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Autore: charliotta    25/04/2010    2 recensioni
"Mai?" chiese l'anziano uomo. "Si?" rispose lei con un velo di voce. "Dove avevi intenzione di andare?" "A New York. E non appena giungerò lì consumerò la mia vendetta. Nessuno può sfidarmi e coloro che l'hanno fatto dovranno vivere ogni attimo che gli rimane nel terrore e nel dolore, dopodichè, quando li troverò, non avranno nemmeno il tempo di sentire i miei passi. Il crimine perfetto non fa alcun rumore."
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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                                                                               PROLOGO

                                           
Una stanza buia immersa nel silenzio inebriante della notte,ecco ciò che vedeva davanti ai suoi occhi, Un paradiso per coloro che volevano stare soli ad occuparsi di se stessi.
Anche lei era solita ad adorare quel genere di situazioni, il buio la faceva sentire protetta. Ma quell'oscurità dinanzi al quale si trovava in quel momento era un'eccezione alla regola.
Percorse appena pochi passi e sotto i piedi nudi potè sentire una superficie calda e bagnata.
Abbassò la mano fino a giungere a contatto con la sostanza sconosciuta, che le riempì copiosamente il palmo candido. La volse verso gli occhi nero scarlatto ossarvandone incuriosita la consistenza.
Rosso.
Il colore dei papaveri, l'essenza di una fragola o una ciliegia, un'aquilone libero nel cielo.
E poi...
E poi sangue.
Il colore scuro del sangue.
Indietreggiò di qualche passo leggermente scioccata di trovare un liquido di quel tipo sul pavimento di casa sua.
Si voltò di scatto da una parte all'altra della stanza squadrando rapidamente tutto il perimetro.
Anche se era sola non era prudente accendere le luci, potevano essere ancora nei paraggi e magari potevano ancora sentirla.
Rimase qualche minuto seduta al centro della stanza, attendendo che la sua vista si abituasse all'oscurità.
Una figura nera accasciata comparve davanti a lei, non ci volle molto per identificarla.
"Madre..." sussurrò.
Certo, forse quello non era esattamente l'appellativo con cui avrebbe dovuto apostrofarla, era diventata sua madre da circa una settimana e lei aveva capito già in anticipo che non sarebbe durata.
Nessuna durava mai più di una settimana.
Le passò la mano sul viso e lentamente la appoggiò sugli occhi spalancati chiudendoli con un tocco leggero.
Si alzò dunque dalla sua posizione e uscì dalla stanza chiudendo la porta dietro di se.
Ormai non c'era più tempo per chiamare l'FBI o l'ambulanza. Sua "madre" era morta, come altre prima di lei, e ora quella gente stava aspettando lei.
Erano diventati così pateticamente prevedibili che non era neanche il caso di preoccuparsi per la sua incolumità. Il loro era un piano che faceva acqua da tutte le parti, se n'era resa conto non appena aveva varcato la soglia di quella casa.
La sua nuova camera era piuttosto ampia e i colori sgargianti lasciavano intendere che quello fosse il posto più sicuro per lei.
Il posto giusto per nascondere una bambina che aveva assistito ad un'omicidio.
Che sciocchi.
Come potevano quelli della polizia illudersi  ancora che lei potesse essere al sicuro?
Dopo che erano stati costretti a cambiarle famiglia, vita, nome e città per la dicima volta credevano ancora che il loro stupido programma di protezione testimoni funzionasse?
Le era bastato frugare per un'intero pomeriggio all'interno dell'abitazione per trovare cinque piccole cimici, posizionate accuratamente in diversi angoli della casa.
E invece gli agenti neanche le avevano notate.
Inutili uomini.
Se fosse stato per loro sarebbe già stata uccisa da un pezzo.
Strinse la mano minuta intorno al fazzoletto contenete la cimice che aveva sottratto prima di uscire.
L'aria invernale le accarezzò il volto dai contorni orientali facendola rabbrividire appena.
Quella sera sarebbe stata difficile, come anche quelle a seguire. Ne era consapevole, non era certo spaventata per questo, avrebbe anche passato tutta la sua vita per le strade piuttosto di tornare in mano all'FBI.
Quelle persone non l'avrebbero più coinvolta in simili situazioni.
La sua vita le apparteneva, nessuno aveva il diritto di decidere per lei, tantomeno loro.
Dalla ricetrasmittente che teneva salda tra le dita uscì un brusio basso, come un'interferenza radiofonica.
Era arrivato il momento.
Portò l'oggetto alle labbra e fece un respiro profondo.
Iniziò a singhiozzare.
"Ehi piccolina, mi senti?" disse una voce fredda dall'altro capo.
"Chi- chi è?" rispose la bambina con la voce rotta dal pianto.
"Sono un'amico, non avere paura, fidati di me e andrà tutto bene, ok?"
"S-si" annuì lei.
"Brava" sussurrò l'uomo con un filo di divertimento nella voce.
"Sai dirmi dove ti trovi?" domandò.
"Sono in cucina.....la mamma....la mamma è a terra....c'è tanto sangue....ho paura!" rispose tremante la bambina.
Dall'apparecchio fouriuscì una risata sinistra.
"Non preoccuparti tesoro, tra poco la raggiungerai" sibilò.
"Cosa?!"
"Dimmi, hai paura del buio, Mai?" sogghignò l'uomo.
Alle spalle della giovane si udì un rombo acuto quanto potente. Una vampata mista di arancio e rosso fuoriuscì dall'edificio propagandosi tutt'intorno al perimentro dal quale era giunta l'esplosione, divorando con rapidità e devastazione ogni cosa con la sua voracità.
La bambina guardò con aria di sufficenza le fiamme dilagarsi, dopodichè fece slittare lo sguardo sulla cimice.
Lasciò cadere l'oggetto in terra, dunque lo pestò pesantemente con il piede.
"E tu, hai paura del buio?" sussurrò.
Con passi lenti si diresse verso dell'uscita di quel vicolo scuro, per strada i lampioni era appena stati accesi, la loro luce era pallida e debole quel tanto da far si che le persone non notassero una piccola figura che vagava senza meta.
Voci  ammassate le une sulle altre stavano giungendo dai vari balconi. Gente che urlava, indicava in direzione dell'incendio, chiamava i vigili terrorizzata.
Tutto inutile.
Non sarebbero mai arrivati in tempo per salvare nessuno.
Se si teneva a qualcuno bisognava proteggerlo prevenendo i disastri, curarli non serviva a nulla. Possibile che non riuscissero a capirlo?
Qualora questo non bastasse la cosa migliore da fare era andarsene, dargli le spalle come stava facendo lei.
Cercare di curare le ferite ne causava solo altre.
Se le avessero permesso di fare come voleva fin dal principio sarebbero riusciti a salvare tante vite innocenti.
E invece. Invece aveva cercato di curare.
La luna brillava con tutto il suo splendore nel cielo, facendo vagare i pensieri nel silenzio meraviglioso della notte.
Ecco il buio che aveva tanto desiderato.
La solitudine che spazzava via ogni tipo di preoccupazione.
Davanti a lei si potevano scorgere i binari della stazione, totalmente deserta.
Si strinse a se cercando di creare un po' di calore, se quella notte avrebbe dovuto passarla lì doveva essere ben fornita. Purtroppo l'unico indumento che aveva addosso era una piccola camicia smanicata e una felpa estiva.
Quando si era resa conto che loro stavano per agire era uscita dalla casa mettendosi la prima cosa che le era capitata a tiro.
Strinse i denti che parevano non avere nessuna intenzione di smettere di battere.
"Cerchi qualcuno, piccola?" disse una voce roca alle sue spalle.
La bruna si girò in direzione di essa spiazzata.
Contro il muro dei una cabina, nascosto in penombra, c'era un uomo che dimostrava circa una sessantina d'anni, con una barba mediamente lunga e incurata, sopracciglia brizzolate e un maglione sporco di cenere e fango. Si trovava sdraiato per lungo su una panchina, coperto da un sacco a pelo molto malandato e sgualcito.
"No" disse ferma la bambina.
"Non ho nessuno da cercare, ne voglio che nessuno mi cerchi"
Il vecchio fece un dolce sorriso sotto i baffi arruffati, i suoi occhi si curvarono creando piccole rughe ai bordi delle palpebre.
"Devi essere sola quanto me allora" commentò.
La piccola lo squadrò dall'alto verso il basso dunque arricciò il naso.
Come poteva quello straccione paragonarla a lui?
"Non mi importa di star da sola, non ho bisogno di nessuno" rispose distaccata.
L'uomo spalancò la bocca scoppiando in una risata fragorosa e cristallina.
"Ma sentitela, quanti anni avrai tu? undici? tredici?"
"Dieci" sussurrò freddamente.
"Dieci!" rispose lui mettendosi a braccia conserte e imitando il suo tono di voce.
"Sembri più grande. Sarà per quella faccina seria che ti ritrovi. Sorridi mai?"
"No" ringhiò lei.
Una ondata di aria pungente soffiò in loro direzione facendola rabbrividire maggiormente. Si strinse nelle spalle cercando invano di placare i brividi che le salivano lungo la schiena.
Il vecchio la osservò di sottecchi arricciandosi la barba.
Aprì il suo sacco a pelo facendole un cenno con la testa.
"Se non hai nessuno da cui andare se vuoi puoi stare qui per sta notte, non è il massimo della comodità ma è sempre meglio che rimanere lì in piedi a tremare come una foglia"
La bambina volse gli occhi nero notte verso di lui, intenta a scorgere qualunque cambio di espressine, cercando di leggere negli occhi di lui le vere intenzioni.
Corrugò la fronte dubbiosa.
"Ehi non guardarmi così, mi fai paura" disse lui divertito.
Un attimo dopo un corpo minuto si sdraiò accanto a lui rabbrividendo.
L'uomo sorrise dolcemente stringendola con la coperta, cercando di scaldarla maggiormente.
"Si hai ragione, è proprio scomodo" commentò lei.
"E poi tu puzzi" aggiunse arricciando il naso arrossato dal freddo. Il vecchio non potè trattenere l'ennesimo risolino che uscì dalle sue labbra.
"Come ti chiami, piccola?"
"Mi chiamavo Mai Aono" sussurrò.
"E ora, come ti chiami?"
"Mai...e basta"
"Mai...."danza", gisto?"
Lei annuì.
"E' un bellissimo nome"
La bambina si girò verso di lui studiandolo dubbiosamente.
Perchè si interessava a lei?
"Cosa ti importa di come mi chiamo?" domandò.
"Ci deve essere per forza un motivo?" rispose lui a tono.
"Ovviamente" sbottò lei.
"Le persone chiedono informazioni per sapere qualcosa che può essere loro utile, studiano per avere un futuro, magiano per sopravvivere. Se si fa una domanda che non può servire a nulla è perfettamente inutile"
L'uomo storse la bocca di un poco.
"Allora mettiamola così"
si appoggiò con la testa sul braccio in modo da poterla guardare diritta negli occhi.
"Io ti chiedo come ti chiami per poterti focalizzare nella mia mente, per poter avere qualcosa a cui ricollegarti. Vedi, come te anch'io non ho nessuno, ma la differenza tra noi due è che io da solo non me la cavo. L'unica cosa che mi permette di andare avanti sono i ricordi, ricordi belli e brutti, tristi e allegri, più sono e più mi danno l'opportunità di sentirmi vivo. Se io ti chiedo come ti chiami è perchè ho intenzione di tenerti impressa tra i miei pensieri, così quando mi sentirò solo penserò a quella piccola bambina dallo sguardo duro che si sente come me ma è troppo orgogliosa per ammetterlo. E questo non è per niente inutile per quanto mi riguarda"
La giovane stava per ribattere ma gli occhi sinceri dell'uomo erano impressi sui suoi e sembravano quasi bloccarla con la loro ingenuità.
Lui era il bambino, lei era l'adulta.
Lui sognava, lei stava con i piedi per terra.
Certo che il mondo funzionava proprio al contrario.
"E tu...come ti chiami..?" sussurrò Mai con lo sguardo basso.
"Io non ho un nome" rispose lui tristemente.
La bambina sgranò gli occhi.
"Nessun nome? Davvero?" disse sinceramente incuriosita. Ma appena vide l'espressione divertita e allegra del vecchio si ricompose tornando seria.
"Se vuoi  puoi darmi tu un nome" commentò l'uomo.
Mai corrugò nuovamente la fronte.
Sempre più strano.
Ma cosa aveva nella testa quel tipo?
Sembrava provenire da un mondo opposto al suo, le sue regole erano perfettamente inutili su di lui.
Tanto valeva infrangerle tutte.
"....Frances...." disse con un velo di imbarazzo.
"Frances? Un nome francese?" ridacchiò lui.
"Insomma mi hai detto tu di decidere!" sbottò la bambina.
"Frances va benissimo, mi piace molto" rispose lui stringendola in un caldo abbraccio e cullandola un poco.
La mora chiuse gli occhi neri, spinta dal peso del sonno e dalla tranquillità di quel luogo.
Respirò piano, dilatando e restringendo i polmoni con misurata lentezza.
"Mai?" chiese l'anziano uomo.
"Si?" rispose lei con un velo di voce.
"Dove avevi intenzione di andare?"
"A New York. E non appena giungerò lì consumerò la mia vendetta. Nessuno può sfidarmi e coloro che l'hanno fatto dovranno vivere ogni attimo che gli rimane nel terrore e nel dolore, dopodichè, quando li troverò, non avranno nemmeno il tempo di sentire i miei passi. Il crimine perfetto non fa alcun rumore."
Il vecchio la strinse con maggiore intensità a se e le costò una ciocca di capelli dal viso.
"Il futuro non scappa, ma ora dormi, Mai"











  
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