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Autore: Moonshade    28/04/2010    0 recensioni
Questa è una storia che fa veramente ribrezzo, almeno per me XD Parla di una ragazza tedesca che partecipa e scappa dalla Seconda Guerra Mondiale per andare ad abitare in America. Lì avviene un incontro inaspettato... è molto scontata come storia ed è corta tra l'altro... ma spero che possa piacere comunque... ^^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Alcune volte gli scherzi del fato ti fanno rincontrare una persona che non vedi da qualche tempo o ti fanno ritrovare un oggetto che cercavi e che avevi praticamente sotto il naso, facendoti pensare di essere stato uno sciocco a non controllare proprio in quel punto. Nell’antica Grecia il fato era una forza invincibile alla quale anche gli dei dovevano sottostare e la vicenda che mi capitò mi fece pensare che in fondo in fondo un pizzico di verità c’era in questa leggenda greca.
Un giorno, girando per New York, un ragazzo, mentre correva, mi venne addosso facendomi schiantare a terra. Poteva avere vent’anni, carnagione mulatta, capelli castani e occhi verdi. Era davvero un bel ragazzo che m’incantò per qualche secondo finché non notai che aveva una pistola nella mano destra. Cominciai ad allontanarmi atterrita tentando di nascondermi da qualche parte. Mentre lui si rialzava, un paio di poliziotti sbucarono da dietro un angolo e cominciarono a correre verso di lui. Preso dal panico, il ragazzo mi agguantò per il braccio facendomi rialzare bruscamente e, appena i poliziotti ci raggiunsero, mi puntò la pistola in testa.
Non fate un altro passo altrimenti l’ammazzo!-
Proprio quello che non volevo accadesse, era successo. “Ci mancava solo questa…” pensai.
Ero spaventatissima e quindi cercavo di assecondarlo. Tremavo come una foglia e guardavo i due uomini con gli occhi sgranati quasi a chiedere aiuto. I poliziotti si fermarono di colpo e con cautela facevano allontanare le altre persone lì vicine che però si agitavano e urlavano in preda al panico. Altri, invece, rimanevano immobili a guardare cosa stesse succedendo.
Calmati Adam, lo sai che devi venire con noi in qualunque caso. Quindi lascia stare quella ragazza. - gli diceva uno dei due.
Ma Adam continuava a tenermi sotto il suo controllo puntandomi insistentemente la pistola alla tempia. Il ragazzo indietreggiava ed io gli andavo dietro sperando che alla fine mi lasciasse andare ma, appena affiancò un cunicolo, cominciò a correre continuando a tenermi il braccio. I poliziotti cominciarono a correrci dietro tentando di raggiungerci. Imboccato un altro cunicolo interno, riuscimmo a sfuggire ai poliziotti. Quando si dileguarono, il ragazzo si divincolò dalla viottola e cominciò a correre costringendomi a seguirlo. Corremmo per diversi minuti e poi ci fermammo davanti ad una porta di legno. La vernice verde, ormai, era completamente rovinata e ne restava qualche crosta ancora attaccata alla porta. Due tane affiancavano la porta come se ci fossero stati come guardiani i topi che abitavano lì. Adam bussò tre volte e dopo un po’ il portoncino si aprì lentamente rivelando una figura di un uomo, alta e robusta. I capelli erano legati in una lunga coda riccioluta, il tronco del corpo era avvolto in un indumento che sembrava essere una canottiera bianca ormai a pois di chiazze d’olio, di sudore e marroni, le gambe erano state insaccate in un paio di pantaloni neri, gli occhi castani erano inespressivi e velati da una sofferenza subita in passato. Con un gesto pesante, ci fece entrare a grande velocità. Poi Adam finalmente mi lasciò il braccio. La sua presa d’acciaio mi aveva bloccato il sangue che finalmente riprese la sua circolazione normale. Le pareti erano di un giallo scolorito e la stanza era spoglia. Non c’era niente, a parte tre sedie, un tavolino, un televisore e tre letti. Sembrava quasi che mi stessero aspettando. Adam mi fece sedere in una sedia pieghevole bianca e poi lui cominciò a parlare con il suo amico.
Oggi è stata più tosto dura scappare dagli sbirri!-
E c’è voluto anche l’ostaggio!- rispose quell’uomo con un tono un po’ alterato.
Dai rilassati Gavriel! Non sarà mica la fine del mondo avere un po’ di compagnia! –
Ma quale compagnia?! Non capisci che ci hai inguaiato?! Adesso la polizia ci verrà a cercare!-
Ma non capisci…- ripetè il ragazzo guardando l’altro con aria di sfida. Che grazie a questa ragazza ci arricchiremo? –
E cosa intendi fare? Chiamare e chiedere un riscatto? Sai che ci beccherebbero comunque?!-
Su rilassati, amico! Ciò che dobbiamo fare è far sentire a suo agio la ragazza.-
Con queste parole si avvicinò a me che ero appartata in un angolino, tremante più di un chihuahua e ad ascoltare i loro discorsi.
Stai tranquilla. Non ti faremo del male. – disse Adam sfoggiando un sorriso a trentadue denti.
Se prometti di stare calma, non ti faremo nulla. - riprese Gavriel
Hai bisogno di qualcosa?- Adam si sedette in una delle sedie accanto alla mia e continuò a fissarmi in modo interrogativo.
Guardai a lungo il volto del ragazzo. Ecco, ora con la calma di quel luogo riuscivo a studiarlo meglio: capelli castani e ricci, occhi verdi e un po’ sperduti, un po’ confusi ma ero convinta di aver già visto quel volto da qualche parte. Non feci, però, in tempo a parlare perché il ragazzo seduto accanto a me prese il ciondolo che portavo al collo chiedendomi:
Dove l’hai preso?-
Me l’ha regalato un ebreo durante la Seconda Guerra Mondiale… - un momento di silenzio invase la camera dopo le mie ultime parole. Il ragazzo sembrava non capire
Com’è possibile? Io l’ho regalato a un soldato, non a una ragazza!-
Da quella frase capii chi era quel ragazzo e un fascio di ricordi cominciò ad attraversarmi la mente. Il cuore cominciò a battermi all’impazzata quasi come se volesse uscirmi. Com’era possibile? Allora era ancora vivo! La mia speranza si era avverata! Ero ancora più confusa di prima.
Non mi dirai che tu sei quel ragazzo che aiutai a evadere dal campo di concentramento?! –
Tu eri una donna?! Che ci faceva una donna in campo di concentramento?!-
Ero lì al posto di mio fratello…- non riuscii a continuare la frase perché fui bruscamente interrotta da una notizia del telegiornale che parlava della mia scomparsa.
Una marea di persone si era riunita di fronte a casa mia testimoniando su di me. Nidi perfino una delle serpi delle mie colleghe che diceva:
Io ero affezionatissima a lei… Nessuno le voleva bene quanto me! –
Il tentativo di non ridere era arduo, come faceva a dire una cosa del genere? In particolare quella mia collega che ormai l’avevo catalogata come la mia peggior nemica! Fissai incredula lo schermo della tv che continuava a proiettare quelle immagini. In quella casa così tranquilla, ebbi il tempo di riflettere. “chissà come sta la mia famiglia” pensavo “non li ho più visti dopo la guerra…”. La mia infanzia mi passò davanti agli occhi. Tutti i bei ricordi raffiorarono alla mente per poi coincidere su un unico pensiero: l’unico motivo, per cui avevo affrontato la guerra. “chissà come sta mio fratello…”. Una lacrima scese dolcemente rigandomi il viso, poi un’altra e un’altra ancora fino a scendere copiosamente e segnando tanti piccoli sentieri che portavano a dolci ricordi ormai fin troppo distanti. Mi asciugai con la manica della maglietta quelle lacrime che avevano inondato il mio viso e, facendo un respiro profondo, ripresi il controllo. Ero con due sconosciuti e non volevo piangere di fronte a loro. E, infatti, Adam e Gavriel, erano troppo impegnati a escogitare qualcosa per chiedere il riscatto e lasciarmi tranquillamente andare. Ma ormai avevo visto i loro volti e Gavriel diceva che la cosa più prudente era farmi fuori.
No – Adam era scioccato della crudeltà del suo amico.
Come puoi pensare una cosa simile? –
È una tedesca e per di più ha combattuto la Guerra. Non prova pietà per nessuno!-
Non credo proprio. È lei che mi ha aiutato a scappare dal campo di concentramento. È l’unica che ha provato pietà per tutti noi!-
Non credere! Sta solo fingendo! E poi chi ci assicura che quando la liberiamo non va a spifferare i nostri nomi e non descriverà i nostri volti?-
Io mi fido di lei! Dovresti provare a fidarti anche tu per una volta! –
Non mi fiderò mai di una tedesca!- con queste parole mi guardò con orrore e disprezzo e poi tentò di insistere:
Ma perché non vuoi ucciderla?! Dobbiamo far provare ai tedeschi la loro stessa medicina!-
Un silenzio assoluto invase la casa. Adam squadrò Gavriel con uno sguardo agghiacciante che penetrò negli occhi neri dell’uomo, un movimento del braccio e uno schiaffo sulla facciona di Gavriel. Adam continuò con il suo sguardo che avrebbe fatto intimorire anche un leone.
Ma ti rendi conto di quello che hai appena detto?! La fede non ti ha insegnato niente?! –
L’omaccione non parlava e si limitava a massaggiarsi la guancia silenziosamente. Quello schiaffo fu davvero terribile. Guardai la scena. Ero incredula e non pensavo che un ragazzo ebreo, dopo tutto quello che aveva subito per colpa del mio popolo, riusciva ancora a difendere la mia vita. Rimasi immobile in quello stesso angolino buio attaccata alla sedia dove mi avevano fatto sedere all’inizio. La discussione finì lì. Per cena mi diedero pane e acqua poiché non avevano molto di commestibile. Mi sembrava di essere appena entrata in carcere. Mangiai senza lamentarmi ma rimasi con un buco nello stomaco. Per farmi dormire, distesero a terra un sacco a pelo un po’ logoro e con alcune toppe. Non riuscii a dormire. Pensavo ancora ad Adam che mi aveva difeso di fronte a Gavriel. Uscii nella piccola terrazza a guardare la luna e le stelle che splendevano tranquille. Un lampione scagliava la sua luce nel cielo stellato che però assumeva il colore di un cielo nuvoloso a mezzogiorno. La tranquillità di quella sera sembrava quasi surreale. Un colpo di vento scosse i miei capelli biondi. Giù in strada qualche macchina della polizia faceva ogni tanto la ronda. Ero sicura che mi stessero cercando. Alcuni ragazzi attraversavano la strada schiamazzando e ridendo, probabilmente ubriachi. Un anziano, sul ciglio della strada, stava dormendo coperto da alcuni fogli di giornale e con una bottiglia di vino accanto. Quegli stessi ragazzi gli andarono vicino e lo derisero indicandolo e tirandogli qualche calcio. Volevo scendere per andarlo ad aiutare e andargli a portare la coperta che giaceva accanto a me, ma non avevo le chiavi e tra l’altro i ragazzi mi avrebbero visto, ma loro continuavano a tirargli calci e pugni ed io non potevo restare indifferente a quel fatto. Così cominciai ad aggrapparmi alle grate della terrazza, le scavalcai e cominciai a discendere il muro, con la coperta sotto il braccio, aggrappandomi ai mattoni che sporgevano. Ormai ero abituata a fare così poiché di solito dimenticavo le chiavi a casa mia sopra il comodino dell’entrata ed ero costretta a salire mezzo metro di muretto che recintava la casa, poi aprivo la porta finestra scorrevole e così riuscivo ad andare a prendere le chiavi per poi scappare in fretta a lavoro. Arrivata a terra, cominciai a correre verso quell’uomo. Mandai via quei ragazzi che mi guardarono male e m’imprecarono dietro. Poi levai i fogli di giornale all’uomo anziano e gli misi addosso la coperta. Dopo qualche secondo, l’uomo mi guardò un po’ intontito perché credeva ancora di sognare. Poi mi disse a voce bassa:
Ma tu non sei quella che hanno rapito oggi? –
dopo questa frase crollò di nuovo in un sonno profondo. Sorrisi e poi scappai in fretta e furia sotto la terrazza della casa, dove alloggiavo. Scalai il muretto, scavalcai la grata e, alla fine, mi ritrovai con Adam davanti a me.
Perché sei scesa? –
Volevo solo dare quella coperta a quell’uomo… - sorrisi imbarazzata e Adam scoppiò in una risatina, divertito dal mio gesto gentile.
Lo sapevo… tu non sei insensibile come il resto dei soldati. –
lo guardai con sguardo interrogativo e lui mi accompagnò sorridendo verso il mio sacco a pelo. Gavriel stava dormendo e russava rumorosamente. La notte aveva oscurato la camera non facendomi vedere niente. L’unica luce che splendeva era quella argentea della luna. Quando pestai il mio sacco a pelo, capii finalmente dov’ero. Mi sedetti mentre Adam si dirigeva verso il suo letto, spostai un po’ la coperta e mi distesi poi coprendomi. Chiusi gli occhi e finalmente mi addormentai.
La mattina dopo mi svegliarono le urla di Gavriel che sbraitava contro Adam per qualcosa.
Casa succede?- domandai flebilmente
Succede che sei uscita e quel barbone ti ha riconosciuto! Ma pensa tu! Se si può essere così idioti! –
Ehi! Non è idiota! Lei voleva solo non far morire di freddo quell’anziano!-
Mentre discutevano, la televisione mostrava l’anziano dire ciò che aveva visto. Quella ragazza è un angelo! – diceva sorridendo e saltellando di gioia. Mi ha coperto.
Se non fosse stata così gentile, sarei morto di freddo! –
Ma lei è sicuro che sia stata lei? – tutti i giornalisti erano accalcati su di lui che, guardando la mia foto sul giornale, annuiva.
Sì, è lei senza dubbio! Se sta guardando questo telegiornale deve sapere assolutamente che la ringrazio e che senza di lei la mia vita sarebbe finita! -
Sorrisi malinconicamente. “Esagerato!” pensai con un pizzico di simpatia verso di lui. Poi guardai l’arrabbiatissimo Gavriel che, da quanto urlava, il viso gli era diventato paonazzo e mentre parlava, sputava spruzzi di saliva. Adam era il bersaglio ma, come si poteva ben notare, la doccia di saliva non era di suo gradimento. Mi avvicinai a Gavriel.
Gavriel, ancora non hanno scoperto dove siamo! – dissi io cercando di tranquillizzarlo
Ma tu non dovresti fare la parte di quella che vuole andarsene?- Adam mi guardò sbigottito.
Beh… sì ma era solo per tranquillizzarlo –
Con queste parole mi allontanai dall’uomo che mi seguiva con gli occhi. Mi avvicinai alla porta finestra che portava alla terrazza e scostai un po’ le finestre. Gavriel guardava un po’ me, un po’ Adam. Poi gli andò vicino e gli disse qualcosa. Parlarono per un po’ in una lingua a me incomprensibile e poi Adam scappò dicendo che andava a prendere una cosa. Ogni volta, che prendeva questa scusa, tornava con la spesa, pezzi di ricambio e robe simili. Mi chiedevo, dove prendesse quei soldi.
A una settimana rinchiusa in quella casa, cominciavo a credere d’impazzire. I telegiornali parlavano sempre più della ragazza Ariel rapita dal malvivente. Stavo chiusa in una gabbietta per canarini e guardavo malinconicamente fuori dalla porta-finestra che incorniciava il mio limite di libertà. Volevo uscire ma non potevo perché, se mi avessero riconosciuto, avrei messo nei guai sia Adam sia Gavriel, ma intanto mi annoiavo a non far niente. Così cominciai a guardare vari programmi in tv giorno dopo giorno senza la possibilità di poter uscire.
  
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