Questa O.S. È stata scritta per il concorso di DreamWriters!
In base ad una foto ispiratrice (http://it.tinypic.com/r/24nqyl1/5)
Ringrazio tutti quelli che l'hanno votata!!! Ha vinto il best OS, il best SCENE e il best END!!!
GRAZIEEEEEE!!!!!
Lo
ammetto. Ti avevo già
notato per i corridoi della scuola. Ricordo anche quando. Stavo sulla
scala antincendio, dove ci si trovava di nascosto dagli insegnanti
per fumare. Ero appoggiata alla ringhiera con la sigaretta alla
bocca, era primavera, l'aria era fredda e si stava bene solo al
sole. Parlavo della lezione appena finita con alcuni compagni. Poi
sei uscito anche tu. Un perfetto sconosciuto mentre noi tutti ci
conoscevamo. Probabilmente eri un nuovo studente. Ti sei messo al
sole. Indossavi dei Jeans sgualciti, stretti alla caviglia ed una
maglietta di cotone verde militare leggera. Anche se era primavera mi
sembrava strano vedere qualcuno in maniche corte.
La tua pelle era così
bianca, trasparente e perfetta. Riuscivo a vedere la ragnatela di
vene sotto di essa.
La tua figura slanciata e
asciutta.
Quegli occhi blu tendenti
al grigio.
Le ciglia lunghe e folte.
I capelli castani e
setosi.
I lineamenti dolci del tuo
viso.
Quelle labbra sottili che
nascondevano dei denti bianchi e perfetti.
È bastato uno
sguardo per farmi impazzire.
Ho pensato subito che
sembravi una creatura fatata. Fatta di ghiaccio.
Volevo che mi guardassi ma
non lo facevi mai. Fissavi il vuoto facendo uscire dalla bocca il
fumo denso.
Ho cercato di attirare la
tua attenzione parlando di cagate. Volevo farti notare quanto ero
simpatica, fuori dagli schemi, quanto fossi sempre al centro
dell'attenzione. Non funzionava.
Con la coda tra le gambe
sono tornata in aula. Decisi di dimenticarmi di te e di lasciarti
perdere. Non avevo intenzione di fissarmi su qualcuno che non mi
prendeva in considerazione.
Continuavo
a vederti a
scuola e in mensa, ma non ti cagavo.
Eppure cominciavo a
provare una sorta di paura nei tuoi confronti.
Un giorno ti ho sentito
parlare con un tuo amico ed un ragazzo appena conosciuto. Strano. Non
si capiva quando scherzavi e quando aggredivi veramente. Non si
capiva che posizione prendevi nella vita. Non si capiva se fingevi di
fregartene o te ne fregavi davvero.
Cominciai a trovarti
antipatico anche se non ti avevo mai parlato.
Mi convincevo del fatto
che probabilmente eri un superficiale, ebete, con la puzza sotto al
naso. Non ti calcolavo quando mi passi vicino. Evitavo di parlare
quando ti avevo intorno, non volevo essere giudicata da te. Sicura
del fatto che mi avresti giudicata male per i tuoi standard. Non sono
mai stata un'anticonformista ma avevo le mie idee. Ed ero quasi
sicura che fossero incompatibili con il tuo mondo.
Forse mi ricordavi uno di
quei bei ragazzi che alle medie guardavo da lontano, uno di quelli
che non mi azzardavo ad avvicinare. Uno di quelli fuori dalla mia
portata. A 12 anni ero una ragazzina timida e complessata, ma a 16
ero un'altra persona. Avevo ucciso il mio passato. A 16 anni sentivo
di valere e di piacere. La tua presenza mi faceva regredire. Per
questo ti odiavo. Ti evitavo.
Il
tempo passava e tu, ai
miei occhi, eri solo una muta presenza all'interno dell'edificio
scolastico. Per me non esistevi proprio, come io non esistevo per
te.
Eri il classico bel
ragazzo. Quello che tutte desideravano. Tranne me.
Non ti volevo perchè
tu non mi volevi.
Anch'io ero considerata
una bella ragazza, ma non ero una di quelle reginette del ballo che
interessavano a te. Anche perchè, diciamocelo, ho sempre
considerato i concorsi di bellezza al pari di mostre canine. Non ho
mai voluto averci a che fare.
Un mio amico diceva sempre
che se il cervello delle ragazze della mia età, poteva
essere
paragonato ad un algoritmo che da un input generava un output, il mio
era un algoritmo che da un output generava un input. In pratica io e
le mie coetanee viaggiavamo su frequenze opposte.
Passavo
i miei pomeriggi a
scuola. Ero iscritta al “club dei matematici”, ma
questo non mi
faceva etichettare come una secchiona agli occhi degli amici. Ero
considerata tutt'altro che sfigata. A guardami, nessuno avrebbe
potuto pensare che ero una specie di mostro matematico.
Uscivo con dei ragazzi,
bei ragazzi. Mi divertivo.
Fumavo durante le ore
scolastiche e nel fine settimana bevevo birra di straforo.
Ce la comprava il fratello
maggiorenne di Jhonny in un mini market aperto 24 su 24.
Insomma, non ero la
classica bella ragazzina, brava e diligente nello studio. Studiavo
perchè mi piaceva. Perchè ero curiosa.
Perchè
cercavo delle risposte alle mille domande che mi facevo e mi faccio
ogni giorno.
La matematica era il mio
“passatempo”. Mi ero iscritta al club,
perchè per me
risolvere problemi matematici, era l'equivalente del fare la
settimana enigmistica. Inoltre non volevo sudare in qualche club
sportivo, con tutte le sigarette che fumavo, il fiato mi mancava.
Ricordo
una sera. Quella
sera in cui mi hai salutata per la prima volta.
Ero con Jhonny, Mike e
Bobby nel parcheggio vuoto dietro la palestra. Ci divertivamo come
dei dannati a fare le gare di velocità con i carrelli della
spesa che avevamo preso nel supermarket vicino. Jhonny aveva portato
qualche birra e Bobby aveva fregato a suo fratello del fumo. Ci
stavamo divertendo. Io me ne stavo appollaiata dentro al carrello che
spingeva Bobby. Tracannavo la mia birra guardando le stelle che
scorrevano sopra la mia testa, mentre Bobby mi spingeva con forza per
farmi prendere velocità.
Ad un tratto Bobby
inchioda il carrello. Per poco non mi strozzavo con la birra. Tu e
tuo fratello ci stavate passando davanti, perpendicolarmente rispetto
alla nostra direzione. Bobby temeva potesse essere qualcuno che ci
avrebbe denunciati. Minori che bevono, fumano e rubano carrelli.
Sarebbe stato un bel guaio.
Quella fu la prima volta
che provai sollievo nel constatare che si trattava di te.
Ti sei girato verso di me.
I tuoi occhi erano chiari anche al buio. Lo scintillio dei tuoi denti
mi ha fatto intuire che stavi sorridendo e poi mi hai salutata.
“Buonasera Gray...”.
“Buonasera...”,
risposi con un filo di voce abbassando lo sguardo sulla bottiglia che
tenevo in mano.
Mi stavo odiando.
“Ma li conosci?”, mi
chiese Bobby.
“No... non c'ho mai
parlato... ma sono della nostra scuola...”
“Lo so! Sono i due Leto!
Ho sentito che il più giovane ha recitato in tv o ha fatto
il
modello per qualcosa...”
“Ah... sì? Buon
per lui...”
“Comunque Leto Jr. si
ricorda di te...”, mi disse Mike sornione.
“Wow! Secondo te devo
strapparmi i capelli dalla gioia??”, risposi con noncuranza
mischiata ad ironia. In realtà cercavo di rallentare i
battiti
del mio cuore. Non capivo che mi stava prendendo. Avevo la
tachicardia?
A
volte noi del club di
matematica, ci fermavamo a scola non solo per le attività
del
club, ma anche per aiutare altri studenti con i compiti di
matematica. Io non lo facevo quasi mai gratis.
Solo gli sfigati che
speravano di conquistare la studentessa a cui facevano da tutor lo
facevano. Alla fine si ritrovavano sfruttati e presi per il culo.
Quel pomeriggio mi ero
fermata per aiutare Ally. Lei era la classica reginetta del ballo,
solo meno stronza. Comunque non mi era antipatica. Sapevo che non era
ricca di famiglia e non era neanche una a cui faceva piacere farsi
sbavare addosso, quindi non avrebbe mai cercato di corrompere con
delle moine, qualche studente bravo in matematica perchè le
desse delle ripetizioni. Questo me la fece apprezzare e decisi che le
avrei dato una mano io, gratis.
Non era una stupida,
quindi contavo sul fatto che sarebbero bastate poche lezioni.
Per Ally la prima lezione
fu pesante. Le mancavano le basi. Prima di tornare a casa ci fermammo
nella famosa scala antincendio a fumare. O meglio, io fumavo, Ally mi
teneva compagnia.
“Ahh... non ce la farò
mai ad imparare tutto per l'esame di metà
trimestre...”, si
lamentava.
Io la guardavo arruffarsi
i bei capelli biondi.
“Stai tranquilla... Se
parti con quest'idea non ce la farai mai... devi pensare positivo.
Convincerti di farcela e perseverare. Se lo desideri con tutte le tue
forze non puoi fallire... io credo che tutti possano fare tutto...
basta volerlo...”, le dissi tra una boccata e l'altra.
“Ecco questa è
una cazzata!”, una voce che conoscevo, si intromise nella
nostra
conversazione, una voce bassa, seducente. Una voce che mi sembrava
fatta di panna. Era lui.
Non mi ero accorta della
sua presenza.
“Come scusa?”, gli
chiesi bloccandomi e smettendo di sorridere ad Ally.
“Dico che questa storia,
che tutti possono fare tutto è una cazzata... non
è
possibile... e non basta perseverare... c'è chi è
portato per una cosa e chi per un'altra...”, non mi guardava
mentre
parlava.
Non dissi nulla. Lasciai
che fosse Ally a prendere la parola.
Cominciarono una
discussione su questo argomento. Lei cercava di spiegare le sue idee
ma lui smontava ogni sua tesi. In quel momento cominciai a pensare
che dovevo intervenire. Lui era affascinante e di solito non demolivo
psicologicamente un ragazzo affascinante. Ho imparato che gli uomini
non sono attratti dalle donne che ne sanno più di loro e che
li umiliano. Ormai ero apatica a riguardo. Me ne fregai. Me ne fregai
di quello che avrebbe potuto pensare di me. Me ne fregai di potergli
stare sulle palle. Tanto ormai avevo capito come funzionava. Non era
lì per attaccare bottone con me. Ma con lei. Lei era molto
bella, io ero solo carina. Lei era la reginetta, io ero la bella
ragazzina della porta accanto. Non avevo più paura di
rispondergli a tono. Tanto continuavo a pensare che io non gli
interessavo.
“Scusa ma cosa stai
dicendo?”, gli chiesi.
“Dico solo che per
esempio... non ce lo vedo quel ragazzino lì in fondo a fare
body building!”, indicava un ragazzino nel cortile, magro
come uno
spillo e con spessi occhiali a “fondo di bottiglia”.
“Certo... posso
capire... Senti Leto... a che club sei iscritto?”
“Al circolo
artistico...”
“Bello! Eppure hai la
mente così ottusa...”
“Cos...”, non gli
lasciai finire la frase, la sua faccia indignata mi provocava ancora
di più.
“Secondo te che club
frequento io?”
“Ma che ne so... sei
nell'organizzazione del ballo? Non mi sembra di averti vista tra le
cheerleaders... anche se con il tuo fisico potresti esserlo... ma no!
Fumi come una ciminiera e bevi... forse sei negli alcolisti
anonimi??”, mi guardava con un sorrisetto di sfida. A quel
punto cominciai a ridere.
“Divertente... forse un
giorno mi ci iscriverò! Ma per il momento sono nel club
matematico!”
La sua faccia alla mia
uscita era impagabile.
Mi guardava come se fossi
un aliena.
Era risaputo che chi era
iscritto al club matematico probabilmente era un povero sfigato con
un quoziente intellettivo smisurato. Partecipavamo a gare matematiche
a livello nazionale e la nostra scuola era sempre tra le prime
classificate.
Ripresi la parola.
“Direi che è
sbagliato giudicare dalle apparenze... magari tra qualche anno quel
ragazzino ce lo troviamo pompato in qualche rivista...
quindi...”,
mi rivolsi ad Ally che rossa in viso mi guardava con ammirazione,
“... Ally non ti preoccupare di puntare troppo in
alto!”
In realtà io stessa
ero la prima a mettermi delle barriere. Specialmente riguardo lui. Il
nuovo arrivato, il ragazzo bellissimo dagli occhi magnetici e quindi
terrificanti. Probabilmente il futuro re del ballo. Detestavo il
fatto che la sua persona demoliva le mie tesi. Ma questo non lo
poteva sapere.
Qualche
giorno dopo, me ne
stavo in aula durante la soporifera lezione di un insegnante che
ormai odiava il proprio mestiere. Non spiegava, si limitava a
leggere. Personalmente se devo leggere preferisco farlo da me. Quindi
sgattaiolai fuori dall'aula per andare a fumare e beccare Jhonny
sulla scala antincendio.
Fuori dalla porta mi si
bloccò il fiato. Appoggiato agli armadietti di fronte c'era
lui. Leto Jr.
Quando mi vide mi sorrise.
“Ciao...”.
“Ciao...”, risposi.
Lo vedo portarsi una mano
tra i capelli sulla nuca.
“Sapevo che non saresti
resistita un minuto di più alla lezione di Smith...
così
ti ho anticipata!”
“Ah...
perchè?”,
avevo il terrore che potesse sentire il mio cuore battere.
“Ehi... sei libera
questo week end?”, mi chiese.
In quei pochi secondi che
anticipavano la mia risposta, il mio cervello formulava ad una
velocità impressionante una miriade di ipotesi.
La voglia di sorridere e
dirgli “si!”.
L'inquietudine di una
domanda “Perchè??”
La pateticità di un
“Davvero vuoi uscire con me??”
Decisi di rispondere con
la mia solita ironia.
“Vuoi sapere se la
polizia mi trova a casa quando me la manderai per arrestarmi per
abuso di alcolici e fumo?”, l'avevo fregato, probabilmente
voleva
prendermi in giro. Non ero caduta nel suo scherzo.
Lui si mise a ridere:
“...Ma no! Voglio farti
vedere un posto speciale... e vorrei parlare con te!”. A quel
punto
mi aveva spiazzata completamente.
“Sei un serial killer?”
“No!”
“Vuoi che ti faccia
procurare della birra per qualche festa?”
“Noo!”
“allora vuoi delle
ripetizioni? Ti avviso che mi faccio pagare...”, mi rivolse
un
sorriso malizioso. Quindi aggiunsi:
“...In denaro
naturalmente...”
“No... solo il piacere
della tua compagnia!”, rimasi immobile. In silenzio. Si stava
spazientendo e batteva la punta della sneakers sul pavimento,
guardandola ed aspettando la mia risposta.
“Ok... Sabato alle 17
nel parcheggio dietro la palestra.”, girai la testa lasciando
ondeggiare i capelli, e mi allontanai a passo spedito.
Quel
giorno non mi
preparai in modo particolare. Ancora non sapevo perchè
voleva
vedermi e non volevo passare per “la ragazza con la
cotta” che si
fa bella per un appuntamento. Non sapevo neanche se era un vero
appuntamento.
Arrivai spaccando il
minuto al parcheggio praticamente vuoto. Lui era già
lì.
“Ciao...” dissi.
“Ciao!”
“Allora dove volevi
andare?”
“Intanto sali sulla mia
bici!” mi rispose.
Ero piccola, quindi non
era così difficile portarmi sul palo della bicicletta.
Mi portava con facilità.
Il vento mi scompigliava i capelli e lui rideva dicendo che gli
finivano in faccia e lo accecavano.
Mi sembrava di volare su
una nuvola. Potevo sentire il calore del suo corpo, affaticato per la
pedalata, attaccato alla mia schiena. Avrei voluto che non finisse
mai.
“Siamo
arrivati!”, la
sua voce mi risvegliò dal torpore. Poggiare i piedi a terra
era come precipitare all'inferno.
“Che te ne pare?”, mi
chiese.
Guardavo il panorama che
mi si presentava davanti. L'oceano, il grande ponte, la costa
opposta. L'acqua si increspava formando delle piccole bolle bianche
intorno a degli spuntoni di roccia.
“...è
triste...”
dissi.
“ Perchè?”,
non
sembrava sorpreso dalla mia uscita incontrollata.
Mi girai verso di lui, i
suoi occhi brillavano indagatori con la luce del tramonto.
“Sembra un cimitero
sull'acqua...”, mi guardò sgranando gli occhi e
poi sorrise.
“Sai perchè ti ho
portata qui?”
“No...”
“Perchè volevo
sapere quale fosse la tua visione su questo posto... perchè
ognuno vede cose diverse... perchè sento che tu hai da
insegnarmi molto e voglio imparare. Perchè i tuoi occhi
vedono
al di là dei miei...”.
Lo guardai in silenzio.
Sapevo che non era vero.
Non ero riuscita a vedere
questo suo lato ma non volevo deluderlo. Ero accecata dal suo
aspetto. Quindi l'avevo etichettato nel modo sbagliato e lui aveva
fatto lo stesso con me.
Ci sedemmo a terra e
mentre fissavamo, quelle che per me, erano lapidi che galleggiavano
sull'acqua, le ore passavano. Parlavamo del mondo, del futuro, della
stupidità, della società. Io arricchivo lui. Lui
arricchiva me.
Quello fu il nostro primo
pomeriggio di amichevoli scambi culturali.
Dopo quel giorno, ogni
sabato si andava al “cimitero sull'acqua”, avevamo
preso a
chiamarlo così.
Talvolta si andava presto
per prendere il sole. Altre volte la sera e si rimaneva a
chiacchierare o a leggere dei passi dei nostri libri preferiti. Lui
li leggeva a me ed io a lui. A differenza dell'ascoltare le noiose
lezioni del professor Smith, era un piacere ascoltare la melodiosa
voce di Jared.
A volte portava la
chitarra e strimpellava qualche canzone che componeva con il
fratello.
Altre volte portava il
blocco per gli schizzi e si metteva ad abbozzare qualcosa che non mi
mostrava mai. Ecco. Quello era l'unico segreto che aveva con me. I
suoi disegni non me li voleva proprio mostrare.
Che stupido sei stato. Se solo li avessi visti prima...
Un
Sabato, Jared era di
pessimo umore. Erano quasi 3 mesi che ci vedevamo fuori da scuola, al
“cimitero sull'acqua”.
Non mi importava che i
miei amici pensassero che facevamo chissà cosa. Io stavo
bene
in sua compagnia e basta. Non volevo neanche provare a sperare in
qualcosa di più rispetto all'amicizia. Mi sentivo fortunata
così come stavo.
Mi beavo della sua
presenza, della sua persona e della sua compagnia.
Comunque quel Sabato si
era presentato con l'album, quindi intuivo sarebbe stata una serata
in cui lui avrebbe disegnato ed io sarei rimasta a parlare, senza
poter vedere nulla della sue creazioni.
Si sedette a terra con il
broncio. Lo sentivo muovere nervosamente e rabbiosamente il
carboncino sulle pagine bianche.
“Che hai?”
“Nulla...”
“Se vieni qui implica
che tu debba parlare...”
“No! Implica che voglio
disegnare e per farlo non è necessario parlare...”
“Ehi bello... sei stato
tu a portarmi qui la prima volta e non mi hai mai detto di voler
rimanere solo!”
“Infatti mi va bene se
stai qui... solo che non ho voglia di sentirti parlare!”
“Ok... allora me ne
vado...”
“Ecco! Perchè
devi fare così?! Non posso dire niente che stai subito sulla
difensiva! Senti facciamo che me ne vado io! Tu rimani pure qui a
parlare con le “lapidi”!”
“Aspetta cavolo!!”, lo
afferrai per il blocco da disegno che teneva in mano.
I fogli si librarono
nell'aria, si sparpagliarono come una nevicata di carta. Ogni foglio
era come uno specchio, in cui potevo vedere il mio volto in
un'infinità di angolazioni.
“Cosa vuol dire? Io
pensavo che disegnassi... altro... il panorama magari...”
dissi
incredula.
“No... disegnavo te!”
“Perchè?”
“Il genio matematico sei
tu... fai 2+2!”
“...io ti piaccio... non
solo come amica?”, il suo sorriso in quel momento, era bello
e
triste. Esattamente come il “cimitero sull'acqua”.
“Si... e voglio
ricordarmi il tuo viso...”
“Perchè dovresti
dimenticarlo?”
“Gray... anzi...
Danielle... io mi trasferisco con la mia famiglia...”. Le sue
parole furono una pugnalata in pieno stomaco. Il dolore più
grande che ho mai provato.
Jared si avvicinò a
me. Mi sorresse per il braccio.
Sentivo che le gambe mi
stavano cedendo.
“Voglio una
sigaretta...” riuscì a dire.
“No...”, mi disse lui.
Poi la sua mano mi
accarezzò una guancia.
A quel punto non potevo
più trattenere le lacrime. Singhiozzai come una bambina.
Jared mi prese il viso tra
le mani.
“Danielle... Danielle!
Ascoltami ti prego!”, cercava di tranquillizzarmi, ma dal
tono
della sua voce percepivo che lui stesso stava trattenendo le lacrime.
“Non sarà un
addio! Ci rivedremo! Verrò a trovarti quando
potrò e
magari un giorno ritornerò a vivere in questa
città...
Danielle... Non sono mai stato così bene in un posto...qui
nella città degli angeli ho incontrato te! Tu sei il mio
angelo...”, ricordo la disperazione nella sue parole. Mi
tranquillizzai e risposi con la mia solita ironia.
“Ehi Leto... sei
blasfemo... gli angeli non si ubriacano di birra...”, sorrisi
timidamente.
“La vuoi piantare di
chiamarmi Leto?”, così, dopo questo suo ultimo
rimprovero mi
ha regalato il mio primo bacio. Mai la mia bocca ha provato un
piacere più sublime.
Mentre il sole, come una
pallina arancione, si incastrava fra i palazzi della costa opposta.
Tutti dicono che il primo
bacio non si scorda mai. È stato così per me
infatti. E
non c'entra il fatto che a darmelo sia stato il frontman di una delle
band più famose del momento. O l'attore Jared Leto,
nonché
uno degli uomini più sexy del globo. Eri tu. Eri quel
ragazzo
che mi terrorizzava con quello sguardo troppo bello. Il ragazzo con
quella pelle trasparente. Il ragazzo che ha studiato ogni mia
espressione per mesi.
Eri tu.
Dopo la sua partenza
abbiamo continuato a sentirci. Ma naturalmente i vari impegni, il
tempo e la distanza ci hanno allontanati, come era giusto che fosse.
Jared ha realizzato i suoi sogni. È un artista. Magari non
del
tipo che pensava di diventare a 16 anni. Ma crea.
Io lavoro sempre con i
miei amati numeri.
Se fosse qui, forse mi
prenderebbe in giro.
Non ho mai smesso di
fumare. Non mi sono mai sposata ma ho convissuto. Non bevo
più
birra ma superalcolici.
Ogni volta che torno a Los
Angeles dalla mia famiglia, passo per “il cimitero
sull'acqua” e
penso ai momenti passati qui.
“Dannazione sto
diventando una zitella romantica...” mi dico, alzandomi dalla
roccia su cui ero seduta.
Guardo avanti, verso
quelle che io e Jared chiamavamo “le lapidi”.
Un uomo con i capelli
corti e castani guarda il sole al tramonto. In quello stesso modo
perfetto di quel giorno, in cui ho ricevuto il mio primo bacio, la
pallina arancione si incastra tra le costruzioni della sponda
opposta.
L'uomo indossa un cardigan
nero e degli occhiali da sole. Rimango a fissarlo incredula.
Poi si gira verso di me.
Mi sorride e mi allunga
una mano.
“Bentornato Jared...”.
Credo
che in fondo essere
sepolti in un cimitero sull'acqua non sarebbe male. Il mio corpo non
si annoierà. Sarà cullato dalle onde per i tempi
a
venire.
L'azzurro mi piace più
del marrone del terriccio. Non mi stancherei mai di guardarlo.
Sarà
come sprofondare dolcemente nei tuoi occhi per l'eternità.