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Autore: EmilyFemmeFatale    01/05/2010    0 recensioni
Russia ti osservò facendoti rabbrividire ancora di più.
“Niente?”
E faceva paura, sotto quegli occhi imperscrutabili e il solito sorriso di falsa rassicurazione, faceva paura e tu saresti scappato così volentieri, correndo verso un punto imprecisato dietro di te, non ti saresti voltato e probabilmente avresti urlato dalla felicità.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Lituania/Toris Lorinaitis, Russia/Ivan Braginski
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Titolo: Melodia.
Autore: Emily ff
Rating: Verde
Genere: Angst, introspettivo
Avvisi: One-shot
Personaggi: Russia, Lituania
Note dell'autore: Non c'è nessun background storico.
Lituania si rivolge a Russia chiamandolo “Russia-San” nell’anime, che io ho tradotto in un più semplice “Signor Russia” (non amo usare i “giapponesismi”). Non so se è la traslitterazione esatta, nel caso chiedo venia, ma mi piaceva l’effetto che dava per cui lo lascio (u_u).
Il titolo vuol dire Melodia in russo (se è sbagliato prendetevela con Google traduttore).
Questa storia è la prima che ho scritto quando ho conosciuto APH e non presenta Shonen Ai. Non perché non mi piaccia (al contrario, la RussiaLituania è la mia OTP) ma per il semplice motivo che non ce l’avevo nemmeno in mente quando l’ho scritta.
E’ una storia che ho pronta da mesi, questa parte scritta in corsivo la sto inserendo ora, sul mio computer era salvata esattamente come la vedete.
Ah sì, è in seconda persona.

Commenti, critiche e accorgimenti ben accetti, come sempre.

 
Enjoy.

 

 
Melodiya (мелодия).

 

Camminavi lento nella neve cercando di tenere il passo di Russia, poco più avanti, a cui il freddo non scalfiva la pelle candida e che a te, piccolo Lituania, sembrava volertela strappare. Chissà per quale assurdo motivo stavate camminando nel bel mezzo di una bufera, soli; ma chiedere il perché delle azioni era una prerogativa di Russia, tu e gli altri paesi Baltici  potevate solo eseguire gli ordini meccanicamente e senza pretendere spiegazioni.
Guardavi per terra, i tuoi occhi chiari non erano in grado di affrontare la neve senza protezione, e andasti a sbattere contro la schiena del russo che si era fermato, sempre senza motivo (o almeno preavviso).
Facesti due passi indietro alzando lo sguardo verso Russia e riuscisti a scorgere la sua sciarpa che volava in tutte le direzioni, trascinata dal vento siberiano che soffiava violento su di voi. Il dolore era forte e abbastasti la testa.
“Mi scusi, Signor Russia.”, dicesti con gli occhi fissi a terra; la gola in fiamme per il troppo freddo, le orecchie tappate, le mani e i piedi congelati.
Lui non rispose subito, si limitò ad osservare la neve scendere sempre più violenta verso di voi, ormai piccoli puntini in un deserto bianco. Ti chiedevi spesso che cosa spingesse Russia ad affrontare il gelo e la neve che tanto odiava: non riuscivi a capire perché una volta ogni tanto, generalmente con scadenza annuale, chiamasse a sé uno di voi per inoltrarsi nella prateria che si estendeva fuori dalla mura del grande palazzo, per poi restare immobile ad osservare la neve cadere, a volte semplice brina, altre volte devastanti bufere che congelavano persino il sangue da quanto erano impetuose. Ti ricordavi bene quando era stato il turno di Lettonia: era tornato con gli occhi sbarrati e ti aveva chiesto, tremando un po’ per il freddo e un po’ per la paura, se non fosse caduto in qualche strana forma di ibernazione cosciente.
Era la prima volta che Russia ti chiedeva di seguirlo, non aveva sentito spiegazioni quando Estonia aveva cominciato a spiegare che c’erano molti gradi sotto lo zero (molti, non aveva definito il numero, forse per non preoccuparti ulteriolmente), aveva ignorato Lettonia che gli si era piazzato davanti e ti aveva sorriso prima di aprire il grande portone del palazzo. Non eri un paese caldo, certo, ma il freddo che Russia affrontava a testa alta ti disarmava. Era insensato anche solo pensare di uscire con un vento del genere... come poteva lui schernirti sorridendo pacatamente?
“Lituania, hai freddo?”, ti chiese Russia qualche istante dopo (o forse qualche ora dopo, chi può dirlo?), girandosi verso di te, che ancora non riuscivi ad alzare il capo.
Ti si avvicinò ma non riuscisti a capire esattamente quanto fosse la distanza che vi separava, e sentisti una mano premere sopra la tua testa.
“Eh, Lituania? Hai freddo?”
“S-Signor R-russia, s-siamo in mez-zzo al-lla nev-ve.”, dicesti, accorgendoti che il freddo si era impossessato anche della tua bocca, facendola tremare e rischiando di farti mordere la lingua.
La pressione si fece più forte, ma non era un gesto violento: era come se stesse cercando di entrare dentro alla tua testa per portarci dentro qualcosa, che poteva essere un sentimento, uno stato d’animo.
Si voltò verso la bufera che si scatenava minacciosa contro di voi, la mano ancora sopra la tua testa.
“Oh sì, Lituania, siamo proprio in mezzo alla neve.”, disse, facendo scendere con un gesto distratto la mano guantata sulla pelle rosea della tua guancia.
Lasciò cadere il braccio lungo i fianchi e si voltò dalla parte opposta, camminando a ritroso sulla strada da dove eravate venuti. Ti girasti anche tu, contento di poter tornare finalmente indietro.
Dopo qualche tempo la tempesta diminuì di intensità e tu riuscisti a sollevare il capo, rivolgendo le attenzioni non più alle tue scarpe ma alla schiena di Russia che ti precedeva, muto.
Deglutendo ti si stapparono le orecchie e riuscisti a scorgere il rumore della bufera che ancora vi avvolgeva.
Sentisti un suono provenire dalla tue spalle e ti voltasti verso il luogo in cui vi eravate fermati. In lontananza, come se fosse bisbigliata dal vento gelido del nord, risuonava una melodia malinconica e lenta.
“S-signor Russia, la s-sente la musica?”
“Ma come?”, chiese Russia, fermandosi e voltandosi verso di te, che eri già sulla difensiva pronto a chiedere perdono. “Non hai ascoltato la melodia prima?”, sorrise.
Ti chiedevi a cosa si potesse riferire, ma proprio non riuscivi a capire.
“N-non ho s-sentito niente, S-signor Rus-ssia.”
Russia ti osservò facendoti rabbrividire ancora di più.
“Niente?”
E faceva paura, sotto quegli occhi imperscrutabili e il solito sorriso di falsa rassicurazione, faceva paura e tu saresti scappato così volentieri, correndo verso un punto imprecisato dietro di te, non ti saresti voltato e probabilmente avresti urlato dalla felicità.
Invece abbassasti lo sguardo per non pensare a tutto ciò che ti sarebbe successo e ti desti un contegno: piangere davanti a Russia non era propriamente una delle tante cose che potevi fare.
“Lituania, non hai sentito niente?”
Russia era particolarmente intransigente in fatto di regole: se lui ti chiedeva qualcosa, qualsiasi cosa, tu lo facevi in silenzio e nel minor tempo possibile, cercando di non lasciar trapelare il tuo disagio e, nel tuo caso specifico, i frequenti mal di pancia (che stavano decisamente peggiorando sia di intensità che di frequenza).
Quel mal di pancia che assomigliava tanto a un’ulcera e che si era impossessato di te anche in quel momento, quando ti chiedesti se mentire era l’unica via d’uscita da quella situazione.
Il russo alzò una mano e l’avvicinò alla tua guancia, quando tu abbassasti il capo e chiudesti gli occhi.
“S-sì, s-signor R-russia, ho s-sentito la m-musica.”
“Oh. Allora non sono pazzo.”
E tu non potesti fare altro che sorprenderti da tale affermazione. Il russo si era voltato e aveva già ricominciato a camminare.
Lo inseguisti, confuso, e lo chiamasti. Lui non smise di camminare ma voltò leggermente il capo verso di te. Ormai ad un passo dietro di lui, chiedesti, con un sol fiato: “Signor Russia, perché pensa di essere pazzo?”, stranamente senza balbettare.
Egli sorrise e chiuse gli occhi, per poi riaprili e guardare avanti; il palazzo a qualche centinaio di metri da voi.
“Perché la musica che abbiamo sentito è la voce della neve. Mi chiama spesso, ma io non voglio mai starla ad ascoltare. Pensavo di poterla sentire solo io.
“La c-chiama?”
Russia sorrise e ti guardò, stringendo gli occhi. Sapeva essere davvero terrorizzante a volte.
“Sì, mi chiama,vuole che stia ad ascoltare ciò che ha da dire. Così, quando sento che le sue richieste sono più esigenti, scendo in pianura e l’ascolto.”
Eri perplesso e ti voltasti ancora verso la tempesta impetuosa, per poi accorgerti che Russia aveva aumentato la falcata dei suoi passi ed era già lontano da te. Corresti nella sua direzione, urlando. “S-signor Russia, non può as-scoltare la neve st-tando a cas-”
“Oh no, Lituania.”, ti interruppe sorridendo. “Per apprezzare la bellezza di un fiocco di neve bisogna stare fuori al freddo1."
Non avresti mai pensato che Russia potesse avere dei pensieri del genere.
Passò ancora qualche minuto prima di arrivare ai piedi del palazzo, nel quale vi aspettavano gli altri due paesi Baltici. Non tremavi più e Russia non ti aveva più parlato.
Prendesti un bel respiro. “Signor Russia, cosa vi dice la neve?”
La grande nazione non ti rispose subito, sembrava esitare nel parlare. Non era stata una buona idea, vero?
“Beh, mi parla di guerra e di morte, più che altro porta notizie dai confini orientali. Mi ricorda di essere più presente nella parte est.”
Ti tranquillizzasti un poco e ricominciasti a respirare, anche se non ricordavi quando avevi smesso.
Russia si fermò e tu con lui, sentisti il mal di pancia aumentare l’intensità.
“Oggi mi ha detto di smetterla di pensare al sole. Dice che è lei la padrona. Sai, penso che saremo destinati a vivere in eterno nella neve.”
Abbassasti lo sguardo pensando che il plurale nell’ultima frase era solo l’ennesima presa in giro nei suoi confronti.

 Tutti scappavano dalla neve, solo Russia la combatteva a testa alta.

 

 

 
1
Un proverbio di originire sconosciuta (a quanto ne so, non trovo la sua provenienza da nessuna parte) che ho trovato per caso documentandomi sulla geografia della Russia (che poi non ho utilizzato a mio favore).

   
 
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