Titolo: Melodia.
Autore: Emily ff
Rating: Verde
Genere: Angst, introspettivo
Avvisi: One-shot
Personaggi: Russia, Lituania
Note dell'autore: Non c'è nessun background storico.
Lituania si
rivolge a Russia chiamandolo “Russia-San”
nell’anime, che io ho tradotto in un
più semplice “Signor Russia” (non amo
usare i “giapponesismi”). Non so se è la
traslitterazione esatta, nel caso chiedo venia, ma mi piaceva
l’effetto che
dava per cui lo lascio (u_u).
Il titolo vuol dire Melodia in
russo (se è sbagliato prendetevela con Google traduttore).
Questa
storia è la prima che ho scritto quando ho conosciuto APH e
non presenta Shonen
Ai. Non perché non mi piaccia (al contrario, la
RussiaLituania è la mia OTP) ma
per il semplice motivo che non ce l’avevo nemmeno in mente
quando l’ho scritta.
E’
una storia che ho pronta da mesi, questa parte scritta in corsivo la
sto
inserendo ora, sul mio computer era salvata esattamente come la vedete.
Ah
sì, è in seconda persona.
Commenti, critiche e accorgimenti
ben accetti, come sempre.
Enjoy.
Melodiya
(мелодия).
Camminavi
lento nella neve cercando
di tenere il passo di Russia, poco più avanti, a cui il
freddo non scalfiva la
pelle candida e che a te, piccolo Lituania, sembrava volertela
strappare.
Chissà per quale assurdo motivo stavate camminando nel bel
mezzo di una bufera,
soli; ma chiedere il perché delle azioni era una prerogativa
di Russia, tu e
gli altri paesi Baltici potevate
solo
eseguire gli ordini meccanicamente e senza pretendere spiegazioni.
Guardavi per terra, i tuoi occhi
chiari non erano in grado di affrontare la neve senza protezione, e
andasti a
sbattere contro la schiena del russo che si era fermato, sempre senza
motivo (o
almeno preavviso).
Facesti due passi indietro
alzando lo sguardo verso Russia e riuscisti a scorgere la sua sciarpa
che
volava in tutte le direzioni, trascinata dal vento siberiano che
soffiava
violento su di voi. Il dolore era forte e abbastasti la testa.
“Mi scusi, Signor Russia.”,
dicesti con gli occhi fissi a terra; la gola in fiamme per il troppo
freddo, le
orecchie tappate, le mani e i piedi congelati.
Lui non rispose subito, si limitò
ad osservare la neve scendere sempre più violenta verso di
voi, ormai piccoli
puntini in un deserto bianco. Ti chiedevi spesso che cosa spingesse
Russia ad
affrontare il gelo e la neve che tanto odiava: non riuscivi a capire
perché una
volta ogni tanto, generalmente con scadenza annuale, chiamasse a
sé uno di voi
per inoltrarsi nella prateria che si estendeva fuori dalla mura del
grande
palazzo, per poi restare immobile ad osservare la neve cadere, a volte
semplice
brina, altre volte devastanti bufere che congelavano persino il sangue
da quanto
erano impetuose. Ti ricordavi bene quando era stato il turno di
Lettonia: era
tornato con gli occhi sbarrati e ti aveva chiesto, tremando un
po’ per il
freddo e un po’ per la paura, se non fosse caduto in qualche
strana forma di
ibernazione cosciente.
Era la prima volta che Russia ti
chiedeva di seguirlo, non aveva sentito spiegazioni quando Estonia
aveva
cominciato a spiegare che c’erano molti
gradi sotto lo zero (molti, non aveva definito il numero, forse per non
preoccuparti ulteriolmente), aveva ignorato Lettonia che gli si era
piazzato
davanti e ti aveva sorriso prima di aprire il grande portone del
palazzo. Non
eri un paese caldo, certo, ma il freddo che Russia affrontava a testa
alta ti
disarmava. Era insensato anche solo pensare di uscire con un vento del
genere... come poteva lui schernirti sorridendo pacatamente?
“Lituania, hai freddo?”, ti chiese
Russia qualche istante dopo (o forse qualche ora dopo, chi
può dirlo?),
girandosi verso di te, che ancora non riuscivi ad alzare il capo.
Ti si avvicinò ma non riuscisti a
capire esattamente quanto fosse la distanza che vi separava, e sentisti
una
mano premere sopra la tua testa.
“Eh, Lituania? Hai freddo?”
“S-Signor R-russia, s-siamo in
mez-zzo al-lla nev-ve.”, dicesti, accorgendoti che il freddo
si era
impossessato anche della tua bocca, facendola tremare e rischiando di
farti
mordere la lingua.
La pressione si fece più forte,
ma non era un gesto violento: era come se stesse cercando di entrare
dentro
alla tua testa per portarci dentro qualcosa, che poteva essere un
sentimento, uno
stato d’animo.
Si voltò verso la bufera che si
scatenava minacciosa contro di voi, la mano ancora sopra la tua testa.
“Oh sì, Lituania, siamo proprio
in mezzo alla neve.”, disse, facendo scendere con un gesto
distratto la mano
guantata sulla pelle rosea della tua guancia.
Lasciò cadere il braccio lungo i
fianchi e si voltò dalla parte opposta, camminando a ritroso
sulla strada da
dove eravate venuti. Ti girasti anche tu, contento di poter tornare
finalmente
indietro.
Dopo qualche tempo la tempesta
diminuì di intensità e tu riuscisti a sollevare
il capo, rivolgendo le attenzioni
non più alle tue scarpe ma alla schiena di Russia che ti
precedeva, muto.
Deglutendo ti si stapparono le
orecchie e riuscisti a scorgere il rumore della bufera che ancora vi
avvolgeva.
Sentisti un suono provenire dalla
tue spalle e ti voltasti verso il luogo in cui vi eravate fermati. In
lontananza, come se fosse bisbigliata dal vento gelido del nord,
risuonava una
melodia malinconica e lenta.
“S-signor Russia, la s-sente la
musica?”
“Ma come?”, chiese Russia,
fermandosi e voltandosi verso di te, che eri già sulla
difensiva pronto a
chiedere perdono. “Non hai ascoltato la melodia
prima?”, sorrise.
Ti chiedevi a cosa si potesse riferire,
ma proprio non riuscivi a capire.
“N-non ho s-sentito niente, S-signor
Rus-ssia.”
Russia ti osservò facendoti rabbrividire
ancora di più.
“Niente?”
E faceva paura, sotto quegli
occhi imperscrutabili e il solito sorriso di falsa rassicurazione,
faceva paura
e tu saresti scappato così volentieri, correndo verso un
punto imprecisato
dietro di te, non ti saresti voltato e probabilmente avresti urlato
dalla
felicità.
Invece abbassasti lo sguardo per
non pensare a tutto ciò che ti sarebbe successo e ti desti
un contegno:
piangere davanti a Russia non era propriamente una delle tante
cose che potevi fare.
“Lituania, non hai sentito
niente?”
Russia era particolarmente
intransigente in fatto di regole: se lui ti chiedeva qualcosa,
qualsiasi cosa,
tu lo facevi in silenzio e nel minor tempo possibile, cercando di non
lasciar
trapelare il tuo disagio e, nel tuo caso specifico, i frequenti mal di
pancia
(che stavano decisamente peggiorando sia di intensità che di
frequenza).
Quel mal di pancia che
assomigliava tanto a un’ulcera e che si era impossessato di
te anche in quel momento,
quando ti chiedesti se mentire era l’unica via
d’uscita da quella situazione.
Il russo alzò una mano e l’avvicinò
alla tua guancia, quando tu abbassasti il capo e chiudesti gli occhi.
“S-sì, s-signor R-russia, ho s-sentito
la m-musica.”
“Oh. Allora non sono pazzo.”
E tu non potesti fare altro che
sorprenderti da tale affermazione. Il russo si era voltato e aveva
già ricominciato
a camminare.
Lo inseguisti, confuso, e lo
chiamasti. Lui non smise di camminare ma voltò leggermente
il capo verso di te.
Ormai ad un passo dietro di lui, chiedesti, con un sol fiato:
“Signor Russia,
perché pensa di essere pazzo?”, stranamente senza
balbettare.
Egli sorrise e chiuse gli occhi,
per poi riaprili e guardare avanti; il palazzo a qualche centinaio di
metri da
voi.
“Perché la musica che abbiamo
sentito è la voce della neve. Mi chiama spesso, ma io non
voglio mai starla ad
ascoltare. Pensavo di poterla sentire solo io.”
“La c-chiama?”
Russia sorrise e ti guardò,
stringendo gli occhi. Sapeva essere davvero terrorizzante a volte.
“Sì, mi chiama,vuole che stia ad
ascoltare ciò che ha da dire. Così, quando sento
che le sue richieste sono più
esigenti, scendo in pianura e l’ascolto.”
Eri perplesso e ti voltasti
ancora verso la tempesta impetuosa, per poi accorgerti che Russia aveva
aumentato la falcata dei suoi passi ed era già lontano da
te. Corresti nella
sua direzione, urlando. “S-signor Russia, non può
as-scoltare la neve st-tando
a cas-”
“Oh no, Lituania.”, ti interruppe
sorridendo. “Per apprezzare la
bellezza
di un fiocco di neve bisogna stare fuori al freddo1."
Non avresti mai pensato che
Russia potesse avere dei pensieri del genere.
Passò ancora qualche minuto prima
di arrivare ai piedi del palazzo, nel quale vi aspettavano gli altri
due paesi
Baltici. Non tremavi più e Russia non ti aveva
più parlato.
Prendesti un bel respiro. “Signor
Russia, cosa vi dice la neve?”
La grande nazione non ti rispose
subito, sembrava esitare nel parlare. Non era stata una buona idea,
vero?
“Beh, mi parla di guerra e di
morte, più che altro porta notizie dai confini orientali. Mi
ricorda di essere
più presente nella parte est.”
Ti tranquillizzasti un poco e
ricominciasti a respirare, anche se non ricordavi quando avevi smesso.
Russia si fermò e tu con lui,
sentisti il mal di pancia aumentare l’intensità.
“Oggi mi ha detto di smetterla di
pensare al sole. Dice che è lei la padrona. Sai, penso che
saremo destinati a
vivere in eterno nella neve.”
Abbassasti lo sguardo pensando
che il plurale nell’ultima frase era solo
l’ennesima presa in giro nei suoi
confronti.