L’inizio
di qualcosa di più
Gwen guardò esterrefatta
la mano che il giovane principe le porgeva. Lui, che un giorno sarebbe stato re
di Camelot voleva aiutare lei,una semplice serva, che era caduta inciampando
sui suoi passi come una stupida?
La ragazza si sentì
avvampare dalla vergogna. Sin da quando era stata introdotta a castello da sua
madre, come serva della principessa Morgana, aveva sempre cercato di mostrarsi
all’altezza del compito che le era stato assegnato e non c’era mai riuscita.
Per quanto si sforzasse finiva sempre per ricoprirsi di ridicolo facendo
qualcosa di avventato e imbarazzante: si lasciava sfuggire di mano gli oggetti
più diversi, inciampava su qualunque cosa, si spaventata per l’abbaiare
improvviso dei cani del re di ritorno da una battuta di caccia suscitando il
riso di quanti le stavano attorno…e non che le sue disavventure avvenissero quando era sola, puntualmente era
in compagnia del re o del principe stesso e i suoi errori venivano sottolineati
dello sguardo di disapprovazione del re Uther dalla risata divertita
dell’odioso principe Arthur dai rimproveri nascosti di sua madre. Odiava
coprirsi di vergogna a quella maniera, era qualcosa che le faceva odiare la
superiorità del portamento del re e dei sorrisi beffardi del viziato principino
dai capelli dorati, la facevano sentire inutile e inferiore e la costringevano
a singhiozzare in silenzio la notte per non svegliare i suoi genitori.
Ed era successo di nuovo.
Anche quella sera mentre si recava nelle stanze di Morgana per prepararla alla
notte nel corridoio aveva incrociato il principe diretto nelle sue stanze. Si
era distratta e aveva inciampato sull’orlo troppo lungo del vestito finendo ai
piedi del ragazzo con un urletto. Avrebbe voluto morire. Non osava alzare lo
sguardo per paura di incontrare ancora una volta quel suo sorriso divertito
dalla sua sbadataggine. Perché doveva cadere proprio in quel momento e a quel
modo? Perché aveva pure urlato come una fragile ragazzina? Aveva sprofondato il
viso tra le mani cercando di trattenere le lacrime, pregando che nel frattempo
Arthur l’avesse sorpassata senza degnarla di uno sguardo indifferente alla sua
presenza come tutti gli altri reali, invece l’aveva sentito pronunciare il suo
nome.
- Ginevra?-
L’aveva chiamata? Lei,
per nome? Con il suo nome intero Ginevra non con quello che le avevano
attribuito tutti:Gwen. Con il nome che soltanto più sua madre le usava.
Incerta aveva sollevato
il viso e incontrato la sua mano protesa verso di lei invitante, così inaspettatamente
amica.
- Ginevra vi siete fatta
male?- domandò Arthur con la sua voce profonda che da qualche tempo a quella
parte aveva preso ad assomigliare sempre più a quella di un uomo. Aveva 17 anni
ormai.
Il cuore di Gwen prese a
battere ad un ritmo furioso che quasi le fece male al petto. Lui non le aveva
mai rivolto la parola a quella maniera. Mai si era dimostrato premuroso nei
suoi confronti mai lo era stato con nessuno appartenente alla servitù.
Disorientata e esitante
la ragazza afferrò la mano che il principe le offriva e gli permise di aiutarla
ad alzarsi. I loro sguardi si incrociarono. I suoi occhi di un caldo color
nocciola si persero in quelli di Arthur. Il fuoco delle fiaccole in corridoio
accendeva le sue iridi chiare di bagliori rossi che davano al suo sguardo
un’aria misteriosa e magica. Lui la stava guardando con una strana
intensità era uno sguardo che non le
aveva mai rivolto carico di qualcosa che Gwen riconobbe con stupore essere
preoccupazione…una preoccupazione sincera, inaspettata, fuori luogo. Arthur
sembrò riscuotersi sorpreso egli stesso dal gesto che aveva fatto, fissò la
mano che ancora stringeva quella affusolata della ragazza e la ritirò di scatto
quasi si fosse scottato con il fuoco.
Era impensabile che un
reale si preoccupasse se una serva quindicenne cadeva e l’aiutasse addirittura
a rialzarsi. Gwen si accorse con stupore del fastidioso formicolio che provava
alla mano destra quasi che la sua pelle fosse dispiaciuta dall’interruzione di
quel contatto soffice e caldo e la strinse a pugno portandosela al petto. Era
confusa ma quello che sembrava più confuso dell’accaduto era Arthur stesso.
Fissava esterrefatto la sua mano chiedendosi la ragione di quel suo bizzarro
comportamento. Perché quando aveva visto Ginevra cadere aveva sentito una
stretta al cuore? Perché la sua voce gli era apparsa così famigliare, così cara?
Perché si era sentito ingiustificatamente preoccupato quando lei non si era
prontamente rialzata? Perché quando aveva afferrato la sua mano aveva avvertito
una strana sensazione di piacere e appagamento?
- la ringrazio mio
Signore!- cercò di dire Gwen ma la voce
tremava ed era talmente bassa che non riuscì a sentirsi nemmeno lei. Le
orecchie invase dal ronzio del sangue che le affluiva rapido al cervello.
Ripeté la formula schiarendosi la voce per accertarsi che il principe capisse
la sua gratitudine e l’attenzione di lui tornò sul suo volto. La ragazza sentì
lo spiacevole calore sulle sue guance e capì di essere arrossita di nuovo,
avrebbe preferito che Arthur continuasse a guardare altrove.
Non capiva perché lui le
facesse quell ’effetto ogni volta che era in sua compagnia. I suoi commenti
maligni e le sue risate quando si burlava di lei erano quelli che la ferivano
di più. Sin da quando erano piccoli lei lo aveva segretamente invidiato e
ammirato mentre lui si era sempre preso gioco di lei con i suoi amici. Col passare degli
anni lui era cresciuto e aveva assunto nei suoi confronti l’atteggiamento che
avevano tutti gli altri adulti: l’indifferenza più totale. Che era anche
peggio.
Tuttavia da un po’ di
tempo non riusciva a spiegarsi alcune sue reazioni quando era in sua presenza,
il cuore che accelerava per esempio o le gambe che tremavano quando lui
inavvertitamente la guardava e il suo arrossire inevitabilmente ogni volta. Era
insopportabile.
- non mi sono fatta
niente, mio Signore. Vi ringrazio per la vostra premura!- sussurrò tenendo
rigorosamente lo sguardo basso.
- dovreste stare più
attenta Gwen! – rispose l’altro con un tono di voce del tutto diverso da quello
che aveva usato poco prima. Freddo, misurato, distante, familiarmente distante.
Gwen annuì osservandolo
di sottecchi mentre quello senza degnarla di uno sguardo proseguiva sul suo
cammino. Quando le passò accanto temette che lui potesse sentire il suo cuore
battere impazzito poco prima che un dolore intenso la colpisse al petto, là
dove adesso si era creato un vuoto freddo e pungente. Era tornata la serva, era
tornata Gwen e lui glielo aveva fatto capire molto chiaramente. Quello che era
successo era irrilevante lei era sempre stata solo Gwen. Non avrebbe potuto essere
altro. Non avrebbe dovuto sperare altro. La sua tristezza e delusione erano
ingiustificate.
Così lasciò che il
principe voltasse l’angolo e sparisse con il suo passo elegante e sostenuto da
regale, senza voltarsi, lasciando dietro di se soltanto il rumore attutito dei
suoi passi quasi fuggisse da quel gesto che per un istante aveva unito lui e
Gwen, quel gesto che era destinato a cambiare il loro destino per sempre .