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Autore: magica_cricchia    13/05/2010    5 recensioni
Questa O.S. È stata scritta per il concorso di DreamWriters! In base ad una foto ispiratrice. Racconta di un Jared ai tempi della scuola superiore. Un amore platonico. Ringrazio tutti quelli che l'hanno votata!!! Ha vinto il best OS, il best SCENE e il best END!!!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Jared Leto, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa O.S. È stata scritta per il concorso di DreamWriters!

In base ad una foto ispiratrice (http://it.tinypic.com/r/24nqyl1/5)

Ringrazio tutti quelli che l'hanno votata!!! Ha vinto il best OS, il best SCENE e il best END!!!

GRAZIEEEEEE!!!!!

Lo ammetto. Ti avevo già notato per i corridoi della scuola. Ricordo anche quando. Stavo sulla scala antincendio, dove ci si trovava di nascosto dagli insegnanti per fumare. Ero appoggiata alla ringhiera con la sigaretta alla bocca, era primavera, l'aria era fredda e si stava bene solo al sole. Parlavo della lezione appena finita con alcuni compagni. Poi sei uscito anche tu. Un perfetto sconosciuto mentre noi tutti ci conoscevamo. Probabilmente eri un nuovo studente. Ti sei messo al sole. Indossavi dei Jeans sgualciti, stretti alla caviglia ed una maglietta di cotone verde militare leggera. Anche se era primavera mi sembrava strano vedere qualcuno in maniche corte.
La tua pelle era così bianca, trasparente e perfetta. Riuscivo a vedere la ragnatela di vene sotto di essa.
La tua figura slanciata e asciutta.
Quegli occhi blu tendenti al grigio.
Le ciglia lunghe e folte.
I capelli castani e setosi.
I lineamenti dolci del tuo viso.
Quelle labbra sottili che nascondevano dei denti bianchi e perfetti.
È bastato uno sguardo per farmi impazzire.
Ho pensato subito che sembravi una creatura fatata. Fatta di ghiaccio.
Volevo che mi guardassi ma non lo facevi mai. Fissavi il vuoto facendo uscire dalla bocca il fumo denso.
Ho cercato di attirare la tua attenzione parlando di cagate. Volevo farti notare quanto ero simpatica, fuori dagli schemi, quanto fossi sempre al centro dell'attenzione. Non funzionava.
Con la coda tra le gambe sono tornata in aula. Decisi di dimenticarmi di te e di lasciarti perdere. Non avevo intenzione di fissarmi su qualcuno che non mi prendeva in considerazione.

Continuavo a vederti a scuola e in mensa, ma non ti cagavo.
Eppure cominciavo a provare una sorta di paura nei tuoi confronti.
Un giorno ti ho sentito parlare con un tuo amico ed un ragazzo appena conosciuto. Strano. Non si capiva quando scherzavi e quando aggredivi veramente. Non si capiva che posizione prendevi nella vita. Non si capiva se fingevi di fregartene o te ne fregavi davvero.
Cominciai a trovarti antipatico anche se non ti avevo mai parlato.
Mi convincevo del fatto che probabilmente eri un superficiale, ebete, con la puzza sotto al naso. Non ti calcolavo quando mi passi vicino. Evitavo di parlare quando ti avevo intorno, non volevo essere giudicata da te. Sicura del fatto che mi avresti giudicata male per i tuoi standard. Non sono mai stata un'anticonformista ma avevo le mie idee. Ed ero quasi sicura che fossero incompatibili con il tuo mondo.
Forse mi ricordavi uno di quei bei ragazzi che alle medie guardavo da lontano, uno di quelli che non mi azzardavo ad avvicinare. Uno di quelli fuori dalla mia portata. A 12 anni ero una ragazzina timida e complessata, ma a 16 ero un'altra persona. Avevo ucciso il mio passato. A 16 anni sentivo di valere e di piacere. La tua presenza mi faceva regredire. Per questo ti odiavo. Ti evitavo.

Il tempo passava e tu, ai miei occhi, eri solo una muta presenza all'interno dell'edificio scolastico. Per me non esistevi proprio, come io non esistevo per te.
Eri il classico bel ragazzo. Quello che tutte desideravano. Tranne me.
Non ti volevo perchè tu non mi volevi.
Anch'io ero considerata una bella ragazza, ma non ero una di quelle reginette del ballo che interessavano a te. Anche perchè, diciamocelo, ho sempre considerato i concorsi di bellezza al pari di mostre canine. Non ho mai voluto averci a che fare.
Un mio amico diceva sempre che se il cervello delle ragazze della mia età, poteva essere paragonato ad un algoritmo che da un input generava un output, il mio era un algoritmo che da un output generava un input. In pratica io e le mie coetanee viaggiavamo su frequenze opposte.

Passavo i miei pomeriggi a scuola. Ero iscritta al “club dei matematici”, ma questo non mi faceva etichettare come una secchiona agli occhi degli amici. Ero considerata tutt'altro che sfigata. A guardami, nessuno avrebbe potuto pensare che ero una specie di mostro matematico.
Uscivo con dei ragazzi, bei ragazzi. Mi divertivo.
Fumavo durante le ore scolastiche e nel fine settimana bevevo birra di straforo.
Ce la comprava il fratello maggiorenne di Jhonny in un mini market aperto 24 su 24.
Insomma, non ero la classica bella ragazzina, brava e diligente nello studio. Studiavo perchè mi piaceva. Perchè ero curiosa. Perchè cercavo delle risposte alle mille domande che mi facevo e mi faccio ogni giorno.
La matematica era il mio “passatempo”. Mi ero iscritta al club, perchè per me risolvere problemi matematici, era l'equivalente del fare la settimana enigmistica. Inoltre non volevo sudare in qualche club sportivo, con tutte le sigarette che fumavo, il fiato mi mancava.

Ricordo una sera. Quella sera in cui mi hai salutata per la prima volta.
Ero con Jhonny, Mike e Bobby nel parcheggio vuoto dietro la palestra. Ci divertivamo come dei dannati a fare le gare di velocità con i carrelli della spesa che avevamo preso nel supermarket vicino. Jhonny aveva portato qualche birra e Bobby aveva fregato a suo fratello del fumo. Ci stavamo divertendo. Io me ne stavo appollaiata dentro al carrello che spingeva Bobby. Tracannavo la mia birra guardando le stelle che scorrevano sopra la mia testa, mentre Bobby mi spingeva con forza per farmi prendere velocità.
Ad un tratto Bobby inchioda il carrello. Per poco non mi strozzavo con la birra. Tu e tuo fratello ci stavate passando davanti, perpendicolarmente rispetto alla nostra direzione. Bobby temeva potesse essere qualcuno che ci avrebbe denunciati. Minori che bevono, fumano e rubano carrelli. Sarebbe stato un bel guaio.
Quella fu la prima volta che provai sollievo nel constatare che si trattava di te.
Ti sei girato verso di me. I tuoi occhi erano chiari anche al buio. Lo scintillio dei tuoi denti mi ha fatto intuire che stavi sorridendo e poi mi hai salutata.

Buonasera Gray...”.
Buonasera...”, risposi con un filo di voce abbassando lo sguardo sulla bottiglia che tenevo in mano.
Mi stavo odiando.

Ma li conosci?”, mi chiese Bobby.
No... non c'ho mai parlato... ma sono della nostra scuola...”
Lo so! Sono i due Leto! Ho sentito che il più giovane ha recitato in tv o ha fatto il modello per qualcosa...”
Ah... sì? Buon per lui...”
Comunque Leto Jr. si ricorda di te...”, mi disse Mike sornione.
Wow! Secondo te devo strapparmi i capelli dalla gioia??”, risposi con noncuranza mischiata ad ironia. In realtà cercavo di rallentare i battiti del mio cuore. Non capivo che mi stava prendendo. Avevo la tachicardia?

A volte noi del club di matematica, ci fermavamo a scola non solo per le attività del club, ma anche per aiutare altri studenti con i compiti di matematica. Io non lo facevo quasi mai gratis.
Solo gli sfigati che speravano di conquistare la studentessa a cui facevano da tutor lo facevano. Alla fine si ritrovavano sfruttati e presi per il culo.
Quel pomeriggio mi ero fermata per aiutare Ally. Lei era la classica reginetta del ballo, solo meno stronza. Comunque non mi era antipatica. Sapevo che non era ricca di famiglia e non era neanche una a cui faceva piacere farsi sbavare addosso, quindi non avrebbe mai cercato di corrompere con delle moine, qualche studente bravo in matematica perchè le desse delle ripetizioni. Questo me la fece apprezzare e decisi che le avrei dato una mano io, gratis.
Non era una stupida, quindi contavo sul fatto che sarebbero bastate poche lezioni.
Per Ally la prima lezione fu pesante. Le mancavano le basi. Prima di tornare a casa ci fermammo nella famosa scala antincendio a fumare. O meglio, io fumavo, Ally mi teneva compagnia.

Ahh... non ce la farò mai ad imparare tutto per l'esame di metà trimestre...”, si lamentava.
Io la guardavo arruffarsi i bei capelli biondi.

Stai tranquilla... Se parti con quest'idea non ce la farai mai... devi pensare positivo. Convincerti di farcela e perseverare. Se lo desideri con tutte le tue forze non puoi fallire... io credo che tutti possano fare tutto... basta volerlo...”, le dissi tra una boccata e l'altra.
Ecco questa è una cazzata!”, una voce che conoscevo, si intromise nella nostra conversazione, una voce bassa, seducente. Una voce che mi sembrava fatta di panna. Era lui.
Non mi ero accorta della sua presenza.

Come scusa?”, gli chiesi bloccandomi e smettendo di sorridere ad Ally.
Dico che questa storia, che tutti possono fare tutto è una cazzata... non è possibile... e non basta perseverare... c'è chi è portato per una cosa e chi per un'altra...”, non mi guardava mentre parlava.
Non dissi nulla. Lasciai che fosse Ally a prendere la parola.
Cominciarono una discussione su questo argomento. Lei cercava di spiegare le sue idee ma lui smontava ogni sua tesi. In quel momento cominciai a pensare che dovevo intervenire. Lui era affascinante e di solito non demolivo psicologicamente un ragazzo affascinante. Ho imparato che gli uomini non sono attratti dalle donne che ne sanno più di loro e che li umiliano. Ormai ero apatica a riguardo. Me ne fregai. Me ne fregai di quello che avrebbe potuto pensare di me. Me ne fregai di potergli stare sulle palle. Tanto ormai avevo capito come funzionava. Non era lì per attaccare bottone con me. Ma con lei. Lei era molto bella, io ero solo carina. Lei era la reginetta, io ero la bella ragazzina della porta accanto. Non avevo più paura di rispondergli a tono. Tanto continuavo a pensare che io non gli interessavo.

Scusa ma cosa stai dicendo?”, gli chiesi.
Dico solo che per esempio... non ce lo vedo quel ragazzino lì in fondo a fare body building!”, indicava un ragazzino nel cortile, magro come uno spillo e con spessi occhiali a “fondo di bottiglia”.
Certo... posso capire... Senti Leto... a che club sei iscritto?”
Al circolo artistico...”
Bello! Eppure hai la mente così ottusa...”
Cos...”, non gli lasciai finire la frase, la sua faccia indignata mi provocava ancora di più.
Secondo te che club frequento io?”
Ma che ne so... sei nell'organizzazione del ballo? Non mi sembra di averti vista tra le cheerleaders... anche se con il tuo fisico potresti esserlo... ma no! Fumi come una ciminiera e bevi... forse sei negli alcolisti anonimi??”, mi guardava con un sorrisetto di sfida. A quel punto cominciai a ridere.
Divertente... forse un giorno mi ci iscriverò! Ma per il momento sono nel club matematico!”
La sua faccia alla mia uscita era impagabile.
Mi guardava come se fossi un aliena.
Era risaputo che chi era iscritto al club matematico probabilmente era un povero sfigato con un quoziente intellettivo smisurato. Partecipavamo a gare matematiche a livello nazionale e la nostra scuola era sempre tra le prime classificate.
Ripresi la parola.

Direi che è sbagliato giudicare dalle apparenze... magari tra qualche anno quel ragazzino ce lo troviamo pompato in qualche rivista... quindi...”, mi rivolsi ad Ally che rossa in viso mi guardava con ammirazione, “... Ally non ti preoccupare di puntare troppo in alto!”
In realtà io stessa ero la prima a mettermi delle barriere. Specialmente riguardo lui. Il nuovo arrivato, il ragazzo bellissimo dagli occhi magnetici e quindi terrificanti. Probabilmente il futuro re del ballo. Detestavo il fatto che la sua persona demoliva le mie tesi. Ma questo non lo poteva sapere.

Qualche giorno dopo, me ne stavo in aula durante la soporifera lezione di un insegnante che ormai odiava il proprio mestiere. Non spiegava, si limitava a leggere. Personalmente se devo leggere preferisco farlo da me. Quindi sgattaiolai fuori dall'aula per andare a fumare e beccare Jhonny sulla scala antincendio.
Fuori dalla porta mi si bloccò il fiato. Appoggiato agli armadietti di fronte c'era lui. Leto Jr.
Quando mi vide mi sorrise.

Ciao...”.
Ciao...”, risposi.
Lo vedo portarsi una mano tra i capelli sulla nuca.

Sapevo che non saresti resistita un minuto di più alla lezione di Smith... così ti ho anticipata!”
Ah... perchè?”, avevo il terrore che potesse sentire il mio cuore battere.
Ehi... sei libera questo week end?”, mi chiese.
In quei pochi secondi che anticipavano la mia risposta, il mio cervello formulava ad una velocità impressionante una miriade di ipotesi.
La voglia di sorridere e dirgli “si!”.
L'inquietudine di una domanda “Perchè??”
La pateticità di un “Davvero vuoi uscire con me??”
Decisi di rispondere con la mia solita ironia.

Vuoi sapere se la polizia mi trova a casa quando me la manderai per arrestarmi per abuso di alcolici e fumo?”, l'avevo fregato, probabilmente voleva prendermi in giro. Non ero caduta nel suo scherzo.
Lui si mise a ridere:

...Ma no! Voglio farti vedere un posto speciale... e vorrei parlare con te!”. A quel punto mi aveva spiazzata completamente.
Sei un serial killer?”
No!”
Vuoi che ti faccia procurare della birra per qualche festa?”
Noo!”
allora vuoi delle ripetizioni? Ti avviso che mi faccio pagare...”, mi rivolse un sorriso malizioso. Quindi aggiunsi:
...In denaro naturalmente...”
No... solo il piacere della tua compagnia!”, rimasi immobile. In silenzio. Si stava spazientendo e batteva la punta della sneakers sul pavimento, guardandola ed aspettando la mia risposta.
Ok... Sabato alle 17 nel parcheggio dietro la palestra.”, girai la testa lasciando ondeggiare i capelli, e mi allontanai a passo spedito.

Quel giorno non mi preparai in modo particolare. Ancora non sapevo perchè voleva vedermi e non volevo passare per “la ragazza con la cotta” che si fa bella per un appuntamento. Non sapevo neanche se era un vero appuntamento.
Arrivai spaccando il minuto al parcheggio praticamente vuoto. Lui era già lì.

Ciao...” dissi.
Ciao!”
Allora dove volevi andare?”
Intanto sali sulla mia bici!” mi rispose.
Ero piccola, quindi non era così difficile portarmi sul palo della bicicletta.
Mi portava con facilità. Il vento mi scompigliava i capelli e lui rideva dicendo che gli finivano in faccia e lo accecavano.
Mi sembrava di volare su una nuvola. Potevo sentire il calore del suo corpo, affaticato per la pedalata, attaccato alla mia schiena. Avrei voluto che non finisse mai.

Siamo arrivati!”, la sua voce mi risvegliò dal torpore. Poggiare i piedi a terra era come precipitare all'inferno.
Che te ne pare?”, mi chiese.
Guardavo il panorama che mi si presentava davanti. L'oceano, il grande ponte, la costa opposta. L'acqua si increspava formando delle piccole bolle bianche intorno a degli spuntoni di roccia.

...è triste...” dissi.
Perchè?”, non sembrava sorpreso dalla mia uscita incontrollata.
Mi girai verso di lui, i suoi occhi brillavano indagatori con la luce del tramonto.

Sembra un cimitero sull'acqua...”, mi guardò sgranando gli occhi e poi sorrise.
Sai perchè ti ho portata qui?”
No...”
Perchè volevo sapere quale fosse la tua visione su questo posto... perchè ognuno vede cose diverse... perchè sento che tu hai da insegnarmi molto e voglio imparare. Perchè i tuoi occhi vedono al di là dei miei...”.
Lo guardai in silenzio.
Sapevo che non era vero.
Non ero riuscita a vedere questo suo lato ma non volevo deluderlo. Ero accecata dal suo aspetto. Quindi l'avevo etichettato nel modo sbagliato e lui aveva fatto lo stesso con me.
Ci sedemmo a terra e mentre fissavamo, quelle che per me, erano lapidi che galleggiavano sull'acqua, le ore passavano. Parlavamo del mondo, del futuro, della stupidità, della società. Io arricchivo lui. Lui arricchiva me.
Quello fu il nostro primo pomeriggio di amichevoli scambi culturali.
Dopo quel giorno, ogni sabato si andava al “cimitero sull'acqua”, avevamo preso a chiamarlo così.
Talvolta si andava presto per prendere il sole. Altre volte la sera e si rimaneva a chiacchierare o a leggere dei passi dei nostri libri preferiti. Lui li leggeva a me ed io a lui. A differenza dell'ascoltare le noiose lezioni del professor Smith, era un piacere ascoltare la melodiosa voce di Jared.
A volte portava la chitarra e strimpellava qualche canzone che componeva con il fratello.
Altre volte portava il blocco per gli schizzi e si metteva ad abbozzare qualcosa che non mi mostrava mai. Ecco. Quello era l'unico segreto che aveva con me. I suoi disegni non me li voleva proprio mostrare.

Che stupido sei stato. Se solo li avessi visti prima...

Un Sabato, Jared era di pessimo umore. Erano quasi 3 mesi che ci vedevamo fuori da scuola, al “cimitero sull'acqua”.
Non mi importava che i miei amici pensassero che facevamo chissà cosa. Io stavo bene in sua compagnia e basta. Non volevo neanche provare a sperare in qualcosa di più rispetto all'amicizia. Mi sentivo fortunata così come stavo.
Mi beavo della sua presenza, della sua persona e della sua compagnia.
Comunque quel Sabato si era presentato con l'album, quindi intuivo sarebbe stata una serata in cui lui avrebbe disegnato ed io sarei rimasta a parlare, senza poter vedere nulla della sue creazioni.
Si sedette a terra con il broncio. Lo sentivo muovere nervosamente e rabbiosamente il carboncino sulle pagine bianche.

Che hai?”
Nulla...”
Se vieni qui implica che tu debba parlare...”
No! Implica che voglio disegnare e per farlo non è necessario parlare...”
Ehi bello... sei stato tu a portarmi qui la prima volta e non mi hai mai detto di voler rimanere solo!”
Infatti mi va bene se stai qui... solo che non ho voglia di sentirti parlare!”
Ok... allora me ne vado...”
Ecco! Perchè devi fare così?! Non posso dire niente che stai subito sulla difensiva! Senti facciamo che me ne vado io! Tu rimani pure qui a parlare con le “lapidi”!”
Aspetta cavolo!!”, lo afferrai per il blocco da disegno che teneva in mano.
I fogli si librarono nell'aria, si sparpagliarono come una nevicata di carta. Ogni foglio era come uno specchio, in cui potevo vedere il mio volto in un'infinità di angolazioni.

Cosa vuol dire? Io pensavo che disegnassi... altro... il panorama magari...” dissi incredula.
No... disegnavo te!”
Perchè?”
Il genio matematico sei tu... fai 2+2!”
...io ti piaccio... non solo come amica?”, il suo sorriso in quel momento, era bello e triste. Esattamente come il “cimitero sull'acqua”.
Si... e voglio ricordarmi il tuo viso...”
Perchè dovresti dimenticarlo?”
Gray... anzi... Danielle... io mi trasferisco con la mia famiglia...”. Le sue parole furono una pugnalata in pieno stomaco. Il dolore più grande che ho mai provato.
Jared si avvicinò a me. Mi sorresse per il braccio.
Sentivo che le gambe mi stavano cedendo.

Voglio una sigaretta...” riuscì a dire.
No...”, mi disse lui.
Poi la sua mano mi accarezzò una guancia.
A quel punto non potevo più trattenere le lacrime. Singhiozzai come una bambina.
Jared mi prese il viso tra le mani.

Danielle... Danielle! Ascoltami ti prego!”, cercava di tranquillizzarmi, ma dal tono della sua voce percepivo che lui stesso stava trattenendo le lacrime.
Non sarà un addio! Ci rivedremo! Verrò a trovarti quando potrò e magari un giorno ritornerò a vivere in questa città... Danielle... Non sono mai stato così bene in un posto...qui nella città degli angeli ho incontrato te! Tu sei il mio angelo...”, ricordo la disperazione nella sue parole. Mi tranquillizzai e risposi con la mia solita ironia.
Ehi Leto... sei blasfemo... gli angeli non si ubriacano di birra...”, sorrisi timidamente.
La vuoi piantare di chiamarmi Leto?”, così, dopo questo suo ultimo rimprovero mi ha regalato il mio primo bacio. Mai la mia bocca ha provato un piacere più sublime.
Mentre il sole, come una pallina arancione, si incastrava fra i palazzi della costa opposta.
Tutti dicono che il primo bacio non si scorda mai. È stato così per me infatti. E non c'entra il fatto che a darmelo sia stato il frontman di una delle band più famose del momento. O l'attore Jared Leto, nonché uno degli uomini più sexy del globo. Eri tu. Eri quel ragazzo che mi terrorizzava con quello sguardo troppo bello. Il ragazzo con quella pelle trasparente. Il ragazzo che ha studiato ogni mia espressione per mesi.
Eri tu.
Dopo la sua partenza abbiamo continuato a sentirci. Ma naturalmente i vari impegni, il tempo e la distanza ci hanno allontanati, come era giusto che fosse. Jared ha realizzato i suoi sogni. È un artista. Magari non del tipo che pensava di diventare a 16 anni. Ma crea.
Io lavoro sempre con i miei amati numeri.
Se fosse qui, forse mi prenderebbe in giro.
Non ho mai smesso di fumare. Non mi sono mai sposata ma ho convissuto. Non bevo più birra ma superalcolici.
Ogni volta che torno a Los Angeles dalla mia famiglia, passo per “il cimitero sull'acqua” e penso ai momenti passati qui.

Dannazione sto diventando una zitella romantica...” mi dico, alzandomi dalla roccia su cui ero seduta.
Guardo avanti, verso quelle che io e Jared chiamavamo “le lapidi”.
Un uomo con i capelli corti e castani guarda il sole al tramonto. In quello stesso modo perfetto di quel giorno, in cui ho ricevuto il mio primo bacio, la pallina arancione si incastra tra le costruzioni della sponda opposta.
L'uomo indossa un cardigan nero e degli occhiali da sole. Rimango a fissarlo incredula.
Poi si gira verso di me.
Mi sorride e mi allunga una mano.

Bentornato Jared...”.

Credo che in fondo essere sepolti in un cimitero sull'acqua non sarebbe male. Il mio corpo non si annoierà. Sarà cullato dalle onde per i tempi a venire.
L'azzurro mi piace più del marrone del terriccio. Non mi stancherei mai di guardarlo. Sarà come sprofondare dolcemente nei tuoi occhi per l'eternità.


  
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