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Autore: Lady_Firiel    27/05/2010    6 recensioni
Edward Elric amava ogni cosa, piccola… Sì, piccola e grande, di Roy Mustang.
E ognuno dei suoi cinque sensi era totalmente drogato della presenza dell’altro.
Oramai si trattava di una quotidiana routine.
Genere: Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Edward Elric, Roy Mustang
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Daily Routine (by five senses)

Daily Routine (by five senses)



Si rigirò nel letto, tra le lenzuola stropicciate e sfatte.
Nel suo stato di dormiveglia, gli occhi dorati ancora coperti dalle palpebre, Edward allungò la mano di carne verso il lato del letto che era solito occupare il suo compagno, trovandolo però appena tiepido, segno che l’altro doveva essersi alzato da un po’.
Mugugnò, infastidito da quell’assenza, sistemandosi sul letto a pancia in giù, per distendere meglio il braccio.
Le lenzuola, azzurro chiaro, erano leggermente umide per il sudore prodotto durante la notte. Però si sentiva, al contatto con i polpastrelli che iniziavano a destarsi, che erano di qualità: Ed sentì sulla cute la morbidezza, la serica consistenza della stoffa, e si divertì a carezzarla un po’, provando un tenue piacere nel vezzeggiare i pizzi delle federe con la punta delle dita.
Annoiatosi che fu di quel “gioco”, si rimise a pancia in su, drizzandosi poi a sedere sul letto, avvertendo una leggera fitta all’altezza dei reni: due anni, e ancora non aveva fatto del tutto l’abitudine a quel tipo di rapporto.
Non che, in verità, fosse avvezzo ad altri tipi, ma far sesso con Roy gli risultava, l’indomani, ancora un po’ strano. Però, che diamine, si vive una volta sola, no?
Sbadigliando sonoramente e senza preoccuparsi di coprire l’interno della bocca, ora in bella vista, si stiracchiò, sentendo l’auto-mail cigolare appena e non dandovi importanza.
Scese dal letto e recuperò delle mutande dal cassetto; poi, un po’ per pigrizia, forse un po’ per tenerezza, si infilò la camicia bianca che il suo compagno aveva lasciato sull’appendiabiti: nonostante i vent’anni gli avessero portato qualche centimetro e le spalle gli fossero divenute più robuste, gli indumenti di Roy gli entravano comunque spaventosamente grandi. Quella, in particolare, gli scivolava lungo gli avambracci e gli arrivava poco sopra al ginocchio, coprendo perfettamente i boxer.
L’abbottonò alla buona, dirigendosi in cucina a piedi scalzi.
Fu nel corridoio che le sue narici avvertirono un aroma familiare di caffè: un caffè caldo, intento a bollire nella moka, che entro breve sarebbe stato versato in una tazza colorata, gli sarebbe stato aggiunto un cucchiaino scarso di zucchero e, una volta intiepidito, sarebbe stato bevuto dall’Alchimista di Fuoco.
Sorrise, un sorriso dolce come se ne concedeva unicamente quand’era sicuro di non poter essere visto, nel pensare a quanto familiare, quotidiano, tutto quello fosse.
All’odore del caffè si aggiunsero la fragranza delle frittelle che Mustang cucinava per lui, quella dello sciroppo d’acero con cui le affogava e, infine, l’effluvio dolciastro delle confetture che il suo compagno spalmava sul pane tostato.
Entrò in cucina di buonumore, trovando il coinquilino ai fornelli, un grembiule a fiorellini indosso, sopra dei vestiti comodi usati per stare in casa, e qualche chiazza di pastella sullo zigomo.
«Buongiorno Mame-chan!» lo accolse, allegro, e Ed, quella mattina, era tanto sereno –oppure tanto assonnato- che non s’arrabbiò neppure, accostandosi al proprio interlocutore per reclamante il bacio del buondì.
Ovviamente, Mustang non glielo negò, girandosi verso di lui e stringendoselo contro, approfondendo l’effusione con la lingua.
A Edward piaceva il sapore della pelle di Roy, perché era unico; non che fosse poi così particolare, ma a forza di ricoprire quel corpo di baci, il suo sapore era diventato assolutamente riconoscibile, per lui: perché il Colonnello sapeva di dolce e salato al contempo, aveva il retrogusto dell’amarezza accompagnato ad un po’ di acidità.
Per lui, Roy Mustang sapeva di casa. Di famiglia.
Con uno schiocco sciolsero il momento, tornando a respirare liberamente.
«Buongiorno, Taisa…» sorrise.
«Dormito bene?»
«Sì, tu?»
Un sorrisino malizioso.
«Mm, non male…» e gli strizzò l’occhio, con fare complice.
Aveva una voce che grondava arroganza, Roy Mustang: una voce virile e sensuale, bassa e languida, ma ferma e decisa.
Cose che Acciaio aveva sempre saputo. Si era sorpreso molto di più quando aveva udito la prima volta quella sfumatura cristallina e quasi mielosa, quella con cui rideva la mattina, quando gli dava il buongiorno o lo scherniva per la sua altezza.
Era una sfumatura della sua voce, una voce che aveva imparato ad amare assieme al resto del proprietario, di cui era particolarmente geloso: perché era tanto bella, alle sue orecchie, da desiderarne l’assoluta proprietà.
Perché era soltanto a lui che Roy rivolgeva quel tono.
«La colazione è quasi pronta…» annunciò, tornando ai fornelli per girare le frittelle, affinché si dorassero bene da entrambi i lati.
Edward si accomodò al suo posto, davanti al quale stavano un bicchiere e una brocca di spremuta d’arancia –perché era ancora in guerra col latte non era un grande estimatore del caffè-
In cinque minuti anche le ultime frittelle furono pronte e lo chef le impilò con esaltata maestria nel vassoio di ceramica con le viole, pezzo del servizio che aveva regalato loro Winry quando avevano iniziato a convivere.
«Un dono di nozze» aveva scherzato, alla “festa” organizzata da quei nullafacenti degli uomini di Mustang per quell’evento “nazionale”, mentre tutti ridevano e lui arrossiva come un pomodoro.
Roy poggiò il vassoio in tavola, prima di levarsi il grembiule –un grembiule ridicolo, con quei fiorellini così femminei- e sedersi di fronte al compagno. Gli sorrise, passandogli il vassoio.
«Grazie» ringraziò il biondo, sorridendo a sua volta ed accettando quando gli veniva porto, servendosi abbondantemente, mentre l’altro prendeva una fetta di pane tostato dal cestino di vimini, semi-nascosto dalle vettovaglie –erano tante che pareva dovessero sfamare un plotone intero, più che due soli uomini-, e vi spalmava sopra la marmellata di arance.
Il più giovane posò in un angolo il piatto, allungando l’auto-mail per raggiungere lo sciroppo d’acero con cui affogarle. Non arrivandoci, fu il Colonnello a porgerglielo, ridacchiando.
«Braccia corte, eh?» lo schernì.
«CHI SAREBBE IL PICCOLO MICROBO GROSSO QUANTO UNA PARTICELLA INFINITESIMALE?!» lo aggredì, urlando tutto d’un fiato. Il moro rise, allungando la mano a scompigliare i capelli dorati, ancora sciolti sulle spalle.
«Non cambierai mai, Ed…» disse, affettuoso, scostando poi l’arto verso la guancia ed elargendo una carezza leggera che ad Acciaio non sembrò dare fastidio.
«Colonnello di merda… Sei sempre il solito Colonnello di merda…» lo punzecchiò a sua volta, con una sfumatura di amorevole ironia nella voce divertita.
Non l’avrebbe mai ammesso, a nessuno, ma lui amava il sorriso che si dipingeva sul volto del suo Taisa quando riusciva a renderlo felice: era un sorriso un po’ sghembo, che metteva i mostra i denti chiari e stirava gli zigomi, facendogli assumere un’espressione assolutamente impagabile, splendidamente buffa.
Era un risolino malizioso, schernitore, arrogante.
Però, quando si rivolgeva ad Edward Elric –non al Fullmetal Alchemist- diventava dolce, accorato, tenero.
A volte, quell’uomo di trentatré anni compiuti gli sembrava un cucciolo: perché era un combina guai sempre in vena di coccole. Ed aveva un irresistibile sguardo, quando assumeva un’aria contrita.
Edward Elric amava ogni cosa, piccola… Sì, piccola e grande, di Roy Mustang.
E ognuno dei suoi cinque sensi era totalmente drogato della presenza dell’altro.
Oramai si trattava di una quotidiana routine.



Kon'nichiwa, gente!
Allora, che ve ne pare di questa fic?
Mi è venuta l'ispirazione un bel giorno, non molto fa, a pensarci bene, mentre facevo... Oh Shigami-Sama, che stavo facendo? Boh, non ricordo...
Comunque, vendendomi quest'idea, una semplice, forse banale, storia di una quotidianità che forse chiunque potrebbe immaginare, ho deciso di "elaborare" lo scritto dal punto di vista non del narratore esterno, bensì da quello dei cinque sensi di Edward.  Spero vi sia piaciuta, come elaborazione, a me era sembrata un'idea carina ^^
Ah, finalmente sono riuscita ad usare il dizionario dei sinonimi e dei contrari comprato un mese fa, me felice! *saltella sul posto come una cretina per ragioni altrettanto crertine*
Va be', sorvoliamo ^^'
Beh, che dire? Spero che non sia un plagio, bla bla bla, oramai si sà, no?
E mi auguro che vi sia piaciuta almeno un po'. Commenti, consigli e critiche sono ben accetti. ^^

I personaggi non mi appartengono e nel mio fruire di essi non vi è alcuno scopo di lucro.

Alla prossima! ^^

Lady_Firiel
   
 
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