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Autore: SummerRestlessness    10/05/2010    0 recensioni
Ti è mai successo qualche volta di stare "in the sky with diamonds" e di non voler scendere da lì, per nessun motivo?
Perchè poi, un motivo non c'è.
E' una SongFic molto breve, uno shottino di tequila ;)
Update: ho aggiunto un secondo "capitolo", quindi dopo la shot inizia una specie di ff vera e propria...!
Cosa succede quando due persone che hanno condiviso qualcosa si incontrano ancora dopo tanto tempo? Cosa avranno da dirsi?
Si possono portare indietro le lancette e ricominciare da capo?
Genere: Introspettivo, Slice of life, Song-fic | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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E noi qui ad illuderci di sedurre il tempo,
Ma come un onda che impazzisce e schiuma su uno scoglio,
Tu ti dileguerai.
[ Penelope , Linea 77]

 

Il suo sguardo vagò attorno alla sala colma di corpi sudati e ammassati e per un momento rimpianse di aver detto di sì ai suoi stupidi amici. Per un piccolo, minuscolo momento, pensò che avrebbe voluto essere a casa, steso nel suo letto a stringere il cuscino a fissare la tv accesa senza vederla davvero, per poi addormentarsi con gli occhi lucidi di lacrime che si era imposto di non versare. Rimpianse di essere emerso da quello stato di semi-incoscienza in cui aveva versato negli ultimi giorni (settimane? mesi?) solo per vedere questo. “Questo” era una massa informe di persone, accalcate davanti ad un ragazzo che stava su un palco e che faceva semplicemente girare dei dischi neri su un aggeggio, come se fosse un Dio. Come se far girare quei dischi fosse la cosa più importante del mondo, per lui e per loro.

Quando il disco smette di girare, siamo tutti morti.

Lui, a queste cazzate del dj che poi è un po’ un dio e che la musica è vita, ci aveva creduto davvero. Quando era un Dio. Ma poi si era reso conto, poche settimane (mesi? anni?) prima, che se non poteva avere lei, non voleva essere un Dio. Lei era la vita, la musica era solo un contorno. Che spesso, tra l’altro, parlava di lei.
E poi, ora vedeva tutto più chiaramente. Quei ragazzi sballati da chissà cosa che si muovevano a tempo, cercando di fermare il ritmo, di farlo proprio, cercando quel qualcosa di fermo, di saldo nell’inafferrabilità e ineffabilità della musica e forse della vita. Non sapevano che non era possibile farlo. Provò pena per loro, una pena che stringeva il cuore, visto che lui era stato uno di loro. Era stato il loro re. Il re degli sfigati. Ma da un po’ di mesi (anni? vite?) aveva capito tutto.
Era arrivata lei, la luce: bionda, chiara, solare. E gli aveva fatto capire cosa fosse in realtà la vita. Lei che era bella come una spiga di grano, calda come una spiaggia deserta, frizzante come la pioggia d’estate. Lei aveva spazzato via tutto e lui aveva capito quale fosse l’unica cosa che voleva dalla vita: lei.

Si guardò ancora intorno e lo scarto tra i suoi pensieri e la realtà che gli stava intorno lo colpì come un pugno nello stomaco. Aveva disperatamente bisogno di un drink, per tornare a vedere le cose con meno chiarezza: tutta quella lucidità iniziava ad essere insopportabile.
- Andiamo a bere qualcosa? – disse al suo migliore amico, avvicinandosi a lui per sovrastare la musica. Quello si girò e gli sorrise raggiante:
- Finalmente si ragiona!
Enrico era veramente un coglione di prima categoria. 
Nonché, a peggiorare la situazione, era il fratello maggiore di lei. Per fortuna, anche fisicamente, erano abbastanza diversi: la loro parentela si poteva indovinare solo dai loro capelli dorati. Ma, mentre lui era alto e scuro di carnagione, lei era sempre stata esile e pallida. Una ninfa, un essere mitologico. E per fortuna i suoi occhi castani non ricordavano minimamente quelli azzurri di lei.

Si diressero quindi verso il bancone del bar e ordinarono due GinLemon. Con il primo sorso andò giù quasi mezzo bicchiere. E pensare che il gin neanche gli piaceva.
Si appoggiarono entrambi ad una parete e continuarono a scrutare la folla, mentre gli altri amici si disperdevano, di sicuro per andare a cercare qualcuna che ci stesse. Enrico, il suo migliore amico, lui non aveva mai avuto problemi a trovare ragazze che ci stessero. Ma, di solito, erano loro che andavano da lui. Si era quindi accomodato, in una delle sue solite pose studiatamente strafottenti, con un ginocchio alzato e il piede appoggiato al muro. Gli venne da ridere, a vederlo così, ma sapeva che l’effetto che faceva sulle donzelle con il suo atteggiamento era formidabile, quindi si contenne e continuò a scrutare la gente, senza dar segno di volervisi mischiare.

 

 

 


Poi la vide. Nel flashare continuo delle luci intermittenti, il suo sguardo venne calamitato da una ragazza, attorno alla quale sembrava esserci un alone scuro che teneva tutti gli altri a distanza. Ballava da sola, ma non era un modo di dire: dai suoi movimenti, lenti e sinuosi, e dai suoi occhi che teneva chiusi, lui capì che ballava solo per sè stessa. Non come tutte quelle ragazze che si muovevano con il preciso scopo di risultare sensuali e riuscivano solo a sembrare volgari, perlomeno ai suoi occhi. Lei si lasciava cullare, non da quella musica che poi in fondo musica non era, ma da una melodia che tutti gli altri non sentivano, che stava in fondo a quel rumore e che tuttavia si abbinava così bene ad esso che sembrava quasi andarci d’accordo.

I capelli scuri le coprivano un po’ il volto e poi scivolavano sulle spalle in punte lisce e disordinate fino a metà della sua schiena scoperta. Le caviglie sottili erano fasciate da strisce di raso rosa che arrivavano fino ai piedi, in un paio di sandali con un tacco vertiginoso. Il suo vestito nero era piuttosto corto e le lasciava scoperta una spalla chiara, mentre si abbandonava lascivo sull’altra. Non era casto, certo, ma non aveva niente a che vedere con i mini-vestiti che portavano la maggiorparte delle ragazze lì dentro, per cui nulla era lasciato all’immaginazione, nemmeno il colore delle mutandine. Sempre se le portavano.

Lei era diversa, lo si vedeva da tutto: da come era vestita fino a come si muoveva.

Aprì gli occhi pesantemente contornati con due righe imprecise di eyeliner nero e guardò intensamente tutto ciò che le stava intorno, come speranzosa di trovare qualcosa. Ma dopo aver osservato per un attimo tutti quegli occhi famelici puntati su di lei, buttò la testa all’indietro scoprendo il collo esile e chiaro e li richiuse.

Lui era come incantato. Quell’effetto, nella sua vita, gliel’aveva fatto una sola persona e non capì come potesse essersene dimenticato. Nell’esatto momento in cui stava pensando che quella non poteva essere proprio lei, una voce frantumò i suoi pensieri:
- Henry?!?
Prima, ancora di guardare chi fosse la proprietaria di quella voce squillante, capì chi si sarebbe trovato davanti. Perchè al mondo c’era solo una persona, o forse due, che chiamavano così Enrico.
- Oddio... Rosie?? – esclamò infatti quello, sorpreso. Poi, prese a baciare la ragazza sulle guance con foga, mentre lui non aveva ancora avuto il coraggio di rialzare lo sguardo per sincerarsi che effettivamente le sue supposizioni (paure? speranze?) fossero corrette.
Non ebbe in effetti il tempo di riflettere troppo, perchè la ragazza lo guardò per qualche istante e poi pronunciò il suo nome con la stessa enfasi di poco prima e poi prese a baciare anche lui. Finalmente la guardò negli occhi e rivide il sorriso raggiante di sempre fisso su di lui. Lei sembrò per un attimo stranita dal suo comportamento, ma subito si rivolse ad Enrico:
- Cosa ci fate qui?
- Tu, piuttosto, cosa ci fai qui! – rispose lui dandole una gomitata e risero entrambi, insieme. Lui continuava a guardarli come se provenisse da un altro pianeta e non stesse aspettando altro che tornare là. Poi Enrico gli rivolse uno sguardo preoccupato e chiese a Rosie: - Sei da sola?!?
Lei gli riservò lo stesso sguardo pieno di compassione (aveva qualcosa di strano in faccia?, pensò lui) e poi rispose: - No. Ehm... sono con lei.

Negli ultimi tempi, la parola “lei” aveva avuto per lui un solo significato. Era stata densa di un significato struggente, malinconico, quasi insopportabile. Sentirla pronunciare ora, con tanta leggerezza, rivolta ad un’altra persona, ad un’altra “lei”, lo destabilizzò. Fece una smorfia e togliendo la cannuccia dal suo bicchiere, lo svuotò appoggiando le labbra direttamente sul vetro freddo del contenitore. I due davanti a lui si sorrisero complici e a lui venne voglia di mandare tutti a quel paese e di andarsene di lì. Ma che avevano? Poi Enrico peggiorò la situazione:
- Ma dov’è? Sarebbe carino parlarle...
Solita occhiata maliziosa a lui. Carino? Ma la voleva smettere? Lui era appena stato mollato dalla sua ragazza, dalla sua bellissima e perfettissima ragazza, non aveva certo bisogno di altri scombussolamenti nella sua vita. Tantomeno di colei che si era appena appropriata di quella parola che non era sua, “lei”. La odiò, per un attimo, ma poi la vide, di nuovo.







N.D.Summer

Lui e lei (a dire il vero "lei 2.0" :P) non hanno nomi, perchè nella realtà hanno dei nomi fin troppo precisi... Non che i fatti raccontati qui siano mai accaduti, non che vorrei che accadessero; tutto questo è solo frutto della mia immaginazione malata :P Comunque magari più avanti darò anche nomi a queste mie creaturine... Si accettano consigli, perchè devo sceglierli proprio random, per non incappare nei soliti o in alcuni che sarebbero troppo espliciti... -.-

Tra le altre cose questa doveva essere una oneshot (vedi il primo capitolo), ma oggi mi è venuta in mente questa pseudo-continuazione, così l'ho postata... Spero piaccia a qualcuno! Tra l'altro, ringrazio Human_ per il suo commento (Grazie mille per i complimenti *_* Se mi dici anche che il tuo nick è un tributo ai The Killers e sarò tua fan per sempre!!!) e anche tutti quelli che hanno letto o leggeranno... Baci!!!

   
 
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