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Autore: Mei_chan    23/08/2005    2 recensioni
"Dell'amore che ci lega una cosa sola sappiamo: ci si presenta in molteplici forme. Per il resto la materia in questione appare ai nostri occhi come una landa sconosciuta."
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Tsubasa Ozora/Holly
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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Ciao!!! in attesa d'ispirazione per continuare le altre storie(sapete dove ne vendono un po'? è un periodaccio..) vi
posto questa cosina che ho cominciato..
E' la prima non Au che scrivo quindi spero di non fare gaffes tremende..nel caso ditemelo!^___^
Un mega bacio a Pé a cui ho rotto le palle per correggermi questo chap e alla quale, su certe cose,non le ho dato ascolto
e ho fatto ancora di testa mia...ti spiegherò perchè..
Vi lascio alla storia e...fatemi sapere cosa ve ne pare!^_____^
Uno smack a tutte!
Mei_chan

"Dell'amore che ci lega una cosa sola sappiamo: ci si presenta in molteplici forme.
Per il resto la materia in questione appare ai nostri occhi come una landa sconosciuta."



CAPITOLO I
"Le cose non vanno mai come speri. Spesso dove vogliamo andare noi, non è dove la vita ci vuole portare."



Poggiò il bicchiere di whisky davanti all'uomo seduto al bancone.
Il Lime era affollato fino all’inverosimile di ragazzini ma sembrava che lui non ci facesse caso, perso com’era nel suo mondo.
Probabilmente era uno dei più anziani del locale.
L’età massima dei frequentanti del Lime di solito si aggirava sui venticinque anni, non di più, mentre lui doveva averne più o meno trentacinque.
E , soprattutto, aveva l’aria di chi spera di trovare una risposta in fondo ad un bicchiere.
In fondo a molti bicchieri.
A differenza dei soliti avventori di quel club, non aveva certo l’aria di divertirsi.
Sembrava che fosse venuto lì per nascondersi, mescolarsi tra la folla impazzita del sabato sera.
Eppure gli sembrava un volto familiare.
Aveva già visto quel volto squadrato,quel fisico imponente, quella figura distinta.
Anche se evidentemente piegato da un dolore intenso, manteneva tutta la sua dignità.
Lo aveva già visto...ma dove?
Se avesse avuto tempo per ripristinare il collegamento mancante ci sarebbe riuscito sicuramente, ma c'era troppa gente che aspettava di essere servita e quello era compito suo.


Tsubasa bevve il suo whisky tutto d'un fiato.
Doveva essere il quarto. O forse era il quinto.
Non se lo ricordava e non voleva ricordarlo.
Se tutta quella roba poteva attenuare il peso che aveva sullo stomaco anche solo per un secondo allora non gli importava di ricordare.
Che motivo c'era ancora di vivere?
Oramai tutto era perduto.
La morte era una prospettiva molto più rosea del nero futuro che intravedeva.
Fece per ordinare un'altro whisky ma una mano posata sul suo braccio lo fermò.
Daichi.

-Cosa diavolo ci fai tu qui?- gli domandò Daichi con voce carica di rimprovero.


Daichi, suo fratello.
Era riuscito a trovarlo anche lì, in quel maledetto locale strapieno di mocciosetti strafatti.
Perché lui non era come loro?
Perchè doveva sempre comportarsi da madre?
Perchè doveva assillarlo con domande idiote?
In fondo a trentacinque anni era libero di rovinarsi la vita come voleva.

-Sono cazzi miei! – sibilò Tsubasa.

Si girò di scatto verso la gente che affollava il locale e la vide.
Era alta, bruna, flessuosa.
Ma soprattutto giovane, molto più giovane di lui.


Sanae entrò nella stanza bianca dell’ospedale.
La luce riflessa dalle nuvole le ferì gli occhi.
Il cielo era completamente coperto da grigie nuvole cariche e pesanti.
Sarebbe venuto a piovere.
Non aveva mai sopportato quel tipo di tempo perché tutto sembrava irreale quando la luce era così bianca.
La piccola Rebecca spiccava nel grande letto bianco ed era intenta a guardare le nuvole che si rincorrevano fuori dalla finestra.
Anche lei in quella luce così bianca sembrava irreale.
Sembrava un angelo caduto dal cielo.
Il suo angelo.
E adesso il cielo lo rivoleva indietro.
Sanae si avvicinò e le sfiorò un braccio.
Lei sussultò, poi sorrise.

- Ciao Mami.

Sanae rispose al suo sorriso.

- Ciao. Va tutto bene?
- Si, ho dormito un po’.

Abbassò lo sguardo sulle sue mani deposte in grembo, poi sussurrò.

- Mami?
- Dimmi.
- Sto morendo vero?



Tsubasa si alzò di scatto e sparì tra la folla.
Daichi imprecò e cercò di seguirlo.
Si era volatilizzato.
Il locale era così affollato che non ci voleva molto per nascondersi.
Ultimamente suo fratello era così nervoso, così irritabile, così… irresponsabile.
Come non lo era mai stato, nemmeno quando aveva dieci anni.
O almeno così continuava a ripetere sua madre.
Lo capiva,sapeva che perdere tutto quello per cui lui aveva lottato fino ad allora era un colpo tremendo, ma non per questo lo giustificava.
Non avrebbe mai dovuto comportarsi così, nonostante tutto quello che gli era successo.
Avrebbe dovuto reagire e invece…
Invece si crogiolava nel suo dolore.
Lo intravide in fondo alla sala e imprecò nuovamente.
Stava litigando con qualcuno che per stazza poteva essere associato ad un gorilla.

- Non ti azzardare mai più a toccare la mia sorellina!
- E chi te la tocca la tua puttanella!

Daichi si mise in mezzo tentando di calmare il gorilla.
La folla intorno si era radunata per vedere cosa stava succedendo, neanche fossero un’attrazione.

- Ascolta. Mio fratello è ubriaco e non sa quello che dice.
- Ma sa benissimo quello che fa.

Una voce soave di donna lo aveva zittito.
Daichi spalancò gli occhi.
Suo fratello si stava comportando come un idiota ma almeno non aveva perso il buon gusto.
Solo lui poteva importunare una dea.



Sanae chiuse la porta della stanza delicatamente, per non svegliare Rebecca che si era addormentata.
Luc si alzò e la raggiunse.

- Come sta?
- Dorme. Mi ha chiesto di te.
- Cosa le hai detto?
- Che stavi lavorando. Dovrai vederla prima o poi.
- Glielo hai detto?
- Lo sapeva.
- Lo sapeva?
- Non è mica stupida!

Si portò una mano alla bocca come per soffocare i singhiozzi e le lacrime che non riusciva più a frenare.
Luc la strinse a sé e le carezzò piano la testa.

- Perché? Perché Luc? Perché a lei? Ha solo dodici anni. Non bastava tutto quello che le è capitato? Perchè?

Luc rimase in silenzio non potendo rispondere, non potendo fare niente e la cullava lievemente.




- Maledizione!
Yume sbatté il bicchiere ormai vuoto sul bancone così forte che la base s’incrinò.
Il barista non ci fece nemmeno caso e lo buttò sotto il bancone.
Quello era l’unico vantaggio di essere una dea.
Avrebbe potuto spaccare una sedia e nessuno le avrebbe fatto pagare i danni.
L’importante era che si facesse vedere almeno due volte la settimana.
Non voleva essere una dea, non lo aveva mai chiesto.
Lo era diventata e basta.
Bella serata per farsi vedere.
Il locale strapieno, la gente strafatta, il personale nervoso.
Ma quello che davvero non sopportava di tutta quella messinscena era Ichi che le girava intorno.
La chiamava sorellina e aveva il compito di proteggerla.
Era arrivata al locale già ampiamente incazzata e Ichi, ronzandole intorno, l’aveva irritata ancora di più.
E adesso ci mancava pure l’ubriaco che ci prova con lei.
Oddio non che fosse male,era davvero un bell’uomo.
Peccato che fosse ubriaco e che avesse almeno quindici anni più di lei.
Il fratello era decisamente meglio.
Almeno non era ubriaco fradicio.




Luc poggiò la tazza di caffè sul tavolino davanti a Sanae.
Il corridoio dell’ospedale era deserto.
La guardò per un istante e poi rivolse gli occhi altrove.

- Devo andare. Olivia mi ha chiesto di tornare presto.
- Non sei neppure entrato a salutarla.
- Beh adesso devo andare. E poi adesso sta dormendo.
- E io che cosa le dico quando si sveglia?
- Inventati qualcosa.


Raccolse la giacca e fece per andarsene.

- Luc?
- Dimmi.
- Ho deciso di tornare in Giappone. E porto Rebecca con me.




Yume s’infilò il cappotto nero e fece per uscire.
La voce di Kaede la fermò.

- Yume.

Una parola, un ordine.
- Cosa c’è?
- Dov’eri martedì?
- A casa. Ero stanca.
- Avresti perlomeno potuto avvertire.
- Quante storie. Verrò tre volte settimana prossima.
- Essere una dea è una cosa seria, un impegno.
- Come se avessi deciso di esserlo.

Uscì nel vento gelido della notte.
Essere una dea, che immonda cazzata!
Se quella cretina di sua sorella, ubriaca com’era, non l’avesse iscritta al concorso adesso non sarebbe una cubista del Lime.
Avrebbe potuto mollare da tempo ma quel maledetto club le dava 25000* yen a settimana per farsi vedere ogni tanto.
E ne aveva tremendamente bisogno.

  
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