“Io non ho paura della morte”
Il conto di quante volte quelle sfrontate parole avevano varcato la soglia delle sue labbra, l’aveva perso molto tempo prima.
Verità, sacra verità.
Non aveva paura della morte perché lui era già morto, innumerevoli volte, nel corso degli anni.
Era morto insieme alle sue donne, insieme a suo figlio, agli amici, ai nemici, a coloro che erano morti, per sua intenzione o meno, tra le sue braccia, chiamandolo assassino.
Pezzo dopo pezzo la sua anima era stata dilaniata e lui, senza alcun funerale, ne aveva contemplato con indifferenza la sepoltura.
Meno che uomo, meno che umano, di sé stesso non rimaneva che freddo intelletto.
Avrebbe potuto sopravvivere a lungo lo stesso, e lo sapeva.
Ciò che non aveva messo in conto era il fatto che, mentre lui lentamente moriva, coloro che gli stavano intorno, coloro che lo amavano, vivevano.
Vivevano soffiando la loro vita nei suoi polmoni di gesso, e regalando i loro battiti al suo cuore di acciaio arrugginito.
Questo, e non la morte, faceva veramente male.
Questo, e non i tartari, i turchi o i russi, era il suo nemico.
Questo, e nient’altro che questo, lo spingeva ora alla resa.
Disfatta totale, unica battaglia contro cui non aveva armi, unico duello da cui non avrebbe mai potuto uscire morto.
Ed allora giaceva in un letto di dolore e piacere, inerme contro colei che, con spietata dolcezza, riesumava i suoi sentimenti e li ricuciva al loro posto, pezzo dopo pezzo, piccola rammendatrice testarda.
Amore, doloroso amore.
Una sola notte per riscattare un’intera vita.
Quel mattino, svegliandosi accanto al corpo caldo di Philippa, Francis Crawford di Lymond seppe di aver ritrovato la propria anima.