Autore: pralinedetective
Titolo: Casual affair
Fandom: Katekyo Hitman REBORN!
Numero
scelto:
13
Personaggi/Pairing: Daniela, OC.
(DanielaxOC)
Genere: Introspettivo; Drammatico,
Nonsense.
Rating: Giallo.
Avvertimenti: What if?
Beta reading: raxilia_running
Note
dell'Autore.
Mi
annoiavo. Cercavo di dormire nella mia mattinata di bigiata approvata e
ho avuto
l’ispirazione per due flash e una che sono indecisa se
rendere oneshot,
bi-shot, chissà cosa. Boh.
Ve la ricordate Dani-chan, l’ottavo boss dei Vongola? Ecco.
U___U Siamo nella
seconda metà degli anni Quaranta, in barba al mondo e al
canon :mki: E poi
comunque Daniela muore, sì.
Buona lettura! (?)
Note post-risultati.
Be’, indubbiamente questa storia ha aspettato troppo. Io ho
aspettato troppo –
forse ho sbollito e ho metabolizzato la cosa, molto più
probabilmente no, però boh.
Sono molto arrabbiata con me stessa per come stanno le cose,
però tengo a
questa storia e mi dispiacerebbe non pubblicarla. Anche se non merita
per
nulla.
La finestra della fine è la stessa dell’inizio:
dato che per ora ci hanno
presentato tre donne che governano il Sereno e tutte e tre posseggono
l’abilità
di leggere nel futuro, ho voluto che anche Daniela, in questo momento,
ne fosse
capace. La storia è quindi riflessa interamente nella
finestra, dal momento in
cui “l’altro” le rivolge la parola sino
alla citazione prima dell’epilogo;
forse fa un po’ Final Destination XD, però bon.
Spero veramente che qualcuno riesca a comprenderla e apprezzarla.
Veramente.
«Boss?»
Lasciò cadere immediatamente la sigaretta ancora a
metà e si voltò rapidamente,
cercando di dissimulare lo spavento: non avrebbe dovuto farsi
sorprendere così
facilmente però, tentò di giustificarsi
mentalmente, l’edificio era ormai stato
messo in sicurezza. E comunque sapeva di avere Edoardo alle spalle.
«Andiamo» ordinò sfregando le mani per
pulirle dalla polvere.
«Le faccio strada, Boss?»
Casual
affair.
(I’ll
pay you to shoot him
now)
L’uomo
sedeva in salotto e batteva freneticamente le
dita sui tasti della macchina da scrivere poggiata sul tavolo basso che
aveva
di fronte. Le labbra schiuse su un respiro affannoso, alzava di tanto
in tanto lo
sguardo dal proprio lavoro per studiare la porta, quasi si aspettasse
che
questa venisse aperta da un momento all’altro; ed
effettivamente successe,
accompagnandosi a uno scenico cigolio e al vento che infuriava appena
fuori.
«Da~nie~la!»
«Zitto scemo». La donna entrò e
sparì subito, seminando per strada
l’impermeabile fradicio, il cappello e la sciarpa scura di
lana, a sua volta
umida. Lui la seguì, sbirciando nella stanza da bagno giusto
in tempo per
vederla mentre tirava la tenda della vasca: circa venti minuti prima
che
arrivasse aveva telefonato, probabilmente dalla base, e aveva chiesto
che le facesse
trovare tutto pronto.
«Non mi chiedi che ho fatto oggi?»
trotterellò dentro, puntando al coperchio
del cesto della biancheria sporca come sedile provvisorio.
«Provaci e te lo faccio riparare con la carta di giornale e
la colla» lo
minacciò, ascoltando la sua risata e i passi che si
muovevano in direzione del
wc. «Allora... cos’hai fatto oggi, Battista?»
Lo
sentì tossire un sorriso lieve, per poi riprendere
con voce ora più allegra ed eccitata. «Sono deciso
a convincere tutti che la televisione
– s’interruppe
probabilmente per fare qualche stupida smorfia – non ha
futuro: tutto comincia
con la radio e tutto finirà con la radio, a morte i
novellini!»
La mano di Daniela fece capolino da dietro la tenda, domandò
«shampoo» senza
molta voglia di partecipare alla conversazione.
«Oh, cara moglie,» continuò lui
offrendole la boccetta di vetro scuro, «sai
cos’altro ho fatto? Ho preparato la cena. Cioè, ho
riscaldato la pasta avanzata
per pranzo, però ho preparato il pranzo quindi di
conseguenza anche la cena. E
si è raffreddata perché eri ancora in ritardo:
cosa penseranno i vicini
vedendoti arrivare alle undici e mezza di sera?»
«Perché mai i vicini dovrebbero guardare casa
nostra alle undici e mezza di
sera?»
«Non ne ho idea!» rise con una nota di disperazione
nella voce. Sospirò, poi
con il piede trascinò un angolo della tenda in sintetico,
fino a svelare il
volto stanco e irritato della donna: «Cosa è
successo oggi?» domandò, quasi
stesse implorando.
Lei sospirò, smettendo d’insaponare i capelli. Si
aggrappò con le mani al
bordo, scivolò un altro poco in acqua fino a immergere il
mento.
«Nulla» mormorò. «Nulla
d’importante» aggiunse qualche istante dopo
guardando
negli occhi Battista; lui si batté la mano sulla gamba e
abbandonò il “campo di
battaglia”.
«Lo
scoprirò da solo!» La voce dell’uomo la
raggiunse
dall’altra sala: una particolare ombra nella voce la fece
sorridere.
-
-
Sapeva di certo
che la strada scelta da quell’uomo, Alessandra,
non era la più breve né la
più sicura per raggiungere l’aeroporto,
soprattutto perché si muovevano verso
Ovest, stessa direzione seguita durante il viaggio d’andata.
Si era inoltre
identificato solo con il cognome, che coincideva con lo stesso del
primo uomo
che aveva ucciso, anni (e vite) prima.
“Se si trattasse di un cospiratore,” ricordava di
aver pensato la prima volta,
“sarebbe indubbiamente una persona molto pigra, o poco
intelligente”.
Le condizioni di
quel che non era molto più di un
sentiero erano disastrate – continuava ad andare a sbattere
contro il sedile,
la pistola nascosta nella cintura che la infastidiva a ogni sobbalzo.
Non si
lamentò, e fu probabilmente questo il primo segnale
d’allarme per il traditore.
«Boss» si sentì infine chiamare; smise
di cercare indizi nel rumore del motore,
percependo chiaramente che stavano rallentando. «Avete
intenzione di chiamare
gli altri oppure...»
«Perché dovrei?» la mano sinistra
s’irrigidì ulteriormente sulla maniglia della
valigetta che teneva in grembo: «Dopotutto tu non stai per
farmi del male».
-
-
Non aveva
interesse nel vestirsi subito. Dopo aver
accuratamente asciugato i capelli, si avvolse nel pesante accappatoio
del
marito e uscì dal bagno, accomodandosi al tavolo in cucina.
«Allora, questa
cena?» domandò tentando di risultare il meno
brusca possibile. Più tentava di
rilassarsi e meno ci riusciva.
«Allora, l’educazione?» fece in risposta
lui mentre le metteva davanti una
tazza piena per tre quarti. Di fronte allo sguardo interrogativo di
lei,
rispose: «È tardi per mangiare qualcosa di pesante
come la pasta, vorrei che
bevessi questo tè caldo e andassi subito a letto, sembri
sconvolta».
“Boss,” un ghigno, “Daniela,
desiderate che vi uccida subito o che vi faccia soffrire
lentamente?”
Un lampo di luce
improvviso la costrinse a chiudere gli
occhi; una voce le tremò nel petto, al modo di coltello che
affonda rapidamente
e poi viene lentamente girato, più volte, straziando il
corpo e uccidendo
l’orgoglio.
Sensazioni familiari e spiacevoli si sovrapponevano: l’odore
del sangue nelle
narici, la pioggia nelle scarpe, le lacrime appese alle ciglia. In un
tentativo
di resistere si aggrappò alla gamba del tavolo, e questa
divenne nella fantasia
l’impugnatura della sua balestra: lo stesso calore innaturale
dell’Ultima
Volontà pareva solleticarla.
«Daniela?»
“Daniela...”
«Ehi, Dani-»
“Daniela!”
«DANIELA!»
Riacquisì il controllo, scoprendosi a puntare
l’arma dritta contro Battista: a
richiamarla, un fastidio nel sogno, le fiamme che realmente si
dipanavano dalle
sue mani. Sbatté le palpebre per scoprirsi sconvolta,
sconfitta in maniera
vergognosa.
«Io... Esco, non aspettarmi». Si alzò e
si diresse a grandi passi verso
l’ingresso, ricordando solo una volta sulla porta di
indossare nulla oltre all’accappatoio.
Fece per raggiungere la camera da letto quando s’accorse di
tanti altri
particolari che fino ad allora le erano sfuggiti.
Le tende
avrebbero dovuto essere azzurre, non bianche.
Detestava il colore bianco da quando l’avevano costretta a
indossarlo il giorno
della morte di Fabio.
Mancava il pianto di Timoteo e la telefonata che l’alleato
dei Guastamacchia
aveva annunciato.
La balestra era chiusa nella sua valigetta, ora rimasta... Dove
l’aveva
lasciata?
-
-
«Non
penserai che risponda sul serio a una domanda del
genere».
«Di quale genere? Non ho chiesto nulla». Si
guardò intorno, cercando di
ricordare il momento in cui erano scesi dall’automobile. E
anche dove fosse
finita.
Si trovavano in mezzo a una strada, forse la stessa che stavano
percorrendo
fino a qualche – minuto? Ora? – prima, ai piedi la
ventiquattr’ore aperta e
vuota. L’uno di fronte all’altra, a parlare al modo
di due nemici sul punto di
scontrarsi.
È
la nostra ora incisa sull’anello.
Abbassò
gli occhi sul simbolo del potere esercitato: la
pietra riluceva di una nuova determinazione e, per una volta, la prima,
l’unica, fu lei a donare il potere alla padrona.
«Io ti farò sparire... come se stessi per
morire».
«Le faccio strada, Boss?»
(To
make him drink from the same dried cup)
Affacciata alla
finestra, le spalle al pericolo, Daniela
mira al futuro.
Osserva un ragazzino dall’aria fragile che si professa essere
decimo padrino
dei Vongola, si rivela con il proprio titolo, riconosce nei compagni i
volti
degli antenati. Legge sul viso di quel piccolo sconosciuto i valori che
ha
seguito e mai assecondato, mentre sorride con incredulità a
un Timoteo
dall’aria stanca e serena.
«La tua determinazione è stata accettata
all’unanimità».
«Ma
no, è lei il capo: faccia strada».