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Autore: Iryael    27/04/2010    0 recensioni
“Hayen” è un nome musicale, suadente, che invita i più ingenui a chiedere cosa sia.
Ebbene, hayen è una droga. Una delle più raffinate. Uno zucchero rosa e amaranto dal quale non c'è scampo. Alastor Gazelle lo sa perfettamente, per questo sta bene attento a spacciarla senza farne uso.
Ma Gazelle non è solo il maggior produttore di hayen di tutta Rilgar, è anche il finanziatore di Zenas Dehyper, una stella nascente dell'hoverboard.
E chi meglio di Skid McMarxx, il Signore degli Hoverboard, può destreggiarsi nel mondo di Gazelle?
Giugno 5405.
Per avvicinarsi a Gazelle Skid dovrà rimettere piede in un mondo cui credeva di aver voltato le spalle. E, per portare a termine la missione, avrà a disposizione solo due armi: Nirmun, giovane soldata dalla lingua sciolta, e la sua esperienza.
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[Galassie Unite | Arco I | Schieramento] Rieditata nel gennaio 2014
[Personaggi: Clank, Nuovo Personaggio (Huramun Tetraciel, Nirmun Tetraciel), Skid McMarxx, Ratchet]
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Ratchet & Clank - Avventure nelle Galassie Unite'
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[ 09 ]
Giornata piena
3 Luglio 5405-PF, ore 1:45
Villa del Sindaco, ultimo seminterrato
 
«Clank, dimmi come diavolo hai fatto a finire qui dentro anche tu.»
Se avesse potuto, Clank avrebbe sospirato.
«Entrare è stato relativamente facile: ho disattivato un robot della sorveglianza e ne ho preso le sembianze con l’olomonocolo, poi sono entrato nell’edificio passando per il parcheggio privato. I problemi sono sorti quando sono giunto davanti alla porta a serratura biologica...e quella ho pensato di aggirarla passando per i condotti di areazione.»
«...Ma?» chiese Ratchet, intuendo che il tono del robottino presupponesse un “ma”.
«C’erano telecamere anche all’interno del condotto, mi hanno scoperto. Hanno inviato un sacco di minibot con l’input di attaccare...ho cercato di convertirli ai miei comandi come ho già fatto altre volte, ma non ci sono riuscito con tutti, ed alla lunga non ce l’ho più fatta. Mi dispiace.» riassunse lui. Ratchet guardò l’automa e gli rivolse un sorriso. Dopo che Skid era stato “riaccompagnato” nelle sue stanze, lui era stato rinchiuso in una cella adiacente il laboratorio.
Aveva notato che, dovunque andasse, le celle per la prigionia erano tutte uguali: una branda, un servizio igienico, una solida cancellata laser pronta a farlo a fette nel caso in cui avesse deciso di evadere.
«Non hai niente di cui dispiacerti, amico.» disse. «Avrei dovuto essere più attento al Mahne, tutto qui.»
«Spero non ti abbiano fatto niente...»
«Tranquillo, ho soltanto preso uno sportello tra gli occhi.» minimizzò il neo-umano. Clank diede segno di non capire. «Non ti so dire chi fosse o cosa sia successo dopo. So solo che siamo entrati nell’ascensore e a un certo punto lo sportello superiore si è aperto e me lo sono trovato stampato in fronte. Sono svenuto subito: questi umani hanno la fronte fragile, dannazione!» e si tastò la fronte, sulla quale si intravedeva un bernoccolo di dimensioni spropositate.
«Capisco...» rispose l’automa, combinando questo dato a quelli in suo possesso. Finalmente qualcosa sembrava prendere un senso. «Il soldato Tetraciel ha riconosciuto l’aggressore: si tratta di Huramun.»
«Ah, davvero?» chiese ironicamente Ratchet. «Il più grande eroe delle Galassie Unite atterrato da un coniglio e uno sportello! Che incredibile iniezione di autostima!»
Calò il silenzio.
«Come conti di andartene?» chiese Clank dopo un po’.
«Non lo so...non ho ancora trovato un modo.»
«Secondo le mie analisi questa cella è come quelle della prigione volante di Aranos. Te la ricordi?» chiese il robot.
«Oh, certo che me la ricordo. Mi ricordo anche quanto gongolasse il capo dei Thug 4 Less quando ci rinchiuse, e che tu entrasti nel condotto di aerazione per disinserire il generatore principale. Ma hai appena detto che qui i minibot ti strinano appena metti piede nel condotto.» obiettò Ratchet.
«Non se mi fai opportune modifiche. Se soltanto mi rinforzassi il sistema di trasmissione in modo da inviare segnali più forti allora...»
«Scordatelo. Sono un meccanico, non un programmatore. Per quello ci vorrebbe Al.»
«Non ci vuoi neanche provare?» chiese Clank, stupito di quanto rassegnata fosse la voce del suo amico.
«Non se rischio di mandarti in corto circuito.»
«Ma Ratchet...»
«No, Clank. Faremo in un altro modo, vedrai...e poi, se noi fuggissimo Skid sarebbe nei guai fino al collo. C’è ancora il sodato Tetraciel là fuori, vedrai che in qualche modo ce la caveremo.»
«...»
«...»
I due si scambiarono una lunga occhiata.
«...Come sempre?» chiese speranzoso il robottino, apparendo agli occhi di Ratchet come un bambino alla ricerca di qualcosa in cui credere.
«Certo, Clank, come sempre.» assicurò col cuore pesante.
* * * * * *
Ore 5:45
 
Skid si svegliò di colpo, più stanco di quando si era buttato sul letto.
Non aveva dormito quasi per niente, ed quel po’ di ore passate tra gli incubi lo avevano fatto agitare talmente tanto che si era ritrovato con i muscoli indolenziti.
Ma la testa tornò subito al presente.
Domani. La gara d’inizio. Ratchet. Devo aiutarlo, pensò.
«Devo fare qualcosa.» mormorò.
Ma cosa? Cosa posso fare?
Le ultime parole di Gazelle, dette prima di piantargli una guardia davanti alla porta, tornarono alla mente.
 
«Oh, un ultimo pensiero prima della buonanotte...nel caso te lo fossi chiesto, la tua compagna è morta. Non sperare di poter sfuggire alla mia giustizia, adalco.»
 
Ripensò ai momenti passati con la xarthar, dalla convocazione all’assalto all’hotel. Si sentì in colpa per averla trascinata nella missione (peraltro assegnata dal Comando Centrale...possibile che non avessero uomini da mandare, loro?), e si trovò a sorridere ripensando a quanto entusiasmo ci avesse sempre messo tanto in missione quanto in allenamento.
Lo sguardo cadde sull’armadio. Lì, sull’ultima mensola, c’era il suo hoverboard.
Gazelle voleva farlo correre, eh?
Beh, avrebbe dovuto stare attento: lui era pur sempre il rilgarien dai dodici hoverboard d’oro. Ed era ora di spolverare qualche trucchetto per far mangiare la polvere agli avversari.
Perdere con onore? Forse qualche anno prima avrebbe chinato il capo ed avrebbe piagnucolato, ma ora avrebbe di­mostrato di che pasta era fatto. Insomma, aveva sempre avuto ruoli marginali nelle imprese di Ratchet, ma era cresciuto anche lui ed ora era al centro della ribalta. Stavolta sarebbe stato lui a guadagnarsi l’ammirazione dell’eroe.
 
Con decisione si alzò e tirò fuori il suo hoverboard dall’armadio per controllarlo.
* * * * * *
Ore 8:45
 
Quando Huramun si presentò alla villa di Gazelle, fu convocato subito nell’ufficio del Sindaco. Quando Zenas gli diede la notizia lo xarthar fece fatica a mantenere la sua espressione impassibile.
Mi hanno già scoperto? si chiese, avviandosi lungo la scalinata che lo avrebbe portato al primo piano, dove il Sindaco aveva il suo ufficio. Eppure sono stato attento, ho operato nel migliore dei modi.
Giunto davanti alla porta dell’ufficio, bussò.
Non devo tradirmi davanti a Gazelle.
«Avanti.»
Lo xarthar entrò ed avanzò lentamente. Il rilgarien era seduto dietro alla scrivania e parlava al chatter. Era in collegamento con Falcon, lo capì quando lo sentì pronunciare il suo nome, ed era piuttosto irritato con lui. La discussione sembrava vertere sulla parcella del cacciatore di identità, che evidentemente doveva aver tirato sul prezzo.
Quando la discussione finì, il Sindaco appoggiò la cornetta con stizza, quasi a volerla rompere, e non degnò di un’occhiata Huramun.
«Mi ha fatto chiamare, sono qui.» esordì lui dopo un po’.
«Lo vedo, Huramun, non sono cieco.» rispose acidamente Gazelle. «Ti ho fatto chiamare perché voglio sapere che fine hai fatto fare al cadavere della signorina Tetraciel.»
Un brivido freddo colse lo xarthar: che sapesse? Se sì, cosa?
«Ho seguito la procedura standard: squartato e sciolto nell’acido.» rispose, cercando di rimanere più neutrale possibile nel tono.
«E l’operazione è andata a buon fine?»
«Certamente, signor Sindaco. Un cadavere non si ribella.»
Gazelle gli lanciò una lunga occhiata pensierosa. Huramun non si mosse, ma si dominò con fatica. Ritrovò in parte la sua verve con quella frase di circostanza, frase che usava dire alla conclusione di ogni operazione per conto del Sindaco, e si distese un po’.
«Un cadavere non si ribella. Già.» riprese Gazelle, appoggiando i gomiti sulla scrivania ed intrecciando le dita all’altezza del mento. «E un buon sottoposto, Huramun?»
Sotto gli abiti comodi lo xarthar sentì i muscoli irrigidirsi nuovamente.
«Secondo la logica un buon sottoposto non sarebbe tale se si ribellasse.» rispose, cauto.
«Il fatto è...» replicò con calma Gazelle, quasi centellinando le parole. «...che ci ho pensato a lungo. La tua azione di ieri sera è troppo fuori dai tuoi schemi, e sinceramente mi pare un po’...sospetta.»
Gli occhi del Sindaco cercarono quelli di Huramun. Lo xarthar sapeva che avrebbe dovuto mostrare la solita maschera, quella che esibiva tutti i giorni da due anni a quella parte. Freddo, indifferente, duro. Del resto, secondo la sua copertura, era un assassino della peggior specie, e si era forse mai visto un assassino tremare di fronte ad un’occhiata?
Solo se l’occhiata arriva da un assassino peggiore di quello che la riceve, pensò come risposta Huramun, prima di rispondere con calma ben simulata: «Gliel’ho detto, signor Sindaco, ho agito perché la sua azione sarebbe parsa sospetta ai più. Le corse sono l’evento più atteso dell’anno: far fuori il favorito prima della partenza avrebbe rischiato non solo di far insospettire la gente, ma anche di far annullare le corse.»
«Io e soltanto io posso annullare le corse, te ne sei dimenticato?!» sbottò Gazelle.
«Assolutamente, signor Sindaco, ma sarebbe potuto passare sopra anche alla morte di un cittadino illustre di Blackwater City nonché suo amico?» chiese, poi azzardò: «Le ricordo le prime pagine dei giornali di qualche giorno fa, che recitavano a caratteri cubitali quanto foste amici e quanto fosse soddisfatto di riavere Skid McMarxx in città.»
«I giornali non mi preoccupano, e nemmeno le emittenti olovisive, e lo sai.»
«Ma il popolo, signor Sindaco?»
«Il popolo non è mai un problema, Huramun, capito? Sono seduto su questa poltrona da anni: ormai sono il loro punto di riferimento; le mie scelte sono le loro scelte. Mi sarebbe bastato dire “Skid avrebbe voluto così” con aria afflitta e nessuno avrebbe fiatato.»
Nella sala calò un breve silenzio. Gli occhi di Gazelle si illuminarono di un lampo d’ira, subito prima che cominciasse ad urlare: «Ma tu sei dovuto intervenire e mandare tutto all’aria! Tu sei dovuto uscire da ogni tuo schema proprio ieri sera, dannazione! Tu non sei pagato per pensare! Sei pagato per premere il grilletto quando e contro chi decido io!»
Huramun si affrettò ad assumere un’espressione contrita.
«Sì signor Sindaco. Non succederà mai più, mi perdoni.»
«Non esiste un “mi perdoni”, Huramun!» ringhiò. «Adesso la Flotta ci starà ancora di più addosso! Farlo passare per un incidente sarà un’impresa!»
«Ma signore...»
«Niente ma, taci!» gridò, prima di riprendere il controllo e parlare in maniera molto più misurata: «Mi hai deluso.»
Lo xarthar rimase immobile a capo chino, chiuso nella sua espressione contrita. Come tirapiedi, non poteva fare altro che incassare; come poliziotto, però, prima o poi gliel’avrebbe resa.
«Adesso, però, vedrai di rimediare, intesi?»
«Sì signore. Certo, signor Sindaco.» si affrettò a rispondere lo xarthar. Gazelle lo guardò, severo, prima di annuire, convinto che il suo monito fosse stato sufficiente.
«Adesso voglio che tu stia alle costole di Skid McMarxx. Fallo innervosire, rendilo incerto. Sa già che la sua preziosa allieva è morta, e se passa il segno sei libero di minacciarlo di morte. Minacciarlo, intesi? Avrai tra due giorni l’occasione di riparare al tuo danno uccidendolo di persona.»
Huramun eseguì un piccolo inchino, comprendendo dal tono usato dal Sindaco che l’udienza era finita.
«Vado, signor Sindaco.» disse, prima di uscire dall’ufficio.
Non appena si fu chiuso la porta alle spalle, si trovò faccia a faccia con Zenas, che sembrava aspettarlo. Come al solito esibiva la sua aria sicura di sé.
«Hai tutta l’aria di essere passato sotto la limousine del capo.» notò.
Huramun rispose con uno sbuffo. Probabilmente l’altro lo avrebbe preso per un segno di stizza e lo avrebbe punzecchiato.
«Che c’è, non gli stai più simpatico? Hai perso il podio, coda-batuffolo?»
«Ho di meglio da fare che stare a chiacchierare con te, fattorino.» rispose, stizzito.
Come volevasi dimostrare, aveva cominciato a punzecchiarlo. Non era mistero che quei due non si piacessero, quindi poteva dargli corda.
«Come siamo irascibili...potrei dedurre che finalmente il capo ti abbia fatto una lavata di testa. È un vero peccato che me la sia persa.»
Huramun scosse la testa e si avviò lungo le scale, con Zenas alle costole. Scese al pian terreno e poi prese l’altra rampa di scale, quella che portava ai piani delle camere. Notò che l’hoverboarder non lo aveva lasciato.
«Mi segui, fattorino?»
«Andiamo entrambi nella stessa direzione...che male c’è?» rispose lui con noncuranza.
«Non siamo mai andati nella stessa direzione, io e te. Che mi devi dire?» tagliò corto lo xarthar.
«Io? Niente, orecchie a sventola. Ho semplicemente da fare.»
«Beh, allora fa’ quel che devi senza starmi tra i piedi.» rispose seccamente Huramun, volgendo lo sguardo altrove, assumendo un’aria distaccata.
«Come vuoi, orecchie a sventola, ma ora fatti da parte o non posso andare a chiamare l’orgoglio sportivo di Rilgar.»
Di malavoglia, Huramun si fece superare da Zenas. Giunto in cima alle scale percorse il corridoio e si fermò davanti ad una porta ben precisa. Mentre la guardia armata si spostava ed il cazar bussava, Huramun si appoggiò al muro ed incrociò le braccia.
«Ehi Skid! Non starai ancora dormendo, spero!» esordì con strafottenza. Non ricevendo risposta, bussò ancora più forte.
Huramun sorrise nel vedere l’espressione stizzita farsi largo sul volto del cazar.
«Skid, dannazione! Apri la porta!»
Nessuna risposta. Huramun alzò gli occhi al cielo e si avvicinò. Si allungò verso la maniglia e la calò: la porta si aprì docilmente verso l’interno.
«È aperta.» disse con calma. Zenas lo avrebbe ucciso con lo sguardo, ma se la risolse con un’entrata altezzosa nella stanza. Skid era seduto a gambe incrociate sul letto, in atteggiamento meditativo, e davanti a sé aveva il suo hoverboard. Mormorava una nota bassa e vibrante che suggeriva armonia, e lo faceva in continuo come se stesse recitando un mantra.
«Ehi, tu!» esclamò il cazar, stizzito. «Apri gli occhi e seguimi.»
«È meditazione del cosmo, fattorino.» lo riprese pacatamente Huramun. «C’è un solo modo per indurlo a svegliarsi.»
«Ah sì?»
«Già. Dovresti saperlo
Zenas digrignò i denti, irritato.
Mi mancherà il fattorino. Punzecchiarlo è proprio un piacere, pensò lo xarthar, mentre il cazar si faceva da parte per permettergli di mettersi di fronte a Skid. Con un gesto fluido e misurato applicò una lieve pressione fra gli occhi del rilgarien e si ritrasse. Pochi istanti dopo il mantra cessò e Skid diede segni di uscire dalla trance. Huramun si fece nuovamente da parte.
«Sveglia!» ordinò bruscamente Zenas. «È ora di allenarsi!»
Allenarsi? E per cosa? fu il primo pensiero di Skid, mentre lanciava un’occhiata di sufficienza a Zenas.
«Tu hai bisogno di allenarti, mezza tacca. Al massimo io ho da ripassare.» rispose, risentito. Erano rivali: era inutile girare a braccetto fingendosi amiconi.
Quindi si alzò in piedi e si diresse fuori dalla stanza, conscio della magra figura che stava andando a fare.
* * * * * *
Huramun attese che la giornata passasse, stando attaccato a Skid come una cozza allo scoglio. Non ebbe bisogno di ricordargli alcunché, visto che il fattorino sembrava sguazzare nel rinfacciargli ad ogni occasione in che casino si fosse cacciato. Si era sbizzarrito anche con lui: occhioni, orecchie a sventola, coda-batuffolo, mangiacarote e tutti gli appellativi che gli comparivano in mente doveva assolutamente dirglieli. Lo xarthar non reagì – non poteva farlo davanti a Skid – ma i suoi nervi furono messi a dura prova. Alle quattro del pomeriggio era così nervoso che se avesse sentito la voce del cazar ancora una volta gli avrebbe strappato la coda, poco ma sicuro.
Alla fine della giornata non si azzardò a scendere nell’ultimo seminterrato: dopo la lavata di testa di quella mattina non poteva permettersi un nuovo apparente colpo di testa. E con che pretesto ci sarebbe andato, poi? si chiese durante il viaggio di ritorno al suo appartamento.
Quando rimise piede in casa, il suo primo impulso fu di buttarsi sul divano e dormire, ma si ricordò di Nirmun.
Accesa l’olovisione a volume alto, si diresse nel seminterrato dove si trovava la cella nascosta ed aprì la porta.
La xarthar sembrava aspettarlo con impazienza: aveva una mano premuta sulla pancia e non era completamente eretta: Huramun si preoccupò all’istante.
«Che hai? Ti senti male?» chiese, pensando subito che fosse dovuto alla characha. Se avesse sbagliato le dosi...
«Il bagno...devo andare in bagno...» biascicò lei, smentendo i pensieri del fratello. Lui sbatté un paio di volte le palpebre, sorpreso, prima di indicarle uno stanzino adiacente la cantina in cui era. Nirmun ci si fiondò, si chiuse a chiave e non ne uscì per tutto il quarto d’ora seguente.
E quando ne uscì lo xarthar lesse nel suo sguardo tuoni, fulmini e saette.
«Sei un mostro!!!» sbottò. Sentendo quel volume da cantante lirica, Huramun si fece svelto a tirarla dentro la cella e chiudere la porta dietro di sé.
«Come accidenti hai potuto lasciarmi chiusa lì dentro senza cibo, acqua e il bagno?!» continuò lei, incurante del trattamento. Huramun si guardò intorno nervosamente, prima di prestare attenzione alla sorella.
«E tu ti sei fulminata il cervello a urlare in quel modo???» ringhiò stizzito. «Già non sono sicuro dell’insonorizzazione di questa stanza e Gazelle forse sospetta qualcosa, tu urla come una gallina e se qui fuori c’è una spia sta’ sicura che tra poco verranno a farci la festa!»
«Guarda che è colpa tua se mi trovo in questa situazione!»
«Colpa mia? COLPA MIA?! Dovresti ringraziarmi: se non fosse stato per me tu e Ratchet sareste all’altro mondo!» sbottò. Nirmun fece per dire dell’altro, ma lui l’anticipò. «E menomale che dovevamo collaborare! Già oggi ho dovuto sopportare Dehyper tutto il giorno senza potergli strappare la coda, torno a casa pensando di sentire un “ciao, fratellone”, invece ti ho trovato dolorante e ho pensato di aver sbagliato con le dosi del veleno, ho avuto paura ma per fortuna dovevi solo andare al bagno, ti ho fatto andare ma mi aspettavo un po’ più d’intelligenza visto quello che ti ho detto ieri sera sull’insonorizzazione della cella ma vaffanculo a tutto il mondo perché niente è andato come doveva oggi!»
Alla fine dello sproloquio Huramun era diventato rosso in faccia e per riprendersi si lasciò andare a peso morto sulla sedia. Nirmun lo fissò stranita per un momento: che fine aveva fatto il fratellone sempre paziente che conosceva?
Ignorando la situazione e lo sfogo, si andò ad accoccolare sulle sue ginocchia e lo abbracciò forte, come non faceva da anni. Rimase in silenzio per il tempo necessario a Huramun a metabolizzare il gesto e ricambiarlo.
«Scusa.» disse, carezzandole i capelli con un sorriso mesto.
«Ti ha chiamato occhioni e mangiacarote, vero?» buttò lì lei. E dal grugnito di risposta dedusse di aver indovinato: mangiacarote era un’offesa quasi al pari di occhioni. Solo che occhioni era una dicitura offensiva per tutti gli xarthar, mentre mangiacarote riguardava solo la sottospecie dei conigli.
«Cazar inutile. Meriterebbe davvero che gli strappassero la coda senza anestesia.» commentò asciutta. «Scusami, non volevo aggredirti.»
Huramun fece un gesto pigro con la mano, quasi a dire che non era niente.
«Dovevo sfogarmi.» replicò. «Ah, e per ciliegina non sono riuscito a scoprire niente sui tuoi amici. Da quello che ha detto il Sindaco posso solo sospettare che gli succederà qualcosa dopodomani.»
A quel punto Nirmun sciolse l’abbraccio, pur rimanendo seduta in braccio al fratello, e lo guardò con curiosità.
«Dopodomani?» chiese.
«Già. Quando io ucciderò di persona Skid McMarxx per rimediare al casino che ho fatto al Mahne.»
A quelle parole Nirmun sobbalzò.
«Non starai dicendo sul serio, spero!»
«Ordini del Sindaco, Nir.» replicò lui, piatto.
«Ma-ma...non ti permetterò di ucciderlo! Diamine, è un ufficiale della Flotta!» sbottò lei.
«E io un poliziotto di Xartha.» lui le lanciò una lunga occhiata. Evidentemente la xarthar non aveva ancora capito che non diceva sul serio. «E non ho lavorato tanto per mandare tutto a puttane dopodomani.»
«Quindi si agisce?»
«Per forza. Dammi solo modo di pensare come, però. Le cose, per come le immagino io, sono così: Skid gareggerà con la falsa promessa di mantenere in vita gli altri due. Questo solo per mantenere le apparenze: lui non può non presenziare ad un evento simile, la gente si chiederebbe dov’è finito dopo tutta la pubblicità al vostro arrivo.»
«Quindi gareggerà?» chiese Nirmun, preoccupata.
«Deve, se vuole sperare di mantenere in vita Ratchet.»
«E Clank?»
Huramun alzò le spalle.
«Spiacente, ma stamani ho ricevuto un cazziatone con la maiuscola. Scuriosare non mi avrebbe aiutato, e a me serve che Gazelle mi creda ancora per due giorni.»
Nirmun annuì.
«Domani dovrai darti da fare a scoprire quanto più possibile, fratellone. Come al solito i compiti li fai tutti all’ultimo momento.» rimproverò lei, proprio come aveva fatto tante volte quando erano più piccoli.
«Sennò che gusto c’è?»
Stessa risposta di sempre. I due xarthar sorrisero, complici.
«A proposito, come ti senti?» chiese poi Huramun.
«Ho fame e sete, ma per il resto è tutto a posto.»
«La vista?»
«Dieci decimi.»
«Altri dolori?»
Nirmun fece il gesto del mostrare i muscoli.
«Sono in formissima, Hura! Mi serve solo qualcosa da mettere sotto i denti o mangerò il tavolino!»
Huramun la squadrò. Conoscendola, avrebbe potuto farlo senza farsi scrupoli. Si alzò e si diresse alla porta.
«E va bene, vado a preparare qualcosa da mangiare. E non chiuderò la porta a chiave, se avrai bisogno del bagno. Ma tu cerca di non uscire troppo: ricorda che se si accorgono che sei ancora in vita...»
«Sì, sì, lo so...vai a preparare prima che dia due morsi anche a te!»
Huramun sorrise ed uscì. Aveva detto di sì troppo in fretta: cosa stava tramando?

 

   
 
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