CAPITOLO 1: Principio
Eccolo.
Stava venendo verso di me, così lento da farmi credere
che non si muovesse neanche. Continuai a tenere gli occhi semichiusi e il
respiro regolare, per dare l’impressione che stessi dormendo. Dovevo decidere
cosa avrei fatto appena si fosse avvicinato, e in fretta.
Sapevo benissimo che non avrei avuto possibilità in uno scontro corpo a corpo,
ero troppo debole fisicamente, mentre il mio avversario era un colosso dotato
di una potenza stupefacente. Sentivo i suoi piedi affondare nella terra umida e
molla, facendo scricchiolare le foglie cadute. La pietra su cui ero appoggiata
era liscia e fredda contro la mia pelle e la posizione scomoda mi aveva
addormentato la mano, intrappolata sotto il mio petto. Uno…due…tre…quattro…
altri sei passi e sarebbe arrivato a me, dovevo essere pronta. Cinque.. sei…
sette… otto… Sentivo le sue dita fremere, la sua pelle raggrinzirsi
dall’eccitazione e le gambe tremare. Aveva trovato la sua preda. Nove…
“DIECI” urlai balzando in aria e staccandomi dal suolo di almeno tre
metri,
mentre vedevo il mio avversario tuffarsi nel punto in cui un momento prima c’ero
Atterrai alle sue spalle, elegante come sempre, mettendomi in posizione di
attacco.
“Alla fine sei venuto, Drums.” gli dissi tagliente.
Lui si voltò lento, con una luce folle negli occhi.
“Non sarei mai potuto mancare ad un appuntamento con te, Juduen.”
“Nessuno ti ha invitato, e non sei per niente gradito.” Sputai fra i
denti.
Si avvicinò con passo sicuro, ed un andatura troppo scattante per la sua mole.
L’istinto mi diceva di arretrare, ma l’orgoglio prese il sopravvento facendomi
restare lì, immobile. Tutti i miei sensi erano all’erta, ogni singola particella
del mio corpo urlava “pericolo”, ma il mio spirito da combattente rispondeva “ce
la posso fare”.
Veloce, Drums si piazzò dietro di me, girandomi il polso dietro la schiena e
bloccando ogni via di fuga. Affondò il naso nei miei capelli corti, inspirò,
come si fa con la droga, poi si staccò da me per parlare.
“Hai sempre avuto un buon odore, ragazza.”
“Peccato che io non possa dire lo stesso di te.”- storsi il naso- “Da quant’è
che
non ti fai una doccia, amico? Hai forse paura dell’acqua?”
“Ed hai sempre avuto la lingua tagliente”
Mi prese il mento con la mano libera, costringendomi a guardarlo.
“Non sei un bel panorama.”
“Sono i disagi del mestiere.”
Un sorriso comparve sul suo volto segnato dal tempo e dalle cicatrici, che come
fiumi in piena solcavano il suo viso rugoso, simile ad una catena di monti. La
luce folle nei suoi occhi non si era spenta ma, se è possibile, si era accesa
ancora di più. Dovevo fare qualcosa, perché non avevo nessuna intenzione di
farlo vincere. E sapevo cosa avrebbe fatto, se io avessi perso. Dovevo usare la
mia forza più grande, quella che mi aveva sempre permesso di sopravvivere: la
mia testa. Cercai di addolcire il tono di voce, rendendolo vellutato e sinuoso,
come solo una donna sa fare.
“Ti diverti a guardarmi?” chiesi facendo la boccuccia a cuore e gli occhi
dolci. Bleah.
Sogghignò, abboccando.
"A quanto pare.."- disse scrutando ogni centimetro del mio
viso, quasi scansionando ogni goccia di sudore che nasceva sulla mia
pelle.
“Ma cosa ti piace guardare in particolare?”
Mi guardò, con la bava alla bocca, e non so cosa mi aveva trattenuto dal
tirargli uno calcio dritto nella zona calda. Forse l’istinto di sopravvivenza. Sembrava un vecchio
cane bavoso che aveva visto per la prima volta dopo tanto un pezzo di carne,
cotta a puntino e dall’odore invitante.
“I.. tuoi occhi sono.. bellissimi.” ansimò.
C’era cascato come un pollo.
Sbattei le ciglia e spalancai gli occhi.
“Senti.. Sono un po’ scomoda così, non riesco neanche a vederti.” Finsi di
lamentarmi.
“Ci vuole ben altro per mettermi nel sacco, volpe.”
“Ma no, basta che mi lasci libero il braccio, inizia ad addormentarsi!”
“Ti tengo dalle spalle.”
Ci mise un nanosecondo a lasciare la presa sul mio braccio e trasferirla sulle
spalle, ma mi bastò. Sfuggii velocissima da lui, poi lo feci inciampare con uno
sgambetto. Cadde a terra molto pesantemente e, come una tartaruga rivoltata sul
dorso, era così grosso da non riuscire ad alzarsi. Spiccai un salto sopra di lui
e atterrai affondando il ginocchio nel punto X, tanto per calmargli i
bollenti spiriti. Dopo quella botta perse i sensi e io ne approfittai per
riprendermi ciò che mi aveva sottratto: il mio ciondolo Ginseka. Più qualche
soldo. Mi riallacciai il prezioso oggetto al collo, dove era sempre stato.
Quando il freddo zaffiro toccò la mia pelle, mi senti pervadere da brividi di
freddo, che stavano a simboleggiare il riacquisto di potere. Mi voltai, saltai
in aria e mi trasformai. Un lampo di luce color ghiaccio mi avvolse per poi
svanire una volta atterrata. Con le sembianze di gatto, corsi al di fuori della
radura, sperando che nessuno mi avesse visto cambiare aspetto. Il gatto
selvaggio che era in me adesso aveva sprigionato la sua potenza, e l’istinto era
diventato più importante della ragione. Corsi via, veloce più di un giaguaro,
cosa molto insolita per un gattino delle mie dimensioni. Ma io non ero un banale
felino... no, io ero la reincarnazione dello spirito antico di Neko-inah, la
dea-gatto, ed insieme alle altre otto reincarnazioni avevo un compito. Tutto
questo l’avevo scoperto solo oggi, 22 dicembre, giorno del mio sedicesimo
compleanno. Eamio, mio nonno, mi aveva svelato il segreto della mia
natura.
Da sempre ero stata una ragazza molto combattiva, agile e fiera, profonda.
Dotata di un’astuzia impareggiabile, tipica dei felini, con sensi sviluppati
oltre ogni limite, ero cresciuta come tante bambine del mio villaggio. Ma nella
dimensione di Torihoko, dove tutto l’universo aveva avuto inizio, le cose
inconsuete erano sempre fondamentali. Quando ancora stavo cercando di capacitarmi di tutto
ciò, un gruppo di uomini della "Stella del Crepuscolo2 aveva fatto incursione alla festa,
costringendomi a fuggire e distruggendo la mia famiglia. Non avevo avuto tempo
di piangere i miei cari, perché nel giro di poche ore ero diventata una
ricercata. Come avevano fatto quelli della "Stella del Crepuscolo" a sapere della mia vera
natura prima di me, ancora rimaneva un mistero ai miei occhi. Quel ciondolo che
da piccola credevo solo un semplice gioco, che tante volte avevo fatto cadere
oppure dimenticato, adesso era tutta la mia vita e non potevo separamene. Per
questo, quando Drums, emissario della potente setta me lo aveva sottratto, avevo
fatto di tutto per attirarlo in una trappola e riprendermelo. Quell’energumeno
però, non voleva riportarmi dal suo padrone. Da essere vomitevole e disonesto
quale era, avrebbe detto che ero morta, caduta da un precipizio o sbranata dagli
animali, ma in realtà mi avrebbe tenuta prigioniera, solo per far di me
ciò che voleva. Correvo veloce e i miei pensieri si disperdevano col vento, che
mi raccontava di danze, canti, parole e speranze di gente normale, che non aveva
nulla di cui preoccuparsi se non di cosa avrebbe fatto domani. Io, invece, avevo
indossato l’abito da guerriera e non l’avrei più tolto. Prima dell’attacco,
Eamio mi disse che dovevo assolutamente trovare il campo di addestramento dove
colui che mi aveva donato il ciondolo allenava gli altri sette ragazzi. Io, mi
aveva detto nonno, ero l’ultima e la più giovane. Correndo così, insieme al
vento, non mi preoccupavo più di ciò che era stato o ciò che sarà. La mia mente
ormai era vuota e il mio cuore era indurito. Tutto quell’orrore che avevo
visto, le facce della mia famiglia che moriva per proteggermi, avevano avuto in
me l’effetto di un anestetico. Tutto scivolava via dal mio pelo nero e morbido,
e solo i miei occhi rimanevano nell’oscurità della foresta, solo i miei occhi
in un corpo vuoto.