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Autore: momo71    01/05/2010    3 recensioni
Questo è solo un pezzo. di quelli che nascono nelle notti di deliri. Notti a 4 mani, anime a 4 mani. Lo spunto di miki, un cinema e due città. le mani sono le mie, quelle di Gnuoba. Lo abbiamo pensato e scritto insieme. E' un'idea che gira nella testa, due teste, malate. E' lo scherzo dell'errore, di una Parigi che ci sogna e ci chiama. Non abbiamo che questo: un'idea e un'amicizia per scriverla. Forse avrà un seguito o forse rimarrà così. Ciò che conta è l’esserci state. Momo e Gnuoba, per un delirio, uno scherzo. Un guaio. Buona lettura.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Due cinema, due città. Un film che mi punta contro un dito, indicandomi quello che ho dimenticato d’essere molto tempo fa. Mostra la direzione sbagliata che sto per intraprendere, come un presagio di malasorte.

Così è cominciata. Così pretendo che termini questo giro di giostra, sul cavallo sbagliato, con le luci accecanti della passione gloriosa dei circhi itineranti.  Ormai in disuso.

*****

Esco dalla sala e il cielo mi piove addosso. Scende a me come un oceano di pensieri, di distrazioni gentili ad insudiciarmi l’abito buono- come diceva mia nonna-.

Sette monete e due ore di buio. Tutto ciò che cerco e raramente riesco a trovare è la magra spesa per qualche istante di mediocre anonimato.

In una lingua che non voglio capire.

 

Mi sento troppo vecchia per camminare fino alla grande bestia di ferro, per andare a sognare sotto la pioggia della Parigi da bambini in gita. Così mi fermo all’angolo di rue Saint Martin, dove vanno a nascondersi i Clochard, e aspetto che l’abitudine della notte francese mi cheti l’animo.

Poi lo chiamo.

Come ogni mercoledì, quando io vado al cinema a guardare un vecchio film. Lui, dall’altra parte del mare fa lo stesso, comodamente seduto sul nostro divano. Quello bianco, che abbiamo scelto come primo pezzo di una vita da passare insieme.

Poi, mentre io passeggio sotto il cielo di Parigi, lui si versa un wisky e, ancora comodamnete seduto, mi ascolta parlare del fim.

 

- L’hai visto?- esordisco appena sento un alito come risposta. Ma non aspetto che risponda.

Questo è il mio momento.

- I colori della malinconia, la rosa purpurea del Cairo, solo

Allen conosce la tristezza del nero di seppia. E lei? La Farrow senza sogni, senza poter attendere più nulla. Divinamente malinconica  e triste.

 Senza sapere il perché di una vita che le è toccata in sorte. E lui a ricordarle che il sogno esiste, c’è. Esce dal video e ti prende per mano.  Poi solo un sospiro ad accompagnare le parole confuse di chi non può far nulla che tornare a quello che è.

 

Faccio una pausa per assicurarmi che sia ancora in linea. La sua miopia cinematografica si sposa assai male con un mutismo filantropico e una distanza da colmare.

Un respiro pesante anticipa la grandine e lo stupore.

- Mi dispiace, ma non sono io quello che cerchi -.

Questa voce non so riconoscerla, non mi appartiene. Ed un senso di nausea comincia a mangiarsi i miei brillanti pensieri.

- Non ho visto il film. Ma lo farò – prosegue, mentre io rimango muta, con il suono ossessivo della pioggia a ricordarmi che è buona educazione quantomeno scusarsi.

Ci provo, ma il signor Non sono io mi anticipa. Parla con un tono caldo, da uomo che balla il tango, e lo fa ballare a te.

- Ti richiamo tra un paio d’ore, così ne parliamo-.

Il silenzio che segue è totale. Quasi disarmante. Non sento più neppure la pioggia battere l’asfalto freddo di Parigi.

Tutto quello che provo è un retrogusto dolciastro. Come assaporassi ancora quella voce sconosciuta di uomo e sapesse di Cognac costoso e tango violento.

Per la prima volta, dopo anni di Wisky e fermezza.

***

 

Concretezza, Solidità, Impegno.

Wisky, fermezza.

La mia vita in cinque parole.

Cinque.

Il posto per Imprevisto non è previsto.

Ed il gioco di parole mi appare eccellente, nell’immediato.

 

Mentre mi appoggio al muro maleodorante del mio angolo di città, le conto, una per una. 

Le guardo farsi vive, nel rivolo d’acqua, piscio e pensieri, ai miei piedi.

Concretezza

Corrono via, trascinate dalla pioggia.

Una per una.

Parole come pezzi di me, ad innaffiare la strada, le fogne, la Senna.

Solidità.

I palmi toccano la superficie ruvida della vergogna ed ogni cosa sembra liquida questa notte.

In questo buio che sembra scorrere e portarsi via tutto.

 

Fermezza.

Riprendo a camminare, fradicia e quasi incosciente, mentre lascio qualcuno fuori dalla sala, ad un capo muto di tecnologia, ad attendermi.

 

Impegno.

Attendere le parole che ho già consumato, ho già perduto, mentre i passi diventano veloci e la passeggiata diviene una corsa.

 

L’aria mi ferma il gelo sulla pelle, mi tramortisce mentre un retrogusto proibito, di voce che sa di velluto, mi tormenta il corpo.

 

Cognac.

 

Inspiegabile, irrazionale tango dell’attesa, di una chiamata da un numero sbagliato,  di un dubbio a farmi compagnia.

Ce l’ho mai avuto, io, un posto per l’imprevisto?

  
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