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Autore: allanon9    15/05/2010    3 recensioni
Cosa succede a Jane? Perchè non va al lavoro? Scopritelo in questa oneshot no spoiler.
Genere: Generale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Teresa Lisbon
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Autore: Allanon9
Spoilers:
 Nessuno
Pairing: Jisbon                                                                                                                                                                                                                                                              
Rating: Per tutti
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "The Mentalist" di proprietà della CBS.

Illness

Era domenica sera, una domenica sera di fine primavera e Teresa Lisbon, seduta sul divano nel suo appartamento, già sentiva nell’aria l’estate.

Fin da piccola adorava l’estate: i colori accesi della natura, il profumo del mare, le gite che spesso faceva con la sua famiglia, prima che sua madre morisse.

“Basta Teresa!” si ordinò a voce alta, era pericoloso addentrarsi nei ricordi.

Andò a dormire presto, l’indomani l’aspettava una dura giornata di scartoffie ed interrogatori.

Al mattino si svegliò fresca e riposata, aveva dormito veramente bene.

Arrivò al quartier generale del CBI con dieci minuti d’anticipo rispetto al suo standard e subito si mise al lavoro.

Non si accorse dell’arrivo del suo team, tanto era concentrata, finchè Van Pelt non le portò una tazza di caffè bollente.

“Ehi capo, come va?”

“Ciao Van Pelt, bene grazie. Uhm…caffè, mi hai letto nel pensiero.” Disse Teresa grata alla sua recluta.

“A proposito di lettura del pensiero Lisbon, Jane non è ancora arrivato, non è da lui.” Aggiunse Van Pelt sorridendo.

Teresa alzò la testa ed annuì.

“Chiamagli, se non risponde manda Rigsby a vedere che succede.” Disse spazientita, ci mancava anche Jane.

Van Pelt chiamò più volte il cellulare di Jane, ma pur essendo libero lui non rispose mai.

Alle undici Rigsby andò al suo appartamento, ma nessuno gli aprì.

“Lisbon, Jane non sembra essere in casa che faccio, butto giù la porta?” chiese il giovane per telefono al suo capo.

“Lascia perdere, sarà a bighellonare da qualche parte. Torna subito, ho bisogno di te per questo interrogatorio.” Gli rispose la donna.

La giornata passò senza che Jane si facesse vivo e Teresa cominciò davvero a preoccuparsi.

Congedatasi dal team si recò all’appartamento del suo consulente, visto che continuava a non rispondere al telefono.

Suonò varie volte e, non avendo risposta, aprì con la chiave di riserva che Jane teneva dietro una pianta del pianerottolo.

L’appartamento era buio e silenzioso e Teresa, istintivamente, tirò fuori la pistola.

A passi leggeri si fece strada nel piccolo soggiorno e accese la luce.

“Spegni.” Disse una voce che proveniva dal divano e che l’aveva fatta sobbalzare di spavento.

“Jane! Che diavolo…” gridò lei mettendo via l’arma.

“Spegni la luce Lisbon, mi fa male agli occhi.” Disse di nuovo lui con la voce strana.

La donna fece il giro del divano e vide Jane disteso sul divano scarmigliato e con indosso un pigiama azzurro chiaro. Beh, fin qui nulla di strano, Jane stava sempre sdraiato sul divano anche al CBI, la cosa diversa era il suo aspetto sofferente.

“Che ti è successo Jane, perché non hai risposto alle nostre chiamate? Rigsby è venuto anche qui. Ci siamo preoccupati a morte.” Disse Teresa, non dandogli neppure il tempo di fiatare.

“Se stai zitta un secondo te lo spiego.” Disse lui mettendosi seduto.

Solo allora Teresa notò i puntini rossi che gli coprivano tutto il viso ed il collo.

“Jane!”

“Uhm…credo che sia varicella Lisbon.” Disse lui mesto.

Teresa scoppiò a ridere, la situazione era davvero comica.

“Perché ridi? Non è divertente. Stamane mi sono svegliato con un mal di testa infernale e, quando sono andato in bagno per radermi, ho trovato questa bella sorpresa.” Disse lui facendo il broncio.

“Scusa Jane, davvero. Ehi, ma la varicella è contagiosa.” Disse Lisbon allontanandosi un po’ da lui.

Jane sorrise.

“Sì, ma solo quando cadono le crosticine. Qui siamo ancora all’inizio.”

Lei si riavvicinò al divano e si sedette accanto a lui.

“Hai anche la febbre vero?” gli chiese provando a prendergli la temperatura sulla fronte.

Lui si scostò leggermente. “Sto bene.” Disse.

“Vuoi che ti prepari un the?” gli chiese ancora.

“Grazie, sarebbe fantastico.” Le rispose lui sorridendole.

Teresa si alzò e si recò nella cucina. Era la prima volta che metteva piede nell’appartamento di Jane.

Era piccolo: un monolocale con cucina-soggiorno.

L’arredamento era essenziale: un divano di pelle rosso scuro, un televisore, un tavolo con quattro sedie e nella cucina vera e propria c’erano il frigo, i fornelli e il mobile col lavello incorporato. Due soli armadietti pensili e nient’altro.

Dalla porta aperta alla sua destra potè vedere la stanza da letto. C’era il letto matrimoniale perfettamente ordinato, una cabina armadio, i comodini e un’altra porta che probabilmente immetteva nel bagno.

Il posto era pulito ed ordinato quasi maniacalmente ed era fornito di grandi finestre con tende leggere bianche.

Teresa trovò il bollitore già sul fornello, vi aggiunse l’acqua e la mise a scaldare.

Intanto preparò le tazze e in quella di Jane vi aggunse il latte, non capiva che differenza facesse mettere il latte prima o dopo, ma Jane diceva che il sapore della bevanda era diverso.

“Tutto bene lì?” chiese Jane.

“Si certo, vuoi lo zucchero nel the?” gli chiese.

“No, va bene senza.”

Bevvero il the in silenzio, scambiandosi occhiate furtive.

“Hai chiamato il dottore Jane?”

Lui la guardò negli occhi, la bocca leggermente aperta e lei riuscì a vedervi la solitudine infinita di quest’uomo, ma in in una frazione di secondo scomparve, lasciando spazio allo sguardo canzonatorio tipico di Jane.

“No, credo che mi abbia contagiato una delle figlie del sospettato del nostro ultimo caso. Era rimasta a casa da scuola perché stava male, ce l’aveva detto sua madre.”

“E tu, come al solito, non hai resistito dal mettere il naso nella sua stanza vero?” disse Teresa con tono di rimprovero.

Lui alzò le spalle. “Mi conosci.”

Lei sospirò.

“Sì, quando ci sono bambini nel mezzo…Ad ogni modo se ti lasciassi prendere la temperatura, potremmo provare ad abbassarla. A guardare i tuoi occhi mi sembra che sia piuttosto alta.”

“Non importa Lisbon, domani andrà meglio.”

“Non essere sciocco, lasciati aiutare per una volta.” Disse lei esasperata.

Lui aprì la bocca ma poi la richiuse.

Non aveva voglia di litigare, non si sentiva abbastanza in forze.

“Ok. Ma faccio da solo.” Disse alzandosi e sparendo in bagno.

Tornò poco dopo col termometro.

“Che aspetti Jane, mettilo sotto l’ascella.”

Lui ridacchiò. “Mio padre me lo infilava sempre a forza in bocca, succedeva raramente che mi ammalassi, ma quando accadeva ero davvero insopportabile.”

Lei lo guardò perplessa. “E cos’è cambiato da allora? Solo che ora sei sempre insopportabile.”

Lui rise più forte.

“Smetti di farmi ridere Lisbon, la testa mi scoppia proprio.”

“E’ la febbre Jane. Ci vorrebbe del ghiaccio.” Disse dirigendosi in cucina e aprendo il freezer.

A parte qualche barattolo di gelato al cioccolato, era vuoto.

Allora bagnò una salviettina e gliela mise sulla fronte.

“Ahh!” Esclamò Jane con grande sollievo e chiudendo gli occhi.

“Stenditi.” Disse lei.

Ubbidiente Jane si allungò sul divano e Lisbon lo coprì col plaid che riposava sulla spalliera.

“Grazie Lisbon.” Mormorò lui con la voce roca.

“Spera solo di non contagiarmi Jane.”

“Nel qual caso mi prenderei io cura di te.” Sussurrò lui sull’orlo del sonno.

Lei sorrise involontariamente a quella frase così da Jane.

Quando gli tolse delicatamente il termometro Jane dormiva. La temepratura era quasi quaranta gradi, c’era da  immaginarlo. Passò una mano sulla fronte calda del suo consulente e lui si mosse leggermente, farfugliando il nome di sua moglie.

Le si strinse il cuore. Aveva passato tutta la giornata solo e malato, disteso su questo divano senza nessuno ad occuparsi di lui.

La rabbia la fece fremere, perché non l’aveva avvertita? Poi si rese conto che era di Jane che si trattava.

Chiamò il suo dottore e spiegatagli la situazione quello le disse quali farmaci poteva dargli.

Andò nel bagno per vedere che tipo di medicine avesse in casa Jane.

Trovò dell’aspirina, un antipiretico scaduto e i sonniferi. Notò che il flacone era semi vuoto, segno che ne faceva uso spesso.

Aveva bisogno dell’antipiretico per abbassare la febbre, quindi uscì lasciandolo tranquillamente addormentato.

Nel frattempo che Lisbon andava a comparare la medicina Jane si svegliò all’improvviso, aveva avuto uno dei suoi incubi.

Col fiato corto e le mani che gli tremavano leggermente si guardò intorno disorientato.

Ci mise cinque minuti a capire che era nel suo appartamento di Sacramento e non nella villa di Malibù, il soggiorno era vuoto e la luce era spenta.

Jane ricordò che c’era stata Lisbon lì con lui e la chiamò.

“Lisbon?”

Non ricevendo risposta si alzò e andò in cucina, muovendosi perfettamente al buio, come se fosse una cosa che faceva sempre.

Prese un bicchiere d’acqua e lo bevve d’un fiato, gli sembrava di avere un fuoco inestinguibile dentro.

Barcollando leggermente andò in bagno e si lavò il viso, poi si mise a letto e accese la TV.

Il rumore della serratura che scattava lo riscosse dal torpore nel quale era caduto.

“Lisbon sei tu?” chiese esitante.

“Jane, dove sei? Ah eccoti. Ti sei svegliato vedo, bene. Sono uscita a prenderti la medicina che mi ha prescritto il dottore per telefono, ha detto che queste malattie infantili sono un po’ più violente quando si prendono da adulti.” Rise leggermente mentre gli preparava la soluzione di medicina e acqua. “Io gli ho risposto che tu eri adulto solo fisicamente, ma che mentalmente hai solo cinque anni.”

Lui le regalò il suo sorriso storto.

“Grazie davvero Lisbon, e non lo dico ironicamente.” Aggiunse prendendo il bicchiere che lei gli porgeva e bevendo piano piano.

Lei fece spallucce.

“Vuoi mangiare qualcosa?” gli chiese sedendosi sul bordo del letto.

“No. Ma se tu vuoi mangiare puoi ordinare qualcosa al take away.”

“No, sto bene così. Allora cosa guardavi?” disse riferendosi al programma televisivo.

“Uhm…un documentario sull’Amazzonia, sai che gli antropologi…Uhm, mi sfugge quello che fanno gli antropologi in Amazzonia, domani mi tornerà in mente.” Borbottò chiudendo velocemente e più volte le palpebre.

“E’ normale se non riesci a concentrarti Jane, appena la febbre sarà calata ti sentirai meglio. Il dottore ha detto che durerà uno o due giorni al massimo, poi comincerà il prurito.”

Lui fece una smorfia. “Fantastico.”

“Ora devo andare è tardi, domani tornerò a trovarti. Sei hai bisogno chiamami.”gli disse mettendogli una mano sul braccio.

“Uhm…Lisbon?”

“Sì?”

“Niente, a domani.” Disse salutandola con la mano.

“Ciao.”

Appena lei uscì chiudendo piano la porta dell’ingresso, Jane si diede mentalmente dell’imbecille.

Avrebbe voluto chiederle di restare, avrebbe voluto chiederle di tenerlo stretto e magari raccontarle l’incubo che l’aveva svegliato, ma non ne aveva avuto il coraggio. Era ancora imbranato come a quindici anni con le donne.

Sorrise al ricordo della prima volta che aveva chiesto a sua moglie di uscire, l’aveva fatto solo perché lei l’aveva sfidato a farlo, dicendogli che mai sarebbe uscita con un sensitivo spaccone e vanitoso.

Jane chiuse gli occhi, cosa c’entrava ora sua moglie con Lisbon?

Forse era la febbre che lo confondeva, ma era sicuro che se ci avesse provato neppure Lisbon avrebbe voluto uscire con lui, in fondo era la sua spina nel fianco.

Cercò di concentrasi sul programma televisivo ma senza accorgersene scivolò nel sonno, confortato dal pensiero che domani Lisbon sarebbe tornata da lui.

Teresa entrò nel suo appartamento sentendosi strana, no malata, solo strana.

Lei era certa che Jane non si ammalasse mai e che se lo avesse fatto si sarebbe comportato come un bambino capriccioso, invece lui era stato stoico, neppure un lamento era uscito dalla sua bocca.

Avrebbe voluto rimanere lì con lui, avrebbe voluto stringerlo forte e rassicurarlo che lei sarebbe stata ancora lì al suo risveglio, ma uqesto non era troppo professionale e lei era ligia alle regole e alla professionalità.

Dopo una doccia rilassante si coricò confortata dal pensiero che domani sarebbe tornata da lui.

  
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