Capitolo
1
“Il
conto, grazie” disse distrattamente alla cameriera che girava tra i tavolini
all’aperto sotto il sole cocente di mezzogiorno. Nemmeno l’ora di pranzo e già
il tasso alcolico del suo sangue aveva abbondantemente superato il limite
consentito dal buonsenso, ancor prima che dalla legge. La legge, come se gli
importasse qualcosa ormai. Non vi era stata una sola regola che non avesse
infranto negli ultimi due anni, strano per uno che ogni singolo giorno della
sua precedente vita aveva respirato, si era nutrito e si era dissetato di
regole, obbedienza e disciplina.
Lasciò
una lauta mancia accanto al bicchiere vuoto, con un movimento fluido si alzò e
si incamminò verso il centro della città. Nonostante l’alcol, il passo era
sempre fiero e l’andatura naturalmente nobile, elegante, come avrebbe dovuto
essere il portamento di un cavaliere del suo rango.
Da
un anno aveva affittato un appartamento in pieno centro, il che significava essere
costretto a condividere i mesi estivi con una folla di turisti inferociti che
assaltavano puntualmente tutti gli alberghi e le locande di Atene, ma
significava anche mettere a distanza di sicurezza tutta la parte della sua vita
precedente che si sarebbe volentieri lasciato alle spalle. Quella era la
distanza massima che il suo ruolo gli consentiva: non poteva andare oltre, era
pur sempre un cavaliere d’oro e il suo tempio non poteva restare completamente
senza custode. Un compromesso, questa
era la sua vita ora: un patto, un continuo contrattare condizioni, obblighi e
doveri.
All’improvviso
eccola la sua vita precedente, la vide materializzarsi in lontananza, appena
girato l’angolo della piazza su cui si affacciava il suo appartamento, era
ferma, immobile, seduta sui gradini dell’ingresso della sua casa e aspettava
lui, sotto il sole di mezzogiorno, senza battere ciglio.
Non
rallentò la sua andatura, proseguì come se niente fosse e, fingendo di non
avere visto l’uomo elegantemente
appoggiato al cancello di ferro battuto della sua abitazione, senza indugi girò
le chiavi nella toppa.
“Kanon”
si sforzò nel pronunciare un saluto educato, ma non riuscì a mascherare
l’irritazione per quella presenza invasiva.
“Ciao
Milo” se non altro era una fortuna che tra tutti i cavalieri avessero mandato
quello meno loquace.
“Nessuno
mi ha chiesto di venire qui, se è questo che stai pensando”.
Milo
si irrigidì, non voleva essere scortese, ma non aveva intenzione di intavolare
discussioni con nessuno. Nemmeno con lui, nonostante tutto.
“Non
ora, per favore” fu l’unica cosa che riuscì a dire.
Kanon
sorrise. Non un sorriso beffardo.
Piuttosto l’ espressione benevola di chi la sa lunga, di chi ha capito.
“Tranquillo,
non mi trattengo. Passavo di qui per caso e ho pensato potessimo mangiare
insieme, ma se hai altri programmi possiamo rimandare” si alzò e fece per
allontanarsi.
“Aspetta”
Kanon
si voltò.
“Perdonami,
sono stato scortese, se vuoi fermarti non mi da fastidio”
“Immagino
che non mi da fastidio sia già
qualcosa” sospirò Kanon.
Milo
ignorò il commento, salì le scale, aprì la porta e invitò l’amico ad
accomodarsi.
Kanon
scrutò attentamente l’interno della casa, non vi regnava il caos assoluto come
aveva immaginato in quei mesi, questo era un buon segno.
“La
Fondazione manda una donna delle pulizie una volta a settimana” Milo lo stava
osservando e aveva indovinato i suoi
pensieri.
“Certamente, la Fondazione.” Kanon era
imbarazzato. “Non che volessi farmi i fatti tuoi”
“Certo,
come no. Dimmi Kanon, esattamente cosa sei venuto a fare per caso da queste parti?”
“Touchè”
“Avanti,
non ti formalizzerai di fronte a me vero?”
“No”
era sincero, lo era sempre stato con lui. “Vengo a portarti buone nuove”
“Ti
ascolto” rispose distrattamente Milo mentre armeggiava con piatti e bicchieri.
“Alexander. Ce l’ha fatta, è uscito dal coma”