Un incontro
che può cambiarti la vita
Salve a tutti. Mi chiamo Andrea, ho 29
anni e sono qui per raccontarvi una storia, la mia.
Voglio approfittare del fatto che mio
marito è nell’altra stanza, impegnato nell’arduo tentativo di far addormentare
nostra figlia, cosa che mi assicura di avere tutto il tempo a disposizione per
il mio racconto; la nostra Rachel è un osso duro.
Prima di iniziare, però, c’è una
domanda che mi sorge spontanea: voi credete nei colpi di fulmini?
Perché è proprio di questo che vi voglio
parlare.
Ora sono sicura che il pensiero che vi
ronza in testa è uno solo: “E a noi cosa interessa del suo colpo di fulmine?”.
Bè, spero tanto di riuscire ad attirare
le vostre attenzioni quando vi dirò chi è il protagonista di questa storia
insieme a me.
Quindi
vi faccio solo una richiesta: cercate di non addormentarvi fino a quel punto,
poi sarete voi a decidere se continuare a leggere oppure no.
Ma
andiamo con ordine.
Era l’11 luglio 2010; sono ormai
trascorsi 9 anni, ma mi ricordo ogni minimo dettaglio,
come se fosse ieri…
- Dannazione!
Dove diavolo è andata a finire? Eppure sono sicura che
fino a 2 anni fa era da queste parti.- imprecai
vagando per le strade di Londra.
Ero sicura che
se uno dei passanti avesse capito anche solo mezza parola di italiano,
mi avrebbe preso per scema; soprattutto perché stavo parlando di una strada.
Erano ormai 20 minuti che giravo in tondo alla disperata ricerca di
Oxford Street, e se tenete presente che è una delle strade principali di
Londra, bè, anche voi mi avreste preso per pazza.
Ma non avevo
nessuna intenzione di chiedere indicazioni: quando mi ci metto
sono più dura di un muro e volevo trovarla da sola quella dannata strada
“mobile”.
Stavo ancora
una volta imprecando tra me e me, quando posai distrattamente lo sguardo su uno
dei passanti che mi aveva appena sfiorato un braccio.
Mi bloccai sul
posto, incapace di muovere un solo muscolo; non poteva essere lui, non potevo davvero essere così… fortunata? O completamente
pazza?
Bè, l’unico modo per capire se sono
ancora sana di mente è voltarsi. Ma non dire cavolate,
rischi di fare una figura di merda. E se fosse veramente lui? Poi mi mangerei
le mani a vita. fu il mio monologo interiore.
Come temevo,
fu la mia parte più irrazionale ad avere la meglio,
così mi voltai scrutando quel ragazzo che per mia fortuna (o sfortuna, dipende
dai punti di vista) si era fermato a pochi metri da me, intento ad osservare
gli orari del bus alla fermata poco più in là di dove mi trovavo io.
Se ripenso
oggi a ciò che feci poco dopo mi sento un perfetta
imbecille, ma se poi mi rendo conto che senza quella mia stupidaggine ora non
avrei dei ricordi così meravigliosi nel mio cuore, devo ringraziare proprio
quel mio gesto così avventato.
Mi piegai in
avanti, come se avessi dovuto parlargli in un orecchio e sussurrai una sola
parola: - Robert?-
Per alcuni
secondi ebbi la sensazione che non mi avesse neanche sentito, in fondo avevo
pronunciato quel nome sottovoce e noi ci trovavamo nel bel mezzo del traffico
londinese, come potevo sperare di farmi sentire?
Invece lo vidi
voltarsi verso di me, forse cercando la fonte di quel sussurro; mi guardava con
i suoi occhi color del mare, i capelli eternamente in disordine, una mano
infilata nella tasca dei jeans scuri e l’altra occupata da una sigaretta ormai
fumata a metà.
Robert
Pattinson mi osservava con un sopracciglio alzato, all’alto verso il basso; no,
non con sguardo altezzoso, semplicemente stava guardando una scema piegata in
due con lo sguardo puntato in alto nell’arduo compito di guardarlo in faccia.
Ok, madre terra, inghiottimi, adesso. mi ritrovai
a pensare, mentre mi rimettevo in posizione eretta tossicchiando imbarazzata.
Avanti, Andy, dì qualcosa, o penserà
che sei una schizzata, continuai a pensare; e forse non
avrebbe avuto tutti i torti.
- Ehm, scusa,
volevo accertarmi che fossi tu. Pensavo di avere le allucinazioni.- cercai di
spiegargli.
Ma brava, ora si che penserà che sei sana
di mente, mi dissi
arrossendo e mordendomi la lingua.
- Perché parli
sottovoce?- mi domandò poi lui con tono normale, ma tuttavia
sorridendo divertito.
Bè, almeno sono
riuscita a farlo ridere:
magra consolazione.
- S-scusa,
pensavo che così nessuno si sarebbe accorto di te…- cercai di giustificarmi,
riacquistando anche io un tono di voce nella norma.
- Capisco.- disse
lui ridendo. – Ma puoi stare tranquilla, qui nessuno
mi assale. Forse perché sono a casa.- mi rassicurò
lui, inclinando il capo da una parte e regalandomi uno dei suoi bellissimi
sorrisi.
Probabilmente
rimasi imbambolata a fissarlo a bocca aperta come un pesce lesso per almeno 10 secondi, perché ad un certo punto lo vidi passarsi la
mano tra i capelli, imbarazzato.
- S-scusami.. f-forse è… è meglio se vado. Ciao.-
Feci per
allontanarmi, ma fui fermata dalla sua voce.
- Ehi,
aspetta. Non mi hai detto come ti chiami.-
Mi voltai
lentamente, neanche mi stesse minacciando con una pistola, mentre ero
consapevole del fatto che i miei occhi erano, come dire, stralunati?
Ma non potevo
farci niente, non riuscivo ad evitarlo.
- A-Andrea.- riuscii a farfugliare, sotto il suo sguardo divertito.
- Piacere di
conoscerti, Andrea. Non sei inglese, vero?-
- No, sono
italiana.-
- E cosa ti ha
portato a Londra?-
- Un viaggio
di piacere.-
Sembravo una
di quelle bambinette imbarazzate di 5 anni che
rispondono a monosillabi alle domande di un adulto.
Ehi, madre terra, ci sei? Ti avrei
chiesto un favore, poco fa.
Portai lo
sguardo sul mio interlocutore e notai i suoi occhi quasi… curiosi.
Forse si
aspettava che aggiungessi qualcosa.
- Ho da poco
finito gli esami e mi sono concessa un po’ di relax.-
spiegai.
- Sei da
sola?-
- Sì. Diciamo
che sono qui anche per… migliorare il mio inglese.-
- Già ottimo.-
m’interruppe lui, facendomi arrossire di nuovo.
- Ho un
collega di mia madre che mi da una mano, ma sono da
sola.-
- Capisco.- ripetè
ancora una volta.
Calò un
silenzio imbarazzante, mentre io mi guardavo intorno: sentivo il suo sguardo
indagatore su di me.
- Dannazione,
è tardissimo.- lo sentii improvvisamente imprecare.
- Scusami, ma
devo proprio scappare.- mi avvertì poi, come se mi dovesse delle spiegazioni.
- Si, certo, capisco. È… è stato… bello incontrarti.-
Robert rimase
a fissarmi per alcuni secondi: avevo detto una cavolata, come sempre.
- Quanto resti a Londra?- mi chiese poi.
- Sei giorni.-
risposi io, senza capire.
- Bè, allora
forse ci incontreremo di nuovo. Londra non è poi così grande come sembra. Ciao
Andrea. Anche per me è stato… bello incontrarti.- mi salutò lui, ripetendo le
parole che avevo detto io.
Si voltò
sorridendo, riprendendo il cammino che l’avrebbe portato
non so dove, quando mi decisi a fermarlo.
- Robert.- lo
richiamai.
Lo vidi
voltarsi verso di me, una curiosità evidente nei suoi bellissimi occhi azzurri.
- Potresti…
potresti indicarmi la direzione per Oxford Street?-
chiesi titubante: ebbene sì, mi ero arresa.
Lo sentii
scoppiare a ridere, prima di riportare il suo sguardo su di me.
- Prosegui
fino alla fine di questa via, poi gira a destra. Fai
circa
- G-grazie
mille.-
Mi rivolse un
ultimo cenno di saluto con la mano, poi si allontanò lasciandomi imbambolata in
mezzo al marciapiede.
Nonostante le
indicazioni di Robert, ci misi altri 20 minuti per
arrivare alla mia meta, a causa del mio cervello che ancora non si degnava di
tornare dalla vacanza che si era concesso.
Riuscii a riprendermi
solo quando intravidi il collega di mia madre che mi aspettava poco lontano da
lì; dovevo assolutamente riprendermi, o era la volta buona che mi rinchiudevano
in manicomio.
* * *
Erano passati 2 giorni dal mio incontro ravvicinato con l’attore inglese e
stavo seriamente cominciando a credere di essermi sognata tutto.
In fondo a
volte capita di avere un desiderio così grande da sognarlo alla notte ed essere
convinti che sia accaduto veramente.
E forse era
proprio quello che era successo a me.
Ero appena
uscita dal National Gallery, visitato circa per la millesima volta, e mi
trovavo in Victoria Street intenta a lottare contro la folla che occupava
l’intero Starbuck: cominciavo a pensare che quella di prendermi un caffè non
fosse stata una brillante idea.
Sbilanciata da
un omone grande e grosso che mi aveva urtata, pestai
il piede di un ragazzo che mi stava proprio dietro: ci mancava solo un litigio
in mezzo a quel delirio e mi sarei messa a correre per le strade di Londra come
una pazza.
- Oh, scusa.-
gli dissi, sperando di arginare una possibile sfuriata.
- Tranquilla.
Qui dentro è impossibile non pestarsi a vicenda.- mi rispose invece lui,
gentile.
Mi voltai per
guardarlo in faccia e ancora un volta mi ritrovai a
fissare due meravigliosi occhi blu.
- Ehi, ci
ritroviamo. Te l’avevo detto che Londra non è poi tanto grande.- mi salutò
Robert, strizzandomi l’occhio.
- G-già.. Ciao.- lo salutai io, mentre l’ormai noto rossore
m’invadeva le guance.
Finalmente
giungemmo tutti e due al bancone.
- Cosa prendi?- mi chiese lui, mentre io gli rivolgevo uno
sguardo interrogativo.
- Un caffè.-
risposi io, senza capire dove volesse arrivare.
- Due caffè…
grandi.- aggiunse poi, guardandomi con la coda dell’occhio.
- Enormi
direi.- lo corressi io, mentre lui sorrideva.
Quando
finalmente mi resi conto di quello che voleva fare, cercai si protestare.
- Oh, no, non
se ne parla.- cercai di fermarlo, mentre allungava i soldi alla barista.
- Non divento
povero per un caffè.- mi fece notare lui, allungandomi il mio bicchiere.
- Non mi interessa.- continuai io imperterrita, estraendo il
portafoglio dalla borsa.
Lui mi bloccò,
posandomi una mano sulla mia e facendomi correre un brivido lungo la colonna
vertebrale.
- Questo lo
offro io e non accetto rifiuti.- ripetè lui.
- Ok.- sospirai infine rassegnata, mentre cercavamo di farci largo
tra la folla per uscire.
- Amante del
caffè?- mi chiese Robert, quando finalmente ci ritrovammo all’aria aperta.
- Drogata vorrai dire.-
- Ahahahah!! Quanto ti capisco.- rise lui, facendo sorridere anche me.
- Visto,
abbiamo già una cosa in comune.- mi fece poi notare.
- Già, l’ho
sempre pensato anche io.- risposi, per poi arrossire:
la mia solita linguaccia lunga.
Camminammo per
un po’ senza parlare; il silenzio imbarazzante cominciava a farmi sentire a
disagio.
- Ci
sendiamo?- mi chiese improvvisamente Robert, indicando una panchina poco
lontana da noi.
Mi guardai
intorno: quasi senza accorgermene eravamo arrivati in S. James’ Park, uno dei
meravigliosi parchi della capitale inglese.
- Non so…-
risposi io titubante, guardando l’orologio.
- Hai da
fare?-
- No, no,
assolutamente, però magari tu…-
- Non ho
niente da fare, tranquilla.- disse, scuotendo la testa e sorridendomi.
Si sedette
sulla panchina, subito imitato da me, mentre continuavo a sorseggiare il mio
caffè.
Di nuovo quel
silenzio imbarazzante; cominciavano a darmi sui nervi.
Avanti Andy, trova qualcosa da dire.
- Stai girando
“Bel Ami”, vero?- dissi improvvisamente, facendolo
sobbalzare.
Brava, Andy, complimenti. È qui per
rilassarsi e tu gli parli del lavoro. Bella mossa. mi
rimproverai, mordendomi la lingua.
- Esatto,
anche se siamo ormai alle battute finali. Non manca molto.- mi rispose lui,
tuttavia sorridendo.
- Sono… sono
proprio curiosa di vederlo.- aggiunsi io.
Come se gliene fregasse qualcosa. Ma il tuo intuito ha vinto una vacanza alle Hawaii?
- Sei una fan
della Twilight Saga?- mi chiese improvvisamente, facendomi quasi strozzare con
la mia bevanda.
- Cosa?-
esclamai io, sputacchiando.
- Ehi,
calmati, era una semplice domanda.- disse Robert ridendo.
Lo osservai
ridere per un po’, fino a quando non si fu calmato.
- In effetti si.- risposi infine, senza guardarlo negli occhi.
- Hai visto i
film?-
- S-sì..- risposi, guardandolo come se mi avesse fatto una domanda
stupidissima.
- E cosa ne
pensi?-
Continuai a
fissarlo senza rispondere.
- Ehi, non
guardarmi con quella faccia. La maggior parte dei commenti delle fans sono
tutte per Edward, ma tu mi sembri abbastanza razionale da darmi un buon
giudizio sui film, in qualità di fan.- mi spiegò lui,
sorridendomi.
- Bè, io li ho
trovati molto… azzeccati. Twilight… bè, Twilight è Twilight, non c’è molto da
dire. Anche se penso che Edward avrebbe dovuto essere un po’ meno cotonato.-
- È quello che
penso anche io.- commentò Rob, mettendo il broncio e
facendomi ridere: era adorabile.
- New Moon è
stato perfetto. Il regista ha fatto davvero un ottimo lavoro, era molto fedele
al libro e la cosa mi è piaciuta parecchio. Eclipse… bè, l’ho appena visto, per
farmi un’idea buona devo vederlo almeno altre 5 volte.
Però anche quello mi sembra molto bello.-
Mi voltai
verso di lui e notai che mi guardava con un sorriso divertito.
- Scusa, a
volte straparlo.- gli dissi arrossendo.
- Non ti devi
scusare. Mi fa piacere sapere il tuo parere.-
- Ti prego,
cambiamo argomento. Se ci mettiamo a parlare di Twilight non smetto più.- lo
pregai, facendolo ridere.
Parlammo del
più e del meno, restando seduti su quella panchina per quasi un’ora, quando
Robert portò il suo sguardo sull’orologio.
- Si è fatto
tardi, devo andare.- mi avvisò guardandomi.
- Certo.
Grazie per il caffè.- gli dissi, sollevando il bicchiere vuoto che avevo ancora
in mano.
- Prego.- mi
rispose lui sorridendo.
Continuò a
guardarmi per un po’, senza fare l’atto di alzarsi.
- Perché non
mi lasci il tuo numero? Così potremmo sentirci ogni tanto, senza doverci
incontrare per caso.-
Il mio cuore
perse improvvisamente un battito, mentre lui estraeva il cellulare dalla tasca
dei jeans e me lo porgeva; lo presi con mani tremanti, cercando però di non
farlo notare a lui.
- È Patty?-
gli chiesi, notando la foto della sua cagnolina bianca come sfondo.
- Eh, già. La
porto sempre con me.- rispose lui, passandosi una mano
tra i capelli in disordine: davvero era in imbarazzo a causa mia?
Digitai il mio
numero per poi rendergli il telefono.
- Devo proprio
scappare. Ti faccio uno squillo. Ciao Andrea.- mi salutò allontanandosi, mentre
si portava il cellulare all’orecchio.
Sentii il mio
vibrare nella borsa, Robert era già sparito dalla mi vista.
Guardai il
numero sul display e lo salvai: stavo seriamente prendendo in considerazione
l’idea di consegnarmi personalmente al manicomio più vicino.
* * *
Non riuscii a
reprimere uno scatto quando il cellulare si mise a vibrare vicino alla mia
mano.
Guardai il
display: era lui.
Ok, Andy, fai un bel respiro e
rispondi.
Premetti il
tasto verde e portai il telefono all’orecchio.
- Pronto?-
- Ehi, Andrea,
sono io. Dove sei?- mi chiese Robert dall’altro capo del telefono.
- A James
Park, perché?-
- Non
muoverti, ti raggiungo.- e senza aggiungere altro, chiuse la chiamata.
Fissai lo
schermo senza muovere un muscolo, immagazzinando l’idea che Robert mi avrebbe raggiunta.
Cercai di
riportare la mia attenzione sul libro che stavo leggendo, anche se era
un’operazione assai ardua.
Adoravo stare
ore ed ore in quel parco con la sola compagnia di una
buona lettura, mentre il mondo londinese si muoveva intorno a me; avrei voluto
vivere nella capitale inglese solo per poter godere di quei meravigliosi
polmoni verdi sparsi per tutta la città.
Passò circa
mezzora prima di vedere Robert sdraiarsi sull’erba accanto a me.
- Rob. Mi hai fatto prendere un colpo.- lo rimproverai
chiudendo gli occhi e posandomi una mano sul cuore che batteva come impazzito.
- Scusa.-
rispose lui, sogghignando.
- Avevi bisogno?-
chiesi poi, posando lo sguardo su di lui.
- No. Sono in
pausa dal lavoro e avevo voglia di vedere qualcuno che non fosse un truccatore,
un costumista, un regista o chiunque altro che avesse a che fare con il mondo
del cinema.- mi rispose lui, portandosi le mani dietro la nuca e guardando le
fronde degli alberi sopra di lui.
- Anche a te
piace leggere all’aria aperta?- mi chiese poi, voltandosi verso di me.
- È una delle
tante cose che adoro di Londra. In Italia non ci sono posti come questo.-
Cominciammo
ancora una volta a parlare del più e del meno; non di me o di lui,
semplicemente di qualunque cosa ci balzasse alla mente.
Improvvisamente
accadde qualcosa, gli dissi qualcosa che lo fece reagire; non ricordo cosa,
forse perché l’intero ricordo è occupato da ciò che successe dopo.
Robert allungò
una mano verso di me, facendomi il solletico.
- No, Robert,
tutto ma non il solletico.- lo ripresi io, alzandomi
in ginocchio.
- Oh, oh, ho scoperto il tuo punto debole.- disse lui, con uno
sguardo per niente rassicurante.
- No, Rob,
Rob…- ma non feci in tempo a sottrarmi alle sue grinfie che me lo trovai
addosso, partendo alla carica con la sua tortura.
Provai in
tutti i modi a divincolarmi, ma non ci riuscii, forse perché la sua presa era troppo salda.
Rotolammo
letteralmente per tutto il prato, mentre io avevo ormai le lacrime agli occhi
per il gran ridere.
Dopo quella che mi sembrò un’eternità finalmente interruppe la
sua tortura, permettendomi di riprendere fiato.
- Ti odio
sai?- lo rimproverai, prendendo lunghe boccate d’aria.
Quando riaprii
gli occhi me lo trovai a pochi millimetri di distanza,
i nostri nasi potevano quasi sfiorarsi.
Fissai
l’intensità dei suoi occhi blu, mentre le mie mani erano ancora intrecciate
alle sue.
Poi fu un
attimo, le sue calde labbra si posarono sulle mie, per un semplice e breve
contatto, che interruppi prontamente.
- No…-
sussurrai piano, scostandomi.
Mi alzai
velocemente in piedi, raccogliendo le mie cose.
- Scusami,
devo andare.- gli dissi, cercando di allontanarmi.
- Aspetta.- mi
fermò lui, afferrandomi per un braccio.
Mi voltai
nuovamente, leggendo nel suo sguardo il dispiacere, come a volersi scusare di
quel gesto.
- Devo… devo raggiungere il collega di mia madre che mi aspetta.
Ciao. – dissi tuttavia, liberandomi delicatamente dalla sua presa ed allontanandomi, lasciandolo solo in mezzo al verde.
* * *
Avevo avuto
paura.
Sì, paura.
Paura
di farmi del male, paura di soffrire, paura di restare scottata.
Tanti
sinonimi per dire una cosa sola: paura di essere presa in giro da lui.
Forse anche
paura di rovinare un’amicizia; in fondo, era quello che si era creato tra di
noi negli ultimi giorni, o almeno qualcosa che ci assomigliava molto.
Sapevo solo
che, una volta tanto, ero riuscita ad ascoltare il mio cervello, o quel poco
che ne rimaneva, che continuava a gridarmi “staccati, allontanalo, non
lasciarglielo fare”, mentre il cuore continuava ad
urlare “rispondi al bacio, sii felice”.
E continuava a
farlo ancora in quel momento, mentre mi trovavo sdraiata sul letto della mia
camera d’albergo.
Eravamo troppo
diversi, o per meglio dire, vivevamo in due mondi troppo diversi, non potevo
cedere ai miei sentimenti, non potevo ascoltare il mio
cuore; sarebbe stato sbagliato.
Non lo sentii
più, fino al pomeriggio di quel 16 luglio 2010, data che non scorderò mai.
Lessi il suo
nome sul display del mio cellulare, indecisa se rispondere o no; questa volta
ascoltai il cuore.
- Pronto?-
- Ehi, credevo
non rispondessi.-
- Scusa, non
avevo sentito il telefono. Dimmi.-
- Che ne dici
se ti porto fuori a cena?-
Ancora il
cuore che perdeva un battito: quell’uomo voleva la mia morte, ne ero certa.
- Io… non so…-
- Senti, se è
per quello che è successo ieri pomeriggio… mi dispiace, non avrei dovuto farlo,
ho sbagliato. Ma sarà una semplice cena tra amici,
niente di più. Domani parti, giusto?-
- Sì.-
- Voglio
salutarti. Non voglio farti tornare in Italia senza averti detto un “Ciao”
decente.-
Ci pensai un
po’ su, senza sapere cosa fare.
Davvero volevo
andarmene senza neanche rivederlo?
No.
- Ok.-
- Perfetto.
Vengo a prenderti alle 20.-
- D’accordo.
Aspettami fuori dal mio albergo che ti raggiungo. A
dopo.-
Potete ben
immaginare cosa successe dopo: impiegai circa… 2 ore per decidere cosa mettermi
e per prepararmi.
Alle
- È molto che
aspetti?- gli chiesi, attirando la sua attenzione.
Lo vidi passare
lo sguardo su tutta la mia figura, fasciata da una gonna bianca, canottiera
nera e giacchetta leggera beige, il tutto accompagnato dai sandali bianchi dal
tacco abbastanza alto da arrivare con gli occhi alla sua bocca.
- No tranquilla.- mi rispose poi sorridendomi.
Mi portò in un
ristorante carino, no troppo formale, ma neanche un fast-food; come aveva detto
lui, una cosa tranquilla tra amici.
A fine cena mi
propose di fare una passeggiata; accettai e ci dirigemmo verso il ponte di
Westminster.
Il
grande London Eye
si rifletteva, illuminato, sulla superficie del Tamigi, mentre il Parlamento si
stagliava dietro di noi, anche lui riflesso nell’acqua.
- A cosa stai
pensando? – mi chiese improvvisamente Robert con voce roca, forse notando il
mio sguardo perso a contemplare una barca che navigava veloce sul fiume.
- Ancora una
volta mi sono affezionata a questa città. Sarà dura partire domani.- risposi
io, sospirando.
- Ti sei
affezionata solo alla città?- mi domandò di nuovo: sentivo il suo respiro caldo
vicino alla mia spalla.
Mi voltai
quasi di scatto, trovandomi ancora una volta il suo viso a pochi centimetri dal
mio, il respiro dolce e delicato che accarezzava le mie labbra.
- Rob…-
tentai, ma lui mi zittì prontamente.
- Sssh..- sussurrò piano, facendomi rabbrividire.
La distanza
tra di noi si annullò, mentre lui posava le sue labbra morbide sulle mie,
modellandosi all’istante; poi sentii la sua lingua farsi largo nella mia bocca.
Quella volta
non lo respinsi, non era quello che volevo; quella volta ascoltai il mio cuore.
Sembrò passare
un’eternità prima ce si allontanasse da me,
lasciandomi giusto lo spazio per permettermi di respirare.
Lo sentivo
affannato, proprio come me, a causa dell’intensità del bacio che ci eravamo appena scambiati.
- Robert..- provai ancora una volta, ma ancora un volta lui mi
fermò.
- Aspetta, Andrea…-
- Andy.-
- Come?-
chiese lui, allontanandosi quel tanto che gli bastava per guardarmi negli
occhi.
- Andy. Mi chiamano Andy.-
Lo vidi
sorridere divertito.
- Andy. So
cosa stai pensando. Che ti sto usando, che non potrà mai esserci niente tra di
noi, che apparteniamo a due mondi troppo diversi… e hai ragione. Almeno in
parte.- si affrettò ad aggiungere, quando si accorse della mia espressione.
- Non mi sto
prendendo gioco di te. Su questo sono sicuro. Desideravo baciarti fin da quando
hai sussurrato il mio nome, piegata su te stessa, 4
giorni fa. Mi hai colpito subito. Non so in cosa, ma sei diversa da tutte le
altre che ho incontrato. Forse anche perché non mi sei saltata addosso appena mi
hai visto.- disse, facendomi ridere.
Sentii le
lacrime salirmi agli occhi: già temevo quale sarebbe stato il proseguimento del
suo discorso.
- Ma è vero, apparteniamo a due mondi diversi, viviamo
lontani. Non voglio trascinarti nel mio mondo di matti, non voglio obbligarti a
sopportare tutti i giorni orde di paparazzi e di
ragazzine impazzite, pronti a far di te carne da macello. Ma
lo ripeto e non finirò mai di farlo; mi sei entrata dentro e non voglio
lasciarti uscire. Non voglio dimenticarti.-
Disse tutto
questo con la fronte appoggiata alla mia, entrambi avevamo
gli occhi chiusi.
- Ho una…
richiesta, ma voglio che tu mi dica di no, se la ritieni troppo egoistica.-
Questa volta
mi guardò negli occhi, senza mai spostare lo sguardo da essi.
- Domani parti.
Passa la notte con me. Solo io e te.-
Sentii il
respiro accelerare ancora una volta, mentre il cuore batteva come impazzito.
Cosa
avrei dovuto
rispondere? Dovevo seguire la testa o il cuore? Chi tra i due urlava più forte?
Temevo che me ne sarei pentita, che mi sarei fatta del male, ma in quel
momento era l’unica cosa che volevo: volevo lui.
- Scusami,
forse ti ho chiesto troppo, io…-
Lo interruppi
posandogli un dito sulle labbra socchiuse.
- Sì.- dissi soltanto.
Mi guardò per
alcuni secondi, per poi aprirsi in un sorriso bellissimo e baciarmi di nuovo.
Mi prese per mano, guidandomi verso quello che, ne ero sicura,
era il suo appartamento.
Quando entrammo non mi guardai intorno, il buio era totale e io ero
totalmente presa ad lui, troppo occupata ad assaggiare le sue labbra.
Mi resi conto
di essere entrata nella sua camera solo quando mi fece sdraiare sul suo letto.
Cominciò ad eliminare le barriere che ci separavano l’uno dall’altra,
mentre io facevo lo stesso.
Prima di farmi
sua mi guardò negli occhi, intensamente, come se fossi la cosa più bella che
avesse mai visto.
E io mi sentii amata.
Entrò in me
delicatamente, mentre un sospiro di beatitudine usciva dalle mie labbra.
Fu dolcissimo
e non mi ritrovai nemmeno per un secondo a pensare che il giorno dopo sarebbe
tutto finito; in quel momento c’eravamo solo io e lui.
Quando
raggiungemmo l’apice del piacere, i nostri sguardi non di erano
mai separati, nei suoi occhi potevo leggere lo stesso desiderio e forse anche
la stessa tristezza che ero sicura ci fossero anche nei miei.
Robert di sdraiò accanto a me, mentre io mi avvicinavo a lui, posando
la testa sul suo petto: ci vollero solo pochi minuti prima che entrambi ci abbandonassimo
tra le braccia di Morfeo.
* * *
La mattina
seguente, quando mi svegliai, Robert dormiva ancora
beatamente accanto a me, la bocca leggermente socchiusa.
Nonostante
fossi sicura che ci sarebbe voluto ben altro per
svegliarlo, mi alzai lentamente e mi preparai cercando di non fare rumore.
Quando fui
pronta per andare, volsi il mio sguardo verso il ragazzo che avevo imparato ad
amare in quegli ultimi giorni.
Perché era
proprio quello che era successo: mi ero innamorata di lui.
E io non potevo farci niente.
Mi avvicinai
lentamente a Robert, posandogli un lieve bacio sulle labbra, a
cui lui rispose con un mugugno sommesso.
Odiavo gli
addii, per quello non volevo che mi accompagnasse all’aeroporto.
Uscii
dall’appartamento e chiamai un taxi, tornando al mio albergo.
Preparai le
ultime cose e mi diressi velocemente verso l’aeroporto; non vedevo l’ora di
partire, di lasciare Londra, di lasciare Robert.
Volevo cercare
di dimenticare, di arginare il più possibile il dolore che sentivo farsi strada dentro di me.
Nonostante
tutto, però, non mi pentivo di ciò che era accaduto quella notte: avevo fatto
l’amore con Robert, perché lo amavo e forse avrei continuato a farlo, ma da
lontano, come una semplice fan, sperando solo di non soffrire troppo.
“I signori
passeggeri del volo diretto per Parma, Italia, sono pregati di dirigersi agli appositi sportelli”, gracchiò la voce all’altoparlante.
Mi guardai intorno un’ultima volta prima di afferrare il mio bagaglio a
mano e trascinarlo verso il gate.
- Andrea!-
Una voce
distinte in mezzo alle migliaia di persone che affollavano il terminal.
- Andrea!-
L’avevo
sentita ancora, ero sicura che stessero gridando il mio nome.
Ma in fondo in Inghilterra è un nome
diffuso.
Però quella voce… mi sembrava stranamente
famigliare.
- Andrea!-
Al terzo
richiamo mi voltai e lo trovai lì, bellissimo, con il fiato corto per la corsa,
gli occhi azzurri non erano coperti dagli occhiali scuri, posati sulla testa, e
al loro interno potevo leggere l’amore che sentivo anche dentro di me.
- Robert…-
sussurrai piano.
Finalmente mi
raggiunse, chiudendo le sue forti braccia intorno a me, come una coperta calda
dalla quale io non volevo uscire.
- Proviamoci.-
mi sussurrò all’orecchio, il viso affondato nei miei capelli.
- Cosa?-
chiesi io senza capire.
- Proviamoci, io e te. Forse i nostri mondi non sono poi tanto
diversi. E per la distanza… bè, hanno inventato gli aerei per qualcosa, ci vedremo il più spesso possibile, te lo prometto.- rispose
Robert, guardandomi finalmente negli occhi.
- Rob, io
non…-
- Ascoltami.
Io non so cosa mi sia successo, cosa tu mi abbia fatto. Non mi era mai capitata
una cosa del genere, non sono certo una di quelle persone che riesce a dare
subito confidenza agli altri, io ho bisogno di tempo. Ma
con te è stato diverso. Non posso assicurarti che andrà bene, così come non
posso assicurarti una vita tranquilla. Ma se non ci proviamo, potremmo
pentircene, non credi?-
Quando ebbe
finito il suo monologo, fissai i miei occhi in quelli immensamente blu di
Robert, soppesando le sue parole, cercando di prendere una decisione.
Cosa
volevo veramente?
Volevo salire su quell’aereo e non rivederlo mai più? Volevo non sentire più il
dolce sapore delle sue labbra? Volevo non perdermi più nel suo sguardo così
profondo?
O volevo
averlo con me, accanto a me, e cercare di creare con lui qualcosa d’importante?
Non mi ci
volle poi molto per decidere.
- Hai ragione.
Forse sto facendo l’errore più sbagliato della mia vita, o forse quello più
giusto, chi lo sa. Ma anche io voglio provarci. Voglio
poter vedere il tuo sorriso ancora e ancora, fino a quando non mi stancherò. O
per meglio dire, fino a quando tu non ti stancherai di me.-
- Non penso
che potrà mai accadere una cosa del genere.- rispose lui, sorridendo raggiante,
per poi baciarmi di nuovo, con più trasporto, con passione, con amore.
Quel giorno
prendetti quell’aereo che mi avrebbe riportata a casa,
ma non per sempre, solo per un po’.
Solo fino a
quando sarei tornata a riprendere il mio cuore, quello stesso cuore che avevo affidato a Robert.
E qui si conclude
la mia storia.
L’ho voluta raccontare a voi, a
chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di leggerla, perché è stata una
storia importante, che mi ha segnato nel profondo.
Io non ho mai creduto ai colpi di
fulmine, ma quella volta mi sono dovuta ricredere.
Forse questa mia esperienza può aiutare
quelli di voi che non ci credono.
- Andy, tesoro, Rachel si è
addormentata.-
Oh, questo è mio marito.
Finalmente è riuscito a mettere a letto
la nostra bambina; devo dire che ha fatto prima di quel che pensavo.
- Che fai?- mi chiede, sedendosi sul
letto accanto a me e posandomi un bacio sul collo scoperto.
- Niente. Stavo ripensando al nostro
primo incontro.- rispondo io, guardandolo sorridendo.
- Ti riferisci forse a quell’incontro a
Londra, dove una certa ragazzina impacciata ha sussurrato il mio nome nel bel
mezzo del traffico londinese?-
- Proprio quello. Ma ti devo forse ricordare, Rob, che tu mi hai dato corda? Ero convinta che saresti scappato a gambe levate.- lo ammonisco io ridendo.
- Io l’ho sempre detto che mi piacciono
le ragazze pazze.- risponde lui.
Ebbene sì, mio marito è proprio Robert.
Dopo il mio ritorno in Italia abbiamo
cominciato la nostra relazione, un po’ travagliata se devo dirla tutta.
Tra aerei, film, interviste ed esami,
non è stato facile, ma siamo andati avanti, senza mai arrenderci, senza mai
mollare.
Certo, ci sono stati parecchi litigi e
pianti, ma senza tutto questo sarebbe stato un
rapporto noioso, non credete?
Sei anni fa mi sono poi trasferita a
Los Angeles, per stare accanto a Robert e dopo 2 anni
sono diventata la signora Pattinson, mentre miliardi di fans in tutto il mondo
si strappavano i capelli disperate; in fondo avevo tolto dalla piazza uno degli
scapoli più ambiti degli ultimi anni.
L’anno scorso è nata la nostra Rachel,
una gioia immensa per entrambi; Robert è un padre fantastico e
io mi sono presa un periodo di pausa dal mio lavoro di fotografa per badare
alla bambina.
Robert guadagna abbastanza per
entrambi.
Lui continua ad
essere uno degli attori più richiesti, anche se ha deciso, per questi 3 anni,
di non accettare ingaggi che lo portino fuori città e anche con le riprese,
cerca sempre di ritagliare un po’ di tempo per noi; in caso contrario, siamo
noi ad andare da lui.
Rachel adora vedere il suo papà
recitare.
- Non credi sia ora di andare a dormire
anche per noi? Domani mattina devo alzarmi presto.- mi
dice improvvisamente Rob, ridestandomi dai miei pensieri.
Mi volto verso di lui, ammirandolo in
tutto il suo splendore: i pantaloni del pigiama ricadono larghi sulle sue gambe
muscolose, mentre la maglietta bianca gli fascia alla perfezione gli addominali
scolpiti.
- Perché mi guardi così?- mi domanda,
sollevando un sopracciglio.
- Mi stavo chiedendo… dobbiamo proprio
dormire? Non puoi dedicare un po’ del tuo tempo anche alla tua mogliettina?-
rispondo io con un’altra domanda, avvicinandomi a lui con sguardo malizioso,
posandogli un bacio sulle labbra.
- Mmmh… ora che mi ci fai pensare, non
ho poi tanto sonno.- risponde lui, allontanandosi dalle mie labbra di pochi
millimetri e sorridendo.
Mi afferra per i fianchi, stendendomi
sotto di lui; e ci amiamo così.
Ora come ora non so come avrei fatto se
quel giorno, stupida ragazzina di 20 anni quale ero,
non avessi cercato di avvicinare l’attore inglese più ricercato di quegli anni.
Ma in questo momento, tra le sue
braccia, di 3 cose sono del tutto certa, riprendendo
le parole di quel film che mi aveva fatto innamorare di lui: 1. Robert è mio
marito;
Bè, se devo
essere sincera fino in fondo, devo ancora capire da
dove mi è uscita questa cosa. -.-
Bah, dalla mia
solita pazzia, direi. :P
Sono due
giorni che ci lavoro, anche se è stata proprio una cosa
venuta di getto.
Ecco a voi la mia nuova One-shot… un po’ lunghina in effetti. XD
Allora che ne
pensate?
Spero tanto
che i commenti saranno positivi, come lo sono sempre stati
x le altre mie ff.
Mmmh… non ho
molto altro da dire, quindi ringrazio anticipatamente coloro
che leggeranno e che commenteranno (se qualcuno lo farà… *me vi prega in
ginocchio*).
Un bacione
immenso a tutti.
Cicci12