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Autore: Cicci 12    26/04/2010    2 recensioni
"Salve a tutti. Mi chiamo Andrea, ho 29 anni e sono qui per raccontarvi una storia, la mia." Piccola one-shot nata dalla mia mente malata, come sempre. ^^ Un amore nato per caso e destinato a durare... x sempre? Spero di riuscire ancora una volta a soddisfare i miei lettori. un bacio... Cicci 12
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio, Robert Pattinson
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un incontro che può cambiarti la vita

Un incontro che può cambiarti la vita

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Salve a tutti. Mi chiamo Andrea, ho 29 anni e sono qui per raccontarvi una storia, la mia.

Voglio approfittare del fatto che mio marito è nell’altra stanza, impegnato nell’arduo tentativo di far addormentare nostra figlia, cosa che mi assicura di avere tutto il tempo a disposizione per il mio racconto; la nostra Rachel è un osso duro.

Prima di iniziare, però, c’è una domanda che mi sorge spontanea: voi credete nei colpi di fulmini?

Perché è proprio di questo che vi voglio parlare.

Ora sono sicura che il pensiero che vi ronza in testa è uno solo: “E a noi cosa interessa del suo colpo di fulmine?”.

Bè, spero tanto di riuscire ad attirare le vostre attenzioni quando vi dirò chi è il protagonista di questa storia insieme a me.

Quindi vi faccio solo una richiesta: cercate di non addormentarvi fino a quel punto, poi sarete voi a decidere se continuare a leggere oppure no.

Ma andiamo con ordine.

Era l’11 luglio 2010; sono ormai trascorsi 9 anni, ma mi ricordo ogni minimo dettaglio, come se fosse ieri…

 

- Dannazione! Dove diavolo è andata a finire? Eppure sono sicura che fino a 2 anni fa era da queste parti.- imprecai vagando per le strade di Londra.

Ero sicura che se uno dei passanti avesse capito anche solo mezza parola di italiano, mi avrebbe preso per scema; soprattutto perché stavo parlando di una strada.

Erano ormai 20 minuti che giravo in tondo alla disperata ricerca di Oxford Street, e se tenete presente che è una delle strade principali di Londra, bè, anche voi mi avreste preso per pazza.

Ma non avevo nessuna intenzione di chiedere indicazioni: quando mi ci metto sono più dura di un muro e volevo trovarla da sola quella dannata strada “mobile”.

Stavo ancora una volta imprecando tra me e me, quando posai distrattamente lo sguardo su uno dei passanti che mi aveva appena sfiorato un braccio.

Mi bloccai sul posto, incapace di muovere un solo muscolo; non poteva essere lui, non potevo davvero essere così… fortunata? O completamente pazza?

Bè, l’unico modo per capire se sono ancora sana di mente è voltarsi. Ma non dire cavolate, rischi di fare una figura di merda. E se fosse veramente lui? Poi mi mangerei le mani a vita. fu il mio monologo interiore.

Come temevo, fu la mia parte più irrazionale ad avere la meglio, così mi voltai scrutando quel ragazzo che per mia fortuna (o sfortuna, dipende dai punti di vista) si era fermato a pochi metri da me, intento ad osservare gli orari del bus alla fermata poco più in là di dove mi trovavo io.

Se ripenso oggi a ciò che feci poco dopo mi sento un perfetta imbecille, ma se poi mi rendo conto che senza quella mia stupidaggine ora non avrei dei ricordi così meravigliosi nel mio cuore, devo ringraziare proprio quel mio gesto così avventato.

Mi piegai in avanti, come se avessi dovuto parlargli in un orecchio e sussurrai una sola parola: - Robert?-

Per alcuni secondi ebbi la sensazione che non mi avesse neanche sentito, in fondo avevo pronunciato quel nome sottovoce e noi ci trovavamo nel bel mezzo del traffico londinese, come potevo sperare di farmi sentire?

Invece lo vidi voltarsi verso di me, forse cercando la fonte di quel sussurro; mi guardava con i suoi occhi color del mare, i capelli eternamente in disordine, una mano infilata nella tasca dei jeans scuri e l’altra occupata da una sigaretta ormai fumata a metà.

Robert Pattinson mi osservava con un sopracciglio alzato, all’alto verso il basso; no, non con sguardo altezzoso, semplicemente stava guardando una scema piegata in due con lo sguardo puntato in alto nell’arduo compito di guardarlo in faccia.

Ok, madre terra, inghiottimi, adesso. mi ritrovai a pensare, mentre mi rimettevo in posizione eretta tossicchiando imbarazzata.

Avanti, Andy, dì qualcosa, o penserà che sei una schizzata, continuai a pensare; e forse non avrebbe avuto tutti i torti.

- Ehm, scusa, volevo accertarmi che fossi tu. Pensavo di avere le allucinazioni.- cercai di spiegargli.

Ma  brava, ora si che penserà che sei sana di mente, mi dissi arrossendo e mordendomi la lingua.

- Perché parli sottovoce?- mi domandò poi lui con tono normale, ma tuttavia sorridendo divertito.

Bè, almeno sono riuscita a farlo ridere: magra consolazione.

- S-scusa, pensavo che così nessuno si sarebbe accorto di te…- cercai di giustificarmi, riacquistando anche io un tono di voce nella norma.

- Capisco.- disse lui ridendo. – Ma puoi stare tranquilla, qui nessuno mi assale. Forse perché sono a casa.- mi rassicurò lui, inclinando il capo da una parte e regalandomi uno dei suoi bellissimi sorrisi.

Probabilmente rimasi imbambolata a fissarlo a bocca aperta come un pesce lesso per almeno 10 secondi, perché ad un certo punto lo vidi passarsi la mano tra i capelli, imbarazzato.

- S-scusami.. f-forse è… è meglio se vado. Ciao.-

Feci per allontanarmi, ma fui fermata dalla sua voce.

- Ehi, aspetta. Non mi hai detto come ti chiami.-

Mi voltai lentamente, neanche mi stesse minacciando con una pistola, mentre ero consapevole del fatto che i miei occhi erano, come dire, stralunati?

Ma non potevo farci niente, non riuscivo ad evitarlo.

- A-Andrea.- riuscii a farfugliare, sotto il suo sguardo divertito.

- Piacere di conoscerti, Andrea. Non sei inglese, vero?-

- No, sono italiana.-

- E cosa ti ha portato a Londra?-

- Un viaggio di piacere.-

Sembravo una di quelle bambinette imbarazzate di 5 anni che rispondono a monosillabi alle domande di un adulto.

Ehi, madre terra, ci sei? Ti avrei chiesto un favore, poco fa.

Portai lo sguardo sul mio interlocutore e notai i suoi occhi quasi… curiosi.

Forse si aspettava che aggiungessi qualcosa.

- Ho da poco finito gli esami e mi sono concessa un po’ di relax.- spiegai.

- Sei da sola?-

- Sì. Diciamo che sono qui anche per… migliorare il mio inglese.-

- Già ottimo.- m’interruppe lui, facendomi arrossire di nuovo.

- Ho un collega di mia madre che mi da una mano, ma sono da sola.-

- Capisco.- ripetè ancora una volta.

Calò un silenzio imbarazzante, mentre io mi guardavo intorno: sentivo il suo sguardo indagatore su di me.

- Dannazione, è tardissimo.- lo sentii improvvisamente imprecare.

- Scusami, ma devo proprio scappare.- mi avvertì poi, come se mi dovesse delle spiegazioni.

- Si, certo, capisco. È… è stato… bello incontrarti.-

Robert rimase a fissarmi per alcuni secondi: avevo detto una cavolata, come sempre.

- Quanto resti a Londra?- mi chiese poi.

- Sei giorni.- risposi io, senza capire.

- Bè, allora forse ci incontreremo di nuovo. Londra non è poi così grande come sembra. Ciao Andrea. Anche per me è stato… bello incontrarti.- mi salutò lui, ripetendo le parole che avevo detto io.

Si voltò sorridendo, riprendendo il cammino che l’avrebbe portato non so dove, quando mi decisi a fermarlo.

- Robert.- lo richiamai.

Lo vidi voltarsi verso di me, una curiosità evidente nei suoi bellissimi occhi azzurri.

- Potresti… potresti indicarmi la direzione per Oxford Street?- chiesi titubante: ebbene sì, mi ero arresa.

Lo sentii scoppiare a ridere, prima di riportare il suo sguardo su di me.

- Prosegui fino alla fine di questa via, poi gira a destra. Fai circa 200 metri e ci arrivi.-

- G-grazie mille.-

Mi rivolse un ultimo cenno di saluto con la mano, poi si allontanò lasciandomi imbambolata in mezzo al marciapiede.

Nonostante le indicazioni di Robert, ci misi altri 20 minuti per arrivare alla mia meta, a causa del mio cervello che ancora non si degnava di tornare dalla vacanza che si era concesso.

Riuscii a riprendermi solo quando intravidi il collega di mia madre che mi aspettava poco lontano da lì; dovevo assolutamente riprendermi, o era la volta buona che mi rinchiudevano in manicomio.

 

* * *

 

Erano passati 2 giorni dal mio incontro ravvicinato con l’attore inglese e stavo seriamente cominciando a credere di essermi sognata tutto.

In fondo a volte capita di avere un desiderio così grande da sognarlo alla notte ed essere convinti che sia accaduto veramente.

E forse era proprio quello che era successo a me.

Ero appena uscita dal National Gallery, visitato circa per la millesima volta, e mi trovavo in Victoria Street intenta a lottare contro la folla che occupava l’intero Starbuck: cominciavo a pensare che quella di prendermi un caffè non fosse stata una brillante idea.

Sbilanciata da un omone grande e grosso che mi aveva urtata, pestai il piede di un ragazzo che mi stava proprio dietro: ci mancava solo un litigio in mezzo a quel delirio e mi sarei messa a correre per le strade di Londra come una pazza.

- Oh, scusa.- gli dissi, sperando di arginare una possibile sfuriata.

- Tranquilla. Qui dentro è impossibile non pestarsi a vicenda.- mi rispose invece lui, gentile.

Mi voltai per guardarlo in faccia e ancora un volta mi ritrovai a fissare due meravigliosi occhi blu.

- Ehi, ci ritroviamo. Te l’avevo detto che Londra non è poi tanto grande.- mi salutò Robert, strizzandomi l’occhio.

- G-già.. Ciao.- lo salutai io, mentre l’ormai noto rossore m’invadeva le guance.

Finalmente giungemmo tutti e due al bancone.

- Cosa prendi?- mi chiese lui, mentre io gli rivolgevo uno sguardo interrogativo.

- Un caffè.- risposi io, senza capire dove volesse arrivare.

- Due caffè… grandi.- aggiunse poi, guardandomi con la coda dell’occhio.

- Enormi direi.- lo corressi io, mentre lui sorrideva.

Quando finalmente mi resi conto di quello che voleva fare, cercai si protestare.

- Oh, no, non se ne parla.- cercai di fermarlo, mentre allungava i soldi alla barista.

- Non divento povero per un caffè.- mi fece notare lui, allungandomi il mio bicchiere.

- Non mi interessa.- continuai io imperterrita, estraendo il portafoglio dalla borsa.

Lui mi bloccò, posandomi una mano sulla mia e facendomi correre un brivido lungo la colonna vertebrale.

- Questo lo offro io e non accetto rifiuti.- ripetè lui.

- Ok.- sospirai infine rassegnata, mentre cercavamo di farci largo tra la folla per uscire.

- Amante del caffè?- mi chiese Robert, quando finalmente ci ritrovammo all’aria aperta.

- Drogata vorrai dire.-

- Ahahahah!! Quanto ti capisco.- rise lui, facendo sorridere anche me.

- Visto, abbiamo già una cosa in comune.- mi fece poi notare.

- Già, l’ho sempre pensato anche io.- risposi, per poi arrossire: la mia solita linguaccia lunga.

Camminammo per un po’ senza parlare; il silenzio imbarazzante cominciava a farmi sentire a disagio.

- Ci sendiamo?- mi chiese improvvisamente Robert, indicando una panchina poco lontana da noi.

Mi guardai intorno: quasi senza accorgermene eravamo arrivati in S. James’ Park, uno dei meravigliosi parchi della capitale inglese.

- Non so…- risposi io titubante, guardando l’orologio.

- Hai da fare?-

- No, no, assolutamente, però magari tu…-

- Non ho niente da fare, tranquilla.- disse, scuotendo la testa e sorridendomi.

Si sedette sulla panchina, subito imitato da me, mentre continuavo a sorseggiare il mio caffè.

Di nuovo quel silenzio imbarazzante; cominciavano a darmi sui nervi.

Avanti Andy, trova qualcosa da dire.

- Stai girando “Bel Ami”, vero?- dissi improvvisamente, facendolo sobbalzare.

Brava, Andy, complimenti. È qui per rilassarsi e tu gli parli del lavoro. Bella mossa. mi rimproverai, mordendomi la lingua.

- Esatto, anche se siamo ormai alle battute finali. Non manca molto.- mi rispose lui, tuttavia sorridendo.

- Sono… sono proprio curiosa di vederlo.- aggiunsi io.

Come se gliene fregasse qualcosa. Ma il tuo intuito ha vinto una vacanza alle Hawaii?

- Sei una fan della Twilight Saga?- mi chiese improvvisamente, facendomi quasi strozzare con la mia bevanda.

- Cosa?- esclamai io, sputacchiando.

- Ehi, calmati, era una semplice domanda.- disse Robert ridendo.

Lo osservai ridere per un po’, fino a quando non si fu calmato.

- In effetti si.- risposi infine, senza guardarlo negli occhi.

- Hai visto i film?-

- S-sì..- risposi, guardandolo come se mi avesse fatto una domanda stupidissima.

- E cosa ne pensi?-

Continuai a fissarlo senza rispondere.

- Ehi, non guardarmi con quella faccia. La maggior parte dei commenti delle fans sono tutte per Edward, ma tu mi sembri abbastanza razionale da darmi un buon giudizio sui film, in qualità di fan.- mi spiegò lui, sorridendomi.

- Bè, io li ho trovati molto… azzeccati. Twilight… bè, Twilight è Twilight, non c’è molto da dire. Anche se penso che Edward avrebbe dovuto essere un po’ meno cotonato.-

- È quello che penso anche io.- commentò Rob, mettendo il broncio e facendomi ridere: era adorabile.

- New Moon è stato perfetto. Il regista ha fatto davvero un ottimo lavoro, era molto fedele al libro e la cosa mi è piaciuta parecchio. Eclipse… bè, l’ho appena visto, per farmi un’idea buona devo vederlo almeno altre 5 volte. Però anche quello mi sembra molto bello.-

Mi voltai verso di lui e notai che mi guardava con un sorriso divertito.

- Scusa, a volte straparlo.- gli dissi arrossendo.

- Non ti devi scusare. Mi fa piacere sapere il tuo parere.-

- Ti prego, cambiamo argomento. Se ci mettiamo a parlare di Twilight non smetto più.- lo pregai, facendolo ridere.

Parlammo del più e del meno, restando seduti su quella panchina per quasi un’ora, quando Robert portò il suo sguardo sull’orologio.

- Si è fatto tardi, devo andare.- mi avvisò guardandomi.

- Certo. Grazie per il caffè.- gli dissi, sollevando il bicchiere vuoto che avevo ancora in mano.

- Prego.- mi rispose lui sorridendo.

Continuò a guardarmi per un po’, senza fare l’atto di alzarsi.

- Perché non mi lasci il tuo numero? Così potremmo sentirci ogni tanto, senza doverci incontrare per  caso.-

Il mio cuore perse improvvisamente un battito, mentre lui estraeva il cellulare dalla tasca dei jeans e me lo porgeva; lo presi con mani tremanti, cercando però di non farlo notare a lui.

- È Patty?- gli chiesi, notando la foto della sua cagnolina bianca come sfondo.

- Eh, già. La porto sempre con me.- rispose lui, passandosi una mano tra i capelli in disordine: davvero era in imbarazzo a causa mia?

Digitai il mio numero per poi rendergli il telefono.

- Devo proprio scappare. Ti faccio uno squillo. Ciao Andrea.- mi salutò allontanandosi, mentre si portava il cellulare all’orecchio.

Sentii il mio vibrare nella borsa, Robert era già sparito dalla mi vista.

Guardai il numero sul display e lo salvai: stavo seriamente prendendo in considerazione l’idea di consegnarmi personalmente al manicomio più vicino.

 

* * *

 

Non riuscii a reprimere uno scatto quando il cellulare si mise a vibrare vicino alla mia mano.

Guardai il display: era lui.

Ok, Andy, fai un bel respiro e rispondi.

Premetti il tasto verde e portai il telefono all’orecchio.

- Pronto?-

- Ehi, Andrea, sono io. Dove sei?- mi chiese Robert dall’altro capo del telefono.

- A James Park, perché?-

- Non muoverti, ti raggiungo.- e senza aggiungere altro, chiuse la chiamata.

Fissai lo schermo senza muovere un muscolo, immagazzinando l’idea che Robert mi avrebbe raggiunta.

Cercai di riportare la mia attenzione sul libro che stavo leggendo, anche se era un’operazione assai ardua.

Adoravo stare ore ed ore in quel parco con la sola compagnia di una buona lettura, mentre il mondo londinese si muoveva intorno a me; avrei voluto vivere nella capitale inglese solo per poter godere di quei meravigliosi polmoni verdi sparsi per tutta la città.

Passò circa mezzora prima di vedere Robert sdraiarsi sull’erba accanto a me.

- Rob. Mi hai fatto prendere un colpo.- lo rimproverai chiudendo gli occhi e posandomi una mano sul cuore che batteva come impazzito.

- Scusa.- rispose lui, sogghignando.

- Avevi bisogno?- chiesi poi, posando lo sguardo su di lui.

- No. Sono in pausa dal lavoro e avevo voglia di vedere qualcuno che non fosse un truccatore, un costumista, un regista o chiunque altro che avesse a che fare con il mondo del cinema.- mi rispose lui, portandosi le mani dietro la nuca e guardando le fronde degli alberi sopra di lui.

- Anche a te piace leggere all’aria aperta?- mi chiese poi, voltandosi verso di me.

- È una delle tante cose che adoro di Londra. In Italia non ci sono posti come questo.-

Cominciammo ancora una volta a parlare del più e del meno; non di me o di lui, semplicemente di qualunque cosa ci balzasse alla mente.

Improvvisamente accadde qualcosa, gli dissi qualcosa che lo fece reagire; non ricordo cosa, forse perché l’intero ricordo è occupato da ciò che successe dopo.

Robert allungò una mano verso di me, facendomi il solletico.

- No, Robert, tutto ma non il solletico.- lo ripresi io, alzandomi in ginocchio.

- Oh, oh, ho scoperto il tuo punto debole.- disse lui, con uno sguardo per niente rassicurante.

- No, Rob, Rob…- ma non feci in tempo a sottrarmi alle sue grinfie che me lo trovai addosso, partendo alla carica con la sua tortura.

Provai in tutti i modi a divincolarmi, ma non ci riuscii, forse perché la sua presa era troppo salda.

Rotolammo letteralmente per tutto il prato, mentre io avevo ormai le lacrime agli occhi per il gran ridere.

Dopo quella che mi sembrò un’eternità finalmente interruppe la sua tortura, permettendomi di riprendere fiato.

- Ti odio sai?- lo rimproverai, prendendo lunghe boccate d’aria.

Quando riaprii gli occhi me lo trovai a pochi millimetri di distanza, i nostri nasi potevano quasi sfiorarsi.

Fissai l’intensità dei suoi occhi blu, mentre le mie mani erano ancora intrecciate alle sue.

Poi fu un attimo, le sue calde labbra si posarono sulle mie, per un semplice e breve contatto, che interruppi prontamente.

- No…- sussurrai piano, scostandomi.

Mi alzai velocemente in piedi, raccogliendo le mie cose.

- Scusami, devo andare.- gli dissi, cercando di allontanarmi.

- Aspetta.- mi fermò lui, afferrandomi per un braccio.

Mi voltai nuovamente, leggendo nel suo sguardo il dispiacere, come a volersi scusare di quel gesto.

- Devo… devo raggiungere il collega di mia madre che mi aspetta. Ciao. – dissi tuttavia, liberandomi delicatamente dalla sua presa ed allontanandomi, lasciandolo solo in mezzo al verde.

 

* * *

 

Avevo avuto paura.

Sì, paura.

Paura di farmi del male, paura di soffrire, paura di restare scottata.

Tanti sinonimi per dire una cosa sola: paura di essere presa in giro da lui.

Forse anche paura di rovinare un’amicizia; in fondo, era quello che si era creato tra di noi negli ultimi giorni, o almeno qualcosa che ci assomigliava molto.

Sapevo solo che, una volta tanto, ero riuscita ad ascoltare il mio cervello, o quel poco che ne rimaneva, che continuava a gridarmi “staccati, allontanalo, non lasciarglielo fare”, mentre il cuore continuava ad urlare “rispondi al bacio, sii felice”.

E continuava a farlo ancora in quel momento, mentre mi trovavo sdraiata sul letto della mia camera d’albergo.

Eravamo troppo diversi, o per meglio dire, vivevamo in due mondi troppo diversi, non potevo cedere ai miei sentimenti, non potevo ascoltare il mio cuore; sarebbe stato sbagliato.

Non lo sentii più, fino al pomeriggio di quel 16 luglio 2010, data che non scorderò mai.

Lessi il suo nome sul display del mio cellulare, indecisa se rispondere o no; questa volta ascoltai il cuore.

- Pronto?-

- Ehi, credevo non rispondessi.-

- Scusa, non avevo sentito il telefono. Dimmi.-

- Che ne dici se ti porto fuori a cena?-

Ancora il cuore che perdeva un battito: quell’uomo voleva la mia morte, ne ero certa.

- Io… non so…-

- Senti, se è per quello che è successo ieri pomeriggio… mi dispiace, non avrei dovuto farlo, ho sbagliato. Ma sarà una semplice cena tra amici, niente di più. Domani parti, giusto?-

- Sì.-

- Voglio salutarti. Non voglio farti tornare in Italia senza averti detto un “Ciao” decente.-

Ci pensai un po’ su, senza sapere cosa fare.

Davvero volevo andarmene senza neanche rivederlo?

No.

- Ok.-

- Perfetto. Vengo a prenderti alle 20.-

- D’accordo. Aspettami fuori dal mio albergo che ti raggiungo. A dopo.-

Potete ben immaginare cosa successe dopo: impiegai circa… 2 ore per decidere cosa mettermi e per prepararmi.

Alle 20 in punto uscii nell’aria fresca della sera londinese e lo vidi subito appoggiato ad un albero lì davanti, intento a fumarsi una sigaretta, bellissimo nel suoi jeans neri intonati con la giacca e la camicia bianca.

- È molto che aspetti?- gli chiesi, attirando la sua attenzione.

Lo vidi passare lo sguardo su tutta la mia figura, fasciata da una gonna bianca, canottiera nera e giacchetta leggera beige, il tutto accompagnato dai sandali bianchi dal tacco abbastanza alto da arrivare con gli occhi alla sua bocca.

- No tranquilla.- mi rispose poi sorridendomi.

Mi portò in un ristorante carino, no troppo formale, ma neanche un fast-food; come aveva detto lui, una cosa tranquilla tra amici.

A fine cena mi propose di fare una passeggiata; accettai e ci dirigemmo verso il ponte di Westminster.

Il grande London Eye si rifletteva, illuminato, sulla superficie del Tamigi, mentre il Parlamento si stagliava dietro di noi, anche lui riflesso nell’acqua.

- A cosa stai pensando? – mi chiese improvvisamente Robert con voce roca, forse notando il mio sguardo perso a contemplare una barca che navigava veloce sul fiume.

- Ancora una volta mi sono affezionata a questa città. Sarà dura partire domani.- risposi io, sospirando.

- Ti sei affezionata solo alla città?- mi domandò di nuovo: sentivo il suo respiro caldo vicino alla mia spalla.

Mi voltai quasi di scatto, trovandomi ancora una volta il suo viso a pochi centimetri dal mio, il respiro dolce e delicato che accarezzava le mie labbra.

- Rob…- tentai, ma lui mi zittì prontamente.

- Sssh..- sussurrò piano, facendomi rabbrividire.

La distanza tra di noi si annullò, mentre lui posava le sue labbra morbide sulle mie, modellandosi all’istante; poi sentii la sua lingua farsi largo nella mia bocca.

Quella volta non lo respinsi, non era quello che volevo; quella volta ascoltai il mio cuore.

Sembrò passare un’eternità prima ce si allontanasse da me, lasciandomi giusto lo spazio per permettermi di respirare.

Lo sentivo affannato, proprio come me, a causa dell’intensità del bacio che ci eravamo appena scambiati.

- Robert..- provai ancora una volta, ma ancora un volta lui mi fermò.

- Aspetta, Andrea…-

- Andy.-

- Come?- chiese lui, allontanandosi quel tanto che gli bastava per guardarmi negli occhi.

- Andy. Mi chiamano Andy.-

Lo vidi sorridere divertito.

- Andy. So cosa stai pensando. Che ti sto usando, che non potrà mai esserci niente tra di noi, che apparteniamo a due mondi troppo diversi… e hai ragione. Almeno in parte.- si affrettò ad aggiungere, quando si accorse della mia espressione.

- Non mi sto prendendo gioco di te. Su questo sono sicuro. Desideravo baciarti fin da quando hai sussurrato il mio nome, piegata su te stessa, 4 giorni fa. Mi hai colpito subito. Non so in cosa, ma sei diversa da tutte le altre che ho incontrato. Forse anche perché non mi sei saltata addosso appena mi hai visto.- disse, facendomi ridere.

Sentii le lacrime salirmi agli occhi: già temevo quale sarebbe stato il proseguimento del suo discorso.

- Ma è vero, apparteniamo a due mondi diversi, viviamo lontani. Non voglio trascinarti nel mio mondo di matti, non voglio obbligarti a sopportare tutti i giorni orde di paparazzi e di ragazzine impazzite, pronti a far di te carne da macello. Ma lo ripeto e non finirò mai di farlo; mi sei entrata dentro e non voglio lasciarti uscire. Non voglio dimenticarti.-

Disse tutto questo con la fronte appoggiata alla mia, entrambi avevamo gli occhi chiusi.

- Ho una… richiesta, ma voglio che tu mi dica di no, se la ritieni troppo egoistica.-

Questa volta mi guardò negli occhi, senza mai spostare lo sguardo da essi.

- Domani parti. Passa la notte con me. Solo io e te.-

Sentii il respiro accelerare ancora una volta, mentre il cuore batteva come impazzito.

Cosa avrei dovuto rispondere? Dovevo seguire la testa o il cuore? Chi tra i due urlava più forte?

Temevo che me ne sarei pentita, che mi sarei fatta del male, ma in quel momento era l’unica cosa che volevo: volevo lui.

- Scusami, forse ti ho chiesto troppo, io…-

Lo interruppi posandogli un dito sulle labbra socchiuse.

- Sì.- dissi soltanto.

Mi guardò per alcuni secondi, per poi aprirsi in un sorriso bellissimo e baciarmi di nuovo.

Mi prese per mano, guidandomi verso quello che, ne ero sicura, era il suo appartamento.

Quando entrammo non mi guardai intorno, il buio era totale e io ero totalmente presa ad lui, troppo occupata ad assaggiare le sue labbra.

Mi resi conto di essere entrata nella sua camera solo quando mi fece sdraiare sul suo letto.

Cominciò ad eliminare le barriere che ci separavano l’uno dall’altra, mentre io facevo lo stesso.

Prima di farmi sua mi guardò negli occhi, intensamente, come se fossi la cosa più bella che avesse mai visto.

E io mi sentii amata.

Entrò in me delicatamente, mentre un sospiro di beatitudine usciva dalle mie labbra.

Fu dolcissimo e non mi ritrovai nemmeno per un secondo a pensare che il giorno dopo sarebbe tutto finito; in quel momento c’eravamo solo io e lui.

Quando raggiungemmo l’apice del piacere, i nostri sguardi non di erano mai separati, nei suoi occhi potevo leggere lo stesso desiderio e forse anche la stessa tristezza che ero sicura ci fossero anche nei miei.

Robert di sdraiò accanto a me, mentre io mi avvicinavo a lui, posando la testa sul suo petto: ci vollero solo pochi minuti prima che entrambi ci abbandonassimo tra le braccia di Morfeo.

 

* * *

 

La mattina seguente, quando mi svegliai, Robert dormiva ancora beatamente accanto a me, la bocca leggermente socchiusa.

Nonostante fossi sicura che ci sarebbe voluto ben altro per svegliarlo, mi alzai lentamente e mi preparai cercando di non fare rumore.

Quando fui pronta per andare, volsi il mio sguardo verso il ragazzo che avevo imparato ad amare in quegli ultimi giorni.

Perché era proprio quello che era successo: mi ero innamorata di lui.

E io non potevo farci niente.

Mi avvicinai lentamente a Robert, posandogli un lieve bacio sulle labbra, a cui lui rispose con un mugugno sommesso.

Odiavo gli addii, per quello non volevo che mi accompagnasse all’aeroporto.

Uscii dall’appartamento e chiamai un taxi, tornando al mio albergo.

Preparai le ultime cose e mi diressi velocemente verso l’aeroporto; non vedevo l’ora di partire, di lasciare Londra, di lasciare Robert.

Volevo cercare di dimenticare, di arginare il più possibile il dolore che sentivo farsi strada dentro di me.

Nonostante tutto, però, non mi pentivo di ciò che era accaduto quella notte: avevo fatto l’amore con Robert, perché lo amavo e forse avrei continuato a farlo, ma da lontano, come una semplice fan, sperando solo di non soffrire troppo.

“I signori passeggeri del volo diretto per Parma, Italia, sono pregati di dirigersi agli appositi sportelli”, gracchiò la voce all’altoparlante.

Mi guardai intorno un’ultima volta prima di afferrare il mio bagaglio a mano e trascinarlo verso il gate.

- Andrea!-

Una voce distinte in mezzo alle migliaia di persone che affollavano il terminal.

- Andrea!-

L’avevo sentita ancora, ero sicura che stessero gridando il mio nome.

Ma in fondo in Inghilterra è un nome diffuso.

Però quella voce… mi sembrava stranamente famigliare.

- Andrea!-

Al terzo richiamo mi voltai e lo trovai lì, bellissimo, con il fiato corto per la corsa, gli occhi azzurri non erano coperti dagli occhiali scuri, posati sulla testa, e al loro interno potevo leggere l’amore che sentivo anche dentro di me.

- Robert…- sussurrai piano.

Finalmente mi raggiunse, chiudendo le sue forti braccia intorno a me, come una coperta calda dalla quale io non volevo uscire.

- Proviamoci.- mi sussurrò all’orecchio, il viso affondato nei miei capelli.

- Cosa?- chiesi io senza capire.

- Proviamoci, io e te. Forse i nostri mondi non sono poi tanto diversi. E per la distanza… bè, hanno inventato gli aerei per qualcosa, ci vedremo il più spesso possibile, te lo prometto.- rispose Robert, guardandomi finalmente negli occhi.

- Rob, io non…-

- Ascoltami. Io non so cosa mi sia successo, cosa tu mi abbia fatto. Non mi era mai capitata una cosa del genere, non sono certo una di quelle persone che riesce a dare subito confidenza agli altri, io ho bisogno di tempo. Ma con te è stato diverso. Non posso assicurarti che andrà bene, così come non posso assicurarti una vita tranquilla. Ma se non ci proviamo, potremmo pentircene, non credi?-

Quando ebbe finito il suo monologo, fissai i miei occhi in quelli immensamente blu di Robert, soppesando le sue parole, cercando di prendere una decisione.

Cosa volevo veramente? Volevo salire su quell’aereo e non rivederlo mai più? Volevo non sentire più il dolce sapore delle sue labbra? Volevo non perdermi più nel suo sguardo così profondo?

O volevo averlo con me, accanto a me, e cercare di creare con lui qualcosa d’importante?

Non mi ci volle poi molto per decidere.

- Hai ragione. Forse sto facendo l’errore più sbagliato della mia vita, o forse quello più giusto, chi lo sa. Ma anche io voglio provarci. Voglio poter vedere il tuo sorriso ancora e ancora, fino a quando non mi stancherò. O per meglio dire, fino a quando tu non ti stancherai di me.-

- Non penso che potrà mai accadere una cosa del genere.- rispose lui, sorridendo raggiante, per poi baciarmi di nuovo, con più trasporto, con passione, con amore.

Quel giorno prendetti quell’aereo che mi avrebbe riportata a casa, ma non per sempre, solo per un po’.

Solo fino a quando sarei tornata a riprendere il mio cuore, quello stesso cuore che avevo affidato a Robert.

 

E qui si conclude la mia storia.

L’ho voluta raccontare a voi, a chiunque abbia avuto la voglia e la pazienza di leggerla, perché è stata una storia importante, che mi ha segnato nel profondo.

Io non ho mai creduto ai colpi di fulmine, ma quella volta mi sono dovuta ricredere.

Forse questa mia esperienza può aiutare quelli di voi che non ci credono.

- Andy, tesoro, Rachel si è addormentata.-

Oh, questo è mio marito.

Finalmente è riuscito a mettere a letto la nostra bambina; devo dire che ha fatto prima di quel che pensavo.

- Che fai?- mi chiede, sedendosi sul letto accanto a me e posandomi un bacio sul collo scoperto.

- Niente. Stavo ripensando al nostro primo incontro.- rispondo io, guardandolo sorridendo.

- Ti riferisci forse a quell’incontro a Londra, dove una certa ragazzina impacciata ha sussurrato il mio nome nel bel mezzo del traffico londinese?-

- Proprio quello. Ma ti devo forse ricordare, Rob, che tu mi hai dato corda? Ero convinta che saresti scappato a gambe levate.- lo ammonisco io ridendo.

- Io l’ho sempre detto che mi piacciono le ragazze pazze.- risponde lui.

Ebbene sì, mio marito è proprio Robert.

Dopo il mio ritorno in Italia abbiamo cominciato la nostra relazione, un po’ travagliata se devo dirla tutta.

Tra aerei, film, interviste ed esami, non è stato facile, ma siamo andati avanti, senza mai arrenderci, senza mai mollare.

Certo, ci sono stati parecchi litigi e pianti, ma senza tutto questo sarebbe stato un rapporto noioso, non credete?

Sei anni fa mi sono poi trasferita a Los Angeles, per stare accanto a Robert e dopo 2 anni sono diventata la signora Pattinson, mentre miliardi di fans in tutto il mondo si strappavano i capelli disperate; in fondo avevo tolto dalla piazza uno degli scapoli più ambiti degli ultimi anni.

L’anno scorso è nata la nostra Rachel, una gioia immensa per entrambi; Robert è un padre fantastico e io mi sono presa un periodo di pausa dal mio lavoro di fotografa per badare alla bambina.

Robert guadagna abbastanza per entrambi.

Lui continua ad essere uno degli attori più richiesti, anche se ha deciso, per questi 3 anni, di non accettare ingaggi che lo portino fuori città e anche con le riprese, cerca sempre di ritagliare un po’ di tempo per noi; in caso contrario, siamo noi ad andare da lui.

Rachel adora vedere il suo papà recitare.

- Non credi sia ora di andare a dormire anche per noi? Domani mattina devo alzarmi presto.- mi dice improvvisamente Rob, ridestandomi dai miei pensieri.

Mi volto verso di lui, ammirandolo in tutto il suo splendore: i pantaloni del pigiama ricadono larghi sulle sue gambe muscolose, mentre la maglietta bianca gli fascia alla perfezione gli addominali scolpiti.

- Perché mi guardi così?- mi domanda, sollevando un sopracciglio.

- Mi stavo chiedendo… dobbiamo proprio dormire? Non puoi dedicare un po’ del tuo tempo anche alla tua mogliettina?- rispondo io con un’altra domanda, avvicinandomi a lui con sguardo malizioso, posandogli un bacio sulle labbra.

- Mmmh… ora che mi ci fai pensare, non ho poi tanto sonno.- risponde lui, allontanandosi dalle mie labbra di pochi millimetri e sorridendo.

Mi afferra per i fianchi, stendendomi sotto di lui; e ci amiamo così.

Ora come ora non so come avrei fatto se quel giorno, stupida ragazzina di 20 anni quale ero, non avessi cercato di avvicinare l’attore inglese più ricercato di quegli anni.

Ma in questo momento, tra le sue braccia, di 3 cose sono del tutto certa, riprendendo le parole di quel film che mi aveva fatto innamorare di lui: 1. Robert è mio marito; 2. Mi ama con tutto se stesso, così come ama la nostra piccola Rachel; 3. Sono totalmente, incondizionatamente innamorata di lui.

 

 

Bè, se devo essere sincera fino in fondo, devo ancora capire da dove mi è uscita questa cosa. -.-

Bah, dalla mia solita pazzia, direi. :P

Sono due giorni che ci lavoro, anche se è stata proprio una cosa venuta di getto.

Ecco a voi la mia nuova One-shot… un po’ lunghina in effetti. XD

Allora che ne pensate?

Spero tanto che i commenti saranno positivi, come lo sono sempre stati x le altre mie ff.

Mmmh… non ho molto altro da dire, quindi ringrazio anticipatamente coloro che leggeranno e che commenteranno (se qualcuno lo farà… *me vi prega in ginocchio*).

Un bacione immenso a tutti.

Cicci12

  
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