavano con amiche e il loro chiacchierare si sentiva in tutta la cittadina.
Qua e là si intravedevano dei sporadici gruppetti di uomini che parlottavano tra loro di fronte alle novità tecnologiche, del tutto snobbate dal genere femminile. C’erano un’accozzaglia disordinata di piccole astronavi e minuscoli utensili multiuso.
Rose si avvicinò curiosa a uno di questi che assomigliava in tutto e per tutto al cacciavite sonico del Dottore.
“Guarda qui.” Lo richiamò, volendo conoscere il suo parere.
Il Dottore glielo sfilò dalle mani e, inforcati gli occhiali, espose il suo parere: “Uhm… puntatore iper-sonico di medio raggio. Potenzialmente interessante,” continuò osservando da vicino lo strumento e provando a premere i vari pulsanti.
“Sono mille poundler. È un vero affare, signore. Solo per oggi.” Si intromise il commerciante fiutando aria di vendita.
“Ma non ci interessa.” Disse lui riconsegnando l’oggetto nelle mani del commerciante. “Andiamo Rose!”
“Ma era carino.” Borbottò lei, trotterellandogli dietro. “E poteva tornarci utile, no?”
Il Dottore si voltò e la fissò a lungo.
“Un puntatore iper-sonico di medio raggio, dici?”
Rose annuì con la testa.
“Al massimo puoi usarlo come faretto da lettura. Andiamo verso la cima.” Continuò prendendola sotto braccio, con in mente il solo obiettivo di farle tornare il sorriso.
“Cosa c’è?”
“I negozi più famosi dell’intero universo.”
Rose si rianimò improvvisamente, avviandosi di corsa lungo la strada principale che si inerpicava girando attorno alla montagna. E pensare che bastava il suo cacciavite sonico per portarli subito alla loro meta.

“Vuoi muoverti, vecchietto!” Lo prese in giro lei sbracciandosi da un terrazzo panoramico, due tornanti avanti a lui.
“Facciamo a gara, vuoi?” Le urlò di rimando lui, salutandola dal basso. “Il primo che arriva in cima vince.”
“E cosa vince?” Domandò lei, occhieggiando che alla meta le mancavano due piccoli giri del monte.
“Puoi chiedermi qualsiasi cosa.”
“Ci sto!”
“Pronti? Attenti. Via!” Esclamò il Dottore iniziando a camminare tranquillamente, le mani nelle tasche. Rose, al contrario, era partita come una scheggia, i capelli biondi mossi dal vento, del tutto concentrata nel raggiungere la meta prima dell’altro e godersi il suo premio.
Aveva fatto un giro del monte, gliene mancava uno e avrebbe vinto. Si voltò a guardare come se la stava cavando il suo avversario e riuscì a scorgere il Dottore che proseguiva del tutto tranquillo, si fermava addirittura ad osservare la merce esposta.
“Ehi! Non vale farmi vincere!” Urlò, del tutto offesa dalla mancata partecipazione dell’altro alla sfida.
“Vincere?” Ribatté lui, perplesso. “E chi ha mai parlato di lasciarti vincere? Volevo solo darti un po’ di vantaggio.”
Rose sembrava molto dubbiosa, ma riprese comunque a correre, un’abitudine che aveva preso dalla sua vita col Dottore.
Il Dottore la seguì con lo sguardo.
Uno.
Due.
Tre.
Premette un pulsante del suo cacciavite e in un battito di ciglia si ritrovò in cima, all’ombra dell’antico salice che con le sue fronde occupava buona parte del grande piazzale.
Pochi minuti dopo scorse la piccola figura di Rose avanzare stancamente, strascicando i piedi sul selciato polveroso. I capelli erano tutti arruffati e sulle gote faceva capolino un leggero rossore dovuto alla lunga corsa.
“Ciao!” La salutò, andandole incontro.
“Come hai fatto?” Sibilò rabbiosa lei appena ebbe ripreso un minimo di fiato, osservando come lui non fosse minimamente sfiancato dalla corsa.
Le agitò davanti al viso il suo cacciavite sonico, allontanandosi poi velocemente evitando così il suo scatto furioso.
“Hai barato!”
“No, non abbiamo mai specificato le modalità della gara!” Si difese lui con un sorriso, cercando di evitare i pugni che lei gli voleva assestare. Le bloccò con facilità i polsi dietro la schiena, voltandola in modo che potesse osservare la piazza che si era conquistata con fatica.
“Ora, che dici di conservare le energie per uno shopping sfrenato?” Le mormorò suadente all’orecchio facendole ondeggiare davanti agli occhi una carta magnetica. Rose si calmò, osservando curiosa l’oggetto che sventolava davanti al suo naso.
“Carta con credito illimitato. Vai e divertiti!” Le disse, ponendole tra le mani la carta e liberandole i polsi. “Te la sei meritata!”

Rose si illuminò e accettò l’offerta con molto piacere. Aveva giusto bisogno di rinnovare il suo guardaroba! Il Dottore la seguì con lo sguardo finché non scomparve tra quell’accozzaglia di signore dedite agli acquisti. Le donne. Tutte uguali, di qualsiasi mondo, epoca e specie. Basta parlare loro di vestiti e si troveranno subito piene di forze.
Rilasciò un sospiro e si mise a passeggiare senza una meta ben precisa, lasciando che le sue gambe decidessero da sole dove andare, non accorgendosi di un’ombra che lo seguiva silenziosa.

Era ormai il tramonto quando si videro di nuovo. Rose aveva le mani ingombre di sacchetti e pacchetti e appariva del tutto galvanizzata da quella giornata, stando a quello che aveva comprato. Si chiese se mai avrebbe adoperato uno scafandro plutoniano, rigirandosi il casco che aveva tra le mani.
“Ti sei divertita?” Le chiese avvicinandosi al parapetto e guardando quella piccola cittadina che con calma si preparava per il calar della sera.
“Molto, grazie!” Mormorò lei accostandosi a lui.
“Bene.” Biascicò il Dottore dando le spalle al panorama e mettendo una mano in tasca del cappotto alla ricerca di qualcosa. “Questo è per te.” Le disse posando un piccolo pacchetto sul parapetto, voltando il viso dall’altra parte, parendo del tutto concentrato nell’osservazione del piazzale ormai vuoto.
“Per me?” Ripeté Rose incredula, afferrando l’involucro e lasciando che un piccolo sorriso facesse capolino sul suo volto. Il Dottore annuì facendo schioccare la lingua sul palato.
La ragazza scartò con molta cura il pacchetto, trattandolo come fosse un bene dal valore inestimabile, rivelando infine un piccolo braccialetto argentato che si chiudeva con un intreccio su cui erano incastonate due pietre: una verde e una rossa.
“È meraviglioso!” Esclamò mettendoselo al polso e alzandosi sulla punta dei piedi per schioccare un bacio sulla guancia del Dottore.
“Ti piace?”
“Assolutamente sì. Che pietre sono?” Chiese passando un polpastrello sulle minuscole sfaccettature che definivano i due minerali.
“È acciaio della stella di Sirio. Non si rovina e non si ossida. Difficile da lavorare, ma qui i mastri orafi sono dei veri esperti.” Spiegò lui prendendo il polso della ragazza tra le mani e facendole osservare più da vicino la delicata lavorazione a cui il metallo era stato sottoposto.
“Le pietre non sono dei banali smeraldi e rubini. Voi umani li considerate preziosi, ma nelle varie galassie non sono altro che materiale di scarto. No, le tue pietre sono Kryptonite verde e rossa.”
“Quindi se un giorno sarò in pericolo e Superman vorrà salvarmi, mi lascerà morire.” Scherzò lei alzando il braccio verso il sole morente e osservando i giochi di luce che le pietre proiettavano al suolo.
“Mi sa che quest’incombenza spetterà sempre a me.” Affermò lui in tono fintamente seccato, beccandosi l’ennesimo pugno della giornata.
“Ehi! Come siamo maneschi, oggi!”
Rose gli rispose con un linguaccia, tornando a concentrarsi sul suo regalo.
Il Dottore la fissò con dolcezza, col sole del tramonto che le carezzava i contorni del volto.
“Torniamo al TARDIS.”

Stavano per incamminarsi lungo la strada del ritorno quando una mano sbucò all’improvviso dalle tenebre trascinando il Dottore e la sua compagna nel buio di un piccolo anfratto. La mano si affretto a coprire la bocca della ragazza prima che potesse mettersi ad urlare, facendo cenno al Dottore di fare silenzio e guardare i movimenti lungo la strada. C’erano poche persone ormai a quell’ora tarda del pomeriggio, il sole ormai scomparso dall’orizzonte. Erano tutte vestite con casacche di un grigio anonimo, camminavano in fila indiana con passo di marcia militare in completo silenzio. Improvvisamente, come di comune accordo, si fermarono davanti alle porte di alcuni edifici, i piedi che marciavano sul posto, quasi fossero in attesa di ulteriori istruzioni. Per tutta la città si sentiva il battere ritmico dei loro piedi che cessò repentinamente, lasciando che una nuvola di polvere si alzasse intorno a loro. Come automi fecero irruzione nelle case per uscirne poi, poco dopo, trascinando via nell’assoluto silenzio dei grandi sacchi.

“Cosa sono?” Sillabò il Dottore, appena l’ultimo di quegli strani individui svoltò l’angolo col suo bottino.
“Umani.” Spiegò il proprietario della mano che li aveva rapiti, mollando la presa sulla ragazza e facendo cenno ai due di seguirlo lungo il vicolo. “O almeno, lo erano.” Continuò aprendo una porta, invitandoli ad entrare in un piccola stanza, fiocamente illuminata da una lampadina.
“Spiegati meglio.” Lo invitò il Dottore appoggiandosi alla porta e fissando gli occhi sulla figura del ragazzo. Mediamente alto, viso anonimo, doveva aver già visto molto ma i suoi tratti erano ancora quelli di un fanciullo, grandi orecchie. Indossava un lungo cappotto scuro che doveva aver visto giorni migliori, a giudicare dalla polvere che si era impossessata del tessuto e della divisa sottostante.
“Prima di tutto presentati.” Si intromise Rose nella discussione, guardando non del tutto convinta il ragazzo.
“Ah, sì. Scusate. Sono Alonso, Agente del Tempo.”
Il Dottore e Rose si scambiarono un’occhiata identica. Conoscevano il genere e questo non significava altro che guai.
“Cosa stavi dicendo prima su quegli uomini?” Riprese il discorso principale il Dottore, invitando il ragazzo ad andare avanti con la sua spiegazione.
“È un po’ di tempo che la gente sulla Terra scompare, così mi hanno mandato ad indagare e sono giunto fino a qui, dove si registra il massimo dell’attività. Ogni sera, alla stessa ora, appaiono quelle persone e, nel silenzio più assoluto, prelevano dai vari edifici degli umani, li mettono in un sacco e si dirigono verso la cima del monte. Lì scompaiono nel nulla, esattamente come sono apparsi, portando con sé il loro bottino.” Illustrò tramite una lavagna digitale, che aveva proiettato su una parete della stanza. “Non so cosa facciano, né perché lo facciano. So solo che vanno fermati.”
“E perché hai chiesto proprio a noi, tra tutti?”
“Lei è il Dottore e presumo che la ragazza sia la sua compagna umana, Rose.”
“Bene!” Esclamò il Dottore inforcando gli occhiali e analizzando con più calma la situazione. “Visto che sembri sapere molte cose su di noi, non ti dispiace se do un’occhiata alle tue ricerche, vero?” Continuò azionando il suo cacciavite sonico, facendo apparire il resto dell’armamentario che era nascosto da delle finte pareti.
“Sapevo che lei era la persona giusta.” Commentò Alonso affrettandosi a fornire al Dottore tutte le informazioni di cui aveva bisogno.
“Uhm… tecnologia di seconda generazione.” Mormorò tra sé e sé il Dottore analizzando il poco materiale a sua disposizione. “Combinata con massa biologica. Umani, solo umani.” Si passò una mano tra i capelli, cercando di trovare una spiegazione logica che al momento sembrava sfuggirgli.
“Rose!” Chiamò scattando in piedi e iniziando a scuotere la ragazza per le spalle. “Voi umani siete strani. Siete sempre stati attirati da qualcosa di più grande di voi. Ma cosa?”
“Ehm… esplorare l’universo?”
Il Dottore scosse la testa. “No, qualcosa di più terreno, qualcosa di…”
“Sconfiggere le malattie?” Si intromise Alonso.
“Quasi, ma no. Non credo. Tutto ciò non avrebbe senso.”
“Eterna giovinezza?”
“Superpoteri?”
“Viaggi nelle dimensioni?”
“Ingannare la morte?”
“Essere padroni dell’universo?”
Elencarono a turno Rose e Alonso.
“Ecco!” Esclamò a un certo punto il Dottore. “L’avete detto: la morte. Questa tecnologia è un prototipo di una nuova razza di uomini. Piccoli microchip installati nel cervello, per esperimenti su piccola scala. Controllo delle persone a distanza.”
Il Dottore camminava su e giù per la stanza, snocciolando nozioni ed esponendo molteplici soluzioni.
“Geniale. Chiunque l’abbia inventato è assolutamente geniale.”
“Si direbbe che ti piaccia.” Commentò Rose intromettendosi nel suo sproloquiare ad alta voce.
“Oh, sì, Rose. Vuoi umani mirate sempre in alto, oltre le vostre possibilità. Siete affascinanti da osservare, ma anche incredibilmente sciocchi. Padroni dell’universo, eh?” Ammiccò in direzione di Alonso. “Anche molto modesti nello scegliere i vostri obiettivi.”
“Ma ora basta parlare. Mettiamoci al lavoro!”
“Cosa ti serve?” Chiese Rose, afferrando in mano la situazione.

Sgusciarono per le stradine vuote protetti dal buio della notte. Cercavano di muoversi il più silenziosamente possibile, rasenti agli edifici. Arrivati sulla sommità del monte tutto appariva tranquillo: nessun segno del passaggio di quegli umani, nessuna impronta lasciata sul terreno.
“Da questa parte.” Sussurrò Alonso, facendo loro cenno di seguirlo. Giunse fino ai piedi del grande salice, posando le mani sul suo tronco ruvido.
“È qui che si vedono per l’ultima volta quei cosi, prima di scomparire del tutto.” Illustrò girando attorno all’albero. Il Dottore si avvicinò cautamente, scandagliando la zona col suo cacciavite sonico. Improvvisamente si bloccò: doveva aver trovato qualcosa.
“Ottimo lavoro, Alonso. Porta di ingresso!” Spiegò felice come una pasqua facendo apparire un piccolo varco situato nel tronco dell’albero.
Era una piccola breccia luminosa, delle dimensioni giuste per il passaggio di una persona; dalla forma ricordava una palpebra socchiusa sul mondo.
“Aspettami qui, Rose.” Disse voltandosi verso la giovane compagna.
“Oh, non ci pensare nemmeno a lasciarmi dietro, Dottore. O devo ricordarti cos’è successo l’ultima volta?” Rispose Rose spigliata, attraversando il passaggio e venendo subito rincorsa da un rassegnato Dottore.
“Donne.” Borbottò tra sé il Dottore, facendo ghignare un divertito Alonso.
“Se mai volessi variare la compagnia sono abituato ai viaggi nello spazio.” Si propose il giovane.
“Agenti del Tempo.” Commentò Rose, proseguendo con circospezione lungo il corridoio.

Sembrava un sottopassaggio abbandonato di una vecchia metropolitana terrestre. Le pareti erano ricoperte da mattonelle scrostate, dal soffitto pendevano i cavi dell’illuminazione con le grandi luci al neon che si accendevano ad intermittenza.
“Da che parte?” Bisbigliò Rose trovandosi di fronte a un bivio e lasciando che fosse il Dottore a fare strada.
“Ci dividiamo?” Propose Alonso, anche se non sembrava del tutto propenso a seguire il suo consiglio.
Il Dottore scandagliò con attenzione le tre opzioni che si paravano loro di fronte: il suo cacciavite sonico non rilevava niente di maggiormente rilevante in nessuna delle diverse vie.
“Da questa parte!” Proclamò a un certo punto, avviandosi con passo sicuro lungo il corridoio alla sua sinistra.
“Il tuo strumento ha rilevato qualcosa di interessante?” Si informò Alonso, raggiungendo il suo fianco.
“No, mio caro.” Rispose lui passandogli un braccio attorno alle spalle. “Ma una volta ho sentito un consiglio molto interessante: ‘Quando non sai dove andare, segui il tuo naso. Ti indicherà la strada giusta’. E da questa parte l’aria è meno fetida.”
“Il Signore degli Anelli!” Esclamò Rose, avendo riconosciuto la battuta.
“Già, il buon vecchio Tolkien. Un giorno di questi andremo a trovarlo, ti va? Ora, silenzio, ci siamo.” Li ammonì, vedendo che la luce attorno a loro si andava a fare sempre più forte.

Camminarono con ancora più circospezione, attenti a dove mettevano i piedi per fare meno rumore possibile. Il corridoio svoltò un’ultima volta ancora, prima di aprirsi su una grande stanza circolare. Le sue pareti erano completamente bianche e si chiudevano con una cupola vetrata sul soffitto. La luce era artificiale e dava all’intero ambiente un aspetto di ambulatorio, impressione enfatizzata anche dall’odore di disinfettante che si sprigionava nell’aria. Al centro della stanza si trovava uno strano macchinario, collegato con un numero spropositato di fili ai computer disposti tutt’intorno.
“Che cosa sono?” Bisbigliò Alonso all’orecchio del Dottore.
“Non ne sono ancora sicuro, ma penso sia il macchinario che stiamo cercando.”
Sporse la testa oltre il loro nascondiglio, guardando da una parte e dall’altra per controllare che non ci fosse nessuno in giro, prima di attraversare con lunghe falcate la stanza fino a trovarsi di fronte alla macchina. Gli altri lo seguirono circospetti, mentre lui, indossati i suoi onnipresenti occhiali, girava tutt’intorno per cercare di capire qualcosa di più dello strumento.
“Sì, sì. Una macchina per l’installazione dei microchip. Uh! E cosa abbiamo qui?” Esclamò avendo notato nella stanza attigua qualcosa di ancor più interessante. “Protesi meccaniche. Vogliono costruire delle vere e proprie macchine da guerra.”
“Dottore…”
“Si direbbe un prototipo di Cyber-”
“Dottore!” Urlò di nuovo Rose richiedendo a gran voce la sua attenzione.
“Rose! Cosa c’è?”
“Mi sa che siamo stati scoperti.” Spiegò lei pazientemente, salutandolo con l’unica mano rimastale libera.
“Acuta osservazione, Miss Tyler.” Ne convenne il Dottore, facendo un rapido inchino ai carcerieri della sua compagna e di Alonso.

Erano umani, o almeno, il loro corpo aveva ancora fattezze umane. I loro arti erano stati sostituiti da protesi meccaniche che presentavano all’occorrenza armi di vario genere, mentre il loro corpo era stato coperto da una corazza metallica.
“Non muoverti.” Disse uno di loro con una stridente voce metallica, puntando il braccio, armato di fucile, verso il petto del Dottore.
“Oh, non c’è bisogno di tutte quelle armi.” Commentò lui con fare discorsivo, arretrando verso il pannello dei comandi. “L’unica cosa che posseggo è un piccolo e innocuo cacciavite sonico. Non fa male a nessuno. Tranne-” continuò azionando il dispositivo e puntandolo alla sua sinistra, “-che vicino a un magnete.” Esclamò eseguendo quanto detto e balzando di lato, mentre gli uomini-macchina venivano inesorabilmente attratti verso la fonte magnetica. Recuperò Rose e Alonso involandosi poi lungo un altro corridoio.

“Cosa facciamo adesso?” Urlò Rose alle sue spalle, sentendo attorno a sé il piccolo esercito mettersi in moto contro gli intrusi.
“Cerchiamo la macchina principale.” Rispose lui indicando i fili che correvano lungo il soffitto, indicando loro la strada da seguire. “Dovrebbe essere simile a quella che c’era in quella stanza, solo un po’ più grande.”
“Qualcosa tipo quella?” Urlò Alonso dietro di loro, indicando una stanza alla loro destra.
“Esatto! Dentro!” Li esortò il Dottore, abbassandosi quando un fascio luminoso volò appena sopra le loro teste.
“Ci penso io a tenerli indietro!” Si offrì Alonso, tirando fuori uno strano oggetto dalla tasca del cappotto.
“Oh, cos’è?” Domandò il Dottore curioso, volendo osservare più da vicino lo strumento.
“Un fucile sonico. Piccolo ma estremamente potente. E, guarda, se premo qui-”
“Signori.” Li interruppe Rose esasperata. “Rimandiamo a dopo i convenevoli, che dite? Abbiamo un piccolo esercito di Cyber-uomini abbastanza inferocito di cui occuparci!”
“Giusto! Prima il dovere. Allora… vediamo un po’… cavo rosso, cavo blu.” Il Dottore li prese entrambi in mano, seguendo il loro percorso fino al pannello di controllo. “Oh. Era così tanto tempo che non vedevo un sistema del genere.”
Pareva volare a mezz’aria da tanto era felice della situazione.
“Dottore!” Lo richiamò all’ordine Rose, iniziando a vedere Alonso in leggera difficoltà.
Il Dottore fece saltare le viti che chiudevano il pannello dei comandi, cominciando ad esaminare la situazione. Era tutto collegato tramite lo stesso generatore, mossa comoda per portare avanti gli esperimenti, ma anche molto poco furba nel caso qualcuno, come loro in quel frangente, avesse deciso di sabotare il piano.
“A che punto siamo?” Domandò Rose affannandosi per la stanza alla ricerca di qualsiasi cosa potesse essere utile per innalzare un’ultima barriera difensiva.
“Mi servirebbe un po’ di luce in più.” Smozzicò lui col cacciavite sonico in bocca, mentre le sue mani erano impegnate nel seguire i vari percorsi dei cavi.
Rose si frugò nelle tasche del giubbotto di jeans, facendosi scappare un’esclamazione di vittoria quando finalmente trovò ciò che stava cercando.
“Tieni!” Gli urlò, lanciandogli un oggetto che il Dottore afferrò al volo.
“Ah, Rose Tyler. Sei una donna davvero brillante!” Esclamò baciando il dispositivo sonico che la ragazza gli aveva procurato.
Rose sorrise di rimando.
“Te l’avevo detto che poteva tornarci utile.”
“Piccioncini?” Urlò Alonso, riportandoli alla realtà. “Non vorrei farvi fretta, ma gli ominidi qui non sembrano molto amichevoli.”
“Ci sono, ci sono quasi.”
“Ancora due minuti posso resistere.” Ribatté Alonso, continuando a sparare.
Il Dottore lanciò il suo cacciavite alla ragazza che lo prese prontamente.
“Impostalo su 2500 e puntalo su quel pannello, quando te lo dico io.” Le ordinò velocemente, iniziando a tirare i vari fili.
“30 secondi.”
“Alonso, vieni dentro. Rose!”
Il ragazzo entrò di corsa, mentre i raggi laser dei nemici sbattevano contro la porta sigillata.
“Bene. Abbiamo guadagnato qualche minuto. Ora-” iniziò a esporre il Dottore camminando su e giù per la stanza, “-ci serve qualcosa di veramente distruttivo. Non è un sistema semplice come pensavo. Collegamento psicomotorio di quarta generazione. Tecnologia molto avanzata.”
“Pensa, pensa, pensa.” Ripeteva come un mantra, le mani nei capelli a conferirgli l’aspetto di un pazzo agitato. “Ci sono! Mi serve del sodio, litio, boro e silicio.”
Si guardò intorno nella stanza, alla ricerca dell’occorrente, mentre i nemici premevano per entrare. Rose gli si avvicinò, reggendo su una mano un oggetto.
“Non ho capito cosa ti serve, ma questo potrebbe tornarti utile?”
Era il braccialetto che le aveva regalato solo poche ore prima: acciaio di Sirio e Kryptonite verde e rossa. La prese con la punta delle dita, toccandone delicatamente l’accurata lavorazione.
Rialzò lo sguardo puntandolo sul volto della compagna che lo osservava di rimando convinta delle proprie scelte. Strinse il bracciale in un pugno, posizionandolo sul pannello di controllo.
“Farà un bel botto!” Annunciò ultimando gli ultimi collegamenti.
I Cyber-uomini avevano quasi sfondato la porta, mancava poco e avrebbero fatto irruzione nella stanza. Il Dottore diede un’ultima occhiata ai collegamenti, prima di puntare il suo cacciavite verso l’arma di fortuna che aveva creato e balzare dietro la barriera innalzata dai due ragazzi.
“Giù!” Fece in tempo ad urlare, spingendo Rose e Alonso a terra, facendo loro da scudo.
Ne seguì un’esplosione violenta che lasciò poi il posto a una calma innaturale.
I tre si rialzarono lentamente, i vestiti sporchi di polvere bianca, mentre attorno a loro c’era il silenzio più assoluto. I Cyber-uomini giacevano esanimi sul terreno, il pericolo era stato scongiurato.
“Ce l’abbia fatta.” Sussurrò Alonso in un soffio, pungolando con la punta della scarpa uno di quegli ominidi, ormai del tutto innocuo.
“Siamo salvi.” Gli fece eco Rose lanciandosi in un abbraccio col suo Dottore.

Tornarono silenziosamente al TARDIS, ognuno immerso nei propri pensieri. Il Dottore aprì la porta, lasciando entrare Rose mentre scambiava le ultime parole con Alonso.
“Fa attenzione.” Lo ammonì riferendosi ai fatti di quella notte. “Questo non è solo che l’inizio. Abbiamo scalfito appena la punta dell’iceberg.”
Alonso annuì, ascoltando attento i suoi consigli.
“È stato un piacere lavorare con lei, Dottore.” Disse scattando sull’attenti e salutandolo come si confà a un Capitano.
“Allons-y, Alonso.” Rispose il Dottore, prima di scomparire all’interno del TARDIS.

“Prossima meta?” Lo accolse raggiante Rose, mentre il Dottore lanciava con poca cura l’impermeabile impolverato nell’incavo della colonna, prima di dirigersi ai comandi.
“Mi spiace per il finire della giornata.”
“Non sarebbe il solito viaggiare con te, se non succedesse qualcosa.”
Il Dottore le sorrise, tirando fuori un pacchetto dalla tasca dell’impermeabile.
“Mi dispiace per il braccialetto.” Le ripeté scartando l’involucro e mostrandole l’oggetto incriminato.
“Non importa.” Sussurrò lei prendendolo in mano. Le due pietre erano state irrimediabilmente danneggiate dallo scoppio. Non presentavano più la colorazione originaria, ma erano quasi trasparenti. Le piccole sfaccettature con cui erano state lavorate creavano un’infinita di giochi luminosi alla fioca luce dell’interno del TARDIS.
“Sembrano due pezzi di vetro.” Mugugnò Rose un po’ contrariata.
“In realtà quelle due pietre non sono altro che un reticolo cristallino di atomi di carbonio disposti secondo una struttura tetraedrica,” snocciolò il Dottore tutto d’un fiato; “altrimenti detto diamante. Ora ti va un salt-?”
Rose non gli lasciò nemmeno concludere la frase, alzandosi sulle punte dei piedi per schioccargli un bacio sulle labbra.
“Wow.” Esalò il Dottore passandosi un dito sulle labbra, mentre attorno a loro calava un silenzio imbarazzato.
“Dicevo, un salto nel passato, ti va?” Le propose alzandole con mano gentile il volto congestionato e sorridendole dolcemente.
“Buon compleanno, Rose.”

FINE

Note finali:
Ok, mi sono presa davvero male a scrivere sul Dottore, e la challenge sembra creata apposta per lo scopo!
Un ringraziamento speciale a KillerQueen86 per avere commentato la mia precedente incursione nel fandom del Dottore. Non garantisco nulla per la sfida di questa settimana, ma ormai mi sono innamorata persa di questo fandom e credo che continuerò a spargere in giro altre storie!
   
 
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