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Autore: Lady_Firiel    24/04/2010    4 recensioni
Perché era così dannatamente difficile?
Ennesima RoyEd incentrata sulle emozioni tormentate di Edward e sulla metafora "Roy/Peccato".
Commenti e soprattutto critiche, estremamente gradite
Buona lettura (spero)
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Between two lines

Between two lines



Part I:
Over the borderline


Edward Elric entrò, quasi intimidito, nell’ufficio del Generale di Divisione Mustang.
«Oh, Acciaio. Eccoti, iniziavo a domandarmi che fine avessi fatto…» lo salutò il moro, allegro.
Sospirando pesantemente, Acciaio si lasciò cadere su una delle sedie di fronte alla scrivania del superiore; sbuffò.
«Non giriamoci intorno, mi firmi quel foglio e facciamola finita…»
Con un mezzo sorriso ancora in volto, Roy si accinse ad apporre la propria elegante firma in fondo alla lettera di congedo che il sottoposto gli aveva presentato circa tre giorni prima.
«Così te ne torni a Resembool, Fullmetal?» domandò, riconsegnandogliela.
«Sì. Ora che Al ha di nuovo il suo corpo ed io i miei arti… Credo che ci faccia bene un periodo di riposo…» sorrise, prendendo il foglio dalle mani dell’uomo.
«Perché non hai rassegnato le dimissioni?» chiese, a tradimento. Ed sussultò, sorpreso.
«Cosa… ?»
«Hai sempre detto che, una volta raggiunto il tuo scopo, avresti lasciato l’esercito. Allora perché hai chiesto solo un congedo temporaneo?»
Quella domanda era più che legittima. Era invece la risposta, ad essere inadatta alla situazione.
Perché come avrebbe potuto, Acciaio, rivelare all’ex-Colonnello che non voleva dimettersi per poterlo rivedere ancora, per potersi confrontare con lui un’altra volta?
Come avrebbe potuto, Edward Elric, rivelare a Roy Mustang che non voleva dimettersi… perché si era innamorato di lui?
Sospirò, come una scolaretta innamorata, e il Generale arcuò un sopracciglio, scettico.
«Edward, va tutto bene?» s’informò, perplesso dall’inusuale comportamento del sottoposto, che si affrettò a ricomporsi, scuotendo la testa.
«Ah, sì, mi scusi, io… Ero sovrappensiero…» si giustificò, pregando chissà che Dio affinché Mustang non facesse altre domande; ma, forse proprio perché un Dio per lui non esisteva, quella muta preghiera non venne ascoltata.
«E a cosa, se è lecito? Sembravi una ragazzina alla prima cotta…» lo punzecchiò, con un ghigno soddisfatto sul bel volto. Ed deglutì.
«N..non sono affari che la riguardano, Colonnello di merda…» borbottò.
«Generale, Acciaio. Devo marchiartelo a fuoco sulla fronte perché te lo ricordi?»
Stupidamente, molto stupidamente, per un attimo, un folle attimo, Edward pensò di dirgli di sì, per avere sulla propria pelle un segno, un marchio che fosse suo, di quel borioso ed affascinante militare che sedeva dall’altro lato di quella scrivania di noce e lo guardava con maliziosi occhi d’antracite.
“Ti prego, non guardarmi così…” supplicò. A se stesso.
«Non dica cretinate, Colon- pardon, Generale dei miei stivali!» protestò.
«Preferivi il collo?» avanzò, sghignazzando. La pelle del diciottenne divenne pallida.
«L..la smetta con le stronzate!» urlò, preda di una disperazione semi cieca.
Avrebbe voluto piangere: ma quanto gli sarebbe costato farlo davanti a quel fottuto narcisista?
Gli bruciava la gola, un groppo che gli gravava sul respiro come un enorme macigno.
Perché, perché quel maledetto non capiva? Perché non si rendeva conto di quanto quelle battutine sarcastiche ed allusive lo facessero sentire male?
Perché?
La sorte, per quel giorno, decise di essersela presa abbastanza con quel povero ragazzo, e si dimostrò clemente.
«Scusami, Fullmetal. Non era mia intenzione farti alterare in questo modo…» dichiarò, pratico, Mustang, tornando, con un sospiro, alle sue pratiche.
Edward strizzò gli occhi, per scacciare quel noioso ed impertinente pizzicore formatosi negli angoli degli stessi.
Tacquero, lo scorrere del tempo scandito solo dal ticchettio dell’orologio da parete e dallo scivolare sul foglio della penna.
In quel momento, il biondino si rese conto che sarebbe potuto rimanere così per sempre: perché amava Roy Mustang a tal punto, che pur di averlo vicino si sarebbe accontentato anche dei suoi silenzi.
Gli sarebbero bastati, sì.
«Acciaio?» lo richiamò ad un tratto il Generale, riscuotendolo nuovamente dai suoi pensieri.
Pensieri pericolosi.
«Che vuole?»
«Perché sei ancora qui? Cosa stai aspettando?»
«Se vuole che me ne vada ha solo da dirlo!» s’inalberò, ferito.
«No, no, certo che no…» lo contraddisse, scuotendo pacatamente il capo «Mi era solo sembrato… strano, ecco»
«Tsk…» fu la risposta.
Con il viso chino sulla scartoffie, Roy sorrise appena: quanto era suscettibile, mame-chan.
«Fullmetal, hai impegni per questa sera?» domandò poi, di punto in bianco.
Ed arrossì, sorpreso.
«Eh? N..no, io…»
«Ti posso invitare a cena, allora?» propose, alzando finalmente il volto su di lui, per studiarne l’espressione.
Il cuore del diciottenne perse un battito. E poi un altro e un altro ancora. Per un attimo, gli parve si fosse fermato, per poi riprendere la sua corsa ad una folle velocità.
«Lei… Sta scherzando?» “Ti prego, dimmi… dimmi di sì”
«No, Acciaio, sono serissimo. Sai, potrebbe essere l’ultima occasione per bearsi dei tuoi strepiti…» ammiccò.
Cosa doveva fare, adesso, lui?
Cosa doveva fare, rifiutare, rischiando di farlo rimanere male?
Oppure accettare, mettersi in gioco e godersi la sua compagnia per… un’ultima volta?
Difficile scegliere cosa seguire, quando si è un alchimista innamorato: perché sei abituato alla scienza del mondo, eppure… Non c’è scienza alcuna, né logica, nei beffardi giochi organizzati da quel bastardo di Cupido.
Non vi sono regole da seguire, né strade già tracciate. Puoi solo fidarti, chiudere gli occhi e sperare di non inciampare.
E allora, se avrai fortuna, potrai anche andare a sbattere contro la tua anima gemella, aprire gli occhi e, finalmente, goderti la tua felicità.
Ma questo, Edward Elric ancora non poteva saperlo: e nel suo modo un po’ troppo pratico di vedere il mondo, un mondo dove il grigio era solo una semplice sfumatura del tutto trascurabile tra bianco e nero, era convinto che anche l’amore seguisse una sua logica.
Fu per questo che, con un groppo in gola e una voglia di piangere pronta ad esplodere come neppure una delle bombe di Kimbly sarebbe stata capace di fare, declinò l’offerta.
«N..no, la ringrazio. Penso che prenderò il primo treno di domattina per tornare a casa…»
E decise che l’avrebbe fatto davvero.
«Mm, capisco. In tal caso, direi che possiamo anche salutarci qui…» E gli tese una mano guantata, sorridendogli con… dolcezza?
«Taisa…» un sussurro lieve, sfuggito per caso alle labbra del biondino, ma Mustang lo sentì: e bastò per far vacillare la sua baldanza. Si alzò in piedi ed aggirò la scrivania, accovacciandosi davanti al sottoposto. Gli sfiorò la fronte, scostando i ciuffi dorati dagli occhi.
«Edward, sei sicuro che vada tutto bene?» domandò, sinceramente preoccupato.
“Perché devi essere sempre così… Così perfetto!” gemette tra sé, frustrato, Elric.
Gli occhi d’antracite di Roy lo scrutavano con premura, le labbra tirate in un sorriso dannatamente –oh sì, davvero dannatamente- affettuoso.
E il Fullmetal Alchemist non riuscì a resistere: si rifugiò come un bambino tra le braccia dell’uomo, iniziando a singhiozzare contro il suo petto, artigliando la giacca graduata della divisa.
Mustang rimase sorpreso da quel gesto, ed ancora più da quei singhiozzi, ma non disse nulla: si limitò a carezzare dolcemente la chioma dorata.
«Taisa… Taisa…» continuava a singhiozzare il più giovane, stringendosi sempre di più al moro.
«Va tutto bene, Ed. Va tutto bene…»
Gli prese il volto tra le mani, sollevandolo: lo guardò negli occhi, dorati e lucidi, poi accostò le labbra alla sua fronte, per posarvi un bacio leggero.
Ma il Fullmetal si alzò di scatto, spostandosi quel tanto che bastava affinché le labbra di Roy si posassero sulle sue.
Il Generale rimase sorpreso da quel gesto e cercò di scansare il ragazzo, ma quello non glielo permise, allacciandogli le braccia attorno al collo e premendosi contro il suo corpo, deciso ad assaporare quel contatto fino alla fine.
Quando la necessità di respirare si fece sentire, impellente, Ed si staccò dal moro, allontanandosi velocemente da lui.
«Acciaio…» iniziò Mustang, sorpreso.
«M..mi scusi, i..io…» Ma lui… cosa?
«Edward, cosa…»
«Mi perdoni, Generale. Mi perdoni…» sussurrò, chinando il capo. Poi corse con tutte le sue forze fuori dall’ufficio.
«EDWARD!»
Quando Mustang si affacciò nel corridoio per richiamarlo, era troppo tardi: il Fullmetal Alchemist aveva già lasciato l’Headquarters.


Part II: Who says what’s wrong or what’s right?

Un’altra giornata volgeva al tramonto, tingendo il cielo di Resembool di meravigliose sfumature cremisi e viola.
«Nii-san, nii-san! Guarda!»
Alphonse Elric, corti capelli biondo scuro e grandi occhi ambrati, sorrideva come un bambino al fratello maggiore, indicando entusiasta il cielo, proprio come un infante avrebbe additato un bell’orsacchiotto nella vetrina del più noto negozio di giocattoli della città.
E proprio come una madre che, a quella vista, avrebbe sorriso con amorevole indulgenza, Edward Elric stirò le labbra in una smorfia di condiscendenza.
«Al, lo abbiamo già visto ieri sera. E l’altro ieri. E il giorno ancora prima. E…»
«Ho capito!» l’interruppe il diciottenne, imbronciato, suscitando l’ilarità del biondo.
«Nii-san! Smettila di ridere!» lo rimbrottò.
«Ma dai, Al! Sei proprio un bambino…» e gli scompigliò i capelli. L’altro mugugnò, infastidito.
«Nii-san, smettila! Guarda che qui il più bambino sembri tu!»
Ed si fermò. E lo guardò con rabbia.
«CHI SAREBBE IL FAGIOLINO MICROSCOPICO?!?! AL!» strillò, rincorrendo il fratellino che, frattanto, aveva avuto la saggezza di fuggire, ridendo come un matto:
quanto gli erano mancati l’energia e le sfuriate di Edward!

Sospirando, Ed si lasciò cadere sugli scalini del porticato di casa Rockbell:
un’altra serata limpida e tiepida, segno che oramai l’estate era alle porte.
Alzò lo sguardo, osservando le stelle con un pizzico di nostalgia: si ricordò di quella volta in cui era in missione con Mustang e si erano ritrovati a fissare quei lontanissimi puntini luminosi, disquisendo sulla loro natura poetica e scientifica.
Era stata, quella, una delle prime discussioni “pacifiche” avuto con l’ex-Colonnello.
Sospirò nuovamente. Chissà se lui se ne ricordava.
Scosse la testa: no, aveva preso una decisione e non poteva –per quanto tentato- tornare indietro.
Aveva deciso che, qualora lo avessero richiamato a Central City, avrebbe rassegnato le proprie dimissioni; e non lo avrebbe più rivisto.
Doveva dimenticarsi di lui.
Era passato un anno dall’ultima volta che si erano visti, da quando, in preda all’ansia da separazione e vittima dell’inaspettata dolcezza dell’uomo, lo aveva baciato: oh, era stato bello, come dimenticarlo?
Ma non poteva farci nulla, in quell’arco di tempo trascorso, sicuramente Mustang si era spostato e, magari, aveva iniziato a metter su famiglia.
Forse, si ritrovò a pensare, con il Tenente Colonnello Hawkeye, una donna semplicemente straordinaria, l’unica, secondo lui, che lo fosse abbastanza da poter vivere per sempre accanto a Roy.
Anche se non volle ammetterlo, il suo cuore sussultò quando nella sua mente si profilò l’immagine di una Riza con uno splendido e vaporoso abito bianco, tutta sorridente con un mazzo di fiori d’arancio tra le mani, aggrappata al braccio di un Roy con indosso uno smoking.
E diamine, perché doveva essere così sexy, quel maledetto?
Scacciò l’oramai familiare groppo alla gola, deglutendo.
Era uno stupido, punto. E non si sarebbe mai perdonato quello sbaglio.
Affondò il viso tra le mani fredde, facendole poi scivolare sul naso, portando con sé degli sparuti residui di lacrime, ma un leggero singulto gli sfuggì.
«Ed?» la voce accorata di Winry lo riscosse e sollevò il viso, guardandola: col tempo era diventata davvero una bella ragazza, oramai sbocciata in una splendida donna, il sorriso materno e comprensivo e una luce dolce negli occhi cerulei.
Ma perché la dolcezza di lei non era neppure lontanamente paragonabile a quella di lui?
«Winry…» sussurrò, mentre lei gli sedeva accanto.
«Edward, non ti va di dirmi che cos’hai? È un anno che sei tornato, eppure la sera ti vedo- omise di dire “ti sento” -in questo stato. Perché non ti apri con me, Edward? O almeno con Alphonse, che è tuo fratello…»
Acciaio moriva dalla voglia di gridarlo. A lei, ad Al, all’intera Resembool.
A tutta Amestris.
Ma c’era qualcosa che lo frenava: la persona che lo faceva sentire così, devastato, distrutto, ridotto all’ombra dell’orgoglioso “soldato” che era stato, era esattamente l’ultima di cui si sarebbe dovuto innamorare.
Perché erano due uomini, ed era immorale. Sbagliato.
Ma chi dice cos’è sbagliato e cos’è giusto?
La morale. Il popolo. Gli amici.
Ma se sono tuoi amici, perché dovrebbero giudicarti?
Coraggio, Edward: non hai avuto paura quando hai infranto il più grande dei tabù… E ne hai ora, che ti sei semplicemente innamorato?
Si alzò in piedi, sulla veranda, e scese gli scalini, Winry lo guardava senza capire quello strano gesto.
Fece qualche passo lungo la stradina, poi rise, la risata spensierata del bambino che era e che, in fondo, sarebbe sempre stato; poi portò due mani alla bocca, circondandola per amplificare l’urlo che a breve avrebbe emesso.
Infine si fece coraggio e urlò:
«IO AMO ROY MUSTANG!» e lo disse con tutta la voce che i suoi polmoni, provati dalle lacrime, riuscirono a fornirgli.
L’eco delle sue parole risuonò nella valle, riportandogliele infinite volte alle orecchie, persuadendolo sempre di più.
Una chiave inglese lo colpì alla nuca.
«Ahio! Win, che diavolo… ?!»
«Si può sapere che aspettavi a dircelo, brutto zuccone?!» lo rimbrottò, falsamente arrabbiata, felice che, finalmente, il suo amico avesse tirato fuori il proprio male.
«Winry…» sussurrò Ed, ma lei non lo lasciò parlare, abbracciandolo.
«Sei uno scemo. È una cosa bellissima e non hai motivo di vergognartene, Ed… Al cuor non si comanda!» e insieme risero.
«Nii-san! Winry!» Alphonse spuntò sulla veranda, agitato, e li fissò preoccupato.
«Al, va tutto bene?» s’informò Ed. Il più piccolo annuì, poi parlo:
«Avete sentito anche voi un pazzo urlare “Io amo Roy Mustang”?»
Ed e Winry si guardarono, poi scoppiarono a ridere nuovamente.
«Che cosa ho detto!» protestò Al, non capendo il motivo di quell’ilarità.
«Al, forse ci sono un paio di cosette che devo spiegarti…» sorrise Ed, e avvolgendogli un braccio attorno alle spalle, lo trascinò dentro casa, finalmente con il cuore più leggero.
Perché dopotutto, chi dice cos’è sbagliato e cos’è giusto?


Part III: You have to follow your feelings

Quando arrivò una lettera dall’Headquarters di Central City, il cuore di Ed iniziò a battere furiosamente.
«No, non voglio leggerla, di sicuro mi hanno richiamato per una guerra…» borbottò.
«Ma nii-san, non volevi dare le dimissioni?»
«Ehm… Forse ci ho ripensato…»
Al si batté una mano sulla fronte, sconsolato.
«Ma magari è una buona notizia…» ritentò.
«Certo, e magari Mustang si è sposato e quella lettera ci annuncia che è diventato padre… Non voglio neppure pensarci!» proruppe, stringendosi le tempie tra le mani. Alphonse sospirò, prese la lettera e, mentre il fratello vagava per la stanza come un’anima in pena, la lesse.
«Nii-san?»
«E se fosse morto? Oddio, no, non può morire, gli devo ancora ridare i 520 cens!»
«E allora preparali, nii-san…»
«E se fos… Cos’hai detto?»
«Ho detto» ripeté, ridacchiando «di preparare i 520 cens che devi ridare a Mustang: la lettera chiede il tuo ritorno a Central per la cerimonia d’investitura del nuovo Comandate Supremo…»
«Vuoi dire che… Che ce l’ha fatta?!»
«Così pare…» sorrise, il diciottenne, porgendogli la lettera. Ed la guardò, basito, poi la lasciò cadere per terra e corse in camera sua, a fare le valigie.
Al sbatté le palpebre un paio di volte, perplesso, poi sorrise.
«Ah, è proprio innamorato!»

Preparata la borsa per il viaggio, Edward era salito sul primo treno in partenza per Central, salutando calorosamente Al e Winry, sorridenti.
«Ed, promettimi una cosa» aveva detto lei.
«Cosa?»
«La prossima volta che torni a casa… Portaci anche il Comandate!» e rise.
«Winry!» strillò, imbarazzato, ma poi sorrise a sua volta.
Il treno partì, la stazione si fece sempre più lontana e il suo sogno sempre più vicino.
Guardava con insistenza il paesaggio scorrere e mutare sotto ai suoi occhi e si rese conto per la prima volta, dopo averlo veduto decine d’altre prima d’allora, che non lo aveva mai osservato davvero.
Non aveva mai fatto caso agli alberi, ai campi, alle case piccole in lontananza, piccoli puntini colorati ad inframmezzare il brillante dominio sulla scena del verde prato.
Non aveva mai fatto caso alle colline e alle montagne, forme indistinte e puntute che indicavano inequivocabilmente il nord dello Stato.
Si rese conto di non aver mai visto sul serio quei dettagli del proprio mondo, troppo impegnato ad inseguire un sogno troppo prezioso per rischiare di voltare lo sguardo e perderlo di vista.
Rincorrendo una speranza che sembrava fioca come la fiamma di una candela oramai consumata, non aveva mai avuto il tempo, o forse la voglia, per alzare gli occhi e vedere nel cielo delle semplici nuvole bianche e soffici.
Un azzurro infinito e una stella brillante.
Un cielo sereno a far da tetto a un mondo troppo grande per un semplice uomo.
Questo e nulla più.
Nessuna paura di fallire e cadere, di perdersi nei propri incubi: ora non c’era più spazio per quei dubbi nel suo animo di bambino cresciuto troppo in fretta e ritrovatosi a desiderare ancora una volta qualcosa d’impossibile.
Aveva deciso di mettere da parte le proprie incertezze e affrontare la vita per come sarebbe venuta: era o no il celebre Fullmetal Alchemist?
Sorrise, mentre il cuore iniziava a palpitare frenetico contro le costole.

Non c’era nessuno ad attenderlo alla stazione di Central City: perché, troppo preso dal desiderio di rivedere il suo amato incubo, non si era curato di avvisare del suo arrivo.
Ma andava bene anche così. Sorrise, prendendo in mano la propria valigia e uscendo, avviandosi a piedi verso l’Headquarters.
Ma quel giorno la fortuna doveva essere voltata verso di lui.
«Edward?» domandò una gentile voce femminile, che lo fece voltare: Riza Hawkeye, la bella neo-Colonnello, al volante di un’auto scura, aveva abbassato il finestrino, guardandolo sorpresa.
«Colonnello Hawkeye!» esclamò il ragazzo, accostandosi alla portiera.
«Edward, che piacere rivederti! Ma quando sei arrivato, non ti aspettavamo così presto…»
«Beh, sono partito appena mi è arrivata la lettera…»
«Quindi sei diretto all’Headquarters?»
«Beh… sì»
Lei gli rivolse uno dei suoi rari ma luminosi sorrisi.
«Sali. Ti ci accompagno io»

Guardando fisso davanti a sé, Edward sedeva accanto a Riza, che guidava l’auto con sicurezza attraverso le vie di Central.
I palazzi, grigi e alti, illuminati dai raggi del sole di luglio, sembravano più belli dell’ultima volta che li aveva visti, immersi nelle ombre ed offuscati dalla sua disperazione.
«Così, alla fine ce l’ha fatta, eh?» borbottò, d’un tratto, per rompere quell’insopportabile silenzio.
«A quanto pare. Io ho sempre creduto in lui, per questo l’ho sempre seguito…»
Senza volerlo, Ed si chiese fino a che punto lo avesse seguito: gettò un’occhiata di sfuggita alla mano sinistra della donna, ma non vide alcuna fede dorata luccicare all’anulare e sospirò, un po’ più sereno.
«Edward?» lo chiamò Riza.
«Sì?»
Approfittando dello stop, si voltò a guardarlo negli occhi, grandi e dorati, inconsciamente traboccati di nuovi sogni e nuove speranze.
«Tu sei innamorato del Comandante?» gli domandò.
Acciaio arrossì: come diavolo aveva fatto a capirlo? Era così evidente?
Lei lo scrutava, seria; nessuna espressione traspariva dal suo viso, che si girò repentinamente verso la strada, riprendendo a concentrarsi su quella.
«Colonnello, co..come le viene in mente?» balbettò.
Hawkeye tacque, continuando a guidare.
Arrivarono davanti all’Headquarters e parcheggiò, scendendo assieme al ragazzo. Prima di varcare il cancello, però, la donna lo trattenne per un spalla, facendolo girare.
«Edward, rispondimi sinceramente: tu ami Roy Mustang?»
Il ragazzo abbassò lo sguardo, imbarazzato.
«Sì» assentì, la voce sottile.
E avendo lo sguardo basso, non vide il sorriso dolce e luminoso che, ancora una volta, si era dipinto sul viso di lei.
«Molto bene, grazie della sincerità. Andiamo?»
Ed la guardò, ma Riza era stata rapida a far sparire la tenerezza dal proprio volto, così Acciaio non ci vide null’altro che la solita espressione serena.
Inspiegabilmente sorrise, forse rassicurato dal fatto che lei non avesse espresso giudizi a riguardo.
La seguì all’interno del Quartier Generale, dove i soldati camminavano avanti e indietro, frenetici, tutti assorbiti dai preparativi per la cerimonia, prevista per l’indomani.
Con il familiare passo deciso e rapido, il Colonnello lo condusse all’ultimo piano dell’edificio grigio, bussando poi ad una porta di legno scuro, su cui una targhetta dorata recitava “Ufficio del Comandate Supremo”.
«Avanti» disse dall’interno una voce annoiata, che Ed riconobbe come quella di Mustang.
Riza aprì la porta, entrando, e subito l’uomo cercò di ricomporsi: era abbandonato contro lo schienale della sedia, i piedi allungati sopra la scrivania.
«Ehm, Colonnello Hawkeye! Che piacevole sorpresa! Eheh…» ridacchiò, grattandosi nervosamente la nuca, guadagnando un’occhiataccia dalla donna. Poi notò alle spalle di lei qualcosa di davvero inaspettato.
«Edward? Oh, sei tornato!» lo salutò entusiasta, sorridendo a trentadue denti con una sincerità che per il Fullmetal risultò totalmente disarmante.
Quanto gli era mancato quel sorriso?
Quanto gli erano mancati quei sottili occhi neri e quelle lisce ciocche nere?
Tanto, dannazione, troppo.
«Comandate…» disse Ed, temendo quasi che il cuore gli fuoriuscisse dal petto per la furia con cui pulsava contro le costole.
«Colonnello, potrebbe lasciarci soli? Avrei alcune cose da discutere con il Fullmetal Alchemist…»
Perché il sorriso che Mustang rivolse alla donna gli sembrò quasi… complice?
Hawkeye uscì, chiudendosi la porta alle spalle.
Ed deglutì, fissandosi, improvvisamente interessato, la punta delle scarpe.
«Acciaio…» iniziò il moro e il ragazzo si strinse nelle spalle, chiuse gli occhi e strinse i pugni. Non voleva vederlo.
O meglio, moriva dalla voglia di fissare quell’uomo dannatamente –oh, non l’aveva già detto?- perfetto, ma ne aveva anche una paura folle.
Dei passi, leggeri, decisi, e due dita gli sollevarono il mento, facendogli aprire gli occhi per la sorpresa: si trovò davanti, a pochi centimetri, il volto del suo sogno. Sussultò, chiudendo nuovamente gli occhi.
«Acciaio, guardami» fu il sussurro –sensuale?- che gli giunse alle orecchie.
«No, io…»
«È un ordine Acciaio: guardami»
Lentamente dischiuse le palpebre, il respiro affannato per il batticuore.
Quelle labbra erano… così vicine.
«C’è qualcosa che desidero chiederti da più di un anno, oramai…» iniziò.
«E s..sarebbe?» finse una spavalderia che non aveva.
«Perché mi hai baciato, quella sera?»
Ed eccola, infine, la domanda tanto attesa quanto temuta.
Ora cosa doveva dire?
«Io…»
«La verità, Acciaio. Solo la verità» incalzò Mustang, rispondendo alla sua domanda mentale.
Perché era così dannatamente difficile?

«Così tu… Sì, insomma, tu… ami Mustang?»
Ed china il capo.
«Sì» sussurra.
«Nii-san?»
Lo alza, guardando il fratellino.
«Cos… Ahio! Che cavolo, ma perché mi malmenate tutti?!» si lamenta, tenendosi le mani sulla testa, nel punto in cui il pugno di Alphonse lo ha colpito.
«Perché sei uno stupido, nii-san! Perché ci hai fatto preoccupare obbligandoci a vederti soffrire come un cane e per cosa? Per amore? Stupido fratellone!» e lo colpisce ancora.
«Ahio! Al, che cavolo!» protesta, tentando di scappare.
«Mi spieghi perché non volevi dircelo, stupido fratellone? Ti vergogni, forse?!»
«Sì» risponde. Lo sguardo cattivo del più giovane si addolcisce.
«Stupido fratellone!»
«Ma la smetti di insultarmi?!»
«No che non la smetto. Finché ti comporterai da stupido, continuerò a chiamarti così…» ride.
«Cattivo nii-chan!»
Alphonse abbraccia il suo fratellone.
«Non hai motivo di vergognarti dei tuoi sentimenti, se sono sinceri, nii-san. Che importa se la persona che ami è un uomo oppure una donna, basta che tu sia felice!»
«Nii-chan…»
«E poi io mi fido di Mustang… È una brava persona, sono sicuro che si prenderà cura di te…» sorride Al, incoraggiante, facendo arrossire l’altro.
«Tu credi, Al?»
«Assolutamente sì! Nii-san, non pensare mai più di essere sbagliato o qualcosa di simile, altrimenti ti picchio, chiaro?!»
«Cristallino, nii-chan…»
«E poi vedrai che è semplice: devi solo seguire le tue emozioni…»

“Devi seguire le tue emozioni”, aveva detto Al.
Che diamine, non c’era nulla di semplice, in quella situazione, ma il suo fratellino era sempre stato più esperto di lui, in queste cose, quindi…
«Vuole la verità? L’ho baciata perché la amo. Mi sono reso conto che la sua presenza è diventata come una droga, per me, non posso più farne a meno. Mi sono perdutamente…» avvicinò le labbra a quelle dell’altro «…irrimediabilmente…» ancora un po’ «…fottutamente…» erano praticamente accostate «…innamorato di lei…» e lo baciò, premendosi contro il suo corpo.
Famelico, era più di un anno che desiderava poterlo rifare.
Assaporò quelle labbra al meglio, stuzzicandole con la lingua.
Con sua grande, enorme, sorpresa, Roy, questa volta, non cercò di allontanarlo, anzi: lo afferrò dalla vita, stingendoselo contro ancora di più, ricambiando quello che stava diventando un bacio mozzafiato.
Accolse con gioia la tacita richiesta del ragazzo, schiudendo le labbra e lasciandosi esplorare la bocca.
Edward gli gettò le labbra al collo, dimenticando ogni altra cosa che esulasse da loro due.
Il bisogno di respirare li costrinse a separarsi. Mustang sorrise al suo mame-chan: un sorriso dolce e soddisfatto.
«Acciaio…» iniziò, senza liberarlo dalla propria stretta «…Ti ci voleva tanto a dirmelo?» e lo baciò ancora e ancora, ogni volta con più passione, più amore.
«Questo significa che lei…» s’interessò Edward, alla successiva ripresa di fiato.
«Che tu…» lo corresse.
«Va bene, che tu… Tu mi ami?»
Esattamente come aveva fatto lui poco prima, Roy si fece più vicino.
«Fullmetal, io sono perdutamente, irrimediabilmente, fottutamente... innamorato di te…» soffiò, direttamente sulle sue labbra.
«Che fai, sfotti?»
«Oh, ti piacerebbe togliere quella “s” da davanti al verbo, Edward?» sussurrò, malizioso, contro il suo padiglione auricolare, leccandolo appena subito dopo, come a sottolineare il concetto.
Il biondo gemette, arrossendo, mentre un brivido di piacere gli attraversava la schiena.
«Sei un maniaco, pervertito e bastardo… Ma ti amo anche per questo…»
«Adulatore…»
«E narcisista…»
«Non è colpa mia se sono bello!»
«Bello? Tu non sei bello, Roy Mustang: tu sei dannatamente- e mai questo avverbio gli parve più appropriato –e fottutamente sexy…»
Roy sgranò gli occhi, sorpreso.
«Mame-chan, se mi dici una cosa del genere… Come faccio a non sbatterti sul divano e scoparti subito?»
Edward scoppiò a ridere, aggrappandosi al suo collo ed allacciandogli le gambe in vita, venendo repentinamente afferrato dal moro, che lo trattenne poggiandogli le mani sulle cosce.
Il biondino gli baciò il collo, poi lo leccò, sensualmente, sussurrando poi nel suo orecchio:
«E chi ti dice che non sia proprio questo, ciò che volevo io?»
«Uh, il lato nascosto di Edward Elric, interessante…»
Mustang sogghignò, malizioso, avvicinandosi al divanetto dell’ufficio e stenderci sopra il biondino, sistemandosi a cavalcioni su di lui, iniziando a spogliarlo, mentre il ragazzo giocherellava con i bottoni della sua giacca.
«Sono curioso, Taisa, di provare le sue rinomate capacità amatorie…»
«Al suo servizio, fagiolino. Da oggi e fino alla fine dei tempi, esse sono al suo servizio. E la mia anima le appartiene incondizionatamente… È disposto ad accettarla, signor mame-chan
«Mm, potrei decidere di correre questo rischio. E lei, signor Taisa
«Non devi chiedermelo…» e lo baciò di nuovo.
Ma questa volta, dopo il bacio, sarebbe arrivato qualcos’altro, qualcosa che deve appartenere soltanto a loro, per cui noi usciremo cautamente, per non disturbarli mentre, ehm, beh… Mentre fanno sesso.
Se ora siete delusi perché avreste voluto sapere qualcosa di più su questo “incontro”, non abbiate timore: questa non è che la prima volta.
E di tempo, fino alla fine dei tempi, ce n’è ancora tanto.

The End (?)



Kon'nichiwa, gente!
Uff, sono riuscita a finire questo "martirio", che faticaccia!  Era un po' che mi girava in testa questo titolo, e ora eccovi anche la relativa fic ^^
Che ne dite, vi piace almeno un po'?
Inizialmente pensavo di dividerla in tre capitoli, corrispondenti alle tre parti della fic, ma alla fine ci ho rinunciato, perché non sarebro venuti della medesima lunghezza (paranoica Nd Les)(affari miei! Nda). Tanto va bene anche così, no? Anzi, forse è meglio, perché non dovete aspettare il continuo. ^^
Ma ora passiamo alle cose pratiche:
Visto che non avevo meglio da fare, o meglio, lo avevo ma mancava la voglia di farlo, ho deciso di infracire questa fic di metafore e "doppi-sensi", ma di quelli "buoni" (Beh, a quelli "cattivi" ci pensa già Roy-kun ^^ Nda).
Primo tra tutti quello che domina tutta la fic, ovvero la metafora Roy/Peccato. Mi spiego meglio: secondo alcune "credenze popolari" (ed è meglio che non dica di più, per non offendere il buon gusto collettivo con qualche improperio Nda), l'omosessualità è, appunto, un peccato, perché va contro la natura (cosa che, tra l'altro, non è vera, ma soprassediamo... Nda). E benché Ed sia ateo, la paura per il diverso mi sembra più che lecita, specie per qualcuno con la sua controversa psicologia, quella di un ragazzo con un animo bambino che ancora non ha imparato a dare la giusta importanza alle sfumature, come è scritto verso metà della prima parte.
Questo, ovviamente, è l'Edward che dipinge la mia mente, il mio modo di interpretare il personaggio, e nessuno di voi è obbligato a condividerla.
L'anafora del "dannatamente", costantemnete riferita al rapporto con Roy o a lui stesso, è, appunto, un modo per sottolinere questa metafora.
Il titolo, in particolare, invece, gioca sulla differenza tra "giusto" e "sbagliato". "Between two lines", perché Edward è costantemente diviso tra la scelta di rischiare tutto oppure dimenticare, ovvero tra "il giusto" e "lo sbagliato".
Nel dettaglio, poi, il primo capitolo vorrebbe indicare il supremento del limite imposto da se stesso che Ed oltrepassa baciando Mustang.
Il secondo, invece, dovrebbe essere il dibattito interiore del Fullmetal riguardo alle due possibilità, e il conseguente raggiungimento della consapevolezza della soggettività delle due scelte.
Il terzo e conclusivo è un semplice consiglio spassionato dato da quel tesoro di Alphonse al fratello per superare le proprio paure.
E, beh... credo sia tutto.
Spero che non sia un plagio, bla bla bla, oramai lo sapete, no? Mah...
Come sempre, commenti e soprattutto critiche, assolutmente graditi ^^

I personaggi non mi appartengono e nel mio usufrire di loro non vi è alcuno scopo di lucro.

Alla prosssima
Kiss, kiss ^^

Lady_Firiel
   
 
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