Sussurri alla menta all’una di notte – 14 maggio.
Montgomery
non aveva l’aria di uno che si era divertito alla grande.
Quando era entrato
nella sua stanza, nel pomeriggio, per chiedergli di prestargli quella
giacca di
pelle nera fan-ta-sti-ca, aveva
annunciato
che la sera stessa sarebbe passato dal campus delle ragazze per
prendere
Marianne e portarla al concerto di un gruppo locale –
ovviamente ignoto a lui,
Ethan, che avrebbe dovuto rifarsi al più presto
un’intera cultura sulla musica
indie della sua epoca. Prima di uscire in tutta fretta, aveva messo
sotto una
piccola montagna di libri sulla filosofia ottocentesca costruita
esattamente
nei pressi della porta, distruggendola e spargendo ogni frammento
cartaceo sul
pavimento già ingombro. Ethan pensò che avrebbe
dovuto ringraziare il “grande Dio
del Rock” perché il mattone di storia non gli
fosse arrivato in testa,
provocandogli una sicura commozione cerebrale.
All’una
di notte, invece, fu proprio Ethan a sentire la necessità di
pregare.
«Sei
sveglio, matricola. Lo so che sei sveglio. Stavi per
bestemmiare».
«Mick…
dannazione, spegni la luce. Cazzo».
«Vorrei
poter accontentare la tua seconda richiesta».
Ethan
sbuffò, sforzando gli occhi nel tentativo di abituarli alla
luce. Per sua
fortuna, Mick Montgomery sapeva quando fosse necessario utilizzare
quell’organo
chiamato cuore: spense la luce e, avvicinandosi al letto, accese
l’abat-jour
sul comodino occupato da fogli di carta appallottolati e indumenti.
«Sei
senza mutande, Ethan?»,
sghignazzò
indicando un paio di boxer neri sul pavimento, imitando
l’accento texano di
Ozzy. Si sedette per terra, sistemando la schiena contro al letto, la
testa
all’indietro poggiata sulle coperte.
«Rompicoglioni
idiota bambino, perché sei venuto a quest’ora a
sfracellarmi le- ».
«Non
è andata».
Silenzio.
Ethan
si morse la lingua, il viso nascosto a metà dalle coperte.
«Marianne non…».
«Esatto.
Dice che è stanca. Vuole una persona
più… be’, seria».
Ethan
non seppe che rispondere. Desiderare qualcuno di serio significava
semplicemente
non volere più avere intorno Mick.
Mickey.
La
sola persona sciocca, spontanea e fastidiosamente allegra che Ethan
avesse mai
conosciuto e che mai – era certo – mai sarebbe
cambiata per qualcun altro.
Neanche per la donna amata o per
l’amico-che-tanto-amico-non-sembrava.
«Alle
volte penso che con gli uomini possa essere diverso».
«Mh?».
Eccolo.
Ritornava all’attacco.
«Ci
si capisce, Ethan. Non è così complicato, siamo
tipo… standardizzati».
«Che
cazzata. Ognuno ha la propria personalità, il proprio modo
di reagire alle
situazioni e…».
«Ti
prego, Ethan. Usiamo gli stessi
cliché per le azioni più abitudinali, quasi ci
avessero fabbricato seguendo uno
schema. Con lo stampino, no? Pim!».
Ethan
rifletté su quelle parole, taciturno.
«So
a cosa stai pensando, ad esempio. La stessa cosa che penso
io».
«Che
ti ha detto?», chiese rapido Ethan, deviando il discorso. E
stranamente, Mick
accondiscese. Allora ne aveva davvero bisogno.
«Sai
questi discorsi squisitamente nonsense fra uomo e donna? Del tipo lei
“tu non mi capisci” e lui “cosa intendi
dire?”. Ecco,
così».
Ethan rise a
quella battuta, senza
trovarla tuttavia divertente.
Era triste. Come
se lo stereotipo
dell’incomprensione fra uomo e donna avesse la precisa
intenzione di spingere
ciascuno fra le braccia di persone dello stesso sesso.
Affinché potessero
comprendersi.
Rabbrividì
quando dalla finestra
socchiusa entrò un leggero filo di brezza primaverile ad
accarezzargli la
pelle.
Era triste.
Faceva paura.
«Questa
cosa mi mette ansia», espresse
a voce alta – un codardo tentativo di provare la sensazione
involontaria che lo
aveva avvicinato a Mick la prima volta che, per sfida, lo aveva baciato
a
stampo.
«Non
temere. Ci sono io al tuo fianco.
Posso restare stanotte?».
«Fanculo»,
rispose, allungandogli il
cuscino che aveva imparato a tenere accanto, per evenienze di quel tipo.
N/A.
Ethan e Mick
sono i personaggi
protagonisti di una long pensata questa stessa mattina.
Un’idea malsana nata
così, all’improvviso. Il titolo l’ho
ideato prendendo spunto da una
caratteristica di Mick, goloso di caramelle alla menta :P
Fan fiction
partecipante al contest 2010: a year
together , indetto dal Fanfiction
Contest ~ { Collection of Starlight since 01.06.08 }
Prompt
#172. Lei: «Tu non mi capisci». Lui:
«Cosa intendi dire?».