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Autore: Thyamat    13/05/2010    1 recensioni
E se una persona qualsiasi riuscisse ad accedere, in maniera apparentemente inspiegabile, nel mondo di Kingdom Hearts? Ammetto che sarà una storia abbastanza lunga, non fatta per coloro che si stufano abbastanza presto... I capitoli sono ancora in prosecuzione, e essendo pure sommersa dagli esami, avrò un ulteriore rallentamento... Chiedo venia in anticipo... Questa non è la mia prima Fan's Fiction: ne ho scritte alcune altre, ma per ora mi sento di postare solamente questa. Suppongo che, a primo impatto, vi sembrerà infantile, forse noiosa: in effetti, l'inizio lo è, ma la storia maturerà di capitolo in capitolo, promesso! ^^ Vi auguro buona lettura, e spero che seguirete anche i prossimi capitoli!
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro Personaggio, Riku
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LEGACY_OF_NOBODIES Eccoci... E' il mio primo lavoro che pubblico su EFP, e devo ammettere che questa Fan's Fiction è forse una delle più difficili che io abbia mai deciso di intraprendere, dato che sto cercando di inserire tematiche abbastanza mature in videogioco non tropppo profondo XD
Ma si sa, quando non ci pensano gli autori stessi, provvedono i fans...
Chiedo perdono a chi è fan integralista di KH: alcune cose (non quelle fondamentali, sia chiaro! ^^) le ho modificate, più per capriccio che per altro...
Scusate il titolo di poca fantasia, ma non ne ho trovato uno più adatto...
Questo racconto, comunque, NON tratta di avventure dell'Organizzazione: si parte da quando l'Organizzazione è stata oramai sconfitta, e non introduce alcuna ipotetica nuova Organizzazzione. Il titolo non è stato affatto però messo a caso: proseguendo con la lettura, comprenderete il perché.
Mi dispiace per chi ha sperato in una nuova Organizzazzione, magari, ma per questo ho un altro progetto in cantiere! XD
Per ora, accontentatevi di questo racconto, certamente un po' lungo e sotto l'aspetto di "mattone", ma confido in quelle due o tre buon'anime che si prenderanno la briga di seguirla...
Vi ringrazio in anticipo, e spero con tutto il cuore che vi piaccia (o, perlomeno, che vi sia sopportabile... >_>u)!

Capitolo IBalzo oltre la linea di confine


Il vento soffiava piuttosto forte ed il cielo era di un grigio incredibilmente uggioso, quel giorno: ricordo che avevo addirittura sollevato la sciarpa fin quasi alle orecchie; ero davvero ridicola, ma avevo un freddo incredibile. Non l’ho mai sopportato il freddo.
Eravamo in ottobre, lo ricordo bene: nella mia città era difficile che il gelo dell’inverno bussasse già alla porta per tale periodo, ma capitavano i giorni di tempo pazzo. Credo fosse uno di quelli, anche se non è di certo la cosa più strana di cui ho intenzione di scrivere ora a voi.
Mi affrettai lungo la solita, stretta stradina che conduceva a casa mia: un condominio di quattro piani, semplicemente insignificante e piuttosto bruttino, nonostante fosse stato costruito da poco, situato in un quartiere abitato da anziani e da famiglie i cui figli erano ovviamente di molto più piccoli di me. Questo significava, ovviamente, un semi-isolamento da miei possibili coetanei…
Da quando io e mio padre avevamo traslocato, circa quando avevo sei anni, non avevo più avuto la possibilità di giocare in cortile, proprio a causa dell’assenza di altri bambini, e poi per l’eccessivo attaccamento di mio padre. Difatti, non avevo tanti amici: i pochi che avevo, li vedevo quasi esclusivamente a scuola, uscivo piuttosto raramente di casa per girare con loro per il centro della città. Stavo sempre chiusa in casa, a lavorare al pc: la programmazione era la mia passione, difatti frequentavo un liceo ad indirizzo scientifico tecnologico.
Per quel freddo pomeriggio, solo i miei compagni più temerari si sarebbero avventurati per un’uscita di gruppo; la maggior parte, però, optò per il restarsene comodamente nel tepore di casa propria. Io sarei rimasta a casa in ogni caso, anche se fosse loro venuto in mente di invitarmi caritatevolmente a uscire con loro.
Oltrepassai il cortile rapidamente, gettando un’occhiata fugace sulla chioma ingiallita e frusciante della vecchia betulla al centro del cortile. Udii un debole picchiettio oltre al soffio del vento tra le sue foglie: iniziava pure a piovigginare.
-Un altro inverno si avvicina. Che scatole, lo odio- pensai, davvero seccata.
Raggiunsi il portone blu del mio condominio, che dava proprio davanti alla betulla a circa una quindicina di metri di distanza; recuperai la chiave dal fondo della tasca della giacca, ed aprii. Entrai nel ballatoio e mi affrettai verso la porta del mio appartamento, che era in concreto sulla parete destra, subito dopo l’entrata del condominio. Aprii la porta, senza far caso all’unico giro di chiave che dovetti fare.
Entrai nell’ingresso, levandomi lo zaino dalle spalle, dopodiché spostai con il piede la porta affinché si chiudesse; la porta della mia stanza era subito sulla parete di fronte, un poco a sinistra. Feci appena in tempo due passi in direzione d’essa: “Tesoro, il pranzo è pronto,” mi avvisò una voce maschile, pacata e assente, quasi come se fosse un pensiero espresso ad alta voce; proveniva sicuramente dalla cucina.
Sobbalzai per lo spavento: “Ma… sei già a casa, papà?” gli chiesi, sorpresa; era l’unico giorno in cui normalmente non tornava a casa per pranzare.
“Sì, oggi mi han dato solo mezza giornata” rispose quasi distrattamente, “Vieni a mangiare?”
Mugolai mestamente e sofferentemente: -Devo proprio?- piagnucolai tra me e me, per nulla impaziente; elaborai immediatamente una scusa: “Sì, solo un minuto, devo finire un lavoro al computer. Questione di un attimo” dissi, ed entrai a grandi falcate nella mia camera con una certa angoscia, sorreggendo lo zaino per le spalline.
“Come vuoi. Mi raccomando” affermò solamente; nella sua voce il calore era assente come di solito, anche nell’affermazione umanamente più apprensiva.
Sospirai, sollevata: l’avevo scampata, almeno per quel momento. Aprii ed accesi il mio portatile, con molta dimestichezza, ed attesi che caricasse. Buttai intanto lo zaino sul mio letto, con fare un po’ stanco, dopodiché mi tolsi la giacca e la sciarpa e gettai pure quelle fiaccamente sopra lo zaino. Gettai distrattamente un’occhiata fuori dalla finestra, e intravidi dalle tende bianche, oltre che a sentirla, che la pioggia si era fatta più intensa, e che il cielo si era oscurato ancora di più.
-Tsk. Un altro temporale. Oggi si gelerà sul serio, insomma,- mi lamentai, seccata.
Mi rivolsi nuovamente verso il mio pc, ma notai che stranamente impiegava molto a caricare…
“Papà, hai usato il computer, per caso?” gli chiesi, sospettosa e un po’ preoccupata: mio padre non era mai andato molto d’accordo con la tecnologia, sperai che non me l’avesse impallato un’altra volta. Nell’ultimo mese, non avevo ancora fatto il backup dei dati, né salvato sul disco esterno tutti i programmi che avevo compilato.
“Sì” annuì soltanto.
“È lento… Sicuro di non aver fatto nulla di strano?” mi sorse il dubbio.
“No. Ci ho lavorato normalmente e l’ho spento normalmente” rispose, con un tono che mi parve quello di una persona piuttosto stanca.
Vagai un istante con lo sguardo sulla scrivania, e notai la custodia aperta di un gioco per Playstation 2 posata sul fronte di copertina, sopra la stampante. La presi la rivoltai: era Kingdom Hearts II. Ne esaminai l’interno, e vidi che il disco non c’era.
“Papà, dove hai messo il disco di Kingdom Hearts II?” gli domandai, avendo ora la conferma: con tutta probabilità, era stato lui, era da un po’ che non ci giocavo, ed avevo la certezza di averlo riposto nella sua custodia.
“Che disco?” mi chiese, non avendo minimamente capito di che cosa stessi parlando, e forse nemmeno sentita.
“Il gioco, quello con Pippo e Paperino,” cercai di farmi intendere.
“Ah. Non è un film?” quasi esclamò, facendosi un poco sorpreso.
“No, è un videogioco. Dov’è ora?” insistei, immaginandomi già la possibile risposta.
“Oh. Ho provato a guardarlo nel portatile” mi comunicò, e ciò confermò il mio timore.
“L’hai lasciato all’internodel computer?” domandai, mentre la pelle mi si stava pian piano accapponando sempre più, e una sensazione di gelo iniziava, lenta e inesorabile, a percorrermi il corpo intero dal capo alle membra: -OddioddioddioorasiimpallaeperdosiailpccheildiscoODDIODDIODDIOILGIOCONONVOGLIONEMMENOPENSARLO!!!!- iniziai a disperarmi per davvero, mettendomi le mani tra i capelli: il portatile era un po’ vecchiotto, e l’ultima volta che avevo masterizzato un disco e l’avevo provato, la lente non riusciva a leggerlo, ma invece che dichiararlo subito illeggibile o quant’altro, aveva insistito con la lettura finché il laser non aveva bruciato il disco…
Ed io non volevo assolutamente che accadesse la stessa cosa a KH2: ci ero molto affezionata, inoltre nella mia città cominciava a farsi una certa fatica a trovarlo, già ad un anno dall’uscita…
“Sì, mi sembra di sì” rispose poco convinto ed imperturbabile…
Cliccai angosciata il pulsante per l’apertura dello scomparto dvd: -AVANTITIPREGOTIPREGOTIPREGOAPRITIAPRITITISCONGIURO-, ma per quanto insistessi e supplicassi, non esso non volle saperne di uscire…
Iniziai a temere il peggio: finché non sentivo il fetore di plastica bruciata, potevo ancora fare qualcosa, ma non sarebbe durato a lungo quel lasso di tempo, dovevo fare in fretta.
Intanto, notai tra i tormenti vari che il pc chiedeva la password dell’utente; cambiai user ed inserii il mio nome, dopodiché digitai febbrilmente la mia password. Il sistema ci impiegò un po’, ma alla fine riuscì a caricare.
-Bene, almeno si accende ancora. Che fare, ora?!- mi chiesi, in preda al panico; tentai dalle risorse del computer, ma il sistema mi segnalò errore…
Inspirai profondamente, nel tentativo di calmarmi e di ragionare più lucidamente: -Avanti, sei dello Scientifico-Tecnologico!! Sei in quinta ormai, fagli vedere di che pasta sei fatta, su!!- cercai di spronarmi a non gettare la spugna subito.
Mi sedei sulla sedia ed aprii immediatamente il programma per la creazione di software in C++. Iniziai a digitare tasti come se in preda al delirio: le mie mani si muovevano velocissime, in meno di un minuto avevo già riempito mezza pagina di codici e istruzioni. Nel giro di un’altra piccola manciata di minuti, avevo preparato il programma e l’avevo salvato subito in una cartella nuova.
“Finito…” mormorai, incerta; l’avevo compilato interamente senza usare il debugger, per cui avevo qualche dubbio che un programmino del genere funzionasse: era la prima volta che cercavo di far funzionare una parte del computer come il lettore cd/dvd dal terminale…
Sospirai, non sentendomi molto convinta di quello che stavo facendo; compii un ultimo tentativo dalle risorse: nulla. Premei nuovamente il tasto del lettore: ancora nulla. Deglutii, augurandomi di non combinare un disastro peggiore: aprii il terminale.
Il cursore scorse rapidamente sulla pagina, tracciando il path; controllai che fosse il mio: “Sì, indica il mio username e la mia attuale posizione… Fin qui, non si blocca… Iniziamo,” affermai, certa della diagnosi.
Richiamai il file, e ne creai l’eseguibile per farlo funzionare. Richiamai l’eseguibile, e lì mi bloccai: il mio dito esitò a lungo sul pulsante d’invio.
-Porca miseria, e se gli ordino qualcosa di sbagliato? E se finisco di bruciarlo io? Forse, se aspetto, lo sportello si apre da solo…- iniziai a riflettere, serbando molta perplessità; ero molto brava in programmazione, certo, ma avevo quasi sempre compilato files che essenzialmente elaboravano matematicamente dati inseriti dall’utente (ovvero, conteggio di vocali o consonanti di parole inserite nel terminale, operazioni e funzioni algebriche su numeri scelti a piacere, eccetera), non potevo avere alcuna certezza che funzionasse…
Intanto, però, udii la ventola del pc attivarsi, nonostante non ci fosse ancora nessun tipo di programma in fase di esecuzione…
“Oh, maledizione!! VAI!!” proruppi, spazientita e furibonda: niente mi assicurava che la ventola stesse girando perché le andava, il mio computer la attivava solo quando era collegato ad internet già da un quarto d’ora almeno, oppure se avevo come minimo cinque o sei programmi diversi aperti contemporaneamente, o ancora se avevo avviato un fil eseguibile di C++ particolarmente pesante.
Premetti invio.
Il terminale iniziò a compilare e a stampare i risultati sullo schermo; non compresi nemmeno io cosa esattamente gli avessi ordinato di visualizzare, però vidi che continuava a eseguire senza dare errore.
Ad un certo punto, lo vidi bloccarsi.
“Noooo, non funziona!!” inveii, mentre le lacrime colmavano i miei occhi e la gola pungeva dolorosamente.
Non feci in tempo a disperarmi, che vidi il terminale iniziare ad aprire programmi alla rinfusa…
“Ma che diavolo…?! Si sta impallando!!” esclamai, mentre il gelo mi attanagliava il cervello: avevo combinato un caos assurdo con quel dannato programma in C++…
Cercai inizialmente di chiuderli tutti manualmente, ma essi si continuavano a riaprire…
“Ma non dovrebbero bloccarsi tutti in automatico?! La ram e la percentuale di memoria dell’hard disk dedicata non dovrebbero esser piene?!” diedi infine in escandescenze, tra rabbia e terrore: non me ne sarei mai potuta permettermi un altro pc con l’esiguo stipendio di mio padre, inoltre avevo un sacco di materiale importantissimo salvato all’interno…
Vedevo finestre aprirsi in un numero che mi parve esponenziale, senza che il computer si bloccasse. Provai allora con la combinazione di tasti veloci, cercai con molta difficoltà di arrivare alla barra degli strumenti e spegnere tramite l’apposita opzione, ma fu tutto inutile: nel primo caso, non accadeva nulla, nel secondo invece mi segnalava che non era possibile la chiusura della sessione.
“Te la faccio vedere io, adesso!” esclamai, adirata: aprii il primo cassetto della scrivania ed estrassi un cacciavite. Lo infilai in una fessura del lettore e forzai, ma quello non volle sentirne di aprirsi.
Dopo quel tentativo, il pc sembrò fermarsi con l’apertura di finestre; mantenendo il cacciavite infilato nella fessura, osservai interdetta lo schermo lcd del portatile: notai che aveva aperto anche programmi che non appartenevano al mio pc, ma avendo estensione meta o simili, pensai che dovesse aver tentato di aprire pure quelli del videogioco.
V’era però una finestra al centro, piuttosto singolare. Ciò che era riportato sull’intestazione, era:

= ♠ i3W0)73M =

Fissai a lungo quella finestra, la cui cornice era color grigio argento anziché del colore da me impostato, ossia nero, e il cui folder era invece nero… Anzi… buio…
Ma non rimase così a lungo: il nero si fece meno intenso, come se si stesse accendendo una luce
(o ci si stesse avvicinando a qualcosa)
mostrando una… massa gassosa violacea in movimento… Quasi una buffa, insolita nuvolona temporalesca che copriva dispettosamente tutto il folder della finestra, se solo la situazione non me la facesse sembrare invece piuttosto inquietante…
Quando la vidi poi ritirarsi come l’iride di un occhio al quale è stata accesa d’improvviso la luce,fino a svanire e lasciando spazio nuovamente al campo buio, balzai in piedi dallo sgomento, facendo schiantare sonoramente al suolo la sedia.
“ODDIO, MA CHE È?!?!” esclamai, credendo di avere le allucinazioni peggiori di tutta la mia vita.
Intuii immediatamente che stava accadendo qualcosa che decisamente non andava
(di anormale)
e presi la decisione più razionale che si potesse avere in un momento del genere: allungai la mano verso il tasto di spegnimento del computer.
Sfiorai la superficie del pulsante: era quasi fatta!
Un’intensa luce però balenò dall’interno della finestra madreperla: era un lampo, che saettò verso di me e m’investì in pieno, prima che potessi fare pressione sul tasto.
Udii un suono lacerante e potente, e il dolore che pervase l’intero mio corpo per la percossa del tuono che mi aveva colpito mi fece pensare sul serio, per quel brevissimo istante in cui ero ancora cosciente, che fossi stata strappata in due…
Dopodiché, non avvertii, non udii, non vidi, non pensai; fu il nulla.
  
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