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Autore: y3llowsoul    08/05/2010    5 recensioni
Don e Charlie litigano, ma il loro argomento diventa piuttosto marginale quando un folle omicida entra nel CalSci. Corta storia, solo quattro capitoli.
Genere: Drammatico, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Charlie Eppes, Don Eppes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Caos 5

Mille grazie a tutti quelli che leggono ancora la storia, specialmente a quelli che anzi lasciano un commento!

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 «Non ha alcuna speranza, Phelps» disse Charlie e nello stesso momento sentì l’orrore attanagliarlo chiedendosi come il maniaco avrebbe reagito. Ma Don avrebbe sicuramente detto la stessa cosa.
«La polizia sarà qui a minuti e se lei non sarà diventato ragionevole fino ad allora, non ce la farà ad uscire fuori di qui vivo».
Quel tipo era malato così come la sua snervante risata. «Credi davvero che me ne freghi? Non ho più niente da perdere: ho già perso tutto a causa tua!»
Charlie si sentiva come se avesse ricevuto un forte pugno in faccia. Non ci aveva riflesso finora. Lui era responsabile per ciò che stava succedendo lì dentro? Sarebbe stata colpa sua se uno dei suoi studenti fosse morto? E ancora sarebbe stata colpa sua se lo stesso Phelps se fosse morto?
«Semplicemente non ha superato l’esame perché non ha studiato a sufficienza» lo contraddisse in un coraggioso tentativo di allontanare da lui i sensi di colpa.
«Certo, Eppes. È facile addossare la colpa agli altri invece che a se stesso, vero?»
Lo stesso vale per te volle rispondere Charlie, ma questa volta non disse nulla.
«Avrebbe potuto superare l’esame» continuò con una paura tremenda: ma finché Phelps stava parlando, il pericolo che sparasse attorno a lui era più basso. «Avrebbe semplicemente dovuto impegnarsi di più».
«Impegnarmi di più, eh?» sibilò Phelps. «Non hai idea, Eppes, di quanto mi sia impegnato! Ho sgobbato fino ad avere la schiena storta! Ho studiato giorno e notte! E avevo buoni voti! Credi che io abbia ricevuto un elogio dai miei genitori anche solo una volta, anche solo un solo ’ben fatto’? Mai! Finché stavo bene non se ne sono fregati di me! Solo quando non ce l’ho più fatta hanno guardato questi voti deludenti! E sai cosa hanno fatto quando hanno saputo che mi hai fatto ripetere l’esame? Niente! Non hanno fatto più niente, capisci? Giustamente non ero più figlio loro! Si sono allontanati da me!»
Dopo queste parole, anche Phelps si allontanò da Charlie e cominciò ad andare avanti e indietro davanti alla cattedra del professore in elissi angolari.
Charlie aggrottò la fronte. Elissi angolari? Questa forma aveva sicuramente un nome, vero? Oppure no? Non lo sapeva più. Si sentiva come se avesse la febbre, troppo tremulo e caldo per riflettere su qualsiasi cosa.
Charlie era diventato sempre di più piccolo contro il muro e adesso sentì che quella non era una buona posizione. La sua spalla ardeva come il fuoco dell’inferno. Provò a guardare la ferita e si accorse con terrore che la sua maglietta era imbevuta di sangue. Dunque era per questo che si sentiva così tremulo e debole. Poi gli venne in mente un’altra cosa: gli uomini avevano bisogno di sangue; se non ne avevano a sufficienza nel corpo morivano. E nonostante tutto fosse talmente irreale e lontano, Charlie riuscì a comprendere una cosa: se l’aiuto non fosse venuto presto, si sarebbe dissanguato.


Un botto. Ecco: la fine. Phelps aveva sparato. Charlie trasalì, ma lasciò gli occhi chiusi e tentò di sentire da dove veniva il dolore. Ma non c’era dolore, salvo quello alla spalla. Forse era stato un colpo alla testa, rifletté. Quelli sono considerati indolori. Era l’unica possibilità. Voleva dire che era morto. Ma se fosse così, poteva ancora pensare? Evidentemente sì. Ma poteva anche sentire? Così sembrava, perché Charlie era assolutamente sicuro che i passi furiosi di Phelps non si erano spenti.
Un botto. Di nuovo. In effetti, quante volte poteva ancora sparargli alla testa? Doveva veramente avere un aspetto disgustoso. I suoi studenti sarebbero probabil-
Dio! I suoi studenti!
Prima che avesse davvero la consapevolezza di ciò che stava facendo, Charlie sgranò gli occhi, perlustrando le file davanti a lui. No, sembravano tutti vivi, Phelps non aveva sparato a uno di loro, grazie a Dio!
Un attimo… se Charlie poteva vederli, allora il maniaco probabilmente non aveva sparato neanche a lui! Ma allora dove?
Il suo sguardo fissò Phelps e in un attimo qualcosa come sollievo lo attraverso, quando Phelps batté la sua arma sul tavolo provocando un sordo botto. Allora non aveva sparato nessun colpo.
Ma in un attimo tutto il sollievo si dissolse così veloce come era venuto. Phelps stava diventando aggressivo. Sembrava che non sapesse cosa fare. Perché non sparava semplicemente? Oppure aveva cambiato idea? Forse adesso voleva semplicemente lasciar morire dissanguato Charlie e non fare nulla agli studenti tranne regalargli un ricordo che avrebbero portato con loro per tutta la vita?
Non è un assassino, non propriamente congetturò la mente di Charlie. Se lo si lascia in pace, se non diventa furioso, se l’aiuto giunge in tempo, forse abbiamo ancora una speranza.
Ma Phelps era furioso. E anche se il caos nel cervello di Charlie non diventò più chiaro con la nebbia del dolore, era ovvio che non si doveva lasciar diventare aggressivo un maniaco che aveva un’arma.
«Non è il primo» disse Charlie e quando Phelps si girò velocemente verso di lui si accorse che doveva assolutamente precisare. «Che non ha superato un esame, intendo dire. Ci sono anche persone che ora occupano posizioni primarie e che godono di una buona reputazione che una volta hanno dovuto ripetere un semestre».
Nella sua attuale situazione una piccola dilatazione della verità di sicuro non era troppo vizioso.
Phelps sembrava abbastanza sconvolto per uno che aveva appena assalito una università per causare un bagno di sangue.
«Non lo capisci, Eppes! Semplicemente non puoi capirlo! Pensi che questo sia solo una questione di ‘superato’ o ‘non superato’, vero? Tu non hai idea, non ne hai la minima idea! La tua decisione di bocciarmi ha rovinato tutta la mia vita! Capisci?! Solamente perché tu hai deciso che io non avevo superato, la mia vita è andata a puttane!»
Charlie lo fissò, incapace di avere un pensiero chiaro e solamente continuò ad ascoltare la lamentevole storia della vita di Phelps.
«I miei genitori non mi hanno più mantenuto! Ho dovuto andare avanti da solo, di stenti! E poi? Ah sì: mi hanno sbattuto in prigione solo perché ho voluto tirare avanti. E quando sono stato in prigione, ad un tratto, anche la mia ragazza non voleva avere più niente a che fare con me! Sai come ci si sente quando semplicemente tutto viene improvvisamente infranto, lo sai? No! Tu non ne hai idea! La mia vita è andata distrutta ed è colpa tua! E per questo la pagherai!».
Charlie non sapeva più che cosa dire. Non sapeva neanche che cosa lo avesse colpito di più, se le parole di Phelps o la pallottola nella sua spalla. Ma in entrambi i casi, non ci fu bisogno di dire niente perché l’attenzione di tutti fu improvvisamente distratta.
«Qui parla l’FBI! Lei è circondato. Lasci l’edificio con mani in alto!»
Il battito del cuore di Charlie era improvvisamente accelerato. Aveva riconosciuto subito la voce malgrado la distorsione causata dal megafono. Don! Don era qui! Adesso tutto sarebbe andato bene, non c’era alcun dubbio. Il suo fratellone era venuto per intervenire in suo aiuto. Don, il grande eroe.
Le speranze di Charlie esplosero come una bolla di sapone quando sentì Phelps brontolare: «Farò una cazzata, allora!».
Don ripeté la pretesa e Charlie ascoltò con attenzione ogni parola. Non voleva perdere una sola sillaba, poiché, ad ognuna di esse, fluiva nuova fiducia nell’aula. Don era qui, la salvezza era qui, erano così vicino…
Con il manico della postola, Phelps frantumò una finestra e urlò fuori, acquattato sotto la finestra, tanto che anche le tante persone due piano sotto di loro, nel campus, potevano facilmente sentirlo.
«Potete scordarvelo! Non verro fuori! E neanche gli ostaggi!»
Per un secondo, ci fu un silenzio teso.
«Abbiamo appostato tiratori scelti. Appena sparerà un primo colpo, saremo pronti ad assalire l’edificio. Non uscirà fuori di lì».
«Anche un solo colpo può uccidere qualcuno! Un altro, dovrei dire, forse!» urlò Phelps e lanciò uno sguardo pieno di odio a Charlie che rabbrividì.
Questa volta, il silenzio durò più a lungo. La tensione di Charlie crebbe esponenzialmente. Dovevano dire qualcosa fra poco…! Se non avessero detto nulla, quel tipo sarebbe andato completamente in tilt…
Don! Dove sei?
Finalmente, dal megafono una voce risalì a loro.
«Non possiamo aiutarla se non sappiamo che cosa vuole. Mi chiamo Megan Reeves. Come si chiama lei?»
Charlie non poté nascondere la delusione. Megan era qui. Questo era un bene, di sicuro era un bene. Lei era psicologa, era pratica di queste cose. Charlie poteva essere felice che lei fosse lì.
Ma dove era Don?
«Cos’è questo? A che gioco state giocando?» l’urlare di Phelps tenne l’attenzione di nuovo su lui. «Facciamo il gioco dello sbirro buono e di quello cattivo?!»
«Ci dica il suo nome. Poi potremmo parlare di tutto ciò che vuole».
Per qualche attimo ci fu di nuovo quello stesso silenzio teso.
«Matt» rispose poi Phelps a bruciapelo «Matt Phelps».
«Okay, Matt. Vuole parlare con qualcuno? Forse con i suoi genitori? Amici?»
«Quelli possono starsene dove sono!» gridò Phelps e la sua voce si accavallò.
«D’accordo, Matt. Non deve vederli se non vuole. Ha tutto sotto controllo.»
«Come no!»
«Stia calmo, Matt».
«NON MI DICA COSA DEVO FARE!»
E prima che Charlie riuscisse a capire cosa stava succedendo, Phelps lo aveva già trascinato verso lui e tirato ai piedi suoi. Charlie pensò che la sua spalla stesse per esplodere; tanto forte era il dolore. Realizzava appena che Phelps lo stava tenendo davanti a lui come uno scudo, il braccio sinistro sopra la spalla ferita, attorno alla sua gola.
Solo dopo che ebbero attraversato la sala dalla lavagna alle finestra, Charlie realizzò che cosa intendeva fare il suo avversario. Pensò di nuovo a Don e tentò di fare un viso impassibile. Non ci riuscì. Paura nuda trasparì da esso. Sentì il metallo freddo dell’arma alla sua tempia e pregò.
Charlie lasciò scivolare lo sguardo sul campus sotto di lui attraverso il mare di punti neri davanti ai suoi occhi e il suo stomaco fece un salto indietro: Don era qui.
Mentre Charlie teneva lo sguardo su di lui, distinse dalla grande distanza che suo fratello era bianco come un lenzuolo. Aveva granato gli occhi e aveva la bocca aperta a metà mentre lo fissava come per dirgli parole rassicuranti.
Tieni duro, fratellino. Sarò da te in un attimo. Verremo a tirarti fuori. Tutto andrà bene.
Nessuna parola veniva scambiata, ma il messaggio arrivò ugualmente.
«Allora, potete vedere? Non potete farmi niente! Niente!»
Era folle. Non c’era un dubbio.
«Non ha senso tutto questo!» urlò Megan con voce aspra. Questa volta aveva rinunciato al megafono senza sapere se consapevolmente o inconsapevolmente. «Abbassi la sua arma! Appena lei sparerà si sarà giocato anche la sua vita!»
«E cosa farai se ti dico che non m’importa della mia vita?!»
«Gliene importa, invece. A tutti importa della propria vita, anche se lei tenta di convincermi del contrario».
Phelps tacque. Charlie sentiva il suo respiro sulla sua nuca. L’ultima volta che aveva sentito un respiro così vicino era stato quello di Amita. Poteva vederla. Teneva le mani davanti alla faccia, fissando i due uomini con occhi granati.
Ti amo tentò di dirle con il suo sguardo. Lo sai? Ti amo!
Non sapeva dove doveva guardare. Ogni sguardo poteva essere l’ultimo. Come se ce ne fosse ancora bisogno, la mitraglietta attirò la sua attenzione più di prima: tremolò. Come anche il braccio di Phelps.
«E perché dovrei fregarmene?» gridò quello e in un attimo la pesante arma era sparita della sua tempia ed ora veniva schiacciata contro suo fianco. «La mia vita non vale un cazzo! Perché dovrei farmi problemi se finalmente finisce?»
«Perché c’è sempre qualcosa per la quale vale la vita! Lei…»
Megan non poté dire di più. In quel momento un colpo lacerò l’aria, a cui quasi nello stesso attimo ne seguì un altro.

  
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