Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: _Miyon_    13/05/2010    1 recensioni
Tratto dal secondo capitolo:
- Ti prego dammi del “tu”… Per la cronaca sono Grace Carter. Se posso, perché stai venendo a Londra?- fece lei per parlare.
- Non lo so neanche io, sto fuggendo, perché sono un vigliacco…- bisbigliai
- Da cosa fuggi?-
Fissai il vuoto.
-Dall’amore-
-Oh allora è una faccenda seria. Però, credi che sia davvero giusto scappare in questo modo?- ora sembrava che stesse parlando la mia coscienza, Grace Carter era sparita.
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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~ TAKE ME AWAY •


Premesse.
Salve a tutti! Questa è la mia prima fic sui Jonas Brothers e ammetto che non sono una loro fan. XD Un bel pomeriggio(circa 10 giorni fa) facendo zapping qua e là tra i vari canali, me li sono ritrovati di fronte e mi è venuta in mente questa "bella idea". Mi hanno proprio dato ispirazione, specialmente Joe XD. In più la mia migliore amica è appena tornata da Londra e mi ha raccontato di alcune bizzarre conoscenze che ha fatto, senza tralasciare i dettagli della vacanza!XD Così mescolando il tutto, ho partorito questa roba qui '-.- XD
Quindi per prima cosa ringrazio la mia migliore amica, che andando a Londra mi ha dato ispirazione per questo mio nuovo lavoretto. XDXD Dopodiché, dedico tutto il mio lavoro ai miei nonni, che mi hanno reso una persona migliore, che mi amano immensamente e perché si sono presi tanta cura di me in questi miei 18 anni di vita. Bene, per il resto ringrazio tutti voi che commenterete, mi seguirete e semplicemente leggerete! Grazie di cuore! Spero sia di vostro gradimento!
Buona lettura!
_Miyon_


A Ugo e Giulia.

"Quando un'uomo è stanco di Londra, è stanco della vita, perché a Londra si trova tutto quanto la vita può offrire"
(Samuel Johnson)


1.



Detestavo quel giorno. L'ho sempre odiato con tutta me stessa. Ogni anno, quel momento giungeva così rapidamente, che alle volte, temevo di perdere la cognizione del tempo. Osservai, fuori dalla finestra della mia stanza, l'interminabile pioggia che si attanagliava su Edimburgo. Sembrava che anche il cielo stesse piangendo per la mia partenza. Così la mia ultima estate da liceale era finita. Improvvisamente, tentai di immaginare dove e come avrei trascorso la prossima estate... Forse in un campus, nel tentativo di abituarmi alla vita universitaria, forse l'avrei passata a lavorare in una gelateria, servendo bambini dispettosi e anziane lagnose o forse me ne sarei stata semplicemente a casa mia, pensando a cosa fare della mia vita.
Fissai per un po' le goccioline che sbattevano repentine contro il vetro, ma una squillante e acuta voce mi piombò violentemente nelle orecchie, destandomi da quello stato di trance.
- Casey!! Vuoi muoverti?!-
- Arrivo!- gridai ferocemente.
Gettai un ultimo, lunghissimo sguardo malinconico alla mia camera, sperando vivamente di rivederla, in qualche modo, al più presto. Presi frettolosamente la valigia, trascinandola di peso al piano inferiore e mi catapultai per le scale, rischiando quasi di rompermi l'osso del collo.
- Possibile che tu non sia mai pronta?- affermò, stizzita, mia sorella Maddeleine. Io non la degnai di risposta; non ero dell'umore adatto e discutere anche con lei, di certo non mi aiutava a stare tranquilla. Maddie notò, un po’ delusa, il mio "insolito menefreghismo" alla sua frecciatina e mi lanciò un'occhiata di disprezzo mentre indossava le cuffiette dell' I-pod. Noncurante di quel fatto, cominciai a trafficare con le mani nella borsa che portavo in spalla, cercando il mio diario.
- Avete preso tutto?-
Alzai gli occhi e trovai di fronte a me mia nonna che sorrideva teneramente. La corta e crespa chioma ramata, le ricadeva sulla fronte rugosa, mentre lo sguardo smeraldo, era incorniciato da un quadrato occhiale da vista. Anche lei soffriva un po' per il nostro ritorno a casa, come tutti gli anni d’altronde: avrebbe voluto sempre tenerci con sé, per coccolarci, prepararci la cena e per darci la buonanotte...Soprattutto perché, da quando il nonno non c'era più, si sentiva terribilmente sola, anche se non lo dava a vedere. Era sempre stata brava a nascondere le emozioni, ma con me, che per questo ne ero la copia sputata, non ci riusciva. Sapevo quanto si sentisse "abbandonata" e sapevo quanto la mia presenza e quella di mia sorella la rendessero felice. Nonostante avesse settantatre anni, per quei due mesi che abitavamo con lei non ci faceva mancare nulla. La fissai un attimo, per poi rispondere alla sua domanda.
- Sì nonna, non preoccuparti, abbiamo già ricontrollato gli armadi e i cassetti. Non abbiamo scordato nulla-
- Se per caso dovessi trovare qualcosa, ve lo farò recapitare per posta-
Ci guardammo tutte e tre per un momento. Poi nonna Claire si avvicinò ancora un po' a me e Maddie, per stringerci in un forte abbraccio.
- Mi raccomando, fate le brave, obbedite ai vostri genitori e impegnatevi per questo nuovo anno scolastico, specialmente tu Casey, che affronterai la maturità- disse lei con fare materno. Sul mio volto spuntò un'enorme sorriso.
- Mi mancherai nonna- piagnucolò Maddie. Nonna ridacchiò divertita.
- Suvvia, per Natale ci rivedremo, tre mesi volano che è una meraviglia! Avremo tanto di quel da fare che neanche ce ne accorgeremo! Mi ritroverete a gironzolare per casa vostra da un giorno all’altro!- si sciolse dall'abbraccio, sistemandoci gli abiti ed i capelli, che avevamo rossi come i suoi.
Aveva ragione, eppure non riuscivo ad essere in qualche modo felice. Sì, sarei tornata a Londra, a casa mia, con i miei genitori, i miei amici, la mia scuola … Però, stare dalla nonna mi rendeva così felice e tranquilla. Adoravo passare le giornate con lei, non era la solita vecchia bigotta e tradizionalista. Mia nonna era aperta a tutto e tutti. Le innumerevoli passeggiate al tramonto per il parco, i gelati, le scampagnate. Quei momenti passarono dinnanzi ai miei occhi, senza che me ne accorgessi. Sorrisi debolmente.
E poi lì, avevo ormai fatto amicizia con molti ragazzi del quartiere e lasciarli alla fine di ogni estate era per me un dramma. Specialmente quando si trattava di salutare Jason...Lo ammetto, avevo un debole per lui, però ero troppo fifona per dirglielo, per questo mi sentivo così stupida.
Regola numero uno: mai, e dico mai lasciarsi intimorire dai propri sentimenti, tanto da non mostrarli. E’ l’errore più grande che si possa commettere, non si può sapere mai come andrà a finire se non si fa almeno un tentativo.
Purtroppo, questo elementare concetto, non mi era ancora chiaro.
Comunque, i saluti al vicinato li avevo già fatti la sera prima. Non potevo guardarli osservare in silenzio la mia partenza e le mie valige. Perciò salutandoli il giorno precedente al ritorno a casa, speravo in qualche modo di alleviare il “trauma”.

“E’ passata un’altra estate, adesso quando ci rivedremo?” i suoi occhi nocciola si rispecchiavano nei miei, verdi smeraldo.
“Jason ti prego non dirmi queste cose, sai quanto sto male. Fa conto che io sono qui con te, come sempre” risposi a testa bassa
“E’ facile a dirsi, mi mancherai da impazzire … Come sempre” calcò quelle ultime parole sorridendo, così che io notassi la “sua instancabile ironia nei miei confronti”. Sorrisi anch’io, dopodiché mi abbracciò teneramente. Rimanemmo in quella posizione per non so quanto tempo. Inspirai per l’ultima volta, il suo dolce profumo. Non l’avrei sentito per nove lunghi mesi.
Spuntò poi alle mie spalle Christine, la mia amica e vicina di casa durante le vacanze estive, che aspettava impaziente di potermi salutare, la guardai e …

… Tornai alla realtà, sentendo mia sorella pronunciare il mio nome a squarciagola. Annunciò che il taxi era arrivato.
-Su su, forza! Vai Casey, ci sentiamo per telefono- disse mia nonna spingendomi fuori dalla porta.
Camminai velocemente verso l’auto, lasciando i bagagli al tassista. Salii in macchina e guardai nonna Claire attraverso il finestrino opaco. La macchina partì in direzione dell’ aereoporto e l’osservai rimpicciolirsi sempre più. Mia sorella non fiatava, preferì concentrarsi sul paesaggio verdeggiante di Edimburgo. L’uomo alla guida scorreva inquieto le stazioni radio, nel tentativo di trovare qualcosa di orecchiabile. Quel terribile silenzio mi dava il voltastomaco.
Sospirai profondamente, per poi aprire il diario che avevo tenuto fino ad allora in mano. Rovistai alla cieca nella borsa, cercando l’elegante stilografica che mio padre mi aveva regalato per i miei eccellente risultati scolastici, lo scorso anno.
Appoggiai, leggermente, la punta della penna sul foglio e cominciai a scrivere.

“30 Agosto 2009, ore 10.47 am: Si torna a casa …”

  
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