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Autore: cartacciabianca    08/05/2010    2 recensioni
[ SOSPESA ]
In una New York devastata dalla Guerra tra sani e portatori, sono emersi un gruppo di patriottici eroi. Uomini e donne sottoposti a crudeli esperimenti allo scopo di sopprimere definitivamente il Virus e ogni suo esponente. Sono gli Angeli, nati dalle ricerche fatte sul precedente campione Zeus e protettori della specie umana. La battaglia per il dominio sul pianeta volge al termine dopo due anni di scontri sulla frontiera della scienza e della tecnologia meccanica. Due anni di sangue e vittime innocenti capitate nelle mani dei predatori più spietati.
"Mi sentii puntare sulla schiena qualcosa di estremamente freddo, sottile e affilato più di un rasoio.
Ingoiai a fatica, trattenendo il fiato e sollevandomi sulle punte degli stivali. Dalla mia bocca schiusa venne solo un flebile sospiro quando Alex affondò la lama tra le mie scapole traversandomi orizzontalmente da un capo all’altro. Un fiume di sangue mi bagnò la divisa, raccogliendosi poi sul terreno impolverato tra i miei piedi. Quel rosso vivo e accecante mi finì anche negli occhi, mentre il dolore risucchiava nel suo vortice la sensibilità del mio corpo.
Inclinai la testa da un lato scoprendo una parte di collo, sul quale Mercer posò appena le labbra.
-Sai… ora capisco cosa ci trovava quel Turner di tanto interessante in te- mi sussurrò all’orecchio dopo aver risalito il mio profilo di piccoli baci, minuziosi come graffi. –Quando sanguini così sei davvero eccitante- rise."

[Alex Mercer x nuovo personaggio + altri nuovi personaggi]
Genere: Azione, Horror, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 33° - Welkome back 'tween us


Qualche settimana dopo...



Che brutta sensazione era sapere di essere svegli ma non riuscire a muovere un solo muscolo.
Le luci bianche, asettiche dell’infermeria mi riempivano il campo visivo. Tutto ciò che vedevo era il soffitto a pannelli lucidi della grande sala. Avevo perso la cognizione del tempo: potevano essere trascorsi mesi come poche ore. Ero impossibilitata a spostare le gambe, voltare la testa o anche sollevare troppo il petto per agevolarmi la respirazione. Ero immobilizzata come una mummia, con la piccola differenza di essere stata sepolta viva. Se provavo a parlare, dalle mie labbra serrate veniva un animalesco mugolio acuto, dovuto in parte al fatto che, piuttosto che “parlare”, avrei voluto “gridare”, cosa che mi era tornata impossibile in quelle che ricordavo come le ultime 24 ore.
Sentivo chiaramente i battiti del mio cuore accelerare, fremevo dalla voglia di alzarmi da quel lettino e correre via a cercare i responsabili del mio malessere.
Per fortuna non ce ne fu bisogno, perché furono loro a venirmi a trovare.
In un angolo dei miei occhi sgranati si parò improvvisamente una figura femminile rivestita di una tuta integrale. Vedevo la sua faccia attraverso lo strato di plastica che componeva la visiera del suo casco. Indossava spessi guanti bianchi e sembrò gesticolare con un apparecchio elettronico fuori dal mio campo visivo, che rispondeva ad una serie di comandi o di cifre che l’Alchimista gli dava per via di una tastiera touch-screen.
A quel punto mi fu chiaro perché non riuscissi a muovermi. Il fatto che la donna indossasse quel genere di tuta smentiva ogni dubbio. Ero effettivamente nell’infermeria, sala che era stata riempita di un particolare composto di gas apparentemente inodore che agiva sugli Angeli feriti senza l’intervento specifico di nessuno. Avevo sentito parlare di un progetto simile quand’ancora era in stato di sperimentazione. Lewis stesso finanziava le ricerche, ma in segreto e di propria tasca, poiché il Governo degli Stati Uniti aveva chiaramente negato di poter infierire in tal modo su esseri pensanti: sarebbe stato come violare più principi della democrazia che gli USA e molti altri stati possedeva con onore e rispetto, oltre che un ulteriore danneggiamento del sistema liberale. Insomma, nella Costituzione si diceva chiaramente che, in caso ci fossero probabili rischi, nulla di chimico avrebbe potuto toccare un essere umano. Nel contratto di Volontariato dettato dal Settore Angels, poi, era esplicitamente garantita l’incolumità di tutti gli iscritti.
Gli Stati Uniti d’America avevano dato a Lewis Martin 3 semplici regole, che lui aveva violato tutte.
Il mio sembrava essere il lettino più vicino alla stazione di comando dell’infermeria, perché all’Alchimista bastarono altri due colpi di dito per disattivare il sistema fumogeno in tutta la sala.
A poco a poco, mentre la donna si allontanava da me, mi accorsi di aver riacquistato la libertà di movimento nelle articolazioni. Nel preciso istante in cui mi sollevai a sedere, feci caso ai tubicini che avevo collegati ai polsi e alle caviglie, ovviamente dove la vestaglia d’ospedale a pallini non arrivava a coprire. Sotto quel sottile strato di tessuto avvertii di essere completamente nuda. Staccai i tubicini colorati con un certa rabbia frenetica, dettata dal battere accelerato del mio cuore. Le mani mi tremavano, i miei spostamenti erano infermi e poco precisi, vedevo doppio. Mancai più volte di afferrare con le dita un tubicino, impiegando una ventina di secondi per togliermelo dal polso.
Quando mi guardai attorno, riuscii a contare una dozzina di altri corpi nelle mie stesse condizioni. Donne, uomini, ragazzi e ragazze si svegliavano dal coma mettendosi a sedere coi piedi a penzoloni fuori dal lettino. Erano decisamente più tranquilli di me, che invece sembravo un animale improvvisamente rinchiuso in una piccola gabbia. Gli altri Angeli cominciarono a parlare tra loro, armoniosamente, scambiandosi due parole sull’esperimento del quale avevano appena fatto parte.
Sgranai gli occhi, scettica.
Allora quella doveva davvero essere la prima volta che testavano il gas come curante.
Mi guardai i palmi delle mani, che ancora tremavano, ma non seppi più distinguere se per l’emozione che i ricordi dei giorni passati mi infondevano, oppure per qualche effetto collaterale della sperimentazione.
Per l’infermeria cominciò a regnare un tenebroso silenzio quando, mi accorsi, gli occhi degli Angeli si posarono su di me.
Alcuni mi fissarono con curiosità, altri con nient’altro nello sguardo che non fosse rancore, collera. Che probabilmente, mi dissi, dovevano essere gli stessi Angeli coi quali mi ero confrontata in battaglia.
Improvvisamente, il portellone di vetro trasparente e a doppia anta infondo alla sala si aprì, e dal corridoio scaturirono alcune figure distinte.
-Signori, vi ringraziamo per la collaborazione, e vi invitiamo a lasciare la sala- disse un Alchimista che vestiva della sua tuta integrale bianca e portava il casco sotto braccio, libero di respirare coi propri polmoni l’aria nella camera. Era un uomo di colore, non troppo alto, dal viso schiacciato, il naso grosso e un paio di occhiali neri. Quello di cui ero totalmente certa, fu di non averlo mai visto prima di allora. La poca distanza che ci separava mi consentiva, seppur con uno sforzo considerevole, di leggere il cartellino da medico sulla sua uniforme.

Dr. Bradley Ragland
- Direttore generale div. Alchimisti -
- Sett. Angels -

-I vostri effetti personali vi attendono negli alloggi privati- aggiunse anche, mentre le due Alchimiste donne alle sue spalle si sparpagliavano per l’infermeria aiutando gli Angeli a togliersi i tubicini di dosso.
Dopodiché, nel giro di pochi minuti, l’intera sala si svuotò dei suoi ospiti temporanei, che si riversarono nel corridoio al seguito di una terza donna. –Da questa parte, prego, seguitemi- aveva detto quella per attirare l’attenzione dei cadetti.
Il silenzio tornò a regnare. Il Dottor Ragland, che si accorse di me poco prima di voltare i tacchi e riuscire dalla sala, esitò nel gesto di avvicinarsi nella mia direzione. Forse mi aveva riconosciuta come alleata di Alex Mercer. Non c’era più nessuno in tutta la base che non avesse il mio nome sulla bocca per quello, ma io non potevo dire lo stesso di lui.
Larry Jefferson era stato un mio carissimo amico, nonché capo e direttore della sezione Alchimisti della nostra base dall’albore dei tempi. Ora al suo posto c’era un totale sconosciuto che mi squadrava dalla testa ai piedi, rimanendo a debita distanza.
Un’infermiera fece per muovere un passo verso di me, offrendosi di spiegarmi di nuovo che dovevo lasciare la sala, ma il dottore la richiamò bruscamente con l’ordine di starmi lontana.
La donna camminò sui propri passi e sparì assieme alla compagna nel corridoio.
Bradley indugiò ancora un istante su di me; poi annuì a se stesso, si voltò, uscì dall’infermeria e lo guardai allontanarsi nel corridoio attraverso il vetro del portellone a doppia anta, che si richiuse velocemente.

Una volta coi piedi per terra, saggiai il mio equilibrio sorprendendomi di essere perfettamente a posto almeno in quello. Andai verso la porta a vetri infondo all’infermeria e cercai di guardarvi attraverso, sbirciando nel corridoio, a caccia di un modo per uscire da lì.
-C’è nessuno?- gridai bussando col dito sul vetro. –Ehi! C’è nessuno?!- tentai ancora.
Ma il corridoio che guardavo era deserto, il silenzio assoluto ed io sembravo essere l’unica forma di vita per chilometri quadrati.
Lanciai un’occhiata all’aggeggio computerizzato con touch-screen che aveva usato l’Alchimista per disattivare il gas curante, ma compresi che per poterlo utilizzare era necessaria una password di 8 cifre da inserire assieme ad una chiave elettronica.
-Bella merda- sbuffai.
-Dovresti conoscere quella password-.
Al suono di quella voce sobbalzai e mi voltai.
Pochi metri separavano me e il mio superiore, immobile nel centro dell’infermeria a braccia conserte. Vestiva del suo solito smoking bianco, diventando un tutt’uno con le pareti, con il soffitto e, per via delle scarpe, anche col pavimento. I capelli d’argento stirati all’indietro, era senza occhiali, non avendone mai avuto bisogno, perciò i suoi occhi verdi, piccoli, penetranti come affilati stiletti medievali, mi facevano accapponare la pelle. Vederlo di nuovo così vicino a me dopo tutto quello che era successo e che avevo scoperto, mi lanciava continui brividi lungo la spina dorsale.
Lewis Martin Walker era stranamente solo. Mi aspettavo un ben più numeroso comitato di accoglienza, non so… magari qualcuno di armato in grado di difenderlo nel caso che gli fossi saltata al collo per strangolarlo.
Serrai i pugni lungo i fianchi. –Dovrei credere che le password di accesso alle sale sono rimaste le stesse?- formulai ilare.
-Non c’è mai stato bisogno di cambiarle- rispose Martin con naturalezza, sorridendo sfacciatamente.
-Cosa ci faccio qui?-.
-Nulla che non possa essere utile-.
-Per voi!- strillai.
-Per noi- mi corresse con prepotenza.
Tacqui. Che altro potevo fare? Se gli fossi davvero saltata al collo per ucciderlo, come i miei istinti più “umani” mi suggerivano di fare, sapevo che in un modo o nell’altro un magico folletto sarebbe comparso alle mie spalle e avrebbe attivato nuovamente il sistema di gas, immobilizzandomi come una mummia sepolta viva.
-In che lingua devo ripetertelo, stronzo?- digrignai sopraffatta dalla collera.
Lewis inarcò un sopracciglio. –Ti sembra il modo di rivolgersi a tuo zio, signorina?- si beffò.
La famosa goccia che fece traboccare il vaso…
Con uno scatto disumano, balzai nella sua direzione portando avanti il pugno chiuso; ma quando ordinai alle ali di uscire dalla mia schiena, compresi a mie spese che genere di gas era realmente in circolo nei miei polmoni.
Non comparve nessun folletto magico. Lewis si limitò semplicemente a schivarmi con velocità sorprendente. Dietro a dove una frazione di secondo prima c’era stato il suo solido incarnato, apparve un militare, piegato su un ginocchio, con un fucile da precisione che faceva invidia a Rambo. Era rimasto nascosto alle spalle di Lewis per tutto quel tempo, e ora la canna della sua arma puntava dritta verso di me. Sparò un colpo e mi prese nel centro esatto del petto.
Rantolai a terra come un cervo intercettato dal suo cacciatore durante la fuga. Mi scontrai con un lettino di metallo e il frastuono prodotto continuò a rimbombarmi nelle orecchie allungo. Riversa a pancia in su sul pavimento bianco, mi portai una mano al punto leso immaginando di poter sentire i tessuti della pelle ricrescere. Ciò, con mio grande stupore e sconforto, non accadde, e mentre Lewis mi veniva incontro a passi tranquilli e misurati, chinandosi alla mia altezza, i miei occhi si richiudevano lentamente, serrati da una forza, ma più che altro un dolore dovuto alla concezione, inarrestabile: avevo messo le mani nel mio stesso sangue.
-Ben tornata tra noi, Emily…- disse, accompagnato da una festosa risata.

   
 
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