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Autore: kishal    28/05/2010    4 recensioni
Perchè essere diversi, spesso, non vuol dire essere soli. C'è sempre qualcuno pronto ad accompagnarci nelle nostre quotidiane difficoltà. Anche se questo qualcuno è il nostro peggior nemico. Non è vero, Damon?
Genere: Avventura, Dark, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Eva – La Prima Figlia

 

 

 

 

 

Capitolo 1: Mystic Falls

 

 

 

 

 

Mi chiamo Eva, e ho diciassette anni.

Vado per i diciotto a dirla tutta, ma ho smesso di dare importanza alla mia età anni fa. Non mi interessa il progredire del tempo, non do importanza a quelle tappe cronologiche a cui tutti sembran prestare tanta attenzione. Avere dieci, venti, cinquanta, cento anni non cambierà di certo il mio spirito, e ben poco scalfirà il mio aspetto. Forse il mio repertorio di esperienze ne gioverà, ma ne ho avute così tante in così pochi anni da aver timore di quanto altro la vita abbia intenzione di farmi apprendere.

Ho deciso di lasciare la casa dove sono cresciuta proprio per questo motivo... prendermi una pausa, stare in pace, rilassarmi. Là non avrei potuto farlo... troppi ricordi troppo dolorosi da ricordare. Questo gioco di parole rende al meglio, col suo effetto ridondante, quanto appesantito e amareggiato sia il mio spirito per le mie passate vicissitudini.

Per alcuni aspetti sono stata una ragazza molto fortunata, non posso negarlo. Figlia unica, genitori amabili, conto in banca da favola. Ma neanche tutti questi dolci regali che la vita mi ha fatto sono serviti a fare pareggiare la bilancia, la cui pendenza gravava troppo sul piatto delle sfortune.

Quando, passato il periodo più nero, ho deciso che era il momento di riniziare, ho semplicemente aperto il pc e cercato la località più recondita, più sperduta, più dimenticata che ci fosse in America.

La scelta è ricaduta su Mystic Falls.

Lo devo ammettere, non era il peggio che potessi trovare. C'erano luoghi ben più anonimi di questo piccolo paesino, che tra l'altro è anche piuttosto grazioso e ha una storia interessante alle spalle. La verità è che Mystic Falls mi ha letteralmente stregato. Sono rimasta incantata a guardare le foto di quell'allegro villaggio perduto nella storia, e una sorta di euforia mi ha spinto ad abbandonare ulteriori ricerche e recarmi lì al più presto.

 

Una volta arrivata, le aspettative non furono deluse. Qualcosa mi diceva che era qui che dovevo stare, che questo era il mio posto.

Anche trovare casa non fu difficile. Avevo bisogno di un'abitazione comoda, con un bel giardino dove potermi rilassare alla luce del sole, non troppo grande (in fondo ero sola) e non troppo isolata. Una villa in un quartiere residenziale periferico fece proprio a caso mio.

Concluso l'acquisto, tornai a casa per prendere tutte le mie cose, e salutare quel posto che mi aveva vista crescere.

Arrivedercisussurrai sull'inferriata del cancello. Arrivederci, non addio. Perché, sì, un giorno sarei ritornata lì... ma chissà quando.

 

 

Driiiiiin.

Driiiiiiiiin.

Erano gli ennesimi, terribili strepiti della sveglia. L'aveva lasciata suonare per un po', ma oramai non ne poteva più. Chi glielo aveva fatto fare di iscriversi all'ultimo anno di scuola lì, in quello sconosciuto paese, quando vi si era recata solo per rilassarsi?

Credeva forse che il diploma fosse un relax?

Da quando studiare distendeva i nervi?

Stava decisamente cadendo nel masochismo.

Lei, Eva Addams, era masochista.

 

“Eva! EVAAAAAAA!”

 

Arraffò uno dei tanti cuscini che la circondavano nel gran lettone, e se lo mise sopra la testa. Adesso ci si metteva pure Rosie, la sua governante. Perché se l'era portata dietro? Per puro masochismo, è indubbio.

Ah, no. Aveva tentato di scappare via senza di lei, ma quella vecchia strega l'aveva rintracciata nel giro di due settimane. Le voleva molto bene, è vero. Era stata una seconda mamma per lei. Ma ci sono momenti in cui si riesce un po' ad odiare perfino le mamme.

Tipo quando loro ti vogliono svegliare e tu vuoi dormire.

Rosie e la sveglia erano le sue acerrime nemiche, al momento. Col cuscino, tuttavia, sarebbe riuscita a tenerle a bada entrambe per un bel po'....

Promemoria: gettare via la sveglia e comprare più cuscini. I cuscini sono sempre utili.

 

 

“Allora signorina, in questa bustina rosa c'è il pranzo, e in quest'altra arancione c'è la colazione, che ti mangerai strada facendo, visto che rischi di arrivare in ritardo!” Sentendola scendere gli ultimi gradini, Rosie iniziò a metterle in chiaro la situazione, mentre ancora trafficava tra pacchi e pacchetti. “Lo so che a scuola c'è la mensa, ma se ne dicon così tante sulle mense scolastiche che proprio non mi fido, lo sai! Certo, qui a Mystic Falls non sarà come a Los Angeles, probabilmente le cucine si serviranno di genuini prodotti locali... ma non si sa mai, meglio evitare eventuali problemi!”.

 Eva percorse gli ultimi passi che la separavano dalla governante ghignando a suo indirizzo. Coi capelli neri e crespi raccolti sul capo, l'abito lindo e i modi di fare veloci e precisi, quasi militareschi, la sua cara Rosie poteva sembrare perfettamente un ufficiale tedesco. Se mai erano esistiti membri dell'esercito ariano di origine nera... cosa assai difficile. La sua tata era un'infaticabile ape operaia, sembrava nata per lavorare, non si fermava mai. Altrettanto infinita, oltre la sua energia, era la parlantina di cui era dotata.

Rosie era decisamente logorroica. In effetti, era l'unica che parlasse così tanto nella sua famiglia. Anche i suoi genitori, come lei, non erano mai stati tipi molto chiacchieroni. E questo, in effetti, alla fine si era rivelato essere un gran difetto. Se avessero parlato di più con lei, se si fossero sforzati di rivelarle la verità al momento giusto, non sarebbe andato tutto a male.

Deglutì, tentando di abbandonare quegli amari pensieri e concentrarsi sulla figura di Rosie. Non doveva pensare al passato, questa era la promessa che si era fatta. Eppure ancora ricadeva in errore con estrema facilità

 

“Buongiorno anche a te, cara tata!” Le disse, con fare allusivo.

Quella finalmente si degnò di alzare lo sguardo, fissandola severamente. “Sono le otto e quattordici minuti, Eva Marion Addams! Le otto e quattordici minuti! E mi vieni qui a parlare di buongiorno? Alle otto e quattordici minuti?”

“Non può essere un buon giorno, alle otto e quattordici minuti?” La prese in giro, fissandola con le sopracciglia alzate. Sapeva di essere in fallo, ma fare infuriare Rosie era sempre stato il suo passatempo preferito, fin da bambina.

“Non può esserlo se alle otto e trenta tu devi essere seduta sul banco per il tuo primo giorno nella nuova scuola! Sono le otto e... quindici! E tu sei ancora in casa! Corri in camera tua a cambiarti, le cibarie te le infilo io in borsa!

“In camera a cambiarmi?!” Disse lei, stupita, fissandola come un'allocca. A dire il vero era già pronta.

“Se credi che ti lascerò uscire di casa conciata in quel modo ti sbagli di grosso! Corri su a cambiarti, e vedi di trovare qualcosa di più adeguato stavolta!

“Ma perché? Che ha quest'abbigliamento che non va?!” Aveva indossato un paio di jeans con le borchie, un chiodo nero, e un paio di stivali di pelle scura. Niente di che, è vero, ma stava andando soltanto a scuola!

“Eva, ma devo spiegartele io queste cose?!

“Perdonami grande capo, ma sei l'unica a notarle!”

Quella sbuffò, chiudendo la borsa dopo averci messo dentro i sacchetti. “Passi il tatuaggio che hai sulla fronte, ma tutto quel nero, e i tre piercing che hai sul mento, sono decisamente esagerati e fuori luogo! Cosa penseranno i nuovi compagni di te?”

 

L'espressione afflitta che assunse il suo viso poco dopo mostrò in tutta la sua falsità quanto le interessasse il pensiero dei suoi futuri compagni. “Che mi devono stare alla larga?!” Esclamò infatti poco dopo, togliendo la sacca dalle mani della tata e uscendo di casa dopo averle lanciato uno svogliato saluto, a cui quella rispose con una valanga di rimproveri in sua direzione.

Sì, Rosie era proprio logorroica.

 

 

Erano le otto e diciassette quando aveva messo piede fuori casa. Moriva di fame, ma per arrivare a scuola ci volevano almeno dieci minuti di camminata; considerando che era il suo primo giorno, che doveva cercare la classe e probabilmente fare una sua presentazione, avrebbe dovuto impiegarci meno tempo per raggiungerla, o sarebbe arrivata giusta per l'orario d'ingresso.

Ciò voleva dire che doveva correre.

Quindi, addio colazione... almeno per il momento.

 

Mentre camminava nel viale, vide uscire dalla casa di fronte alla sua una ragazza.

In effetti, non l'aveva mai vista fino ad allora. Stava a Mystic Falls da un mese, e aveva passato quelle settimane chiusa nella sua villa, a bearsi della sua solitudine, demandando a Rosie qualsiasi compito che richiedesse un contatto col mondo esterno.

Quella graziosa creaturina doveva avere la sua stessa età, e probabilmente era una delle fanciulle più ambite della scuola. Bruni capelli lunghi e perfettamente stirati, trucco perfetto, abbigliamento alla moda... sì, decisamente si trattava di qualche ape regina, quel genere di ragazza con cui proprio non andava d'accordo.

Tanto per confermare la sua ipotesi, una macchina da urlo, guidata da un ragazzo altrettanto fantastico, si fermò pochi istanti dopo proprio davanti a lei. Giusto il tempo di salire in macchina e scambiarsi un bacio, che erano già spariti all'orizzonte.

Maledetti fashionisti, lei invece doveva correre coi suoi piedini.

Altro promemoria: farsi la patente.

 

 

 

Seduta sotto la chioma di un gigantesco albero, beatamente immersa nella sua solitudine, in mano il suo tanto agognato panino, si rallegrava di come stessero proseguendo le cose lì, a Mystic Falls.

Sì, decisamente aveva fatto bene a trasferirsi in quel posto, la prima giornata di scuola l'aveva dimostrato. Compagni tranquilli, professori tranquilli, ambiente tranquillo. Certo, gli sguardi curiosi in sua direzione non erano mancati, lei era la novità del momento. Ma un'occhiata alla sua aria ombrosa e distaccata, ai suoi minacciosi piercing e al suo insolito tatuaggio sul viso erano bastati per tenere alla larga anche i compagni più socievoli. Se la particolarità del suo aspetto era considerata quasi insignificante in una grande metropoli come Los Angeles, dove se ne vedevano di tutti i colori, lì invece sicuramente aiutava a catalogarla come individuo poco rassicurante, perché troppo fuori dagli schemi.

I paesi di provincia, si sa, sono più conservatori, più chiusi alle novità.

Decisamente aveva giocato bene le sue carte.

Si guardò intorno, curiosando fra le schiere di studenti che, come lei, pranzavano in giardino. Si erano formati numerosi gruppetti, piccole tribù di ragazzi che si univano per passioni, pensieri, attività in comune.

Seduto attorno a un gran tavolo di legno c'era il gruppo dei giocatori di football, ragazzoni giganteschi che vantavano un alto livello di autostima, tante fanciulle adoranti attorno, e, per conseguenza, un'allocazione del cervello differente da quella predisposta naturalmente.

Poco distante da loro stavano le cheerleaders, prorompenti fanciulle che rappresentavano in tutto e per tutto la controparte femminile degli sportivi arrapati.

Un po' più in disparte, nei pressi delle scale antincendio situate dietro la scuola, c'era il gruppo degli sfigati, adolescenti arrabbiati con il mondo per i motivi più svariati, che si dilettavano a autoflagellarsi nei modi più creativi, tramite uso di stupefacenti, pratiche estetiche poco salutari, libertinismo sessuale dannoso e esagerato. Povere deboli creature, destinate all'autodistruzione. Carne da macello nella catena alimentare.

Sempre un po' in disparte c'erano i secchioni, umani abili nell'usare il cervello per studiare, ma quasi completamente incapaci nelle relazioni sociali e totalmente privi di gusto estetico. Parlare con loro erano tanto noioso quanto parlare con gli allupati sportivi: i discorsi vertevano sempre e solo su un unico dogma trinitario, scuola-esami-studio per gli uni, sport-sesso-partite per gli altri.

C'erano poi altre due specie studentesche, gli ignoti da un lato e i famous dall'altro. I primi rappresentavano un bel campione della popolazione media americana, non troppo bravi in niente di specifico, con qualche vaga passione momentanea e qualche incerta mira per il futuro; gli altri vantavano un'autostima fuori dal comune per i livelli esageratamente alti raggiunti e poco proporzionati alle loro effettive capacità, erano solitamente abili manipolatori sociali, festaioli di prim'ordine, stilisti d'occasione. Fra questi, guarda caso, si trovava proprio la sua vicina di casa, in compagnia del ragazzo e di qualche amico.

Aveva visto giusto, avevano la stessa età, e frequentavano la maggior parte delle lezioni insieme. Si chiamava Erika, o Elisa, o qualcosa del genere. Forse Elena. Le conveniva memorizzarsi bene il cognome, che al momento proprio non ricordava: quando avrebbe fatto troppo casino coi suoi festini da prima donna disturbando la sua quiete casalinga, avrebbe saputo quale nome indicare alla polizia locale.

Nel suo gruppo nessuno si era mostrato particolarmente interessato a lei, anzi non l'avevano minimamente calcolata. Tranne una biondina, che anche in quel momento continuava a girarsi in continuazione nella sua direzione per fissarla.

Il suo nome lo ricordava alla perfezione. Caroline, l'oca giuliva che, per fortuna disturbava la sua esistenza solo nelle ore di biologia. Il professore quel giorno l'aveva ripresa più volte per la sua continua, imperturbabile, fastidiosa chiacchera di sottofondo. Ogni volta lei aveva chiesto scusa, e poi aveva ripreso l'identica solfa poco dopo. Dov'era l'enigmista quando serviva?

Doveva aspettarsi un attacco della biondina uno di quei giorni, era certa che sarebbe venuta a tentar di abbordarla per poter poi ciarlare di lei a più non posso coi suoi amici. Ma, forse, se avesse continuato a vestirsi da motociclista punk le possibilità che decidesse di non sacrificarsi in onore del pettegolezzo comune aumentavano. Sì, decisamente era la migliore strategia difensiva da adottare.

Non voleva amici, non voleva conoscenti, non le interessava entrare in contatto con nessuno degli abitanti di quel posto. Voleva solo prendersi il diploma, distendere la mente, risollevare il suo spirito. E prepararsi per il mondo... perché un giorno sarebbe partita, e avrebbe continuato a vagare a lungo, cambiando città a suo capriccio. Per farlo non doveva avere legami, preoccupazioni, problemi. Per farlo, doveva essere libera da tutto.

 

 

“Com'è andato il primo giorno di scuola?”

Fu l'attesa domanda che Rosie le pose non appena tornata a casa.

“Bene, grazie. Che c'è per cena?” Replicò laconica, sorridendole. Sì, era andata bene, nessun intoppo.

“Pizza?”

“Fantastico!”

Fatto amicizia?”

“O sì, ho conosciuto un ragazzo così carino!” Esclamò con sguardo sognante, sedendosi e ficcandosi in bocca i dolcetti ricamati di cioccolato che la sua tata aveva disposto su un piatto come centrotavola. La donna alzò gli occhi al cielo, ben consapevole che quello che le stava raccontando erano pure elucubrazioni mentali. Quando mai quella benedetta ragazza si era preoccupata dell'altro sesso? Certo, come genitore – o come colei che ne faceva le veci - questo significava avere meno preoccupazioni... però anche la totale assenza di interesse per la vita sociale poteva diventare un motivo di apprensione.

In quel momento suonarono al cancello, e le fece segno di andare ad aprire, visto che lei aveva appena preso fra le mani la pasta lievitata per la pizza. Eva non fece una piega, dirigendosi all'uscio e continuando con la sua recita.

“Era moro, occhi di ghiaccio, così sensuale, affascinante... misterioso! Un vero signore, un demone dal fascino oscuro... oh, chissà quando lo rivedrò!

Disse, aprendo la porta.

Di solito accoglieva i visitatori con un'espressione decisamente seccata, in barba a tutte le regole della buona ospitalità, ma quella volta il suo repertorio fu arricchito da una nuova forma.

“Ciao...” Le disse con voce ammaliante l'incarnazione dei suoi pensieri, ammiccandole elegantemente. Decisamente il giovanotto aveva sentito tutto, e non si curava minimamente di nasconderlo.

Ci mise un po' ad abbandonare l'espressione da pesce lesso che non era riuscita a non assumere, ma quando tornò in se rimediò prontamente al piccolo errore, assumendo l'aria più snob in suo possesso. Se quel pallone gonfiato credeva di averla affascinata col suo grazioso faccino, si sbagliava di grosso.

“Sì?” Chiese, scortese. Quello non fece una piega, sfrontato più che mai.

“Sei la nuova proprietaria di White Crown?”

“Non mi risulta.”

“Passami mammina, tesoro.” Consigliò dunque lui, indicando l'interno.

 

Ok, era risaputo, fra i suoi numerosi difetti si poteva inserire anche una massiccia dose di sociopatia. Però quel tipo stava davvero facendo del suo meglio per farle saltare i nervi! Odiava gli sbruffoni. Odiava essere chiamata tesoro, bambolina & co dagli estranei. Se si sommavano le due cose, veniva su una bomba. “Credo che al momento si trovi in qualche girone infernale, non so con precisione dove… prova ad andare al diavolo e chiedi a lui.” Sussurrò, calcando maggiormente il tono sull’invito finale, e chiudendo letteralmente la porta in faccia allo stupito straniero.

Fantastico, aveva trovato già il primo rompiballe fastidioso del posto! E dire che quella giornata stava andando così bene!

Si diresse repentinamente verso le scale che conducevano al piano superiore, mentre all’ingresso continuavano a bussare e suonare il campanello. Salendo, vide Rosie passare con uno straccio in mano e fissarla in cagnesco. Non le chiese neanche cos’era successo: episodi del genere erano già capitati altre volte, altrove.

Si chiuse in camera sua e alzò la radio a tutto volume, decisa a scendere solo quando quel demente se ne fosse andato.

 

Intanto, la governante aveva aperto la porta, trovandosi davanti un alquanto arrabbiato giovanotto, che tuttavia si sforzò di sorriderle quando la vide.

“Immagino di doverle porle delle scuse. Non so cosa Eva abbai combinato, ma credo non si sia comportata per niente bene.”

“Non si preoccupi signora, gli adolescenti sono sempre difficili da trattare.” Replicò galantemente quello, mostrando un affascinante sorriso e fissandola coi suoi splendidi occhi di ghiaccio. Rosie sorrise, pensando a quanto in effetti quel ragazzo assomigliasse a quello descritto dalla sua bambina nelle sue giocose fantasticherie.

“Piacere di conoscerla, io sono Rosie.” Disse la donna, allungando la mano che era riuscita a pulirsi frettolosamente dai residui dell’impasto della pizza.

“Damon Salvatore. E’ lei la proprietaria di White Crown, dunque.

La tata sorrise. No, non era lei la proprietaria, ma la sua Eva. Tuttavia erano dettagli che non interessavano agli estranei, per cui una piccola bugia avrebbe fatto al caso suo. “Certamente. Mi dica, è venuto qui per una visita di cortesia oppure ha un qualche scopo?”

In effetti sono venuto in loco dello sceriffo, la signora Liz Forbes, che immagino abbia avuto modo di conoscere.”

“Oh sì, certo, quella cara donna mi è stata molto utile per ambientarmi a Mystic Falls! Il primo periodo mancavo completamente di orientamento!”

“Sarebbe venuta lei, ma ha avuto daffare in centrale. La signora Forbes fa parte delle Famiglie Fondatrici, e mi ha dato l’incarico di portarle questo.” Disse, dandole una bustina, che Rosie vide subito indirizzata alla “Famiglia Addams”.

“E’ un invito?”

“Fra una settimana ci sarà una festa, a casa del sindaco, dove è invitato tutto il paese, i nuovi membri compresi. Troverà maggiori delucidazioni a riguardo dentro la busta.

La tata alzò il viso, fissandolo. Dal tono di voce sbrigativo aveva capito che il giovanotto non vedeva l’ora di andarsene. Meglio così, aveva la sua cena a cui badare. “Va bene, grazie signor Salvatore. E scusi ancora la piccola peste.”

“Sì figuri, arrivederci!” Salutò quello, con un signorile cenno del capo. Promemoria mentale: non fare più favori a nessuno.

 

 

“Ci hanno invitato alla “Festa della Fondazione”, che si terrà sabato prossimo nella villa del sindaco.” Disse Rosie, mentre entrambe si gustavano la pizza nella graziosa veranda interna della villa, con la piscina illuminata sullo sfondo e gli incredibili colori del giardino estivo tutt’attorno.

Eva era di nuovo più rilassata, quel posto riusciva incredibilmente a calmarla. Così la tata non aveva avuto cuore di rimproverarla per quanto accaduto prima: certo, non che le sue ramanzine avessero mai sortito effetto, ma si era sempre sentita in dovere di ricordarle quale fosse il giusto comportamento da tenere. Quella volta, tuttavia, aveva chiuso un occhio: la sua peste aveva passato un periodo davvero nero, e non aveva alcuna intenzione di scalfire anche solo minimamente i pochi momenti di calma così penosamente agognata.

Per tutta risposta, la ragazza fece spallucce, impegnata a gustarsi la prelibata pizza. Non gliene poteva importar di meno, tanto non ci sarebbe andata.

Rosie scosse la testa, sorridendo. Immaginava una replica del genere, ma avrebbe trovato il modo di convincerla a recarsi lì il giorno: non poteva stare confinata in quella casa per sempre.

“Pare che i questa città sia stato tenuto vivo il ricordo delle famiglie che la fondarono, e ancora oggi queste fanno parte di un consiglio che ogni tanto organizza delle feste in onore di episodi passati! A te piace la storia, no?”

“Molto. Anche la pizza… adoro mangiarla senza le fastidiose interruzioni di chi tenta di convincermi a fare ciò che non mi piace”.

Sgarbata e acida lo era sempre stata, lo doveva ammettere. Ma alle volte faticava davvero tanto a non dirgliene quattro. Decise quindi di cambiare argomento. “Sapevi che questa villa si chiama White Crown?”

“Onestamente non ne avevo la minima idea.”

“Non hai letto il contratto di vendita?”

“Sì, su per giù… L’ha letto il mio legale, ha detto che andava bene, ed io l’ho firmato!”

“Non sai niente dei suoi passati proprietari?”

“Buona la pizza.”

“E’ un modo come un altro per dire che non te ne importa?”

“Molto intuitiva, Rosie!”

“Oh, ragazza mia, stai diventando una vera vipera! Sputi veleno da ogni poro! Non è il caso, forse, che ti ponga un qualche freno? Non è carino né educato come ti comporti! Questo poi è un piccolo paesino, le voci girano in fretta, sicuramente quel ragazzo avrà già detto come ti sei comportata questa sera con lui!

Logorroica. Rosie era logorroica. E, per giunta, aveva sempre ragione. Sbuffò, risentita. “Uff, tata, mi spiace fare la scorbutica anche con te, ma non mi chiedere di usare tatto con gli estranei! Quel ragazzo, poi, era un pallone gonfiato!

“Va bene, lo capisco! Ma non farti additare come un problema dagli abitanti del posto: ricordati che non siamo in città, e se uno straniero qui si fa una cattiva fama, pur di preservare la calma locale troveranno il modo di farlo tornare da dove è venuto. Per amore della stessa riservatezza a cui sei votata, ti consiglio di non dare nell’occhio e comportarti come si deve.”

Eva si ritrovò, in effetti, d’accordo con la logica di quel pensiero. Lì non era a Los Angeles… o in qualsiasi altra grande metropoli. Gli occhi di Mystic Falls controllavano attentamente e selezionavano ogni nuovo venuto, nessuno passava inosservato. Se voleva che nessuno si impicciasse degli affari suoi e la lasciasse vivere nel suo paradiso privata senza essere disturbata, doveva tenere un basso profilo.

Quindi, dal giorno successivo, no ai piercing (sigh!), no ai comportamenti aggressivi, e no anche agli abbigliamenti troppo estremi.

Promemoria: tenere un basso profilo.

 

 

 

La camera della scorbutica era al piano superiore. Si trattava di una lussuosa suite matrimoniale, con un balcone grande quanto una piazza. Il letto a baldacchino era proprio di fronte alla grande vetrata, e nel muro dirimpetto stava uno specchio a parete, riccamente decorato. C’erano numerosi libri sparsi qua e là su mobili, sedie, e perfino sul pavimento. Qualche abito in disordine, numerosi cosmetici disposti in ordine su un beauty, calze spaiate ovunque, la biancheria sporca dentro una grande cesta in vimini vicino alla porta d’ingresso.

Non si capiva se fosse la tana di qualche strano animale o la camera di una fanciulla.

Ma in fondo non ci si doveva aspettare di meglio da una pazza sfrontata dolce quanto le corna di una capra imbizzarrita conficcate sul deretano.

Damon, sotto forma di corvo, l’aveva vista entrare, già in pigiama, e sedersi sul letto. Quella ragazza gli stava sulle palle, e quella notte, per vendetta, si sarebbe nutrito del suo acido sangue. Giusto un po’, non avrebbe esagerato con le dosi. Avrebbe solo fatto in modo di lasciarla ko per qualche giorno.

 

 

Eva si accomodò sul letto, perfettamente rilassata. Avrebbe voluto continuare un po’ con i suoi studi, ma il giorno dopo doveva alzarsi presto per andare a scuola, e non voleva fare ritardo. Ora che l’ultimo anno era iniziato, avrebbe dovuto relegare i suoi studi privati al fine settimana.

Era una bella nottata, peccato per l’umidità che iniziava a farsi sentire, altrimenti avrebbe dormito volentieri in balcone anche quella notte.

Il giorno dopo doveva ricordarsi anche di pregare Rosie di riordinare la sua stanza: così non si poteva continuare, quel posto stava decisamente diventando indecente.

Sentendo un battito d’ali, guardò fuori dalla finestra. Corrugò la fronte nel vedere, appollaiato sulla ringhiera del suo balcone, un grosso corvo nero.

Odiava gli uccelli in generale, ma quelli brutti e sgraziati come i corvi ancor più.

Inoltre… pareva quasi la fissasse.

Si avvicinò lentamente alla vetrata aperta, non mollando neanche per un istante lo sguardo di quella creatura orribile.

Sì, la fissava sicuramente. Sembrava quasi stesse tentando di incantarla. I suoi occhi parevano quasi umani, talmente tanto erano grandi e profondi.

Se in quel caos di cose avesse ritrovato la sua fionda, probabilmente l’avrebbe stecchito all’istante.

Bestiaccia maledetta! Pensò, facendole la peggiore smorfia del suo repertorio e aggiungendoci perfino una volgare alzata di dito medio.

L’animalaccio parve quasi arrabbiarsi, come se comprendesse il significato di tali offensivi gesti.

Eva ridacchiò fra sé e sé, chiudendo la vetrata. Era ora di andare a letto, il giorno dopo l’attendeva un ingrato compito: comportarsi da brava bambina.

Non era mai stato il suo forte, ma ci sarebbe riuscita. In fondo, lei era Eva Marion Addams, e poteva tutto!

 

Prima di coricarsi, aprì il cassetto del comodino alla sua sinistra, e prese dal suo interno una piccola ampolla dal vischioso contenuto rosso. Ne tolse il tappo, e la ingurgitò in un solo boccone.

Sorrise sentendo gli effetti della sua “medicina” sul suo corpo. Sentiva ogni parte del suo fisico ricostituirsi, risvegliarsi, riprendersi. Un aiuto in più per essere in forze l’indomani mattina.

 

 

   
 
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