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Autore: yesterday    04/05/2010    6 recensioni
Altresì leggibile come: le potenzialità nascoste di un fermacarte.
« ..Attualmente, io sono questo. »
« Un.. Sasso? »
« No. Un
fermacarte »
[Note: leggero nonsense.]
Genere: Demenziale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'G. M.'
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Fermacarte. Tostapane.
Altresì leggibile come: le potenzialità nascoste di un fermacarte.

 



Di primo acchito l’unica considerazione pensabile era: mai lasciare l’appartamento al mare a tua figlia e alle sue due scapestrate migliori amiche.
Non prestarlo loro nemmeno se sono delle moderate e tranquille quarantenni. E, sottinteso, non pensare nemmeno lontanamente di concederlo se sono delle folli diciassettenni.
Ma dal canto mio - io che ero una delle folli diciassettenni e in più una delle due scapestrate migliori amiche della suddetta figlia dei proprietari del bilocale il cui pavimento stava sotto al mio fondoschiena - l’unica considerazione pensabile era di smetterla con i miei stupidi vizi.
Che, per inciso, non erano né fumo né tantomeno droghe - al massimo un po’ d’alcol, ma senza esagerare - erano le allusioni.
Mediante l’uso spropositato del sarcasmo, il mio malumore sfociava in continue maledettissime allusioni.
Allusioni che rivelavano quant’ancora stessi pensando a colui-che-doveva-uscire-dalla-mia-testa.
Mi guardai intorno, mordendomi la lingua nove volte per non aver evitato l’ennesima battutina; povero bilocale, era veramente in condizioni pessime.
Ore dodici e trenta di un soffocante sedici agosto. Il sedici agosto duemilanove, per l’esattezza.
Tre - com’era? - ..folli diciassettenni appena svegliate, accampate in soggiorno per la colazione.
Il pavimento della living room era zeppo di cianfrusaglie: un calzino spaiato, crema solare, cuffie per iPod. Anche un orecchino che M. era convinta d’aver perso, a ben pensarci, qualche sasso e conchiglia raccolti nei giorni precedenti, una confezione di pan carré e il tostapane collegato alla presa di corrente più vicina.
« Ti prego, ti prego, dimmi che non l’hai detto » supplicò G., alzando la fetta di pane su cui aveva appena terminato di spalmare abbondante Nutella.
Con le dita.
Mi grattai nervosamente la testa, preda di un prurito prettamente isterico.
« Non ho detto nulla di particolare » annaspai, cercando di agguantare le redini del discorso prima che degenerasse.
Ma in fondo era già degenerato: G. ed M., le mie già citate migliori amiche, mi conoscevano come le loro tasche - anche quando di tasche non ne avevano - quindi era come se avessi già firmato la mia condanna a morte.
« Hai usato il sarcasmo » annunciò M., soppesando la parola quasi avesse una certa somiglianza con qualche arma da fuoco paragonabile ad un bazooka « e in quest’appartamento sappiamo tutti dove vuoi andare a parare, quando ne fai uso »
Espirai.
« E va bene, e va bene, scusatemi. Non lo faccio più. » tagliai corto.
Per un secondo mi ritrovai a pensare che “non lo faccio più” era un’espressione che usavo spesso quand’ero piccola. Ed ogni volta, invece, lo rifacevo di nuovo.
In fondo non ero poi così cambiata, dai tempi dell’asilo.
« Direi che ti conviene » minacciò M.
Stavo quasi per tirare un sospiro di sollievo, considerando erroneamente l’argomento archiviato, quando mi ritrovai a fare i conti con G., che aveva qualcosa da aggiungere.
« Tu, a volte.. Mi preoccupi. Voglio dire, guardati: ti abbiamo trascinata qui di peso - e non provare a dire di no perché lo sai anche tu - perché tu smettessi di rovinarti l’umore pensando al cretino » per G. il mio ex ragazzo non era “un cretino” e basta. Oh, no. Lui era il cretino. (“Merita l’articolo determinativo!”, diceva sempre) « ..e invece? Sei sveglia dalla bellezza di un quarto d’ora e già ci ricadi. »
Ricominciai a grattarmi la testa, esattamente nello stesso punto di prima.
« Non hai niente da dire? » incalzò.
Presi fiato.
« Il mio cervello funziona male » mi limitai a biascicare, sperando fosse sufficiente.
Dalle occhiate che mi rivolsero le due, purtroppo non lo era.
« Non è che io “ci penso” » azzardai, e già si apprestavano a contraddirmi « ..lasciatemi finire. Non è che io “ci penso” e stop. Magari. Se “ci pensassi” potrei anche riuscire a non farlo, di tanto in tanto. Io continuo a pensarci. E’ una cosa diversa » accompagnai la breve filippica con un eloquente inarcamento del sopracciglio destro.
« E’ una cosa malata, concedimelo. » propose G.
« Nah. E’ una cosa normale, quando si è ancora innam.. »
Il mio sguardo fu sufficiente a far morire la parola “innamorati” nella gola di M.
Era una delle parole da non dire, quella e le sue derivate. Per una convivenza civile.
Dovevo ammetterlo: tra le due, la teoria che si avvicinava maggiormente era quella di G.
Era un comportamento irrazionale, certo, ma non del tutto rassicurante: io pensavo sempre. Non riuscivo a smettere.
Avevo sempre intimamente creduto di avere un cervello fuori dalla norma. Ma non per intelligenza - era quella che era, non poca ma neppure troppa - o per strabilianti capacità cognitive, di memoria eccetera.
Il problema - quello che non tutti capivano - era che “pensare” non era il verbo che faceva a caso mio.
Okay, ammettiamolo: io pensavo.
Ma la maggior parte delle volte io mi fissavo su certe cose, ad intermittenza. Ed era quando - esattamente - non riuscivo più a frenarmi.
« Spiegati meglio. Continuo a credere che sia una cosa preoccupante »
Cercai con lo sguardo qualcosa che facesse al caso mio.
« Vedi » afferrai uno dei sassi che avevamo raccolto sulla spiaggia il giorno precedente. Era bello, colorato. Ma pur sempre un sasso. « ..attualmente, io sono questo. » lo portai di fronte a me.
« Un.. Sasso? » M. era perplessa.
Scossi la testa. « No. Un fermacarte »
E decisi in quel momento che quel sasso fosse solo ed esclusivamente destinato a diventare un fermacarte.
« Ti seguo » ma sicuramente M. si stava chiedendo se dovessi ancora smaltire la sbronza della sera precedente.
Che, per dire, poteva anche essere, dato che mi ero appena paragonata ad un sasso.
Annuii decisa.
« Perfetto. Che cosa fa un fermacarte? » chiesi, retorica.
Seguì un silenzio imbarazzato.
« Io azzarderei qualcosa come “ferma-le-carte” » s’intromise G.
Poggiai il sasso a terra, continuando ad osservarlo e sogghignando leggermente.
Capitava che io e G. fossimo spesso sulla stessa lunghezza d’onda, se si parlava di discorsi totalmente assurdi e campati per aria.
Era.. Confortante. Perlomeno non sarei stata la sola da trascinare a forza in un manicomio, in caso.
« Esatto. Un fermacarte ferma le carte e basta » e suonava come una realtà della vita « io in questo preciso istante sono come questo fermacarte. Non faccio altro che continuare a pensarci. »
« ..al cretino? » chiese M. a mo’ di conferma, tradendo il fatto che cominciava già a non capire.
M. era razionale, per certi versi. Troppo razionale, forse.
Più di me.
Ero razionale, senza ombra di dubbio - coi piedi inchiodati a terra, amavo definirmi - ..eccetto quando si parlava del cretino. E di sassi. O fermacarte.
« Proprio. Insomma.. Non so fare altro che una cosa, cioè pensarci. Per questo.. » la voce mi tremò leggermente « ho bisogno del vostro aiuto. »
« Ma diamine, è per questo che ti abbiamo tirata di peso qui, eppure non fai una piega oh! » esplose M, scuotendo i capelli neri a destra e a sinistra.
Con un cenno G. la calmò, incuriosita dalla direzione che il mio ragionamento stava prendendo.
Io e G., essendo spesso sulla stessa lunghezza d’onda, avevamo sviluppato un modo tutto nostro per comunicare.
Un modo incomprensibile, forse, ma per noi due funzionava sempre.
« Allora tu sei un fermacarte, hai detto. »
Annuii nuovamente.
« Sì, io sono un fermacarte. Ma questa condizione di fermacarte comincia a starmi stretta. Io vorrei.. » cercai un altro termine di paragone che fosse a portata di mano.
« Io vorrei essere un tostapane. »
A quel punto mi fu chiaro che M. non si stesse più chiedendo se fossi ancora ubriaca e basta. Lei ne era sicura.
« Un tostapane? » chiese appunto, incredula.
« A-ha. Un tostapane. Come voi. »
Strabuzzò gli occhi. « Da quando in qua io e lei » indicò G. « saremmo due tostapane? Cioè, ero convinta fosse il genere di cosa di cui uno si accorge nell‘arco di uno, massimo due anni dalla nascita. Io non vedo griglie » si osservò il corpo, ancora semicoperto dalla lunga canotta che le faceva da pigiama, improvvisamente insicura « almeno, non in superficie. »
Puntai gli occhi al soffitto. « No, non hai griglie in giro per il corpo, né in superficie né tantomeno sotto, sta tranquilla. Quello che volevo dire io, è che voi siete multifunzione. Come un tostapane. »
Al che G. scoppiò a ridere, M. si trattenne teatralmente la mascella con una mano, indicando che altrimenti sarebbe crollata a terra grazie alla tanto rinomata forza di gravità.
Cominciai ad innervosirmi: avevo due amiche troppo scettiche.
Una era lontana anni luce dalla mia concezione di versatilità, l’altra forse mi assecondava nel modo in cui si assecondano i pazzi. “Sorridi ed annuisci”, come diceva sempre mia madre.
Mi alzai in piedi, stizzita, e raggiunsi il tostapane.
Impugnai la manopola e, con una leggera pressione, la portai al livello uno.
Lessi l’indicazione che vi era recata.
« Uno: pane caldo. »
Altra leggera pressione, secondo scatto. « Due: farcito. »
Non badai a che genere di espressione dovesse essere dipinta sui volti delle due.
« Tre: con formaggio. »
« Quattro: biscottato. »
Riposi l’oggetto a terra ed alzai lo sguardo.
« Vedete? E‘ ingiusto. Voi avete un sacco di funzioni. Io solo una. »
La voce mi si era spezzata nelle ultime sillabe, e ciò aveva contribuito in modo non indifferente a farmi assumere il ruolo della minorata mentale. Una minorata mentale depressa.
Non capii subito le reazioni delle mie amiche.
Per meglio dire, non ne capivo una: M. era assolutamente perplessa, non c‘era margine d‘interpretazione.
Ero tentata di scattarle una foto, in fondo potevo anche riderci su.
Ero riuscita a lasciare M. - la razionale, oggettiva e coscienziosa M., colei con la risposta pronta a tutto - di stucco.
Anzi no. Di sasso.
« Ed è proprio qui che ti sbagli, mia cara » spostai la mia attenzione su G., che nel frattempo aveva preso tra le mani il sasso protagonista del piccolo quadretto.
Mi osservava fiduciosa.
« ..vorrei dirti “guarda”, ma se davvero ci provassi temo che dovrei ripagare ai miei mezzo bilocale, tra una cosa e l’altra, per cui credo sia sufficiente che tu immagini. Oppure, se preferisci, entra nell’ottica. »
Sollevai un sopracciglio nello stesso momento in cui lo fece M.
In un modo del tutto diverso anche io e lei eravamo spesso sulla stessa lunghezza d’onda.
« E non mi guardate così, per la miseria! » sbuffò, sempre con quel sasso nella mano destra, in piedi al centro del salone « ..anche tu sei multifunzione. Un fermacarte lo puoi anche tirare dietro a qualcuno, volendo. Che so, al cretino. La cosa bella è che gli farai pure un male cane. »

 

 

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Non so se sia da considerarsi proprio "normale".

Ma G. ha sempre desiderato poter prendere a sassate A. In pieno viso, dice.

E ha sempre saputo di avere un'amica dal cervello non totalmente funzionante.

Così è nata questa "cosa".

Spero che a qualcuno piaccia, e spero di non essere l'unica proprietaria di un tostapane con indicate le quattro funzioni sopracitate.

Perchè mi viene il dubbio, ora.


Il Capo mi ha detto di scrivere la Nota "leggero nonsense", ed io la scrivo. Anche se spero sia solo leggero.


Ye'.

   
 
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