Anime & Manga > Sailor Moon
Ricorda la storia  |      
Autore: Morea    28/04/2010    10 recensioni
"Io, in qualche modo, non posso mai pensare solo a me stessa. Neppure oggi. Da dieci minuti mi guardo nello specchio, e da dieci minuti vedo lei. [...] Oggi non posso far finta di non essere lei, anzi, oggi sono lei più che mai."
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la fine
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

Quando mi prendono i momenti di ispirazione, è bene che scriva :)

So bene di avere altre due fanfic in corso, e le sto continuando, non temete, ma stasera ero semplicemente ispirata per qualcosa di diverso. Ne è venuta fuori questa One-Shot, che spero vi piaccia.

La scelta di scrivere una One-Shot non è casuale: ho sempre meno tempo per scrivere, anzi diciamo pure zero, quindi finchè non ho terminato gli altri progetti, preferisco non metterne in cantiere altri :D

Vi lascio alla lettura, che non vi ruberà troppo tempo =)

 

Nota: Il titolo "Stop Whispering" è quello di una canzone dei Radiohead.

 

 

 


 

Mi sono sempre chiesta chi io sia veramente.

Certe volte il mio corpo mi sembra un semplice involucro, una scatola vuota ma di bell’aspetto che il Destino ha voluto adibire ai suoi scopi. E che scopi, poi.

Avevo quattordici anni quando tutto è iniziato, ed appena sedici quando tutto – o quasi – era finito. In quel breve lasso di tempo, avevo rischiato la vita innumerevoli volte, e l’avevo anche persa, in certe occasioni. Eppure questo non mi pesava, nè ha impresso sul mio corpo neppure una minima cicatrice. A volte mi sembra di aver sognato tutto, di essermi immaginata una vita ricca di colpi di scena che poco si addicono ad una pigrona come me: l’esuberante ma imbranata studentessa si era trasformata in un’eroina indomita ed instancabile, forse semplicemente per ottenere un qualche successo almeno nella sfera onirica. Ho sempre odiato la mia mancanza di polso, la mia sensibilità tanto esagerata quanto esasperante: ho sempre detestato essere sgridata da Rei per la mia insicurezza, ed altrettanto non mi faceva piacere essere rimbeccata da Ami riguardo alla mia impulsività. Ho invidiato Makoto per la sua forza e determinazione, ho cercato di trovare una mia simile almeno in Minako, esuberante e pasticciona quasi quanto me, ma invano: aveva avuto da sempre più responsabilità di me e delle altre guerriere, in quanto Sailor V e capo delle Guardian Senshi. Io invece, nella mia vita precedente non avevo saputo fare di meglio che suicidarmi di fronte al pericolo, lasciando mia madre sola nel momento in cui aveva più bisogno di me.

Un fallimento totale.

Ora che i ricordi delle battaglie cominciano ad affievolirsi, voglio solo sperare di non essermi inventata niente di tutto ciò. Ho bisogno di quelle avventure per sentirmi viva, vera, per sentirmi la persona che ha riscattato le sue passate mancanze ed indecisioni.

Ho bisogno di sapere che Usagi Tsukino è una vincente, ho bisogno di pensare che di quella Princess Serenity in me non c’è più traccia. Eppure, quello che sto per fare, non fa che conferirle ancora il pieno possesso delle mie facoltà mentali e fisiche. Io non voglio essere lei. Io voglio essere me.

Certe volte vorrei mollare tutto, prendermi una settimana, due mesi, tre anni per indagare a fondo dentro la mia anima, per riscoprire la vera essenza della mia persona. Ma so per certo che non potrei farlo, non sono coraggiosa fino a questo punto.

Eppure, non potrebbe succedermi niente di peggio di quello che ho già passato: parliamoci chiaro, sono già morta svariate volte, il mio corpo è stato percosso, attaccato, colpito, la mia anima, se possibile, è stata anche mutilata quando ho pensato di averlo perso, sia che si trattasse del suo amore che della sua stessa persona. Ma non posso lasciarvi. Non so se sia il mio spirito di Regina a parlare, o se sia la mia semplice, pura coscienza, ma io, in qualche modo, non posso mai pensare solo a me stessa. Neppure oggi.

Da dieci minuti mi guardo nello specchio, e da dieci minuti vedo lei. So per certo di non indossare nessun gioiello, eppure una falce dorata risplende al centro della mia fronte, o forse sono io che me la immagino. Serenity non mi dà pace. Doveva essere il mio giorno, non il suo.

Non basterà distogliere lo sguardo dal mio riflesso per sentir svanire quella sensazione: so che lei non mi abbandonerà, che continuerà a manipolarmi come un manichino per far sì che il suo destino sia splendido e roseo come l’ha sempre desiderato. Ed io mi piegherò di nuovo al suo volere, ma solo perché il suo futuro è quello che desidero anch’io. O almeno lo spero.

Ho ventidue anni, e da ben otto ho scoperto di essere un’ombra, o meglio, una proiezione della sua volontà. Forse ho affrontato tutti quei nemici semplicemente per riscattare la sua immagine di Principessa poco coraggiosa ed abile, forse ho messo la mia vita a repentaglio per desideri non miei. Vorrei poter affermare di averlo fatto per il mio pianeta, per la mia volontà, per un mio bisogno di non starmene con le mani in mano, ma di agire. E sempre più mi trovo a pensare che non sia affatto vero: le parole che vorrebbero uscire dalla mia bocca non provengono da me, e lo so bene.

 

Liscio l’orlo del mio vestito, mentre aspetto che le altre vengano a chiamarmi. Vorrei non averle conosciute come Senshi, otto anni prima, vorrei averle apprezzate per le loro qualità, per le loro caratteristiche che tutt’ora adoro, ma sempre più spesso mi ritrovo a pensare che ragazze così diverse tra loro non avrebbero avuto una facile convivenza, se non ci fosse stato un legame più grande ad unirle, dietro le apparenze. Sento la porta aprirsi e noto ancora quanto siano splendide,  bellissime come fiori appena sbocciati, ed emozionate molto più di me. Per loro, la giornata odierna è un evento, per me, un’altra nota segnata sulla mia agenda. Sapevo già da tempo che sarebbe andata così, che questo giorno rientrava nelle cose da fare in quanto Serenity. E non vorrei considerarlo tale, davvero, ma mi ci trovo costretta.

“Sei fantastica, Usagi.”

Rei l’ha detto con un filo di voce, non deve essere facile per lei farmi un complimento.

“Pronta per il grande passo?”

Non sai da quando, risponderei con tono piatto ed inespressivo. Invece mi limito a sorridere nei confronti di Makoto. Devo essere una brava attrice, se nessuna di loro si è accorta delle mie espressioni forzate. O forse non vogliono vederle. Forse mi capiscono davvero, e non vogliono rendere tutto più difficile di quanto non sia già.

“Ce la farai, Usagi, come hai sempre fatto.”

Ami ha sottolineato il mio nome, e non ha detto il tuo. Lei sì che mi ha capito, non a caso è sempre stata la mente, all’interno del nostro gruppo,

“Sarai sempre la mia compagna di insufficienze!”

Minako mi getta le braccia al collo. Insufficienze, dolci ricordi.  Ero Usagi, ero Sailor Moon, ma ancora non mi ero resa conto di quanto fossi Serenity.

Oggi non posso far finta di non essere lei, anzi, oggi sono lei più che mai.

Qualcuna mi sussurra di andare, è giunta l’ora. L’ora di dimenticare Usagi, l’ora di far trionfare l’altra. Sento un lieve crampo all’altezza del ventre, e capisco che vuoi darmi un po’ di coraggio anche tu; ti accarezzo dolcemente, come farò mille volte quando la tua presenza sarà ancora più evidente. Tu la conosci già, e so che la reputi una brava, anzi un’ottima persona, ma io non ci riesco: per me sarà sempre un’inquilina indesiderata.

Mentre le mie quattro più care amiche mi fanno strada, scorgo anche voi: siete sempre state così distanti, ma al tempo stesso così presenti, così pronte a correre in mio aiuto quando ne avevo bisogno. Le mie Outer Senshi. Vi sorrido, o almeno ci provo, ma forse avete già capito. Voi, così legate al concetto di Destino, di Dovere, di Missione… non potete non capire come mi sento, perché avete accettato quest’onere molto prima di me.

Poi lo sguardo cade su mio padre. Kenji Tsukino non avrebbe mai pensato ad un simile futuro per me, non avrebbe mai pensato di porgermi il suo forte braccio per sostenermi in quei pochi metri che costituiscono il cammino più difficile che abbia mai affrontato. Lo sento piangere, tremare, proprio lui che dovrebbe infondermi il suo coraggio. Sorrido, adesso so per certo di aver ereditato qualcosa da lui. Ikuko, Shingo, troppo attenti a prendermi in giro per i miei ritardi epici e continui, troppo distratti per rendersi conto di quanto stessi cambiando, di quanto fossi diventata più determinata e coraggiosa. Ma forse è stato meglio dar loro quella notizia in modo brusco e repentino, piuttosto che farli abituare giorno dopo giorno all’idea che avrei rischiato sempre la vita, che sarei stata caricata di responsabilità che nemmeno un uomo con alle spalle decenni di esperienza avrebbe voluto sobbarcarsi.

Mamma, papà. Sto per diventare Regina.

 

E… Mamoru. Vederti sorridente ed apparentemente felice è l’unica cosa che mi fa accettare il mio Destino. Sono sicura solo di amarti, e sono sicura che tu ami me.

Oggi sposerò Mamoru Chiba. Non ci sarà nessun Endymion in questo luogo, nessun Tuxedo Kamen. Voglio ricordare questo giorno come il mio. Poco importa se Artemis e Luna, in quanto officianti della nostra unione e della nostra incoronazione, useranno quei nomi per parlare di noi. Nessuna regina, nessun re. Solo io e te.

Vorrei baciarti, abbracciarti già da subito, ma sono sicura che la nostra etichetta non me lo permetta. Vorrei infonderti coraggio, privandomi se necessario anche del poco di cui posso usufruire; voglio che tu sia sicuro di ciò che stiamo per fare. Non mi perdonerei mai se ti vedessi con la mente altrove, in cerca di una via di fuga da un peso così impressionante: preferirei lasciarti libero e soffrire, piuttosto che obbligarti a fare qualcosa che non vuoi. Certe volte ho quasi sperato che tu mi abbandonassi proprio in questo momento, mostrando a me ed a tutti l’audacia che io non avrò mai, e soprattutto, mandando a monte i piani di quella. Ma se sei ancora qui, non mi resta che sperare. Sperare che tu desideri per te tutto questo.

Ed alzo bandiera bianca, Serenity.

Anch’io lo voglio.

Capitolo 13: Babele.

Portsmouth, Virginia,
Febbraio 2005,
Guardava il movimento circolare del cucchiaino dentro la tazza di tè, e paragonò quel vortice allo sciame di pensieri che si agitava nella sua testa in quel momento.
"Ho fatto del tè," disse a bassa voce, affacciandosi dalla porta della cucina per rivolgersi alla figura che se ne stava seduta sul divano, le gambe allungate davanti a sè sopra un piccolo pouf dello stesso colore del sofà, e che distrattamente faceva zapping sui canali sportivi. "Ne vuoi un po', Mitsuo?"
Il ragazzo non rispose, e Michiru sospirò; dopo aver infilato il cucchiaino nella lavastoviglie, prese in mano la tazza e si diresse verso il soggiorno: Mitsuo aveva interrotto il veloce susseguirsi di canali, per concentrarsi su una vecchia partita dei Chicago Bulls su ESPN Classic. "Ho messo un po' di cose della bambina in lavatrice, appena si sveglia basta mandarla." Gli comunicò sedendosi accanto a lui; quello annuì appena, e il silenzio calò tra di loro. "Come ti senti oggi?" Chiese quindi, e Mitsuo schioccò le labbra. "Come vuoi che mi senta? Uguale a ieri, all'altro ieri e al giorno prima." Fu ironico, senza guardarla. "Smettila di chiedermelo sempre."
"Te lo devo chiedere perchè tu non parli, Mitsuo." Ribattè Michiru, lasciando la tazza del tè sul portariviste accanto al divano. "Non ho alcun feedback da parte tua. E se non mi parli, io non posso capire se le medicine funzionano, o la psicoterapia ti sta aiutando."
"Ti sembra che mi stiano aiutando?" Si voltò, e le iridi celesti del ragazzo incrociarono quelle di Michiru, dall'identico colore. "Sono imbottito di psicofarmaci, Michi. Ne prendo così tanti che non riesco nemmeno a tenere Hotaru in braccio senza aver paura di farla cadere." Tolse le gambe dal pouf, e mettendosi seduto si prese il viso tra le mani. "E con che risultato, uh?" Mormorò. "La fine di questo tunnel non riesco proprio a vederla."
Michiru l'abbracciò, appoggiandogli la testa sulla spalla incurvata. "E' una strada lunga, Mitsuo, ma ne usciremo." Gli disse con dolcezza. "Ce la faremo."
"Mi dispiace," la voce era rotta. "Ti sto deludendo. Vi sto deludendo tutti."
"Non ci stai deludendo, Mitsuo," lo consolò, massaggiandogli la schiena. "Non voglio che pensi questo, ma voglio che ti concentri su quel fagottino meraviglioso che dorme nell'altra stanza, e di cui tu sei il fantastico papà."
Mitsuo ne cercò lo sguardo, gli occhi velati di lacrime. "Sono una persona orribile, Michiru. Mi vergogno di me stesso."
L'altra comprese il collegamento. "Pensi ancora a quella cosa che mi hai detto?"
Il ragazzo rimase in silenzio per un lungo istante, prima di annuire. Michiru scosse la testa. "E' il Disturbo a farti fare questi ragionamenti, Mitsuo. E' una distorsione della realtà, su cui non devi comunque focalizzarti."
"Ma se fosse vero?"
La ragazza schioccò le labbra. "E' assurdo. Io ero qui, pensi che me ne sarei stata in silenzio se avessi avuto il benchè minimo sospetto?"
Mitsuo non rispose e tirò un sospiro, lasciandosi andare nell'abbraccio della ragazza. "Mi dispiace, Michi," le disse di nuovo, e l'altra le stampò un bacio sulla zazzera nera. "Lo so, Mitsuo. Ma io sono qui per aiutarti. Siamo tutti qui per aiutarti."
Il ragazzo tirò su con il naso, strappando un sorriso a Michiru che lanciò un'occhiata all'orologio, quando sciolse l'abbraccio. "Devo andare, adesso. Ti ho lasciato le medicine vicino al lavandino, non dimenticarti di prenderle, okay?"
Mitsuo annuì, e la guardò salutarlo con un cenno della mano e un sorriso sul volto. Quando Michiru fu sparita al di là della soglia e il battente fu chiuso alle sue spalle, si alzò e si diresse in cucina, dove le quattro capsule del round mattutino giacevano in attesa pronte ad ingannare il suo sistema endocrino e nervoso, regalandogli una superficiale quiete mentre sotto, in profondità, si agitavano le più forti correnti. Le prese in mano tutte e quattro e aprì la pattumiera, affrettandosi nell'operazione quando sentì la porta del corridoio aprirsi.
*
Ospedale Militare "Edward Dewenish VA Medical Center"
Portsmouth, Virginia,
20 Giugno 2008,
Le giornate scivolavano via lente. Pigre, come ogni giorno d'estate che si rispetti.
Godendosi il tepore del sole del primo pomeriggio, l'insalata che costituiva il suo pranzo posata sulle ginocchia ma dimenticata da un appetito ormai sempre più evanescente, si chiese, socchiudendo gli occhi rivolgendoli verso la stella, se il sole dell'Iraq ardesse allo stesso modo.
L'Iraq che era stato il centro di un mondo misterioso, con il nome di Babilonia, e che aveva acceso la sete di conoscenza e di avventura in un giovane principe di un regno dell'antica Grecia. Alessandro di Macedonia, divenuto poi Magno. Il grande.
Il bruciore si fece insostenibile, e fu costretta a distogliere lo sguardo: dopo un breve istante necessario a metabolizzare la troppa luce assorbita, alla sua vista si aprì nuovamente la familiare figura del parco del Dewenish, dove pochissimi degenti, data l'ora, si trovavano. Tre ragazzi erano intenti a parlare nella panchina più lontana da lei: ne identificò solo uno, come un paziente di Samuel; gli altri due le erano sconosciuti.
Un lieve sorriso le piegò le labbra all'insù quando vide il più alto dei tre accarezzare dolcemente la nuca del giovane che gli sedeva vicino, ascoltandolo annuendo mentre quello accavallava una gamba e gesticolava in direzione del degente.
Un paio di panchine indietro, più vicine all'entrata dell'ospedale, due infermiere del turno del pomeriggio dovevano aver avuto la sua stessa idea. Rimase un istante a guardarle parlottare tra loro, accorgendosi come ogni tanto le rivolgessero occhiate furtive.
Si domandò se in ospedale ci fosse qualche nuovo pettegolezzo che la riguardasse, a parte quello che ne faceva l'amante di Mamoru, e Haruka le tornò prepotentemente in mente.
Come se fosse riuscita a pensare a qualcosa di diverso da lei, in quei giorni.
Michiru sospirò, riflettendo sulla situazione che si era creata: da un lato clinicamente ineccepibile, con gli avvenimenti dell'ormai famoso 'Giorno zero' in cui era venuta a conoscenza di Samira, chiave d'accesso a un angolo della psiche di Haruka che stava andando in cancrena, infettata da orrori irripetibili, ma che aveva lanciato un grido d'aiuto nella forma dell'attacco di panico. Dopo la confessione fiume Tenou era adesso sicuramente più malleabile, e nonostante ostentasse ancora in svariate occasioni quella maschera impassibile che sperava fosse rimasta sotto le macerie di quel muro che con tanta tenacia era riuscita ad abbattere, erano tornate a parlare degli accadimenti del giorno dell'attentato; di quel ventisette Gennaio, che era stato anche il giorno in cui Tenou aveva compiuto ventotto anni.
L'argomento Samira, invece, non era stato più affrontato. Così come un'altra questione, che portava direttamente a ciò che le toglieva il sonno: a un perfetto percorso clinico, infatti, si contrapponeva un tortuoso sentiero emozionale, paragonabile a una mulattiera.
La sensazione delle labbra dell'altra sulle proprie era diventato qualcosa di difficile da annientare, così come l'immagine di Haruka sopra di lei, sul pavimento del soggiorno, che aveva spesso fatto capolino tra i suoi pensieri.
Quell'euforica eccitazione tornò di nuovo e Michiru scosse la testa, vinta dall'idea che Tenou le piaceva. Che Tenou l'attraeva in ogni sua forma e aspetto, ma anche che quel bacio era morto nello stesso momento in cui aveva visto la luce, e liquidato altrettanto rapidamente poche ore dopo. Non ne avevano più parlato, e Haruka dal canto suo non sembrava ne sentisse il bisogno. Forse era la cosa migliore, cercò di convincersi.
"Lo sai che sei molto bella quando sei assorta?"
Il flusso di pensieri si interruppe, e inarcando un sopracciglio si voltò verso la fonte dell'imprevista distrazione, ritrovandosi a guardare nelle iridi grigie del dottor Foster. "A cosa pensavi?"
Michiru si strinse nelle spalle. "A ciò che 'move il sole e le altre stelle'."
Samuel la guardò senza capire, poi sorrise. "E io che speravo pensassi a come ringraziarmi," le disse, accomodandosi accanto a lei. Michiru incrociò le braccia al petto, un'aria curiosa dipinta sul volto. "Sentiamo, per cosa dovrei ringraziarti?"
"Per averti messo in guardia da Tenou, e averti aperto gli occhi sulle sue reali intenzioni."
Michiru lo guardò per un lungo momento, poi scuotendo la testa iniziò a richiudere la confezione in plastica che aveva contenuto il suo pranzo: si era concessa una pausa anche troppo lunga. "Tu hai davvero una gran fantasia."
"Non ci vuole una gran fantasia per intuire cosa Tenou voglia da te," ribattè Samuel, il sorriso ancora stampato sulla sua bella faccia, e Michiru non potè evitare che le labbra le si piegassero all'insù. "E' davvero buffo. Haruka mi ha detto la stessa frase parlando di te."
L'altro inclinò la testa, senza rispondere, e mentre Michiru si allungava per gettare i propri rifiuti nel vicino bidone per la raccolta differenziata, nella sua visuale periferica tornarono i tre ragazzi che aveva adocchiato poco dopo il suo arrivo. "Chi sono quei due con il tuo paziente?" Chiese quindi, indicando con un cenno la panchina su cui quelli sedevano. "Uno è il fratello, l'altro è," fece una pausa, pensoso, "il suo compagno."
Le sembrò di percepire una certa nota di disgusto nelle parole di Foster, e si appoggiò allo schienale della panchina, portando il volto sul dorso della mano per cercare lo sguardo dell'altro. "Sai, adesso che ci penso non è la prima volta che li vedo. Vengono a trovarlo spesso, ma non avrei mai detto che fossero-"
"Froci?" Suggerì il medico, e sul volto della ragazza si dipinse un'espressione perplessa. Non si era sbagliata. "No, omosessuali." Puntualizzò.
"Dov'è la differenza?"
"Che io non sono omofoba, al contrario di te." E anzi, a dirla tutta ho fantasie su una donna. Fai un po' tu.
Samuel schioccò le labbra. "Non sono omofobo. Anzi li trovo proprio carini."
A Michiru non sfuggì l'ironia nelle parole dell'altro, che si voltò a guardarla. "Cos'è, oltre a paladina dei marmittoni squilibrati, sei anche paladina dei gay, adesso?"
"Non è questione di essere paladini. Semplicemente, non mi piacciono i pregiudizi."
"A volte certi pregiudizi non sono poi così sbagliati." Ribattè Foster. "Ne abbiamo conferma tutti i giorni, Michiru. I militari non sono forse le teste di latta che dicono?" "Ci sono soldati che a volte preferirebbero affrontare la Corte Marziale, piuttosto che fare ciò che viene ordinato loro, Samuel."
Il medico rimase in silenzio. "Il tuo Tenou è tra quelli?"
"Per quanto ne so, Haruka ha camminato spesso sul filo del rasoio," gli rispose criptica, e Samuel schioccò le labbra. "Allora dietro quella bella faccia c'è anche un cervello. Chi l'avrebbe mai detto."
"Samuel," fu Michiru seccata, e l'altro scosse la testa. "D'accordo, scusami. Non sono venuto per litigare." Alzò bandiera bianca il ragazzo, che riprese a parlare solo dopo un lungo momento. "Ascolta, mi sono comportato da vero stronzo, e me ne dispiaccio. Non avevo il diritto di giudicare le tue scelte."
Michiru non si sentì toccata più di tanto da quelle scuse, anche se Samuel sembrava abbastanza sincero. "E anche tutta quella faccenda della crocerossina." Sospirò, scuotendo la testa. "A volte straparlo, me ne rendo conto. Sia chiaro, sono sempre convinto che Tenou abbia un preciso disegno in testa e stia cercando di abbindolarti," ci tenne a precisare, e Michiru aggrottò la fronte. "Il termine abbindolare mi fa intendere quanta poca considerazione tu abbia della mia volontà, Samuel." Gli disse ruvida. "Sembra quasi che Haruka possa plagiarmi in qualsiasi momento senza che io possa farci niente."
Un lieve sorriso incurvò le labbra di Samuel. "Sai che non lo penso. Ho molta stima della tua intelligenza, ed è per questo che sono abbastanza convinto che tu non ci sia andata a letto insieme, nonostante abbia cercato di farmi credere il contrario." Si avvicinò un po' alla ragazza, piegandosi verso di lei. "Credo sia stata una provocazione, come suppongo che forse quella che ho scambiato per attrazione sia giusto una profonda affezione verso un povero Cristo solo come un cane, che stai cercando di reinserire in un contesto di vita pressochè normale." Samuel rimase un attimo pensoso. "Probabilmente anche alla luce di quello che è successo a tuo-"
"Ho afferrato." Lo interruppe Michiru. "E Haruka non è un povero Cristo solo come un cane."
"se lo dici tu," fu ironico l'altro, che riprese dopo un istante di silenzio. "Quello che voglio dire è che Tenou, da zotico e arrogante sbruffone qual'è, probabilmente se ne sbatterà di tutti i tuoi buoni propositi e si sentirà autorizzato ad infilarsi, prima o poi, dentro i tuoi pantaloni."
Michiru non rispose, conscia che la verità era esattamente l'opposto: dai suoi pantaloni Haruka era letteralmente scappata. Sempre. "Calpesterà i tuoi sentimenti, Michi. Lo sai che lo farà."
Michi?
Rimase un attimo perplessa dal nomignolo affibiatole. Nomignolo che non le era nuovo, ma con cui in pochissime persone l'avevano chiamata. "Zotico e arrogante sbruffone..." ripetè piano, e sorrise quando un pensiero la colpì. "Samuel, tu lo sai cos'è la Durlindana?"
L'altro la guardò perplesso, saltando il collegamento tra le sue parole e quelle dell'altro medico. Poi si strinse nelle spalle. "No. E' qualcosa che si mangia?"
A Michiru bastò quella risposta per alzarsi dalla panchina e, borsa alla mano, ritornarsene verso le porte scorrevoli che costituivano l'entrata del Dewenish. Non passò molto prima che sentisse il passo di Samuel seguirla, e la figura del medico di nuovo vicina. "Eddai, Michi, che altro devo fare? Mi sono scusa-"
"Per prima cosa, potresti smettere di chiamarmi Michi." Lo gelò attraversando le porte. "E poi potresti finirla di approfittare di ogni occasione per insultare Haruka."
"Io sto solo cercando di aiutarti."
La ragazza non si voltò nemmeno a quelle parole, e lo stupore si dipinse sul suo volto quando si sentì afferrare per il polso e girare bruscamente. "Non ignorarmi, Michiru. E' una cosa che non sopporto."
"Samuel, lasciami." Gli intimò quando si fu ripresa dalla sorpresa, lanciando prima un'occhiata alla mano dell'altro stretta intorno al proprio polso, e poi all'atrio, dove alcuni gettavano sguardi curiosi alla scena. "Cosa vuoi fare, una piazzata in ospedale? Ci stanno guardando tutti."
"Lasciali guardare." Mormorò Foster, e aumentando la presa sul polso si avvicinò alla ragazza. "Io ci tengo a te. Dammi una possibilità, Michiru. Anche solo come amico."
"Tu non cerchi amicizia, Samuel. Tu cerchi un possesso," ribattè strattonando il polso. "Ed è davvero squallido che tu venga a farmi la morale sulle intenzioni di una persona che neanche conosci, professandoti tanto diverso quando è chiaro come il cristallo chi è, qui, che vuole infilarsi nei miei pantaloni."
"Sai cos'è chiaro come il cristallo, Michiru?" La realizzazione colpì Foster, che strinse appena gli occhi grigi, divenuti una fessura. "Che ti avevo decisamente sopravvalutata: probabilmente ti ha già abbindolata. Dimmi," un sorriso ironico gli incurvò le labbra. "Non posso chiamarti 'Michi' perchè ti ci chiama quello, quando sco-"
"Mi lasci indovinare. Quello sarei io, dottor Foster?"
La mano di Michiru era già pronta per impattare sulla guancia di Samuel, ma la familiare voce alle sue spalle la bloccò: si voltò per incrociare quelle che sapeva sarebbero state due iridi verdi, e anche Foster alzò lo sguardo dal volto di Michiru per vedere chi si trovasse alle spalle dell'altra. Entrambi si osservarono nel riflesso delle lenti a specchio dei Ray Ban di Haruka.
"Parli del diavolo," fu ironico Samuel senza lasciare il medico, e un lieve sorriso si dipinse sul volto di Tenou. "Mai paragone fu più calzante, dottore."
Michiru percepì una sfumatura d'amarezza nell'affermazione dell'altra, che poi le circondò la vita con un braccio. Sorpreso dal gesto, Samuel allentò la presa sul polso e la ragazza ne approfittò per strattonarlo via, e sentendo poi una leggera pressione sul suo fianco lasciò che Haruka se la portasse più vicina al proprio corpo.
"Molto meglio," mormorò, e Michiru si gustò quello stretto contatto che immediatamente gliene ricordò un altro; lanciando una rapida occhiata dietro di sè, si accorse di come l'arrivo di Tenou avesse attirato numerosi curiosi, tra degenti e personale, sulla scena di per sè piuttosto imbarazzante.
"Andiamo Haruka, stiamo dando spettacolo." Se la tirò dietro afferrandola per la manica della camicia scura, dopo essersi a malincuore liberata dell'abbraccio, ma venne stoppata dallo stesso peso di Haruka, rimasta immobile.
"Vai. Vai pure con il tuo cavaliere senza macchia e senza paura," fu Samuel, le parole cariche d'ironia. "Dove ha lasciato l'armatura, Maggiore Tenou?"
Haruka rimase di nuovo in silenzio, e sul suo volto si dipinse un lieve sorriso. "Ah, dottore, dottore," iniziò a dire, scuotendo la testa. "Io voglio davvero sperare di non dover più assistere a una scena del genere."
Il sorriso non si dissolse dal suo volto, e Michiru identificò quella maschera amichevole che Haruka era così brava ad indossare, e della quale c'era soltanto da temere. Ma Samuel non lo capì: facendo un passo avanti, il mento alzato in aperta sfida, si avvicinò a Tenou. "Mi sta minacciando, Maggiore?"
L'altra schioccò le labbra in segno di dissenso, sfilandosi poi i Ray Ban per agganciarli al primo bottone della camicia. "No, Samuel." Le iridi verdi si piantarono su quelle grigie del medico. "Ti sto solo dando un consiglio."
Rimasero un lungo momento occhi negli occhi, e il sorriso piegò nuovamente la bocca di Haruka quando l'altro cercò di mascherare il vistoso movimento del suo pomo d'Adamo intento a deglutire il boccone amaro della sconfitta. Una lieve pressione sul braccio da parte di Michiru le fece intendere che non era necessario infierire sul cadavere, e si lasciò portare via dalla ragazza: quando entrarono nell'ascensore, sentivano ancora gli sguardi incuriositi e i mormorii che avevano accompagnato tutta la scena nell'atrio.
"Fantastico," proruppe il medico una volta protetta dalle pareti dell'elevatore, coprendosi gli occhi con le mani. "Da domani ne parlerà tutto l'ospedale."
"Non credo di essergli mai stata molto simpatica," inizò Haruka infilandosi le mani in tasca mentre si abbandonava contro una parete, pensierosa. "Ma dopo questa Foster si farà la mia bambola vodoo."
Michiru accennò un sorriso. "Me la sarei cavata, ma grazie per essere intervenuta."
"Ah-ah, ho visto." Convenne l'altra ironica.
Il silenzio accompagnò il tragitto fino al piano scelto, poi Haruka sospirò. "Sai Michiru, credo di aver fatto un errore di valutazione."
Il medico inclinò la testa. "Che vuoi dire?"
"Foster mi sembrava un tipo a posto, altrimenti non ti avrei mai incastrata per farti uscire con lui."
"Così impari a sistemarmi a tutti i costi," scherzò, ma tornando a guardare nelle iridi verdi di Haruka non vi trovò traccia di ironia. "Stagli lontana, doc."
Michiru trovò il tono con cui Haruka glielo disse nient'affatto incoraggiante. "Beh, dopo questa meravigliosa uscita, andarlo a cercare era proprio l'ultimo dei miei pensieri."
Le porte dell'ascensore si aprirono, e Haruka portò le mani dalle tasche laterali a quelle posteriori dei jeans, mentre uscivano per incamminarsi nel corridoio. "Il modo in cui ti guardava non mi è piaciuto per niente."
Una strana euforia salì in un angolo della mente del medico all'idea che quelle parole si portarono con loro, e una volta dentro l'ufficio attese che Tenou entrasse, prima di richiudere la porta con il proprio peso, appoggiandovi la schiena. "Cos'è, Maggiore, sei gelosa di Samuel?"
L'altra sorrise, e prese in mano il piccolo registratore collegato tramite la presa audio al pc portatile. "No, non sono gelosa," ne cercò lo sguardo. "E' una cosa che, concedimi il paragone, non è nelle mie corde."
Anche le labbra di Michiru si piegarono all'insù, nonostante l'euforia fosse scomparsa con la stessa velocità con cui era arrivata. "Questo affare è antidiluviano," le disse Haruka, rimettendolo accanto al computer, e l'altra si strinse nelle spalle. "Per quello che mi serve, va più che bene."
"Cosa c'è dentro?"
"Ci sono io che parlo di te." Le rivelò passandole vicino, per accomodarsi alla scrivania e iniziare a scollegare il registratore per riporlo nella borsa. "Parlare delle nostre sedute di psicoterapia mi aiuta a fermare meglio i concetti, e mi serve per quando preparo i report destinati a Mamoru."
Haruka inarcò un sopracciglio. "Quindi desumo che Chiba sappia tutto quello che ti ho sempre raccontato."
"Il dottor Chiba è nella posizione di potermi chiedere qualsiasi cosa inerente ai nostri colloqui," iniziò a spiegarle, mentre l'altra sfilava i volumi dalla libreria e dava loro occhiate distratte, prima di riporli al loro posto. "Ma non lo fa. E io non gli racconto più del necessario."
"Perchè?" Haruka sembrava sinceramente curiosa. "Perchè qui siamo al di là del rapporto medico-paziente, Haruka." Le disse Michiru. "Tu sei mia amica, non più solo un caso da trattare."
Haruka si accomodò di fronte alla ragazza, e stirò le lunghe braccia allungandole sopra la testa. "Già. E quante tue amiche ti infilano la lingua in bocca quando meno te l'aspetti?"
Il medico sentì il cuore saltarle un battito, e cercò di nascondere la sorpresa scaturita da quella frase: era la prima volta che ne riparlavano. Poi inclinò la testa. "Tu non mi hai infilato la lingua in bocca."
"Ho cercato di," pensò un attimo alla parola da usare. "insidiarti."
Michiru sorrise, portandosi una mano al petto con finto sdegno. "Oh si, mio cavaliere. Ma per fortuna avevo su la cintura di castità."
Si alzò dalla sedia e girò intorno alla scrivania per sedersi poi sul bordo, accanto all'altra; Haruka lanciò una rapida occhiata alle gambe accavallate del medico a poca distanza da lei, prima di tornare a guardarla.
"Da quando ti esprimi come se avessi mangiato un poema cavalleresco?" Scherzò il medico, e Haruka si strinse nelle spalle, appoggiandosi poi con il gomito alla scrivania per incrociare lo sguardo di MIchiru. "Mi fa piacere che tu sia riuscita a passarci sopra, doc."
Michiru ne guardò il volto disteso, le occhiaie scomparse. E quella camicia blu scuro che le donava in una maniera indecente... Michiru, non divagare, si rimproverò mentalmente. "Te l'ho già spiegato, Haruka. E..." si interruppe. Cosa doveva dirle? Che ci era passata sopra solo perchè a questo punto preferiva averla come amica piuttosto che privarsi di quei piccoli contatti che ormai le si erano resi necessari?
Che ci era passata sopra perchè era evidente che per l'altra era stata un errore, un comportamento dettato dagli eventi? Haruka era stata chiara: aveva bisogno della loro amicizia. Non di lei. Da chi quel sentimento venisse, era del tutto ininfluente.
Dallo sguardo di Tenou comprese che probabilmente era rimasta in silenzio per troppo tempo, e decise di buttarla sull'ironia. Proprio come stava facendo l'altra. "E ti assicuro, durante l'Università ne ho viste di peggio."
E' così facile mentire?
Haruka soffocò una risata, e strinse gli occhi con fare inquisitorio. "A proposito, spiegami un po' questa cosa delle feste nei dormitori. Sono proprio curiosa."
Michiru la colpì a una spalla, scendendo dalla scrivania. "Pervertita."
"Sono in questi casi che mi pento di non aver fatto il College," fu l'altra con fare drammatico, allungando una mano per sollevare la clip che teneva la fotografia sulla scrivania.
"Come ti senti?" Le chiese quindi Michiru, piegandosi verso un cassetto del mobile da ufficio ed estraendovi una lettera. Haruka si strinse nelle spalle. "Bene, direi. Il fatto che riesca a dormire è già qualcosa doc, no?"
"E' molto." Convenne il medico, riaccomodandosi. Appoggiò la lettera di lato, l'intestazione nascosta agli occhi di Tenou. "Hai più avuto incubi?" domandò poi aprendo un blocco per appunti.
Haruka ci pensò su un attimo. "No, non mi pare."
"E proiezioni della prigionia?"
L'altra non rispose subito. "Ogni tanto."
"E'normale. Ci lavoreremo sopra." Osservò Haruka riporre la clip con la foto, che tornò ad aprirsi alla sua vista: la ritraeva con Hotaru in braccio, la bimba che sfoggiava un paio d'ali a velo fissate su una tutina verde.
"L'abbiamo scattata il giorno del suo compleanno." Le spiegò Michiru, e Haruka si appoggiò con i gomiti alla scrivania.
"Quand'è il compleanno di Hotaru?"
"A Gennaio. Il sei, precisamente."
Un sorriso piegò le labbra di Haruka. "Non mi stupisce. I migliori nascono in Gennaio."
Michiru richiuse il blocco, e infilò la penna nel taschino del camice. "Questo spiegherebbe anche perchè Hotaru ti adori letteralmente. Non fa altro che chiedere quando può tornare a casa tua."
"Come fa ad adorarmi, se non mi conosce nemmeno." Ribattè in tono piatto l'altra. "E poi credevo di influenzarla negativamente."
Michiru inclinò la testa. "E' attaccatissima a Luna, non lascia mai quel pupazzetto. Pensa che quando si è svegliata, è andata in panico perchè credeva l'avessimo lasciata a casa da sola."
Ad Haruka sfuggì il collegamento. "E...?"
"Beh, te lo ha lasciato di sua spontanea volontà perchè ti facesse compagnia, e non avessi più incubi. Fai due più due."
Tenou non rispose, e un lieve sospiro lasciò le sue labbra: Michiru intuì che l'altra non doveva essere troppo felice di questa realizzazione. "A proposito di feste, il trenta di questo mese è il compleanno sia di Usagi che della piccola Chibiusa. Mamoru mi ha detto che farebbe loro piacere se venissi."
Haruka ci pensò su. "Non so fare regali." Disse dopo un istante, e Michiru roteò gli occhi. "Pessima scusa. Al regalo ci penserò io, e dirò che è da parte di entrambe."
"E' per questo che mi hai chiamata, oggi? Per parlarmi di un compleanno, e di quanto Hotaru sia affezionata a Luna?"
Michiru scosse la testa, e lasciò scivolare la lettera sulla superficie della scrivania fino a che non fu davanti ad Haruka. "No. Ti ho chiamata per questa."
"Mmh. Qualcuno mi ha scritto una lettera d'amore?"
Il medico accennò un sorriso. "E' la risposta alla nostra richiesta di congedo permanente, Haruka. E' arrivata stamattina."
"Oh." Fu tutto quello che uscì dalle labbra di Tenou, il volto privo di qualsiasi espressione. Prima di aggiungere dopo un lungo momento, in cui non si mosse mai verso la lettera: "E qual'è il verdetto, vostro onore?"
"Non lo so. Ti ho chiamata proprio per aprirla, io non mi sarei mai permessa di farlo."
Haruka riportò la propria attenzione sulla busta, e voltandola vi scorse sopra il proprio nome, lo stemma dell'esercito e, in alto a sinistra, l'intestazione dell'ufficio sanitario del Pentagono, che si occupava di quel tipo di pratiche. "Aprila, forza." L'incoraggiò Michiru, che in realtà fremeva più dell'altra: se il congedo fosse stato rifiutato non avrebbero avuto il tempo materiale per presentare una nuova documentazione, e di lì a poco Haruka sarebbe ripartita. Su quello, probabilmente, non sarebbe riuscita a passarci sopra.
Dopo un momento di esitazione Tenou aprì rapidamente la lettera e si alzò dalla sedia: lanciò la busta vuota sulla scrivania e facendo qualche passo di lato iniziò a leggere l'unico foglio che conteneva. Anche MIchiru si alzò e le sembrò che il tempo si congelasse, mentre cercava un qualsiasi indizio dal volto impassibile di Haruka. Che, dopo un istante interminabile, schioccò le labbra.
"Cosa dice?" Michiru quasi non riusciva a sentire le sue stesse parole, tanto era rumoroso il battito del suo cuore. Guardò Haruka appoggiare il foglio sulla scrivania e, dopo aver cercato lo sguardo dell'altra, stringersi nelle spalle. "Dice che devo trovarmi un lavoro."
Al medico ci volle meno di un istante per processare il significato dietro quella frase, e un largo sorriso le si stampò sul volto. Si fece una vera e propria violenza per non abbracciarla, e decise di rivolgere le sue attenzioni al documento: con una rapida occhiata arrivò alle righe che l'interessavano.
'...alla luce della documentazione presentata, la domanda di congedo permamente inoltrata è stata accettata. Pertanto il Maggiore Haruka Tenou, nato a Washington D.C il 27 Gennaio 1980 viene riformato dal Servizio Militare e...'.
"Mio padre uscirà di testa," mormorò Haruka. "Non riesco a capire cosa possa essere successo."
"Te l'avevo detto che non sarebbe riuscito ad opporsi a questo." Michiru l'avvicinò, gli occhi che le brillavano di gioia. "E' una grande notizia."
"Non so se sono d'accordo," si imbronciò Haruka, ma Michiru le appoggiò una mano sul braccio. "Adesso hai la tua vita tra le mani, Haruka." Le disse in un sorriso, e l'altra scosse la testa. "Aspetta a cantar vittoria, Michiru. Il Generale non me la farà passare così."
"Mandalo qui, a parlare con me e Mamoru. Dovrà arrendersi all'evidenza."
Ma un sonoro 'pff' uscì dalle labbra di Haruka. "Tropic Thunder che si arrende. Sarebbe davvero l'Apocalisse, doc."
Michiru non afferrò. "Tropic Thunder?"
"Takeshi Tenou. 'Ti'- 'Ti'." Spiegò, alzando un sopracciglio. "Lo chiamavano così in Vietnam. Penoso, uh?"
"No, ma illuminante, in un certo senso." Convenne la ragazza, mentre Haruka le sfilava il foglio dalla mano. "E' incredibile," sussurrò rileggendo le righe stampate in Arial sul candido documento. E Michiru fu sorpresa quando incrociando le iridi verdi dell'altra, vi scorse un certo smarrimento. "Che faccio, adesso?"
"Baby steps, Haruka." La rassicurò il medico. "Piccoli passi. E un buon inizio sarebbe proprio venire alla festa di Usagi."
L'altra non reagì immediatamente, poi Michiru l'osservò infilare una mano sul retro dei jeans, estraendovi un piccolo portafoglio in pelle. "Che stai facendo?" Le domandò quando vide l'American Express sospesa a mezz'aria tra di loro. "Contribuisco al regalo."
"Ma figurati. Ci penserò io."
"Insisto."
"Chi è senza lavoro, adesso?"
Un sorriso piegò le labbra di Tenou. "Continuerò a percepire lo stipendio ancora per un po', doc, non angustiarti. E attenta che leggo gli estratti conto, quindi me ne accorgerei se ti ci comprassi le ultime Manolo Blahnik."
Michiru scosse la testa e prese la carta dalle mani di Haruka. Ma solo per reinfilargliela nella tasca laterale, dopo averla avvicinata: sentì chiaramente l'altra irrigidirsi a quel gesto. "Mi avevi detto che non avrei mai avuto i tuoi soldi." Le disse piano, inclinando la testa. Haruka la guardò con fare inquisitorio, infilando le mani in tasca. E Michiru non si aspettò che l'avvicinasse ancora, schiacchiandola tra il suo corpo e la scrivania, allungando le braccia per appoggiarle al bordo del mobile e sfiorandole così i fianchi. "Avevo detto anche che non sai fare la femme fatale. Ma solo gli stupidi non cambiano mai idea."
Rimasero in silenzio per un lungo istante, poi Haruka arretrò e il medico si concesse di tornare a respirare. La guardò estrarre dal taschino della camicia le chiavi dell'auto. "A che ora devo venire per la terapia?" Le chiese quindi, e Michiru andò a ripescare nel suo ottenebrato cervello le informazioni riguardanti il piano che avevano stabilito per approfondire alcuni punti del racconto. "Alle tre." Le comunicò cercando di non tradire nessuna emozione. Haruka annuì. "Fammi sapere se Foster ti dà altri problemi, d'accordo?"
"Guarda che me la so cavare anche da sola."
"Come vuoi. Hai perso un'occasione per approfittare della mia innata gentilezza."
Michiru sorrise, e quando l'altra se ne fu andata ripose il prezioso foglio arrivato dal Pentagono, che ancora giaceva sulla scrivania, dentro la busta, intenzionata a riporlo nel fascicolo di Haruka: fu così che si accorse della carta di credito argentata infilata tra il computer e la lampada da tavolo. E si ripromise di non lasciarsi più stregare dagli slanci affettuosi di Haruka: non aveva mai vissuto di illusioni. Non avrebbe certo cominciato adesso.
*
Ospedale Militare "Edward Dewenish VA Medical Center"
Portsmouth, Virginia,
21 Giugno 2008,
"There must be some kind of way out of here/ Said the joker to the theif/ There's too much confusion/ I can't get no relief."
Le mani di Jimmy si abbattevano con forza sui tasti del pianoforte, senza nessun rispetto per lo strumento e ancor meno riguardo per le orecchie dei due sfortunati ascoltatori con lui nella sala della Musicoterapia. Michiru sorrise osservando il totale impegno che il ragazzo stava mettendo nella sua esecuzione, e si appuntò nel proprio blocco come, nonostante i danni permanenti al cervello, ricordasse senza perdere un colpo ogni parola della canzone.
"Sai James, non credo che 'All along the watchtower' renda allo stesso modo al pianoforte," scherzò Michiru, sovrastando l'accozzaglia di note prodotte da quello. "Ma potremmo cercare di riarrangiarla."
"Compriamo una bella Fender Stratocaster, invece, datemi retta." Proruppe il ragazzo moro seduto accanto alla scaffalatura su cui erano posati libri e spartiti. "Così riusciremo a suonare tutto l'Hendrix che ci pare, James. Che ne pensi?"
Il ragazzo lo ignorò, continuando la sua esecuzione. "Ci metterai una buona parola tu con il dottor Chiba, dottoressa Kaioh?"
Michiru si voltò verso di lui. "Beh, Tyler, in quanto terapeuta musicale del Dewenish, se riterrai opportuno che l'ospedale necessiti di una a dir poco costosissima chitarra elettrica," gli fece l'occhiolino. "Io non potrò far altro che avvallare la tua richiesta."
Il ragazzo sorrise, alzandosi poi mentre scioglieva la coda di cavallo per risistemarsela meglio.
"All along the watchtower/ The princess kept the view/ While all the women came/ And went bare feet servants too," continuò Jimmy a squarciagola, e Tyler gli si sedette accanto sullo sgabello del pianoforte. "Hey James, lo sai che questa canzone era di Bob Dylan? Che ne dici di fare un po' del vecchio Bob?"
Jimmy scosse la testa, passando alla strofa seguente. "Dai, suoniamo 'The times they are a-changin''. Dobbiamo cambiare, o Hendrix - pace all'anima sua - si rivolterà nella tomba."
Michiru si alzò dalla propria sedia, riponendo un paio di libbricini sulla scaffalatura. "Non credo riuscirai a fargli cambiare idea." Controllò l'orologio, prima di riprendere. "Per oggi abbiamo finito qui, Tyler. Ci vediamo martedì prossimo con James."
Prese sottobraccio il ragazzo, che adesso era passato a 'Vodoo Child'. "Hai bisogno di aiuto con lui?"
Michiru scosse la testa, sorridendo. "No, James è un galantuomo, non è vero?"
"Galantuomo, si." Ripetè quello, annuendo. Tyler sorrise, poi incrociò le braccia al petto. "A proposito di galantuomini," iniziò a dirle. "E' vero che Foster e il Maggiore Tenou sono venuti alle mani nell'atrio per te?"
Bingo, pensò, un'espressione afflitta che le si stampava sul viso e la consapevolezza di essere la specialità del giorno sempre più chiara nella sua testa. "Ti prego, Tyler."
Quello alzò le braccia. "Ero solo curioso. Ne parlano tutti, in ospedale."
"Beh, ne parlano male: non sono venuti alle mani. C'è solo stata una discussione."
"Comunque io mi preoccuperei." Michiru inarcò un sopracciglio, e Tyler continuò. "Pensaci: Tenou, Foster. Le infermiere ti si coalizzerano contro."
Michiru non riuscì a trattenere un sorriso. "Della serie 'Morte all'austriaca'?"
Anche Tyler sorrise. "Più o meno."
Il medico sospirò e dopo averlo salutato si inoltrò per il corridoio stringendo il blocco degli appunti al petto, James a braccetto, raggiungendo il proprio ufficio. "Okay Jimmy, raccolgo le mie cose e ti riporto in camera." Disse al ragazzo, facendolo accomodare. "Devo andare alla scuola di Hotaru per una riunione. Ti ricordi di mia figlia?" Gli chiese, mostrandogli la foto sulla scrivania. James prese in mano la clip con l'immagine, ma se ne dimenticò in un istante quando scorse qualcosa di decisamente più interessante: allungando le mani afferrò il registratore vocale del medico. "No Jimmy. Non si tocca." Lo rimproverò bonariamente sfilandogli l'oggetto dalle mani, e un sorriso amaro le piegò le labbra pensando a come l'interazione con il traumatizzato ventenne fosse così simile a quella che aveva con Hotaru.
Sfilò la microcassetta del registratore, su cui era impresso il resoconto dell'ultimo dialogo con Haruka che aveva finito di riascoltare per stilare il report da dare a Mamoru, riponendola quindi nella custodia, ogni azione seguita dallo sguardo curioso di James. Sollevò la borsa dalla scrivania e vi ripose il supporto, insieme ad altre di vecchi report che da diversi giorni giacevano sul suo mobile da ufficio e attndevano di riprendere la via di casa. "Dottoressa, ce l'hai le caramelle?"
Michiru scosse la testa. "Niente caramelle, Jimmy. O ti verrà mal di stomaco come l'ultima volta."
"Ma io voglio le caramelle!" Proruppe il ragazzo con fare piagnucoloso, e Michiru roteò gli occhi, "Solo una, va bene?"
Il medico iniziò a frugare nella borsa, quando un veloce bussare alla porta attirò la sua attenzione: non ebbe neanche il tempo di rispondere poichè Mamoru era già comparso sulla soglia.
"Michiru, che sta succedendo?" Sembrava piuttosto alterato. "Cos'è questa storia della rissa nell'atrio?"
"Oddio, Mamoru. Non anche tu." Avvicinò l'amico, allontanandosi così dalla scrivania, dalla borsa e dalla ricerca delle caramelle. "Non c'è stata nessuna rissa nell'atrio!" Sbottò esasperata. "Ma chi mette in giro queste voci?"
"Tutti," comunicò Chiba serio, incrociando le braccia al petto. "Ne parla chiunque, in ospedale."
La ragazza scosse la testa. "Non è successo niente, Mamoru. Credimi. La faccenda è già risolta."
"Foster dice che Tenou l'ha minacciato." Suggerì l'altro, ottenendo in risposta gli occhi sgranati del medico.
Un tonfo attirò l'attenzione dei due medici, e si voltò per vedere cosa fosse successo: James si stava masticando probabilmente un'intera confezione di caramelle gommose prese dalla sua borsa, la quale giaceva a terra insieme a una parte del suo contenuto.
"Haruka non ha minacciato nessuno." Precisò, facendo qualche passo di lato per poi piegarsi a raccogliere gli oggetti. "E scommetto che Samuel abbia deliberatamente omesso il fatto che si sia comportato da totale stronzo."
"E' per questo che sono qui. Per chiederti come siano andate le cose tra Foster e Haruka."
Al sentire 'Haruka', James iniziò a scuotere la testa, gli occhi velati di puro terrore. "No! Haruka no!"
"Perchè fa così?" Chiese Chiba preoccupato, ma Michiru si strinse nelle spalle. "Jimmy ha paura di Haruka. Ho un paio di teorie in merito, ma sinceramente è una reazione che mi rimane inspiegabile."
Finì di rimettere gli oggetti nella borsa, e facendo alzare James dalla sedia, tornò a rivolgersi a Mamoru. "Ascolta adesso devo proprio scappare o farò tardi a scuola, c'è da organizzare la raccolta fondi e mi hanno chiesto di dare una mano. Usagi ci va?"
"Credo sia già là," la informò l'uomo, che poi inclinò la testa. "Mi assicuri che posso stare tranquillo?"
"Fidati, Mamoru. E' solamente che quei due non si piacciono, e non fanno più niente per nasconderlo."
Mamoru rimase pensoso un istante. "Mi avevi detto di essere solo 'un gioco', per Tenou."
"E lo sono ancora." Gli disse in un sorriso. Chiba sapeva di quanto era successo a casa di Haruka. Sapeva che la sindrome da Stress Post traumatico dell'altra era stata scatenata da una serie di violenze psicologiche che Haruka aveva represso. Ma non sapeva di Samira e degli orrori cui l'altra era stata costretta ad assistere: se mai l'avesse voluto, sarebbe stata Tenou a parlarne con lui. E allo stesso modo non sapeva del bacio tra di loro, ma di certo non per una questione di fiducia. Di quello non avrebbe avuto alcun senso parlarne. "Sono ancora un gioco per Haruka," ripetè laconica. Sempre, e solo, un gioco.
*
'The King' Lounge Bar,
Virginia Beach, Virginia.
Le note di un languido jazz rimbalzavano tra le luci soffuse della sala.
In un angolo, su eleganti divanetti di pelle bianca, una coppia si mormorava all'orecchio parole solo a loro conosciute, lanciandosi di tanto in tanto sguardi carichi di promesse.
Gettò un'occhiata alla tenda di morbida organza, che celava la sala cocktail agli occhi di chi sedeva al bar, prima di tornare a fissare il suo Jack Daniels. Con un lieve movimento del polso, fece tintinnare i cubetti di ghiaccio al suo interno.
Il Re è morto. Lunga vita al Re, si disse mentalmente, prima di scolarsi l'intero contenuto del bicchiere e digrignare i denti, nell'illusione che il bruciore alla gola e allo stomaco si esaurisse in minor tempo. Senza staccare i gomiti dal bancone, e senza abbandonare la posa incurvata cui ormai aveva fatto l'abitudine, abbandonò il bicchiere vuoto sul lucido legno lavorato, facendo poi cenno al barman per averne un altro.
Michiru le era sembrata tranquilla. La loro terapia continuava, e si scivolavano addosso come se niente fosse accaduto. Ma dopotutto, come poteva essere diversamente. Cosa le aveva detto? Una canalizzazione del tutto naturale delle emozioni che ti si agitavano dentro.
Andando a ritroso nel tempo, e cercando di ricordare tutte le sue conquiste, valutò che mai nessuna aveva dato una spiegazione così scientifica e fredda a un suo bacio.
E' stato un modo gentile per non dirti chiaro e tondo che le hai fatto schifo, girò il dito nella piaga una voce nella sua testa, e schioccò le labbra, prendendo tra le dita il nuovo bicchiere di whiskey. Il tuo medico. Il tuo splendido medico etero, con tanto di bimba a carico. Ma come cazzo ti è venuto in mente? Sovraccaricò un'altra voce al primo sorso di Jack. Valutò che, forse, fumarsi dell'erba prima di uscire non era stata una grande idea.
Si accorse del gruppetto di ragazze che già da un po' l'avevano adocchiata. Guardò l'ora sul cellulare, e stimò che entro una decina di minuti la prima si sarebbe fatta avanti.
Mettiti il cuore in pace, Tenou. Per Michiru sei solo lavoro. Tirò un'altra sorsata. Le principesse cercano principi, si ripetè mentalmente.
Poi un pensiero tornò prepotente, scacciando tutti gli altri dalla sua testa. Toccandosi la camicia all'altezza dello sterno, sentì chiaramente la forma delle piastrine identificative dell'esercito. Aveva continuato a portarle più per un'abitudine, che per un reale bisogno.
Si chiudeva un lungo capitolo della sua vita, e non le restava che aspettare che l'uragano Tenou si abbattesse su di lei. Michiru l'aveva fatta facile, ma non conosceva suo padre. Haruka sperò con tutto il cuore che la ragazza non dovesse mai conoscerlo.
E, di certo, adesso non aveva più scuse. Non poteva più nascondersi dietro un'imminente partenza, o al fatto che la sabbia incandescente del deserto iraqeno avrebbe potuto inghiottirla in qualsiasi istante, cosa cui era andata molto vicina.
Mettere radici, stabilire legami. Si chiese se ne sarebbe mai stata capace. Lei era un battitore libero, un vuoto che attraeva proprio come un buco nero. Rivelare a Michiru quanto era successo nel loculo l'aveva fatta sentire meglio, ma non di certo fatto cambiare idea.
Lanciò un'occhiata da sopra la spalla al tavolino dove sedevano le ragazze, e notò che ne mancava una. Scosse la testa: sarebbe arrivata fino a dieci?
Uno. Due. Tre. Quattro. Cin-
"Ciao."
Il ghiaccio tintinnò nel bicchiere quando lo posò sulla superficie del bancone, prima di girarsi a guardare l'autrice del saluto. Era la bionda, con poco seno ma un culo che parlava. Beh, non si può mica avere tutto dalla vita, no?
Anche perchè l'unica che vorresti, adesso, è a casa con sua figlia.
"Io e le mie amiche abbiamo fatto una scommessa," iniziò a dirle, e Haruka roteò gli occhi alla scusa vecchia come il mondo, forse di più.
"Una sostiene che sei sposato, l'altra che sei comunque fidanzato. Io dico che sei disponibile." Le si avvicinò un po', e quando si appoggiò al bancone, il vestito già di per sè corto salì ancora sulle cosce. "Le prime due non escludono l'ultima." Le disse in tono piatto, e quella sorrise. "Allora ho ragione io."
"Può darsi."
"Come ti chiami?"
"Non credo ti interessi davvero saperlo."
La ragazza le si accomodò accanto con studiata indifferenza, e poco dopo le arrivò un cocktail. Haruka poteva sentire i gridolini di vittoria delle sue amiche da lì. "Vieni spesso al 'The King'?"
"No, è la prima volta." Le rivelò scrutando il livello del liquore, che si stava abbassando sul suo bicchiere. "Questo spiega perchè non ti ho mai visto prima."
"Magari non mi piace farmi notare."
Gli occhi celesti dell'altra, la forma allungata accentuata da un tratto di matita nera passato da mano esperta, furono attraversati da uno scinitillìo. "Allora la Natura non ti ha fatto un favore."
"Lo dico sempre anche io."
Se tu sei uno scherzo della natura, allora è la natura ad avere qualcosa che non va.
L'immagine di Michiru comparve prepotente nei suoi occhi; la mano dell'altra che le asciugava le lacrime. Scosse la testa e si portò il bicchiere alle labbra, e anche la bionda al suo fianco sorseggiò il cocktail. "Tu vieni spesso, immagino."
La ragazza inclinò la testa, sorpesa. "Come l'hai capito?"
"Il barista ti ha portato da bere senza che nemmeno glielo chiedessi."
La vide avvicinarla ancora. "Sei un osservatore."
"Dipende."
"E da cosa?"
Un angolo delle labbra di Haruka si piegò all'insù. "Se ciò che osservo mi interessa."
Quella non rispose subito. "E vediamo, io ti interesso?"
"Un po'."
Ce l'aveva. Pendeva dalle sue labbra. La sentì accostarsi al suo volto, e iniziare a parlarle nell'orecchio. "Magari posso fare qualcosa per accendere un po' di più il tuo," la sfiorò con la lingua. "Interesse?"
Haruka sentì la mano di quella scivolarle lungo la coscia, e la bloccò prima che potesse rendersi conto di qualsiasi cosa. "Non lo so." Si voltò a guardarla. "Ti piacciono le sorprese?"
"Adoro le sorprese."
Le accarezzò le labbra con le proprie, ma Haruka sentì che era diverso. Per la prima volta, le sembrò quasi sbagliato. Un riflesso acquamarina le riempì gli occhi, e anzichè fermarla mandò in circolo una potente scarica d'eccitazione. "Allora sono la persona che fa per te." Disse all'altra, prendendola per mano e facendola alzare dall'alto sgabello. Gettò i soldi della consumazione e della mancia sul bancone e senza altre parole si tirò dietro la bionda, mentre la speranza di annientare qualsiasi fantasia sul suo medico si faceva, anche per quella sera, sempre più flebile.
*
Ospedale Militare "Edward Dewenish VA Medical Center"
Portsmouth, Virginia,
22 Giugno 2008,
Stava attraversando il corridoio che dalle degenze portava agli uffici, quando scorse Lara, una delle infermiere del piano, seduta su una delle sedie in plastica della sala d'aspetto tenendosi accanto un James Beouford piuttosto agitato.
"C'è qualche problema?" Chiese, e la ragazza si voltò sorpresa in direzione della voce; Jimmy non si girò nemmeno. "Oh, dottor Foster, è lei."
"Che succede?"
La ragazza si strinse nelle spalle. "James deve fare la TAC di controllo, oggi, ma come al solito quando vede la siringa del liquido di contrasto inizia ad agitarsi. Ha il terrore delle iniezioni."
Samuel annuì, e Lara continuò. "Così stiamo aspettando la Dottoressa Kaioh, per darci una mano."
Sentendo il nome di Michiru, Foster schioccò le labbra. "E da quando la dottoressa Kaioh ha capcità di ipnosi?"
Lara sorrise. "Non credo ne abbia, ma non è un segreto che James abbia un debole per lei, così speriamo che possa tenerlo tranquillo per il tempo necessario a iniettargli il contrasto."
Samuel scosse la testa, e si accucciò davanti a James. "Ti piace Michiru, Jimmy?"
"La voglio sposare," fu quello in automatico, annuendo. Foster inclinò la testa. "Addirittura." Poi aggiunse, mormorando. "Contento tu."
James non rispose, e quando il ragazzo sollevò le gambe per portarsele al petto, ranicchiandosi sulla sedia, Samuel si accorse del pugno stretto spasmodicamente intorno a qualcosa celato alla sua vista.
"Accidenti, proprio adesso." Gemette Lara al trillo del telefono proveniente dalla guardiola di psichiatria, e il medico riportò la sua attenzione sull'infermiera. "Non c'è nessuno che possa rispondere?"
"Dovrei farlo io. L'altra ragazza è in pausa e stavo io in guardiola prima che chiamassero da Radiologia per la questione di James."
L'uomo rimase in silenzio, poi sfoderò uno dei suoi candidi sorrisi. "Vai pure, Lara. Dò io un'occhiata a James."
"E' sicuro?"
"Certo. Non ho nulla da fare, al momento."
La ragazza schizzò in piedi. "Non ci metterò molto. Torno subito."
Quando l'altra si fu allontanta, Foster prese il suo posto accanto a Jimmy. "Che cos'hai in mano, James?" Gli chiese piano. "Me lo fai vedere?"
Ma quello scosse la testa. Samuel si fece pensoso. "Vediamo, che ne dici se in cambio ti dò," iniziò a frugare nelle tasche del camice, e dopo un istante ne estrasse un pacchetto semi-nuovo di gomme da masticare. "Queste? Mi pare uno scambio più che equo."
James guardò alternativamente il proprio pugno e le chewingum per diverse volte. "Me le dai?" Chiese quindi al medico guardando il pacchetto, ma non sembrava propenso a lasciare l'oggetto che teneva tra le mani. "Solo se mi fai vedere cos'hai lì."
James ci pensò sopra, poi aprì lentamente il pugno: alla vista di Foster si aprì una microcassetta, di quelle apposite per registratori audio. Una volta le usava anche lui, poco dopo la fine dell'Università, ma non avendone più trovato alcuna utilità ne aveva dismesso l'utilizzo. Tra l'altro, valutò, in commercio non se ne trovavano neanche più con il supporto a cassetta, sostituiti da registratori con memorie flash, collegabili e trasbordabili senza tanto sbattimento a un pc. "Dove l'hai presa?" Inquisì Foster, e James sorrise. "La dottoressa Michiru."
"Ah, la dottoressa Michiru," ripetè, la curiosità che iniziava a rodergli il cervello come un tarlo. Con un veloce movimento si impossessò della cassetta, lasciandovi in sostituzione le gomme da masticare. "Ridammela!" Proruppe James, ma Samuel scartò all'indietro. "Abbiamo fatto uno scambio, James. E non vorrai mica che vada a dire alla tua innamorata che le rubi le cose?"
Infilò l'oggetto in tasca, appena prima che Lara facesse di nuovo la sua comparsa. "Stupido!" Stava inveendo Jimmy, e l'infermiera lo guardò perplessa, spostando poi lo sguardo verso Samuel che si stava alzando dalla sedia. "E' il suo modo di ringraziarmi per avergli regalato delle caramelle," spiegò stringendosi nelle spalle, mentre l'altro continuava a urlargli contro. "Stupido! Stupido!"
"E' strano," Lara era sorpresa. "Di solito non reagisce così, anzi. E' sempre piuttosto gentile."
"Infatti. Cosa gli hai fatto, Samuel?"
Tanto Foster quanto Lara spostarono la loro attenzione da James alla fonte della voce, e osservarono Michiru sedersi accanto a James, mettendogli poi un braccio intorno alle spalle, accarezzandone il viso per calmarlo. "E' stupido." Ribadì James, e Michiru rise. Anche Lara non riuscì a trattenersi, ma soffocò la risata all'occhiata in tralice che Foster le rivolse. "Sai Samuel, credo che il soldato semplice Beouford ti abbia inquadrato alla perfezione."
"Ah, divertente." Fu ironico Foster, che poi diede un'occhiata all'orologio. "Beh, sapete che vi dico? Vado via. Devo anche fare la valigia."
"Finalmente ti trasferiscono?" Chiese Michiru, ma Samuel scosse la testa. "No, vado a Baltimora. C'è un congresso sull'utilizzo delle benzodiazepine nel trattamento dell'insonnia, e Chiba vuole che ci vada io."
"Non male come castigo," scherzò Michiru, sapendo che nella maggior parte dei casi questo tipo di manifestazioni si svolgevano in strutture alberghiere di lusso, e nonostante il susseguirsi di conferenze, si finiva comunque per rimanere diversi giorni a godere di ogni comfort. "Era stata concordata prima del nostro piccolo diverbio, ma almeno per questa settimana potrai piangere tanto sulla spalla di Chiba quanto su quella di Tenou, Michi."
Enfatizzò apposta il nomignolo, e Michiru strinse gli occhi. "Credo che me ne andrò," proruppe Lara, sentendosi decisamente di troppo, ma Samuel la fermò. "No, me ne vado io. Vi auguro buona giornata," disse in tono cordiale.
Si incamminò per il corridoio, verso l'ascensore, rigirandosi nella mano nascosta nella tasca la microcassetta sottratta a Beouford.
"Stupido," ripetè Jimmy quando non ebbe più Samuel nel suo campo visivo, strappando un ulteriore sorriso a Michiru. La quale poi iniziò ad ascoltare da Lara il problema che aveva richiesto la sua presenza.
*
Portsmouth, Virginia,
30 Giugno 2008,
Era seduta in un angolo, tra le mani un bicchiere di analcolico, e alternava occhiata all'interno della casa e al giardino sul retro, entrambi che pullulavano di bambini e adulti.
Un paio di ragazzini le passarono vicino, rincorrendosi, sollevando nel loro movimento alcuni dei numerosi palloncini che ricoprivano il pavimento della villetta, e che dopo una svolazzante salita iniziarono una pigra caduta. Prima che uno toccasse terra allungò una gamba e gli diede un calcetto, allontanandolo.
Scorse Usagi, un cappellino da party in testa, servire agli ospiti vettovaglie di ogni tipo: sorrise ripensando al momento in cui le aveva aperto la porta, accogliendola soffiando a tutta potenza dentro una trombetta di carta. Scuotendo la testa, considerò che invecchiare e crescere non andavano necessariamente di pari passo.
Vide Hotaru litigarsi qualcosa con l'altra festeggiata della giornata, e in un lampo di coscienza si chiese dove fosse Artemis: si sentì totalmente solidale al felino, nascosto chissà dove per sfuggire ai marmocchi.
Lanciò uno sguardo alla pianta che l'affiancava e considerò di gettarci dentro l'analcolico, tanto il vegetale non aveva un grande aspetto già di suo. Fece per voltarsi quando un piatto di carta rosa, riempito di dolcetti, salatini e quant'altro, invase il suo campo visivo; seguendo le mani che lo sorreggevano, si ritrovò a guardare negli occhi azzurri di Usagi.
"Per te. Pensavo avessi fame."
Haruka inarcò un sopracciglio, poi sgravò l'altra del peso del piatto. "Grazie." Mormorò dopo un lungo momento. Si accorse con sconcerto che l'altra si stava accomodando nella sedia accanto alla sua, e spostò la sua attenzione al contenuto del piatto: un paio di sagome informi dal colorito bruno le fecero aggrottare la fronte. "Questi cosa sono?" Domandò, e Usagi sorrise imbarazzata, portandosi una mano dietro la testa. "Oh, sono dei biscotti che ho fatto io. Si sono un po' bruciati, ma sono buoni."
Haruka non rispose subito. "Assomigliano a una cosa che ci diedero alla mensa del campo un paio d'anni fa, quando stavo in Iraq." Rimase assorta un secondo. "Ci intossicò tutti."
Usagi si fece basita. "Sul serio?"
Haruka annuì, poi se lo mise in bocca. "Non dovevi mangiarlo per forza."
"Mi piacciono le sfide," scherzò l'altra, facendole l'occhiolino.
Usagi appoggiò i gomiti alle ginocchia, osservando Haruka deglutire il prodotto delle sue arti culinarie ancora da affinare. "Sai, hai proprio una bella auto." Le disse quindi, inclinando poi un po' la testa per guardarla. "Te lo volevo dire già dall'altra volta. Non ne avevo mai viste come la tua."
"E' un'edizione limitata."
La ragazza assunse un'aria curiosa. "Dev'esserti costata un botto." Disse quasi stesse pensando ad alta voce. E quando se ne rese conto, si portò una mano alla bocca. "Scusa."
Haruka sorrise. "Non fa niente." Poi emise un lieve sospiro. "Lo stipendio di un ufficiale è piuttosto alto, e sulla mia testa girano parecchi soldi, tra indennità di rischio, trasferimenti, assicurazioni e fondi fiduciari." Tirò una sorsata dall'analcolico, rimpiangendo l'assenza di un buon vecchio Bourbon. "E non avendo mai posseduto nulla, per anni ho avuto solo entrate, e zero uscite." Fece una pausa. "Tolte le maledette tasse."
L'altra rise, e anche Tenou la guardò divertita. "Nemmeno da bambina il denaro è mai mancato," continuò a dirle, tornando seria. "Mancava tutto il resto, ma quello no, mai. Vedevo il Generale una, massimo due volte al mese. I miei litigavano continuamente, ma avevamo la piscina, una domesti-"
"Il Generale?" La interruppe Usagi confusa, e Haruka annuì. "Il Generale è mio padre."
"Oh. E' quello che ci ha organizzato una festa di prima mattina qui a casa, un paio di mesi fa."
"Già. Takeshi non ha molto rispetto per le persone. Io ne sono la prova vivente."
"Mamo-chan mi ha raccontato qualcosa." Mormorò l'altra, che poi tornò a guardare Haruka. "Non ti riesce proprio di chiamarlo papà, uh?"
Haruka la guardò con evidente disappunto, e mangiucchiò un altro biscotto. "Avevi ragione, non sono così male." Disse quindi, strappando un sorriso orgoglioso ad Usagi. Il silenzio si insinuò tra le due, riempito dal vociare allegro dei bambini e dal parlottare spensierato degli adulti.
"E' proprio bella, non è vero?"
Le parole di Usagi la colsero impreparata: seguendone lo sguardo, si ritrovò ad osservare Michiru che, seduta sul divano, ascoltava divertita qualsiasi cosa Hotaru le stesse raccontando, a cavalcioni sopra di lei. Decise di non rispondere a una domanda così potenzialmente pericolosa, ma l'altra continuò imperterrita. "Ed è così dolce con Hotaru. Per non parlare di quant'è brava a suonare e-"
"Usagi." La bloccò Haruka, attirandosi l'occhiata curiosa della ragazza. "Credevo tu fossi amica di Michiru."
"Certo che lo sono."
"E allora perchè cerchi di piazzarmela?"
Usagi la guardò per un lungo momento, poi arrossì. "Ecco, io credevo che... Beh, che-"
"Si, mi piacciono le donne." La trasse dall'impaccio. "Ma non vuol dire che mi piacciano tutte le donne, indistintamente."
"Mi stai dicendo che Michiru non ti piace?" Sembrava incredula.
Haruka tornò a guardare il proprio medico, di cui aveva piena visuale adesso che si era alzata in piedi. Indossava un abitino celeste a fiori, lungo fino al ginocchio, e le bretelle in velo della parte superiore lasciavano scoperte le braccia. Valutò che quel semplice vestitino estivo se la stava battendo alla grande con l'abito che Michiru aveva sfoggiato per la serata al 'Four Seasons', e che spesso tornava nei suoi pensieri. I quali, la metà delle volte, non erano esattamente casti.
"Tu non mi conosci, Usagi." Le disse quindi, eludendo la domanda. "Io ho fatto cose tremende. Se fossi in te, farei di tutto per tenerla lontana da una come me."
Usagi lanciò una rapida occhiata a Michiru. "Senza contare che dovremmo considerare Michiru appartenente alla mia squadra, cosa che mi viene costantemente smentita da quello scricciolo laggiù in fondo."
L'altra rimase assorta per un secondo, poi tirò un sospiro. "Michiru le sa?" Le chiese quindi. "Michiru sa queste cose tremende che dici di aver fatto?"
Samira, il loculo. Le violenze. Fu un lampo negli occhi, che sparì com'era venuto. E Haruka annuì, dopo un lungo momento. "Si, le sa."
"Beh, ma non mi pare che ti reputi una persona così orribile. Altrimenti non saresti qui con noi."
Haruka inclinò la testa per guardare Usagi, che continuò. "E' mia amica e mi fido di lei. E non so quello che hai fatto, ma onestamente nemmeno mi interessa. E sai perchè? Perchè mi sembra proprio che non interessi nemmeno a Michiru."
Un lieve sorriso incurvò le labbra di Haruka, che scosse la testa. "Si è presa molto a cuore il mio caso. Non posso negare che sia una ragazza estrmamente gentile."
"La gentilezza non c'entra niente. Ti posso assicurare, Haruka, che tu le hai fatto qualcosa." Un sorriso le piegò le labbra all'insù. "Da quando la conosco, Michiru ha sempre protetto Hotaru in una maniera a dir poco morbosa. Eppure porta la bambina a casa tua, vi lascia interagire liberamente. Non ci hai mai pensato?"
"Da quando Hotaru non può socializzare con le amiche di sua madre?"
Usagi lasciò cadere le braccia. "Tu inganni quotidianamente centinaia di persone, Haruka. Cosa ti fa credere che Hotaru, invece, abbia capito che sei una donna?"
Haruka sapeva bene che la bimba la credeva un uomo, e cercò di non cogliere le implicazioni di quanto la ragazza le stava dicendo. "La conosci da molto?" Preferì chiederle. Usagi ci pensò su. "Da quando ha iniziato a lavorare con Mamoru. Quattro anni, più o meno."
"E non sei mai stata gelosa?"
La ragazza rimase silenziosa per un lungo momento. "Mentirei se dicessi di no. Cioè, guardala. E io ero incinta, avevo dei paurosi picchi ormonali e mi sentivo un ingombrante rifiuto solido urbano. La mia autostima, vicino a lei, si dissolveva del tutto."
Haruka rise, e anche le labbra di Usagi si piegarono all'insù. "Poi Mamo-chan organizzò una cena. La conobbi, e mi resi conto che non avevo davvero nulla da temere."
Un pensiero colpì Haruka, e non riuscì a trattenersi. "Perchè era già sposata?"
Usagi la guardò di traverso, e Tenou si affrettò ad aggiungere: "Con il padre di Hotaru."
"Intendi Mitsuo?" L'altra sembrava perplessa.
Mitsuo! Mitsuo Kaioh! La realizzazione del nome e cognome dell'altro la investì in pieno, ricordando finalmente. Il suo ufficio di Mosul le riempì i pensieri, così come l'immagine del Sergente, ritto davanti a lei con in mano il foglio di licenza, che non smetteva di raccontarle come avesse conosciuto la moglie, sposata pochi mesi prima della partenza per l'Iraq.
"Anche Mitsuo era un soldato," le disse, e Haruka annuì. "Lo so. Era sotto il mio comando, a Mosul."
Usagi sgranò gli occhi. "Vuoi dire che anche tu-"
"No, mi trasferirono prima dell'attacco." La ragazza si rilassò, e tirò un sospiro. "Quello fu proprio un brutto colpo. Per fortuna nel crollo di una delle caserme si era venuta a creare una specie di sacca d'ossigeno tra le macerie, e lo trovarono dopo due giorni. Era conciato male, ma almeno era vivo."
Haruka si spostò sulla sedia per avvicinare Usagi. "Quindi non è morto in Iraq?"
L'altra la guardò confusa. poi incrociò le braccia al petto. "Ma Michiru non ti ha mai raccontato niente?"
Haruka ripensò alla meschinità con cui aveva cercato di inimicarsela, toccando proprio quel tasto dolente. "Non ne parla volentieri e un po' di tempo fa usai questa storia per colpirla e farle del male." Le rivelò Tenou, e dalle labbra di Usagi uscì una lieve esclamazione di stupore. "Da quel giorno non le ho più chiesto nulla, anche perchè comprendo perfettamente come ci si senta quando tutti vogliono sapere qualcosa da te, ma l'ultima cosa che tu vuoi è parlarne."
L'altra non rispose, poi si colpì le gambe con i palmi della mano. "Ascolta, Maggiore Tenou. Se lei non ti ha detto niente, non posso di certo venirtelo a dire-" Si bloccò, il volto che virava a una sfumatura violacea quando si accorse che il viso di Haruka si stava avvicinando al suo. "-io."
"Nemmeno se troviamo un accordo?" Le chiese a voce pericolosamente bassa. Usagi deglutì sonoramente, e dopo qualche istante Haruka scoppiò a ridere. "Dai, stavo scherzando. Continua."
"Beh non era un bello scherzo!" Proruppe la ragazza, che si schiarì la voce con due leggeri colpi di tosse, cercando di dissolvere l'imbarazzo.
"Non caderci, Usagi. Haruka fa così con tutte."
La voce di Michiru attirò la loro attenzione, e l'osservarono avvicinarla. "Dimmi che mi hai portato del Bourbon. O del Jack Daniels." Fu Haruka supplichevole, ma Michiru si piegò verso di lei scuotendo la testa. "Per te c'è solo acqua. Tanta acqua."
Haruka gemette, abbandonandosi contro lo schienale della sedia e lasciando che il retro della sua testa si appoggiasse nemmeno tanto delicatamente al muro. "Usako, la torta!" Chiamò da un punto indistinto del soggiorno Mamoru, e Usagi si portò rumorosamente le mani alle guance. "Oh no, è ancora congelata! Oh no!"
Scappò via letteralmente, e sia Michiru che Haruka la guardarono basite sparire dentro la cucina. "Io sono sempre fermamente convinta che ogni volta che vengo qui ci siano telecamere nascoste," affermò Haruka, e Michiru sorrise accomodandosi accanto a lei, dov'era stata Usagi fino a qualche istante prima. "Ti ho vista, sai, che stavi insidiando Usagi."
Haruka non staccò la testa dal muro, ma si girò a guardare la ragazza. "Volevo vedere quanto fosse corruttibile." Michiru non afferrò il collegamento, e decise di rubarle un dolcetto dal piatto. "Hai l'aria di una che vorrebbe essere dovunque, meno che qui."
"Non mi sento molto a mio agio. Ma so che dovrò abituarmici. Voglio dire," cercò lo sguardo di Michiru. "Da adesso la mia normalità saranno villette a schiera e barbecue in giardino, piuttosto che accampamenti, tensostrutture e barbecue nel deserto, no doc?"
Michiru si accigliò. "Ti pesa così tanto non dover tornare più là? Non dover più rischiare la vita in ogni momento?"
Haruka non rispose, e l'altra sospirò. "Di che stavate parlando tu e Usagi?" Decise di virare argomento. "Del fatto che quand'era incinta si sentiva un rifiuto solido urbano," mentì parzialmente Tenou. Michiru schioccò le labbra in disappunto. "Usagi era bellissima quand'era incinta. Era radiosa."
"E tu com'eri?"
Michiru inclinò la testa, sorpresa dalla domanda. "Mi piacerebbe vedere una foto di quand'eri incinta di Hotaru. Probabilmente anche tu eri," bellissima. "Beh, eri come lei."
Il medico la guardò per un lungo istante, poi le sfiorò il colletto della polo a maniche corte. "Mi piace come ti sta," le disse solo, e un sorriso piegò le labbra di Haruka. "Che attinenza ha con la mia domanda?"
"Nessuna. Era solo un pensiero."
"Speravi che facendomi un complimento, ne ricevessi uno?" Inquisì Tenou, ma Michiru si strinse nelle spalle. "No. Meglio la morte, piuttosto che dirmi una cosa carina, giusto?" Chiese in un sorriso.
Haruka scosse la testa e non riuscì a replicare perchè un richiamo spaccatimpani arrivò alle sue orecchie. Vide i palloncini dividersi al passaggio di Hotaru, nemmeno fossero state le acque del Mar Rosso davanti a Mosè, e dopo un istante la bimba era aggrappata alla sua gamba. "Ciao Haruka!"
Tenou la spettinò vistosamente. "Ehy scricciolo, tu sì che non passi inosservata, uh?"
Hotaru rise e alle sue spalle comparve Chibiusa, che vedendo l'amica compiere quell'azione si sentì autorizzata nell'imitarla. "Guarda Michiru, ho due nuovi stivali," scherzò Tenou, quando entrambe le ragazzine furono intorno ai suoi stinchi. "Tanti auguri, signorina," disse quindi alla festeggiata. "Quanti anni compi?"
La bimba dovette rifletterci sopra un attimo, e iniziò ad alzare le dita della manina destra per aiutare il conto mentale. E tutta quell'attenzione rivolta a Chibiusa non piacque ad Hotaru, che allungando un braccio - e tenendosi saldamente a Tenou con l'altro - iniziò a cercare di staccare l'amichetta dalla gamba di Haruka. "Eddai Chibiusa! Haru è amico mio, non tuo! Dai!!"
Michiru sorrise, e Haruka ne cercò lo sguardo sgomenta. "Haru?"
"Si, ti chiama così. E poi con la 'u' finale allungata, tipo ululato." Le spiegò la ragazza, che poi si profuse in un esempio. "Te l'ho detto che le piaci."
Haruka fece una smorfia, prima di tornare a rivolgere la propria attenzione allo scontro tra Titani appena sotto le sue ginocchia. "Chibiusa! Chibiusa vieni, stiamo per portare la torta!" Chiamò la bambina una signora di mezza età dai lunghi capelli scuri, ma dall'aria piuttosto giovanile, che si portò le mani ai fianchi quando vide la bimba aggrappata alla gamba di Haruka. "Oh tesoro, non ci si attacca alle gambe delle persone. Vieni dalla nonna," la sollevò in braccio, mentre la piccola agitava la manina verso Haruka, quattro dita alzate. "Quattro! Ne compio quattro!"
"Buonasera Ikuko," la salutò Michiru, e la donna realizzò la presenza della ragazza. "Michiru! Non ti avevo vista!" Poi lanciò uno sguardo ad Haruka. "Chi è il tuo accompagnatore?"
"Maggiore Tenou Haruka, onorato." Haruka si alzò in piedi, stringendo la mano della donna non prima di aver posato il piatto su un ripiano vicino. "Lei è la sorella di Usagi, immagino."
Michiru roteò gli occhi, e quella arrossì portandosi una mano al volto; Haruka sorrise ricordando lo stesso gesto fatto da Usagi quando l'aveva conosciuta. "La sorella! Kenji! Dov'è Kenji quando mi fanno un complimento?" Si lamentò, tornando poi a guardare Tenou. "Veramente sono la mamma, Maggiore."
"Non l'avrei mai detto," si finse stupita, e Ikuko tornò a rivolgersi a Michiru, un sorriso gongolante stampato sul volto. "Oh, Michiru. L'ho sempre detto io che hai buon gusto."
Michiru arrossì appena a quella frase, e Haruka tornò a guardare Hotaru ancora saldamente ancorata al suo stinco. "Hai intenzione di stare lì tutto il giorno?"
Al vigoroso annuire di Hotaru, Haruka si grattò la testa. E un pensiero la colpì. "Ehy nana. Ho una cosa per te in macchina."
La bimba spalancò gli occhioni viola, staccandosi immediatamente da Tenou. "Cos'è?"
Anche Michiru era curiosa, e seguì Haruka che si dirigeva verso l'ingresso di casa Chiba, con la bimba che gli trotterellava dietro per mantenerne il passo. Una volta fuori il lampeggio delle quattro frecce indicò che Haruka aveva disattivato l'allarme della Viper, e quando Tenou aprì lo sportello, Michiru si bloccò sul vialetto, incredula: sul sedile del passeggero della potente auto sportiva sedeva... Luna. Legata con la cintura di sicurezza.
Guardò Hotaru balzare sul sedile per recuperare il pupazzo, con Haruka che le si accucciava accanto, e nell'osservarle quella strana sensazione, la stessa che aveva provato quando aveva visto Hotaru e Tenou insieme sulla moto, tornò. E ciò non fece altro che aumentare la sua confusione.
"Mamma, guarda, Haru mi ha portato Luna!" Chiamò la bimba, correndo ad aggrapparsi al bordo del vestito di Michiru. "Dice che non fa più brutti sogni."
"Hotaru mi ha detto che quando ha degli incubi, dorme con te." Fu Haruka avvicinandole e chiudendo l'auto, e il medico annuì. "Già, ma cerco di non abituar-"
"Non hai capito." La interruppe l'altra, un'espressione innocente stampata sul volto. "Temo che la bambina suggerisca che io e te dobbiamo dormire insieme."
Michiru inarcò le sopracciglia, un lieve rossore che saliva a colorirle le guance. "E' sempre troppo facile prenderti in giro." Disse dopo un lungo momento Tenou, scuotendo la testa e oltrepassandola.
Un coro di voci all'interno della casa cominciò ad intonare 'Happy Birthday', e quando Michiru iniziò a percorrere a ritroso il vialetto, a pochi passi di distanza da Tenou, non riuscì a trattenere un sospiro. Un gioco, Michiru. Ricordatelo.
*
Ospedale Militare "Edward Dewenish VA Medical Center"
Portsmouth, Virginia,
1 Luglio 2008,
"Colleen."
"Iperattiva."
"Richard."
Un sorriso piegò le labbra di Haruka. "Ingenuo."
Il silenzio saturò la Sala 4. "Samira." Disse quindi Michiru, e l'altra sollevò la testa dalla poltroncina, staccando lo sguardo dal soffitto per cercare quello del medico. "E' strano."
Michiru picchiettò la penna sul blocco. "Haruka, l'esercizio prevede un aggettivo per ogni nome che ti dico." La rimproverò, e Tenou alzò una mano. "Lo so. Ma è strano sentirti dire il suo nome. Finora lei era sempre stata solo," fece una pausa. "Solo mia."
Uno certo risentimento si insinuò in un angolo della mente del medico, mentre scriveva. "Puoi usarlo, se credi." Le disse allora, e Haruka inclinò la testa, confusa. "Il 'mia'"
Ma Tenou schioccò le labbra. "Era solo la sua idea, Michiru. Io volevo tutto, meno che Samira fosse mia."
"A quanto mi hai raccontato, lei desiderava esattamente il contrario."
Haruka rimase in silenzio e chiuse gli occhi, ripensando a tutto quello che Samira era stata. Anche nella mente di Michiru si formò l'immagine di una figura femminile dai lunghi capelli scuri e occhi color del mogano, così profondi da poter perdercisi dentro. E bellissima. Perchè, ne era sicura, Samira doveva essere stata splendida. Fuori e dentro, per quello che aveva fatto.
"Era molto giovane, e confusa." Iniziò a dirle Haruka. "Io non volevo che avesse alcun rimpianto, per questo la tenevo lontana da me. E per molto tempo ho creduto che la sua fosse solamente un'infatuazione dovuta al fatto che l'avevo tirata fuori da quella casa."
"Lei ti amava, Haruka. E ti avrebbe amata in ogni circostanza." Michiru si sforzò di sorriderle. "Amava te, non quello che le avevi fatto."
"Credi che mi faccia sentire meglio?" Le chiese Haruka, gli occhi verdi attraversati da un guizzo di rabbia. "La questione era sbagliata a monte. Lei non doveva innamorarsi di me. Punto."
"Ma credi che l'amore si possa razionalizzare, Haruka?" La ragazza era perplessa. "Credi che se le avessi ordinato di non amarti allo stesso modo in cui ordinavi ai tuoi uomini di marciare, lei si sarebbe messa sull'attenti e girato i tacchi?"
"Ci ero quasi riuscita. Passava molto tempo con Richard."
"Non ti ha mai sfiorato l'idea che lo facesse per essere più vicina a te?"
"Certo che mi ha sfiorato." Sbottò Haruka. "Per questo fui chiara, e le dissi di non farlo soffrire."
Michiru non parlò per un lungo istante; una sola domanda a girarle in testa, ma senza trovare il coraggio di farla uscire. "E tu? Tu soffrivi, Haruka?" Le chiese allora.
Tenou cercò lo sguardo del medico, e le iridi verdi si piantarono su quelle blu dell'altra. Il silenzio riempì la stanza, poi Haruka chiuse gli occhi, rovesciando la testa all'indietro per abbandonarla sullo schienale della poltroncina. "Non mi piace questo gioco."
"Samira non ha mai tradito il tuo segreto, Haruka. Ha cercato di portarti via dal luogo dell'attentato e," decise di essere brutale, "si è praticamente prostituita affinchè non ti facessero del male." Ormai gli argini erano sfondati e bisognava affrontare la questione a viso aperto se volevano superarla, per questo aveva optato per la linea dura. Michiru guardò l'altra mordersi il labbro inferiore, ma rimanere in silenzio. "Ti ha chiaramente detto di amarti, e le sue azioni non fanno altro che avvalorare questa tesi. Ma devi capire che tu non sei responsabile di questo. Non è una tua colpa, Haruka, il fatto che lei ti amasse in un modo così totalizzante."
"Non abbiamo ancora finito?" Chiese l'altra secca, tornando a guardarla. Michiru lanciò un'occhiata all'orologio, poi fece scattare la penna. "Abbiamo finito da un quarto d'ora," le disse con un sorriso tronfio. Haruka sgranò gli occhi. "Stronza." Sibilò a denti stretti, e Michiru si alzò in piedi. "Insultami quanto vuoi, ma torneremo sull'argomento finchè non ti entrerà in quella testa vuota che il buco nero, come ti piace definirti, in realtà non esiste."
"Non mi trovi d'accordo." La sfidò Haruka, alzandosi a sua volta. "E dillo che mi fai domande tanto per fare."
"E' bello sentirti in vena di complimenti." Scherzò Michiru, ma l'altra non sembrava conciliante. "Come va sul fronte lavoro?" Decise di cambiare argomento mentre spalancando la porta l'invitava ad uscire dalla Sala 4, o l'altra si sarebbe intestardita sulla loro discussione, rimanendo di pessimo umore per tutto il giorno. Haruka emise uno dei suoi grugniti, grattandosi la testa. "Mi sono arrivate un paio di lettere da Washington," le disse dopo un lungo istante passato a rimuginare. "Entrambe dal Pentagono. Una dice che con la mia esperienza potrei essere un'ottima Consulente Logistica per le Operazioni sul Territorio, l'altra che, dato il mio curriculum, sarei perfetta per un posto di Responsabile della Riorganizzazione delle Risorse dei Poli di Mantenimento per l'Armamento Leggero. Non sembrano neanche male, se solo sapessi cosa vogliono dire." Aggiunse dopo un momento. Michiru la guardò di traverso. "Vorresti continuare a lavorare per l'Esercito?"
"E che altro potrei fare, Michiru?"
La ragazza schioccò le labbra in disappunto. Poi sospirò. "Beh, almeno non è l'Iraq."
Haruka infilò le mani in tasca, e da quella destra estrasse le chiavi della Viper. "A me serve una babysitter," propose Michiru quando furono davanti all'ascensore, e Tenou inarcò un sopracciglio. "Che fine ha fatto la catatonica?"
"C'è ancora, ma da oggi Hotaru è a casa per le vacanze estive, e la povera Jenny si fa anche la mattina."
Haruka sorrise, e un pensiero la colpì. "E' arrivata anche un'altra cosa, insieme alle offerte di lavoro," le rivelò. "Un plico contenente le mie cartelle cliniche. Credo sia la documentazione di cui parlavano nella lettera."
Michiru inarcò un sopracciglio. "Quella doveva arrivare a noi, dal momento che contiene anche la relazione con il nulla osta del congedo." Il medico si imbronciò. "Perchè è stata inviata a casa tua?"
Haruka si strinse nelle spalle. "Non ne ho idea. Domani te la porto."
Ma vide Michiru iniziarsi a sbottonare il camice con la mano libera dal blocco. "No, vengo a prenderla subito," le comunicò il medico. "Tu eri l'ultima, oggi. Posso anche andare a casa." Tenou aggrottò la fronte, poi si strinse nelle spalle. "Come vuoi."
"Avevi da fare?" Le chiese Michiru, e all'altra non sfuggì la sfumatura ironica. "No. Sei sempre la benvenuta," ribattè a ironia con ironia. Dopo una rapida puntata nel suo ufficio per prendere la borsa e lasciare il camice e i suoi appunti, scesero fino all'atrio e uscirono dall'ospedale. E quando Haruka vide Michiru cercare le chiavi della propria auto, scosse la testa, un sorriso maligno a incurvarle le labbra. "No no. Oggi sali sulla Viper."
Il medico inarcò un sopracciglio, portandosi le mani ai fianchi. "Cos è, una vendetta?"
"Non avrai paura?" Tenou le aprì galantemente lo sportello quando furono accanto all'auto
Michiru non rispose: preferì porgerle la mano e lasciarsi aiutare ad accomodarsi nel sedile in pelle.
*
"Allora, come ti sembra?"
Erano ferme a un semaforo, e Michiru si sentiva piuttosto rilassata nonostante la velocità da squilibrata che l'altra aveva tenuto fino a quel momento. "Non male," le concesse, e Haruka sorrise, pigiando a vuoto l'acceleratore: il rombo della Viper ruggì la sua soddisfazione. Michiru la guardò, una mano sul volante, l'altra sul cambio dell'auto. Il riflesso del sole sui capelli biondi e sull'angolo della montatura dei Ray Ban, lasciandosi dietro un luccichìo. "Sai, sei estremamente," sexy. "Sicura di quello che fai."
Haruka piegò la testa nella sua direzione. "Te l'ho detto doc, so il fatto mio. E sembri decisamente più a tuo agio che sulla moto."
"Qui ho solida lamiera intorno." Accompagnò le parole con il bussare sulla massiccia intelaiatura dell'auto. Scattò il verde e la Viper schizzò in avanti, mentre Michiru si abbandonava sul sedile lanciando furtivamente occhiate ad Haruka, concentrata sulla guida. E tornò. Quel brivido alla schiena, quel calore sulla pelle.
L'eccitazione tornò, e non riuscì a evitare che un gemito di frustrazione le uscisse dalle labbra. "Devo andare più piano?" Scherzò Haruka nel sentire il suono, travisando totalmente il motivo di quel rantolo sofferto. "No, fai pure. Mi stupisco che non siamo ancora decollate," stette al gioco la ragazza, in egual misura sollevata e delusa che l'altra non avesse afferrato il vero significato.
Michiru sentì l'auto perdere giri e rallentare alla vista del condominio di Bay Street, e Haruka mise la freccia, accostando poi alla sbarra di accesso del parcheggio esterno: passò il telecomando sulla fotocellula, e quella si sollevò. Ma entrando nell'area privata scorse dall'altro lato della strada una berlina nera, dai vetri oscurati.
Haruka frenò, sorprendendo Michiru. "Perchè ti sei fermata così di colpo?" Le chiese la ragazza, ma l'altra non staccava gli occhi dallo specchietto retrovisore. Guardò la berlina ripartire, e dopo un istante anche la Viper riprese a muoversi
"Mi sembrava," iniziò Tenou, ma poi scosse la testa. "Niente. Devo essermi sbagliata."
Michiru la guardò per un lungo istante, e una volta parcheggiato scese dall'auto, tirando un sospiro di sollievo quando non fu più nell'abitacolo, che significava solo stretto contatto con l'altra. Guardò Haruka aprire il piccolo portello posteriore e sollevare un paio di buste della spesa: sentendo su di sè l'occhiata curiosa di Michiru, allargò le braccia. "Che c'è? Ho fatto spesa prima di venire in ospedale."
Il medico si mise a ridere all'immagine di un' Haruka persa con il suo carrello tra i corridoi del supermercato, e attese che l'altra l'avvicinasse prima di avviarsi verso l'ingresso del condominio. Tenou fece per infilare la chiave quando il portone si aprì, e immaginò che il portiere l'avesse vista arrivare.
"Scusami un secondo, devo parlare con il portiere." Comunicò a Michiru una volta nell'atrio del palazzo, appoggiando le due buste a terra. "Puoi chiamare l'ascensore, nel frattempo."
"Uhm, okay." Convenne Michiru, avvicinandosi all'elevatore che, si accorse dalla rapida successione decrescente di numeri sul display, stava arrivando al piano. E infatti dopo un istante uscì un tipo in giacca e cravatta e una borsa messenger a tracolla che la salutò, ma che dopo pochi passi - e soprattutto aver scorso Tenou dentro la guardiola - si bloccò. "Lei è la fidanzata?"
"Prego?"
"Lei è la fidanzata del tizio dell'ultimo piano? Del militare?"
Michiru lo guardò perplessa. "Io non-" Ma si interruppe, incuriosita dalle motivazione che avevano spinto quello che, con tutta probabilità, era il vicino di Haruka a farle quella domanda. "C'è qualche problema?"
"Beh, dica al suo ragazzo che qui c'è gente che lavora, e non può uscirsene con del rock a tutto volume all'alba."
Michiru sgranò gli occhi sorpresa. "E' successo molte volte?" Chiese quindi, e quello inclinò la testa. "Solo un paio, ma glielo sto dicendo proprio per evitare che succeda di nuovo."
Scorse Haruka uscire dalla guardiola, i Ray Ban che adesso pendevano dal primo bottone della camicia, e scambiarsi un cordiale quanto freddo saluto con il tipo, che se ne stava andando. "Cosa voleva?" Chiese a Michiru entrando nell'ascensore, recuperando le buste. "Perchè ascolti musica a tutto volume di prima mattina?"
Haruka piegò la testa di lato, imbronciandosi mentre l'ascensore iniziava la salita. "Non ci credo. Si stava lamentando."
"Sei pregata di rispondere."
"Era un brutto periodo." Le disse solo. "Adesso riesco a dormire, ricordi?"
"Quando è successo?"
"Poco prima del 'Four Seasons'."
La realizzazione colpì Michiru. "Beh, avresti potuto chiamarmi, anzichè inimicarti tutto il palazzo."
Haruka non rispose subito. "Ci avevo pensato, in realtà. Ma ero ancora nella fase di negazione."
Rimasero in silenzio, poi un sorriso piegò le labbra del medico. "Credeva io fossi la tua ragazza."
L'ascensore si fermò con un 'ting', e quando le porte si spalancarono Haruka mise un piede fuori. "Bene. Scommetto che qualcuno pensasse fossi gay." Fece una pausa. "Che a dirla tutta poi, è vero."
Si avvicinarono alla porta d'ingresso, e Tenou infilò la chiave nella toppa. "Sushi preconfezionato?" Iniziò a dire Michiru sbirciando in una busta che le aveva tolto dalle mani, facendo un passo sulla soglia dietro ad Haruka. "Compri del sushi pronto quando io posso fa-ahio!"
Non si era accorta del brusco arresto di Tenou, andandole a sbattere direttamente sulla schiena; con un piede colpì la busta che l'altra aveva lasciato cadere sul pavimento. "Haruka, ma che diavolo..."
Fece un passo di lato, e cercandone lo sguardo vide qualcosa che, fino a quel momento, non aveva mai visto e non credeva avrebbe mai potuto scorgere nelle iridi verdi della ragazza: un velo di paura adombrava gli occhi di Haruka, che se ne stava immobile. La vide deglutire.
Ne seguì lo sguardo, e sobbalzò quando si accorse dell'ulteriore presenza oltre a loro due. Un uomo in divisa era seduto al tavolo da pranzo, il copricapo appoggiato al lucido cristallo del mobile di fianco a una larga busta aperta, e sfogliava senza emozione alcuna sul viso un insieme di fogli tenuti insieme da una puntina nell'angolo in alto a sinistra. Il volto era abbronzato, segnato da rughe profonde intorno agli occhi e sulla fronte ampia; due lunghe cicatrici parallele gli attraversavano la tempia sinistra, per perdersi poi appena sopra l'orecchio tra i capelli bianchi tagliati a spazzola. Non sembrava minimamente turbato da loro, e dopo aver osservato anche l'ultimo foglio, appoggiò il documento sopra la busta e alzò il viso nella loro direzione: quando Michiru ne incrociò lo sguardo, il magnetismo di due iridi verdi la inchiodò sul posto senz'appello. Il militare si alzò lentamente, infilandosi il cappello sotto il braccio destro: Michiru ne registrò subito la significativa altezza e il fisico imponente. Sentì Haruka irrigidirsi al proprio fianco, e mormorare qualcosa.
In pochi passi quello coprì la distanza tra di loro parandosi quindi davanti ad Haruka, di cui era più alto di tutta la testa, e Michiru lasciò scivolare il braccio tra il corpo e l'arto di Tenou, facendo poi una leggera pressione sull'incavo del gomito; la ragazza non si mosse, sostenendo lo sguardo dell'uomo con pari intensità.
Poi fu tutto molto rapido: il militare alzò la mano sinistra e in un veloce movimento il dorso di quella impattò sul viso di Haruka. L'urto fu violento tanto da voltarle la testa, ma rimanendo ben piantata sui piedi.
"Haruka!" Chiamò Michiru, e vide un rivolo di sangue uscire dal labbro inferiore di Tenou, una goccia macchiare le lenti a specchio degli occhiali da sole. "Ma come si permette?" Inveì, mettendosi tra quello e Haruka. E sentendosi una pigmea, lì in mezzo. Ma il militare non la degnò di uno sguardo. "Sarò all'Hilton fino a domani sera, Haruka. Ti consiglio di non farti attendere." Disse in un tono che non ammetteva repliche.
Haruka non rispose, e rimettendosi il copricapo l'uomo passò oltre le due ragazze, sparendo al di là della porta. Michiru era impietrita.
"Vaffanculo." Mormorò Tenou a denti stretti, e il medico le si portò di fronte, sfiorandole il labbro spaccato. "Era," iniziò, ma sapeva già la risposta. Un sorriso amaro si dipinse sul volto di Haruka. "Hai appena avuto l'onore di conoscere il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito degli Stati Uniti d'America, Michiru. il Generale Takeshi Tenou. Mio padre."
  
Leggi le 10 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Sailor Moon / Vai alla pagina dell'autore: Morea