Ok,
sappiate che non ci credo nemmeno io.*_*
Sono
letteralmente mesi che questa shot balla nel mio pc in attesa di vedere un finale e oggi, finalmente, eccolo
qua. E' nata in un momento di blocco
e spero che il fatto che sia finalmente completa, segni per me il ritorno ai
normali ritmi di scrittura. E' stato un periodo strano, costellato di alti e
bassi e crisi più o meno pesanti, per motivi diversissimi fra loro e che non
sto qui a dire, anche perchè mi auguro vivamente
siano superate.:3
E
insomma, non c'è poi molto da dire. Mi auguro di essere tornata per restare e
che anche le letture e recensioni tornino ad essere numerose e belle come una
volta.♥
Dedico
questa shot a me stessa, per una volta, come premio e
soddisfazione personale per quello che ho passato. A chi mi è stata accanto
sempre e non ha lasciato che mi deprimessi a vuoto, a chi mi ha fatta comunque
ridere, sclerare...
A chi, con una mail, è riuscita a farmi sentire ancora un po' più orgogliosa di
quello che faccio, qui su EFP.
Grazie. Questa è per voi.♥
E per
me. Buona lettura, fatemi sapere se v'è piaciuta che per me è importante.♥
Ps. Per quelle che l'aspettano, tranquille. Ora mi fiondo a
occuparmi del nuovo capitolo di Gabrielle.
Ariverà presto.:3
~ Candleway
Sembra perfetto.
Il cielo che ho lasciato è lo stesso che ritrovo tutto l'anno, qua.
Tornare: tutto era al suo posto, quasi ad aspettare
che me ne tornassi qua, da sola.
L'aereo scivolò -
incredibilmente leggero per la sua stazza - sulla pista più lontana dal blocco
centrale dell'aeroporto.
Sbuffai. In America
dovevano avere manie di grandezza proprio su tutto? Chiara, sprofondata nel sedile accanto al mio, osservava il
cemento - bollente dell'ultimo sole estivo - correre sotto di noi, il cellulare
strizzato fra le mani nervose, come non vedesse l'ora di accenderlo. Peccato la
hostess non fosse della stessa idea: pregava insistentemente tutti i passeggeri
di rimanere fermi ai loro posti, fintanto che il velivolo non fosse stato
perfettamente fermo.
- Ma si sbriga,
questa? - Sibilai, mentre le mie dita torturavano il bracciolo imbottito del
sedile. - Già impiegheremo sei ore,
per attraversare tutto il Kennedy e
arrivare ai bagagli...! -
- Muori dalla
voglia di vederlo, eh? - Sogghignò Chià, maliziosa fin nelle virgole.
- Non quanto tu
brami di accendere quel coso ed avvertire il piccolo che siamo arrivate...! -
Replicai, per pronta risposta. - E comunque saranno già qui da un pezzo. -
- Probabilmente
sì...! - Si trovò a sorridere inconsapevolmente, mentre finalmente le luci di
segnalazione si spegnevano.
Scattammo in piedi,
entrambe, correndo quasi lungo il corridoio. Chiara scese dalla scaletta con il
telefono attaccato all'orecchio, parlava fitto-fitto... Sorrisi all'assistente
di volo che aveva aperto il portellone e ci osservava - esilarata e a tratti
curiosa - raggiungere la navetta come avessimo le al ai piedi. Aveva la tipica
espressione da pensieri nostalgici e un po' clichè sulla "beata
gioventù" e l'amore.
°°°
Strinsi il manico
rigido del trolley, trascinandomelo rapidamente dietro. Sospettosa; Chiara non aveva più proferito parola, dopo aver chiuso
la chiamata. Mi fissava di sottecchi, ogni tanto, quando pensava che non
potessi accorgermene. Avrebbe funzionato, se non fossi stata impegnata a
scannerizzare minuziosamente l'intero salone alla ricerca di qualcuno.
- Tutto a posto...?
- Seguii con lo sguardo un folto gruppo di ragazzi spostarsi verso i banchi del
check-in, nella speranza di trovare, oltre le loro teste, quello che cercavo. -
Mi fissi perchè ho qualcosa che non va in faccia? -
- Eh? - Sobbalzò
lei, presa alla sprovvista. - No... Niente. -
Annuii e quasi non
mi accorsi che - d'un tratto - tratteneva il fiato e neppure mi guardava più.
Si tuffò fra le braccia spalancate di Nicholas ad una velocità sorprendente,
premendo il viso nell'incavo del suo collo, mentre lui la stringeva forte a sè. Sorrisi e il mio cuore ebbe un sussulto, mentre
osservavo febbrilmente i minimi metri di spazio libero attorno a loro. Poi il vuoto... Mi bastarono pochi secondi, per
capirlo: non c'era. Non c'era nessun
altro, ad aspettarci, oltre Nick; la sua espressione colpevole parlava chiaro,
se tutto il resto non fosse stato già ampiamente sufficiente.
- Ciao, Mar. -
Mormorò. Mi sforzai di ricambiare il suo sorriso e recuperai quel che rimaneva
della mia allegra impazienza nel suo abbraccio. Avevo avuto sul serio così tanta voglia di tornare?
- Non fare quella
faccia, o inizierò a pensare che stavi meglio senza di noi...! - Lo
punzecchiai. L'ironia era un buon compromesso.
- No, non direi. -
Ridacchiò, leggermente più rilassato. - Kevin ci aspetta in macchina, è qui
fuori. -
Lo lasciai libero
di tornare da Chiara, che gli si strinse immediatamente addosso e prese a
camminare veloce al suo fianco. Così vicina che avrebbe potuto inciampare nelle
converse rosse di Nicholas, da un momento all'altro. Li seguii ed ignorai con
tutte le mie forze il nodo che mi serrava ferocemente la gola e mi impediva -
tutto d'un tratto - di respirare.
Arrivammo alla
Lamborghini prima del previsto. Permisi - senza alzare lo sguardo di un solo
millimetro - che il piccolo sfilasse la valigia alle mie dita tremanti e mi
accorsi di Kevin, solo quando avvertii le sue braccia stringersi con decisione
attorno al mio corpo. Affondai nel suo abbraccio senza poter opporre la minima
resistenza.
- Bentornata. -
Sussurrò. La sua voce tradiva perfino più rammarico di quella di Nick.
- Come se fosse colpa tua...! - Replicai,
a volume inudibile. - Grazie, Kev. Avevo una gran
voglia di rivederti. - Aggiunsi poi, sinceramente felice.
Mi rannicchiai sul
sedile posteriore e poggiai la fronte contro il finestrino chiuso, prima di
stringermi le gambe al petto. Ignorai i ridicoli brontolii di Nick - riguardo
le mie scarpe poggiate per qualche centimetro sulla seduta - e chiusi gli
occhi, isolandomi con discrezione dai discorsi concitati che rimbalzavano
nell'abitacolo. Per quanta voglia ne avessi, non riuscivo a chiacchierare
serenamente con loro; la mia mente era concentrata su un unico, martellante
pensiero.
"Perchè?"
°°°
- Mi mancava,
questo posto...! -
Osservai Nicholas
piombare a peso morto sul divano e Chià farglisi istantaneamente vicina, come a volersi riprendere
- subito e uno ad uno - tutti i minuti passati in Italia, durante quei tre mesi
di vacanza. Aprii le lunghe tende bianche con un movimento deciso e lasciai
entrare l'ultima luce del tramonto, che andava spegnendosi oltre il profilo
squadrato e rassicurante di Manhattan. Perfino il brulicare ritmico della Quinta Strada, svariati metri sotto di
me, mi rasserenava; era familiare, come essere di nuovo a casa - in un certo senso - seppure in modo diverso rispetto a
quando tornavo a Milano.
- E' quasi ora di
cena...! Voglio augurarmi che abbiate riempito il frigorifero, in previsione
del nostro ritorno. - Scrutai Kevin e il piccolo con aria inquisitoria.
- Per come tre
uomini possono fare la spesa. - Borbottò Nick, affrettandosi a mettere le mani
avanti.
Mi torturai il
labbro e andai a controllare, più per avere qualcosa che mi distraesse dalla
parola "tre" - rimbombante,
nelle mie orecchie - che per altro. Nemmeno mi accorsi che aveva preso a messaggiare furiosamente con qualcuno, da qualche secondo a
quella parte. Avrei pensato a Chià, se non l'avessi
avuta davanti agli occhi, accoccolata contro di lui.
- Credo ci sia
tutto. - Annuii, concentrata. Il mio sguardo guizzò sulla mensola più bassa,
mentre richiudevo l'anta. - Fuor che il latte...! - Rettificai, una volta a
portata di udito.
- Tombola. - Sospirò Kev.
Nicholas alzò velocemente gli occhi dallo schermo del cellulare, nemmeno fosse
stato colto in flagrante a fare chissà cosa.
- Qualcosa dovevamo
aver dimenticato. - Si crucciò, almeno apparentemente. Sembrava molto poco
turbato, a dirla tutta. Come se lo sapesse
già. - Poco male, è ancora tutto aperto a quest'ora. E siamo in piena zona
commerciale. -
- Certo. Possiamo
provare a chiedere da Tiffany...! -
Inarcai il sopracciglio, divertita. - No, ok, scherzi a parte si può fare. -
Soppesai l'idea di
andare a farmi un giro - sfruttando i primi freschi di fine agosto, le strade
ancora abbastanza prive di newyorchesi - e mi piacque decisamente. Molto più
che rimanere lì a rimuginare sul nulla.
- Ci vado. -
Annuii. Avrei giurato di cogliere uno sguardo di intesa, fra Chiara e il
piccolo. Come se stessero tacitamente esultando
per qualcosa. O forse fu solo quello
che mi parve di vedere, quando si strinsero di più l'uno all'altra.
°°°
Meglio la sera, fuori dal mondo,
mentre
il mondo mi gira tutto intorno.
Tra me e me, che penso a quello che mi aspetta, in questa sera che mi gusto
senza fretta.
Appena mi chiusi la
porta alle spalle, il pensiero di lui
- ma ancor più la sua assenza - mi
franarono violentemente addosso. I miei pugni si strinsero lungo i fianchi,
fino a diventare lividi. Far finta di nulla in compagnia degli altri era
relativamente semplice: potevo convincermi che non mi infastidiva poi così
tanto, il non avere idea di dove fosse. Perchè non
stava lì, con me... Da sola diventava
tutta un'altra cosa. Era impossibile.
Schiacciai
rabbiosamente il pulsante del pianoterra e abbandonai la schiena contro lo
specchio: non avevo la minima intenzione di guardare i miei capelli
scompigliati o l'ombra di stanchezza che il fuso orario aveva dipinto sotto i
miei occhi chiari. Ora come ora anche fastidiosamente umidi. Uscii dall'abitacolo a passo di carica, del tutto decisa a
concentrarmi solo sul come mettere un piede davanti all'altro.
- Che palle. - Sibilai, piombando nel
bagliore fioco dell'imbrunire.
Sembrava che New
York si fosse messa d'impegno per aiutarlo: se ci fosse stata per strada la
gente che doveva, non le avrei
neppure notate. Una fila di candele poco più grandi di un ciottolo di fiume era
stata ordinatamente disposta sul bordo del marciapiede. Piccoli sassolini
bianchi che brillavano - accesi e ciondolanti lungo la via quasi deserta - di
luce rossa, come quella naturale. Erano meno di dieci, arrivavano al primo
angolo e invitavano a svoltare.
Non lo capii
subito. In un primo, folle momento mi
lasciai guidare dalla curiosità e seguii la scia luminosa semplicemente per
vedere dove mi avrebbe portata. La Promenade
si aprì improvvisamente davanti ai miei occhi, sfoggiando vanitosa le fontane,
le sue lunghe aiuole di gigli bianchi e - a quel punto - mi resi perfettamente
conto del come e del perchè.
Sarebbe bastata
l'ultima candela, accoccolata ai piedi di una panchina ancora vuota, in cima
alla via. Oppure - se non fosse stata ancora abbastanza - poco più in alto un
unico lilium striato di viola si
affacciava in mezzo agli altri, invitante e inquietante al tempo stesso: non
aveva solide radici piantate nel terreno umido, solo un nastro legato al gambo
reciso. Nel momento in cui mi allungai ad afferrarlo, lo sentii fermarsi alle mie
spalle; strinsi il fiore quasi al punto di spezzarlo mentre la vista si
annebbiava irrimediabilmente e il cuore mi si annidava in gola, battendo senza
più alcun controllo.
- Sei un
grandissimo idiota...! - Mormorai,
senza muovermi di un solo millimetro.
- Volevo farti una
sorpresa. - Avvertii la distanza fra di noi diminuire bruscamente, troppo
veloce perchè potessi fare qualcosa di diverso
dall'impormi di rimanere immobile e continuare a volgergli la schiena. - Direi
che ci sono riuscito. -
Poggiai il giglio
sulla seduta di legno e - lentamente
- cercai e trovai la forza di voltarmi a fronteggiarlo. Annuii, ad un palmo dal
suo naso, smarrendo gran parte della mia combattività nel suo mare d'ambra
liquida.
- Anche a farmi
morire di paura, però. - Borbottai,
mentre gli poggiavo una mano all'altezza del cuore. Senza quasi rendermene
conto, iniziai a respirare al ritmo con cui i suoi battiti rimbalzavano sotto
le mie dita tese.
- Paura? - Scandì,
improvvisamente incerto.
- Non c'eri. Credevo non t'interessasse,
non mi volessi più... O qualcosa del genere. - Strizzai il cotone rosso della
sua t-shirt e lo costrinsi a muovere un altro passo in avanti. Più vicino
ancora, se poi era possibile.
- No, no, no, no. - Le sue mani scivolarono veloci
lungo le mie braccia scoperte, rincorse immediatamente da un brivido caldo. -
Sei impazzita, Mar...? -
- Sarebbe bastato
che tu fossi venuto in aereoporto. Non... Non c'era
bisogno d'altro. - Esitai, insicura. Nell'agitazione rischiai quasi di
mangiarmi le ultime parole; le sue dita sulla pelle e il suo viso a pochi
centimetri dal mio, mi mandavano letteralmente in palla.
- Nick me l'aveva
detto. Mi aveva avvertito che ti avrebbe uccisa, non vedermi lì...! - Sospirò.
Trattenni il fiato, arrossendo impercettibilmente quando prese ad accarezzarmi
piano le spalle. - Magari mi sono sbagliato: esserci non avrebbe rovinato
tutto, come pensavo io. - Aggiunse, cupo.
- No, beh... Questo, trovarti qui, è stato speciale
così. - Replicai. - Perciò non fare quella faccia, ti prego...! - Strinsi le labbra
e lo guardai, leggermente intimidita. Sopportavo a malapena l'idea, che si sentisse in colpa per me.
Gli sfiorai la
guancia, senza riuscire a frenare il batticuore nel vedere come bastasse quello
per illuminare il suo sguardo. Ero convinta di non meritarmelo: nè lui, nè l'effetto che -
incredibilmente - gli facevo, eppure qualcosa di molto,molto simile alla
felicità più pura mi bruciava dentro, al solo pensiero che Joe volesse sul
serio me. Mi lasciai avvolgere dal
suo abbraccio - lo ricambiai, impaziente, il più in fretta possibile - e
respirai il meraviglioso senso di sollievo, nel poterlo stringere di nuovo a
quel modo. Nonostante il caldo ovattato d'agosto, stargli addosso così era
incredibilmente bello.
- Adesso sono qui.
E' meglio, no? - Bisbigliò contro il mio orecchio. Soffocai un sorriso
nell'incavo del suo collo, prima di alzarmi in punta di piedi, a cercargli le
labbra con le mie per qualche secondo.
- No, così è meglio. - Replicai, arrossendo
vistosamente sotto il suo sguardo divertito. Mi accarezzò il viso, gli scappò
un sorriso nel trovarlo bollente sotto le sue dita.
- Ecco, questo mi
mancava da morire...! - Ridacchiò. - Vederti arrossire ogni singola volta, come
fosse la prima. -
- Ti mancava la mia
insulsa imbranataggine, perfetto. - Mugugnai, leggermente contrariata.
- Mi mancavi tu. - Si affrettò a correggermi. Tuffò
una mano nel groviglio dei miei capelli, prima di posarci un bacio. - Volevo
uccidere Nicky, solo perchè ha usato il tuo stesso
shampoo...! - Esclamò, come fosse stata una grande ovvietà.
- Il mio
shampoo...? - Domandai, in un sussurro appena udibile. Lui annuì, deciso.
- Non bada mai
molto alla marca di quello che compra. Un giorno, appena dopo la doccia, mi è
passato vicino... Quell'aroma lo riconoscerei tra mille: ho minacciato di svuotare l'intero flacone sulla sua Gibson elettrica preferita, se l'avesse
fatto di nuovo! - Sorrise, ma io ancora non capivo. Tornai a fissarlo con occhi
indagatori, mentre continuava il racconto e si rigirava uno dei miei riccioli
chiari fra le dita. - Quello è il tuo
profumo, Mar. Dei tuoi capelli,
quando sono ancora umidi e scompigliati... Mi sembrava sempre che fossi lì
intorno, da qualche parte. Era come sentirti
e non poterti avere. Una vera tortura...!
- Arrossii, di più, mentre lasciavo che la sua bocca tornasse a premere con
dolcezza sulla mia.
- Sai che glielo
avevo detto io...? - Sorrisi, senza allontanarmi da lui. - Al piccolo. Perchè è apposta per i capelli ricci, quella qualità. - I
boccoli perfetti di Nick, marchio di
fabbrica Jonas, erano praticamente patrimonio dell'umanità: ogni sforzo
atto a preservarli era cosa buona e giusta, per tutti. Forse non per Joe.
- Pessimo
consiglio. - Incastrò un sospirò nell'attimo di vuoto, freddo tra due baci roventi. Avevo sempre la sensazione che le sue
labbra scottassero, a contatto con le mie. - Per me può rimanere calvo. -
- Dai...! - Tentai
di rimproverarlo, per quanto in quel momento mi risultasse difficile. Lui
sogghignò, prontissimo - come sempre, quando gli conveniva - a cambiare
discorso.
- Sono stati i tre
mesi più lunghi... estenuanti della
mia vita. - Sentii la sua mano arrampicarsi lungo la mia schiena e
istintivamente, mi aggrappai a lui per essere sicura di rimanere in piedi sule
mie gambe.
- Sai anche cosa
vuol dire "estenuante", adesso...? - Soffocai una risata, cercando di
non annegare nel mio imbarazzo.
- L'ho provato
sulla mia pelle, che è molto peggio. - Rincorse l'orlo della mia canottiera con
le dita e lo superò, prima di premerle appena contro la pelle tesa.
- Piano, piano. -
Lo rimbeccai. Mi allontanai quanto bastava e cercai di soffocare l'impulso
irresistibile di affondare nuovamente nel suo abbraccio.
- Sì, continuiamo
di sopra...! - Inarcò le sopracciglia, con tutta la malizia di questo mondo.
Arrossii vistosamente, ma dalle mie labbra socchiuse non uscì alcun suono.
Joe scoppiò in una
risata fragorosa e mosse qualche passo all'indietro. Poi si girò e recuperò una
shopping bag di stoffa - non capii nemmeno bene da dove -, il logo di H&M era
sbiadito come se qualcuno ci avesse passato sopra un ferro troppo caldo. Si
inginocchiò e prese a spegnere malamente le candeline, senza curarsi di
mantenere intatto lo stoppino.
- Aspetta. - Mi
abbassai, togliendogliene una ancora accesa dalle mani. Soffiai delicatamente
sulla fiamma e tamponai con le dita il filamento bruciacchiato. - Voglio
tenerle... E magari riaccenderle. - Sorrisi, poggiando il ciottolo di cera sul
fondo della busta. Poi vidi i suoi occhi accendersi di tenero stupore.
Mi allungai a
raccogliere la successiva, questa volta fu Joe a bloccare me. Le sue dita
scivolarono dal polso alla mia spalla senza che quasi me ne accorgessi. Finii
seduta insieme a lui sul marciapiede ancora caldo di sole, totalmente incurante
della gente che - ne ero sicura - ci guardava con crescente curiosità. Lasciai
che mi baciasse di nuovo e ricambiai il suo sorriso, mentre mormorava sulle mie
labbra.
- Bentornata...! -
°°°
- Quindi loro sapevano...! -
Aggrottai le
sopracciglia ed evitai accuratamente di guardare il mio riflesso, incastrato
fra la spalla di Joe - che ci era appoggiato - e la cornice dello specchio. Nicholas,
Chiara e Kevin si erano dimostrati veramente degli ottimi attori: solo ora, col
senno di poi, tutti i pezzi andavano al loro posto e i piccoli segnali che
avevo colto assumevano un significato.
- Non avrei mai
potuto farcela, da solo. - Ridacchiò.
L'ascensore si
fermò all'ultimo piano con un leggero scatto di assestamento. Raggiunsi in
fretta il pianerottolo e sentii le sue braccia stringermi, di nuovo. Mi
trattenne con decisione, lasciandomi giusto il tempo di assaporare il calore
lungo la schiena: le sue labbra contro il collo troncarono sul nascere
qualunque altro impulso.
- Siamo ancora fuori...! - Mormorai.
I tentativi di
resistergli sarebbero stati decisamente vani, lo sapevo da prima che
cominciasse quella tortura. Lo lasciai fare e gli strinsi la mano che teneva
sulla mia pancia, come a intimargli silenziosamente di non andare troppo oltre.
Si fermò dopo poco, sogghignando e mi restò addosso mentre facevo
scattare la maniglia. In casa c'era molto silenzio.
Attraversai il piccolo ingresso quasi di corsa e senza badarci troppo,
lasciando sbatacchiare qua e là la busta che stringevo.
- RAZZA DI BUGIA- - Mi bloccai, mentre le parole franavano l'una
sull'altra e il fiato moriva in gola.
La mano di
Nicholas, pallida e affusolata, sfiorava quasi il pavimento: stava sdraiato fra
i cuscini del divano - quelli che ancora resistevano strenuamente al loro posto
- i muscoli totalmente rilassati e lo sguardo rivolto a Chiara, come non
vedesse assolutamente null'altro. Mossi qualche passo all'indietro,
premunendomi di provocare il minor rumore possibile e trascinai Joe con me.
Portai un dito alla bocca, dovevamo fare silenzio.
- Guarda...! - Si
fermò e mi spinse leggermente da parte, quanto gli permetteva di sporgersi
oltre il muro e vedere senza essere visto. Indicò la mia amica, proprio nel
momento in cui scivolava leggermente in avanti e toccava le labbra di Nick con
le proprie per quella che parve una frazione di secondo.
- Smettila, non è
carino. - Tentai di portarlo verso la cucina, con scarsissima convinzione e
ancora minori esiti. Ero già troppo presa ad osservare come il piccolo avesse
impedito a Chià di risollevarsi, stringendole le
spalle scoperte e premendosela addosso. Affondarono - se possibile - ancora di
più nel sofà, in un groviglio confuso di sospiri e imbarazzo. Mi lasciai
sfuggire un sorriso e arrossii appena: per quanto dolci a guardarli così,
sembrava il caso di lasciarli soli. Le labbra di Chiara erano scese al collo di
Nicholas e gli strappavano brevi, rumorosi mugolii che decisamente avrebbero fatto meglio a rimanere cosa fra loro due. -
Vieni via... Se ci vede, mi ammazza! -
- Hai visto? Se lo
stava praticamente mangiando...! - Ghignò, mentre chiudevo la porta della
cucina alle nostre spalle. - Ora mi spiego i segni che gli spuntavano addosso
in quei posti improbabili: non che abbia mai creduto alle sue balle su lividi e
scottature, comunque. - Aggiunse, inarcando le sopracciglia.
- Le è mancato
moltissimo. Avrà avuto... voglia. -
Borbottai. Sentivo le guancie bollenti, nonostante stessi armeggiando con l'acqua
ghiacciata del lavandino: posizionai una bottiglia particolarmente sottile
sotto il getto, per riempirla. Rispose con un lieve mormorio d'assenso: il suo
tono era divertito.
Percepii la sua
vicinanza, quasi prima che si muovesse effettivamente, come al solito. Forse
per via del suo respiro improvvisamente teso o per il silenzio che era repentinamente
calato. Finsi di non essermene accorta affatto e continuai ad occuparmi
dell'acqua per il giglio, finchè non fu lui a parlare.
Si chinò appena in avanti e sistemò le mani sul bordo del bancone a breve,
calcolata distanza da me. Non mi toccava, potevo muovermi liberamente, eppure
ero già stretta nel suo abbraccio. Non capivo - e nemmeno avevo le forze di concentrarmici abbastanza - cosa stesse aspettando.
- E' difficile
stare lontani... - Mormorò, contro il
mio orecchio. - Non credi? -
Lasciai il fiore
nel vaso ed afferrai i suoi polsi, con le dita ancora bagnate. Staccai le sue
mani dal banco di truciolato e le poggiai sulla mia pancia, una sotto l'altra,
in modo che si trovasse ad abbracciarmi i fianchi. Tremavo, piano. Una persona
qualunque non avrebbe notato nulla, lui
sì. Sorrise, stringendomi di più e prese ad accarezzarmi piano. Appena sotto
l'ombelico, dove la stoffa gli lasciava strada.
- Perchè tremi? - Ecco, appunto.
- Niente. - Agitai lentamente il capo,
insicura. - E' che... Insomma, sono tre mesi. E' tanto...! -
Arrossii
vistosamente, come se quel ridicolo balbettio non fosse stato abbastanza
eloquente. Abbassai lo sguardo e mentre rischiavo seriamente di mordermi il
labbro a sangue, valutai l'ipotesi di divincolarmi e scappare dietro la porta più
vicina. Ipotesi che - per altro - morì non appena le sue labbra lambirono la
mia spalla.
- Sì, ne ho
maledettamente voglia anche io. - Fu
quello il momento in cui stabilii, decisamente, che non ci capivo più nulla.
Sentii una lacrima rotolare lungo la guancia e morirmi sulla bocca poco prima
che incontrasse la sua.
Joe sollevò con
assurda facilità tutti i miei quarantanove chili e meno di un minuto dopo, mi
lasciò cadere sulle lenzuola fresche di bucato. Potevo immaginare quali
sarebbero stati i commenti di Chiara, l'indomani mattina. Quanto mi avrebbe
imbarazzata ogni singola frecciatina: in quel momento non avevo decisamente
tempo di badare alle conseguenze. Sfilai quei suoi assurdi occhiali e li
poggiai malamente sul comodino prima di tuffargli la mano fra i capelli, lisci
e leggermente scombinati. Come piacevano a me, lo sapeva. Ebbi la netta
sensazione che avrebbe potuto farmi qualsiasi cosa, se prima m'avesse guardata
e baciata a quel modo, ogni volta.
- Tremi, ancora più
di prima. -
- Stringimi... Ancora
più di prima. -
°°°
Le "duemmezza" del mattino. Mi svegliai per la posizione
strana in cui stavo - aggrovigliata nel lenzuolo e in una maglia di pigiama
decisamente non mia, che non ricordavo neppure di essermi messa -, per l'aria
fresca di temporale che soffiava dalla finestra aperta. Per la carezza
irregolare del suo respiro sul viso. Rotolai su un fianco e lì rimasi,
immobile, a fissare il mio comodino mentre cercavo di ricordarmi come si prende
fiato. Sorrisi contro il cuscino. Joe.
I miei libri erano
stati impilati, in qualche modo: stavano in un angolo, quasi ordinatamente
disposti e, davanti, il mio giglio chinava appena il capo oltre il piccolo vaso.
Soprattutto c'era un bicchiere di vetro trasparente - di quelli normali, bassi
e cilindrici - sul cui fondo brillava una candelina accesa, bianca come un
ciottolo di fiume.
Prometto di renderti felice,
come ti ho detto ora che ho capito:
tutto sarà perfetto.
{ Estratto da
Mezz'ora - Zero Assoluto }