Venni, vidi, vinsi.
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Alphonse aveva sempre pensato che la sua non-vita fosse qualcosa di
estremamente interessante.
Tale curiosità, un po’ di dolcezza a rendere meno amara la pillola da
mandare giù, nasceva da molteplici fattori tra cui la natura insolita del suo
stato e quella stessa situazione che aveva ritenuto –erroneamente- unica nel
suo genere e che l’aveva perciò spinto a studiarla circospetto.
Era piuttosto fiero, un orgoglio agrodolce, dell’espressione di malcelata
meraviglia dipinta sul volto di chi gli passava accanto, come pure dell’essere
scambiato per il suo fratellone, nonostante l’evidente fastidio isterico di cui
fosse preda l’altro in simili occasioni, ma anche l’orgoglio aveva macchie a
renderlo imperfetto e quello che tanto lo rendeva felice, non poteva evitare di
riportargli alla mente l’altra faccia della medaglia e cioè che era un bambino.
Un bambino privato anzitempo dell’amore materno e che proprio in nome di quello
stesso storge(1) aveva intrapreso la strada del suo destino, un
quattordicenne senza cuore e strappato alla propria casa, al proprio corpo e
alla stessa vita per recuperarne una parvenza.
Poteva un’anima senza involucro a contenerla definirsi essere umano? Poteva
chiamarsi con lo stesso appellativo di quei simili che ora apparivano tanto
diversi, tanto lontani? Certo che sì.
Non è l’aspetto ad identificare un uomo per quel che è, ma ciò che ha dentro a
caratterizzarlo, renderlo unico ed insostituibile e almeno sotto quel punto di
vista lui poteva dirsi più che a posto.
Il fratellone gli aveva sempre ripetuto che non ci fosse nulla per cui sentirsi
colpevoli, che il loro prezzo l’avessero pagato quel giorno che ora appariva
tanto distante e che non ci fossero motivi per cui rammaricarsi delle scelte
passate, per soffrirne.
Era un bugiardo il fratellone perché, se avesse avuto ragione altrimenti, non
avrebbe dovuto lui stesso provarli quei sentimenti che tenacemente voleva
fossero scacciati da entrambi, ma sulla cui presenza poteva contare sempre e in
qualsiasi momento.
Quel senso di colpa tacito tra loro, la tristezza procurata dai ricordi del
passato e la nostalgia di ciò che si erano lasciati alle spalle per recuperare
qualcosa che non sarebbe mai tornato ad essere ciò che era stato prima, a
rivestire lo stesso ruolo; quelle emozioni che Ed non voleva che sentisse, lui
non poteva fare a meno di percepirle, indiscussa e gioiosa conferma che in quel
guscio di ferro albergasse qualcosa di diverso dall’aria e il vuoto
insondabile.
L’assenza di una fisicità, un’individualità contornata da sensazioni e labili
strascichi di cognizioni sensoriali, del calore di una pelle che non c’era, di
un organismo che procedeva col suo piano regolatore altrove, di mani, piedi,
occhi e bocca spogliati della loro funzione, di una corporatura scheletrica in
cui le ossa premevano per uscire come uccelli in gabbia. Tutto questo Al lo
sentiva dentro di sé.
Avvertiva l’impellente bisogno di qualcosa che non aveva e non gli apparteneva
più se non nel nome, l’esigenza di abbracciare quel qualcosa indefinito ed
illudersi di sentirne il tepore a contatto con le sue dita ghiacciate,
metalliche.
Al lo sentiva, l’aveva sempre sentito e quel bisogno astratto era sempre stato
fedelmente affiancato dal sommesso sussurro di un richiamo delicato, appena
accennato, ma che risuonava assordante nell’elmo cavo, disperato come lo era
stato lui nelle prime notti di separazione, divorato dall’orrore di se stesso,
la repulsione per quell’armatura vuota e il riflesso dello specchio che non
riconosceva ed era suo solo quando –se- ad osservarsi era negli occhi di
Ed.
E ora lo vedeva. Quel corpo a lungo cercato, a lungo bramato, quel corpo le cui
lacrime tanto aveva desiderato versare, quel corpo che avrebbe dovuto
rifiutare, che, ora come ora, gli era perfettamente inutile, di intralcio.
Come avrebbe potuto combattere con quelle braccia così gracili? Correre su
quelle gambe sottili che a malapena reggevano il peso del busto e tremavano già
in piedi? E come poteva, però, tornare indietro a mani vuote? Gettare al vento
l’opportunità straordinaria inseguita in tutti quegli anni di essere di nuovo
completo, di nuovo se stesso?
La risposta era già nel sorriso sottile nella malinconia del suo sé, negli
occhi tristi, ma consapevoli e nella mano tesa versa la sua, nel polso e nel
movimento dell’arto che lasciava intendere stesse per tornare al proprio posto,
inchinandosi alla decisione che aveva compreso l’altro avesse ormai preso.
C’era un non so che di definitivo, il tragico dubbio a tormentarlo, renderlo
meno sicuro arricchendo così quel suo fantomatico ritorno appena promesso, una
rimostranza tacita alla scelta dell’anima nobile, libera dai peccati e vizi
capitali, a svolazzare maligna in quell’anfratto luminoso e infinito, dove
tutto era bianco eppure di un candore opaco e sporco come i pensieri di chi vi
era incarcerato dalla sua creazione, dove tutto diveniva di un giusto
sbagliato, costretto che feriva gli occhi.
Alphonse corse all’uscita, rifuggendo da quel luogo di perdizione e verità
sconsacrate e ancora una volta fu con una sofferenza fiera, la consapevolezza
della scelta migliore ad accompagnarlo, che si voltò, l’ombra di un sorriso di
scuse inespresso sul volto ferrigno, coperto per metà dalla spalla e la schiena
ampia. Uno sguardo che di colpevole non aveva nulla tranne che il pensiero, già
rivolto a coloro che erano aldilà del portale maledetto e delle braccia e mani
infingarde che lo ghermivano insidiose.
E quello che si lasciava indietro, cupidigia ed egoismo mai soddisfatto, parlò
alla Verità senza più sorridere, parole le sue che erano garanzia di
disperazione e insieme speranza rifiutata.
C’era ancora qualcosa che andava fatto, qualcosa a trattenerlo su quel terreno
pieno di detriti e distruzione, ad ancorarlo lì oltre le gambe impossibilitate
a muoversi.
Rinunciare al proprio corpo per combattere e poi trovarsi comunque intralciato
dall’altro corpo, quello fittizio che aveva scelto di occupare ancora per
rendersi utile, era ciò che avrebbe esemplificato come dimostrazione perfetta
di quel che veniva definito contrappasso(2).
Tuttavia tornava a suo vantaggio perché gli rendeva possibile quello che, solo
ora riusciva a realizzarlo, era sempre stato un suo sogno. Dimostrare la
gratitudine al fratello che tanto gli aveva dato e per il quale tanto avrebbe
dato, diventava realizzabile, concreto come le lacrime di May che si apprestava
a fare quel che le aveva chiesto, come l’urlo accorato di Ed a risuonare
distante e terribilmente vicino, struggente di dolore e consapevolezza
impotente e anche rabbia, come la luce abbagliante che lo inghiottì mentre
scompariva, affidando ad una realtà che si dissolveva, un arrivederci
rassicurante che non emise suono.
Tu devi combattere fratellone per salvare tutti quanti e poi venire a
prendermi.
Io ti aspetterò perché credo in te, per questo..
«Fratellone... vinci.»
Io ti aspetterò, ti aspetterò.
Venni alla verità che non era quella che tu o altri volevate raccontarmi,
ma quella che ho scoperto da me, che ho imparato a riconoscere come mia.
Vidi che potevo essere me stesso in qualsiasi forma, che l’apparenza
era mera illusione mostrata dall’occhio narciso, che ciò che contava era la
sostanza, il cuore e i sentimenti racchiusi in ognuno di noi.
Vinsi la mia paura di rimanere solo, gli scheletri nell’armadio e la
continua negazione di quel che ero e rimarrò, l’opportunità meritata di tornare
al me originale e riconquistato.
Venni, vidi, vinsi e ora ti aspetterò.
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Storge(1): (στοργή) è l'amore d’appartenenza, ad
esempio tra parenti e consanguinei (Wikipedia).
Contrappasso(2): http://it.wikipedia.org/wiki/Contrappasso.
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Non ho seriamente corso il rischio di scoppiare in lacrime a questa scena
solo perché stavo già piangendo. Ho letto da poco gli ultimi capitoli usciti e
mi ero prevedibilmente commossa pensando che la fine è vicina, ma guardando
questo ç___ç mi è venuta una stretta al cuore. Alcune volte odio davvero Al
perché è troppo buono, troppo ingenuo, troppo caritatevole, altruista,
generoso, troppo bambino, perché questo lato del suo carattere finisce col
ritorcersi sempre contro lui ed Ed, ma proprio per questo suo essere così non
posso fare a meno di volergli ugualmente bene. Inoltre, a giudicare dalla
reazione più che prevedibile del fratello, c’è da sperare e augurarsi che si
riesca ad avere un lieto fine come Dio comanda, diversamente da quello
dell’anime che, ricordo più che bene, mi lasciò annichilita, anche se chiamarlo
fine o anche lieto è davvero troppo. Vedere Edward senza automail mi ha
stranito e anche Al o immaginarlo senza armatura non poco, ma penso sia normale
e boh, se così non è, ci farò comunque l’abitudine credo..
Un saluto a tutti e a presto!<3