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Autore: Rota    28/05/2010    6 recensioni
Primavera.
La stagione del tempo di malumore – un’ora splendido, l’altra nuvoloso e grondante di pioggia.
Facile dimenticarsi a casa l’ombrello ed essere sorpresi da una tempesta improvvisa, dove lo scrosciare impetuoso e incessante delle gocce d’acqua copriva con una melodia costante ogni altro rumore.
Genere: Romantico, Malinconico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Hayato Gokudera, Takeshi Yamamoto
Note: What if?, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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primavera Ecco sì, la mia prima 8059.
Penso faccia abbastanza pietà °A°’’
Ed è pure one shot °A°’’
Mi sono presa delle serie libertà per quanto riguardava l’abitazione di Hayato. Non voletemene <3





Primavera






Primavera.
La stagione del tempo di malumore – un’ora splendido, l’altra nuvoloso e grondante di pioggia.
Facile dimenticarsi a casa l’ombrello ed essere sorpresi da una tempesta improvvisa, dove lo scrosciare impetuoso e incessante delle gocce d’acqua copriva con una melodia costante ogni altro rumore.


Braccia dietro la nuca, piedi l’uno sopra l’altro direttamente in bella vista sul banco, Gokudera vagava semplicemente altrove con la mente; il professore non si sforzava nemmeno più di riprenderlo, fintanto che se ne stava buono al suo posto tanto valeva tenerlo lì, quieto e tranquillo.
Annoiato, Hayato guardò ad un certo punto fuori dalla finestra della propria aula, assolutamente disinteressato alla lezione che si stava concludendo proprio in quel momento tutt’attorno a lui.
Il grigiore che le nuvole avevano steso su ogni singola casa, su ogni singolo edificio della città rendevano ancora più piatta tutta la squallida realtà del momento, impregnandola di freddo pungente.
Il Decimo era a casa, costretto a letto da una febbre che non lo lasciava smuovere di mezzo centimetro dal materasso – al riparo da tutto quello e perfettamente isolato dal resto del mondo.
Per questo nulla lo poté davvero trattenere dallo schioccare le labbra e imprecare a bassa voce, irritato dal tedio che lo stava animando.
La campanella suonò squillante, in lontananza, provocando una congrega di sospiri.
Purtroppo, però, anche a guardarla male e pieno di istinti omicidi, l’acqua non cessava proprio di scendere.

-Gokudera, hai bisogno di un passaggio?-
Takeshi guardava il compagno con un sorriso a curvargli le labbra, l’ombrello già aperto e impugnato saldamente nella propria mano. Con la porta dell’entrata così spalancata davanti a loro, il vento riusciva a trasportare fino a raggiungerli fini gocce di acqua gelata, bagnando i vestiti.
Hayato ricambiò il suo sguardo, cercando di esprimere con un’occhiata fugace irritazione e fastidio – come se fosse costretto dall’evenienza a dover accettare un simile favore.
Si incamminò per primo verso l’esterno, obbligando Takeshi a raggiungerlo con passi veloci.

Passo dopo passo, metro dopo metro, Gokudera e Yamamoto avanzavano lungo il marciapiede.
La città tutt’attorno scorreva lentamente, soffusa nei contorni e confusa nei suoni.
Sulla tela tesa dell’ombrello la pioggia continuava, incessante, a cadere. Con i pantaloni ormai zuppi per colpa di tutte le pozzanghere createsi e il freddo sempre più pressante a contatto con la pelle nuda, il fastidio per quella situazione aumentava vertiginosamente.
E con tutta quella umidità non si riusciva neppure a fumare.

Imboccata la stradina privata, bastava superare tre case per arrivare all’abitazione di Gokudera.
Piccola, discreta, adatta ad un ragazzo solo di quindici anni.
Con le chiavi tra le mani – la pelle bagnata di innumerevoli gocce fredde – Hayato aprì il cancelletto di ferro, offrendo il capo alla pioggia e facendo un passo direttamente in una pozzanghera.
Imprecò, dimenticando in un anfratto oscuro della mente la finezza. Intanto, le spalle e le braccia si macchiavano d’acqua sporca, inzuppando i vestiti lentamente.
Di nuovo ci fu l’ombrello sopra la sua testa.
-Posso entrare in casa tua? Fa davvero freddissimo e io sono zuppo dalla testa ai piedi…-
Sorrideva, ancora, Takeshi, con un passo solo oltre il cancelletto.
Ci sperava davvero, di entrare. Lui e la sua espressione ebete dipinta in faccia.
Bastarono solo un paio di istanti d’esitazione di troppo per assegnare la vittoria.
Sputò veleno, com’era solito fare – certo il freddo, l’acqua e la mancata sigaretta non aiutavano il suo autocontrollo più di quanto non facesse la naturale indole.
-Puoi sempre andare a casa tua e scaldarti lì!-
Ma senza aggiungere altro d’inutile, Yamamoto lo prese per il braccio e si diresse, trascinandolo, verso l’entrata della casa. Assolutamente sordo ad ogni insulto e ad ogni improperio del suo ospite.
Sorrideva, oh come sorrideva.

L’aria statica e un poco fresca del piccolo appartamento privato fu rapidamente smossa da calore sempre più pungente dei termosifoni appena accesi.
Le magliette zuppe gocciolavano acqua sul pavimento, dimenticate com’erano sugli schienali di due sedie. Yamamoto non avrebbe avuto problemi a fare lo stesso con i propri pantaloni, ma dubitava fortemente che Gokudera avesse un paio di braghe della sua misura. Per questo decise di sedersi direttamente sul calorifero ad ustionarsi le chiappe, nella speranza che il tessuto dei suoi jeans si asciugasse nel frattempo.
Hayato lo guardava male, rifiutandosi di staccargli gli occhi di dosso. Ancora doveva capire l’esatto motivo per cui Takeshi si trovasse a casa sua.
Lo irritava il fatto che stesse guardando con aria genuinamente sorpresa ogni singolo angolo dell’appartamento, ogni oggetto coperto di polvere o fuori posto – angolo cottura, tavolo, divanetto, corridoio che dava alla sua camera e infine lui, di nuovo e di nuovo.
Fu una domanda quasi posta per caso da Yamamoto a rilevare la necessità di qualcosa che scaldasse l’intero corpo.
-Non è che per caso hai qualcosa di caldo?-
Gokudera sbuffò, e sebbene il suo brontolio mentre si apprestava a prendere la teiera e riempirla d’acqua suonasse tanto come un “questa casa non è un hotel”, il fuoco venne accesso e le bustine di tè prese dallo scaffale in alto a destra.
La voce di Takeshi gli arrivò fin troppo chiara alle orecchie assieme a una risata leggera.
-Non pensavo fossi così ordinato… A vederti non si direbbe proprio!-
Il volto di Hayato si fissò, a dir poco truce, su quello di Yamamoto. Sicuramente lo avrebbe fatto saltare in aria – trascurando il fatto che si trovavano a casa sua e che l’apposita sigaretta mancasse dalle sue labbra – se non fosse stato che quello, assolutamente ignaro del pericolo mortale che stava correndo, gli fosse scoppiato a ridere in faccia.
Una risata cristallina, dietro a cui difficilmente si sarebbe potuto scorgere un doppio fine alienante.
-Sei talmente buffo quando ti arrabbi, Gokudera!-

Forse che, semplicemente, Takeshi stesse tentando di cambiare l’espressione grigia sul suo viso?

La teiera fischiò sopra il fornello e i pensieri di distruzione di massa che animavano tutta la volontà del giovane Gokudera evaporarono fondendosi nell’aria circostante assieme ad un aroma fruttato di tè alla ciliegia.
La pioggia, ancora, batteva con forza contro i vetri di ogni finestra.

-Vivi solo? Tua sorella non c’è qui con te?-
Neppure una lingua ustionata e le papille gustative che chiedevano pietà avevano fermato l’insolente innocenza del Guardiano della Pioggia.
Che fosse una domanda stupida lo sapevano fin troppo bene entrambi – ma probabilmente Takeshi provava un insano gusto nel vedere Gokudera incazzato.
Questo, infatti, si inalberò come se gli fosse stato appena rivolto un insulto grave, apostrofando la scempiaggine appena sentita.
-Cretino! Credi che io possa vivere sotto lo stesso tetto di mia sorella? Idiota del baseball!-
Yamamoto sorrise, alzando appena le spalle e riprendendo a sorseggiare dalla sua tazza il tè scuro.
Lo fissava, calmo e pacifico come sempre, forse non notando tutte le occhiatacce che Hayato gli mandava, o forse semplicemente ignorandole volutamente.
Non si capiva mai con esattezza cosa passasse per quella dannata testa.
-Non ti senti solo a vivere così?-
Altra domanda stupida.
Se anche fosse stato certo Hayato non avrebbe piagnucolato proprio di fronte a lui – in una maniera tanto patetica da ricordare un bimbo frignone ed incontinente – ma bastò semplicemente che Gokudera guardasse per un istante fugace per terra prima di urlargli contro per sedare qualsiasi dubbio.
-Che razza di domande! Non ho idioti in mezzo ai piedi!-
Appunto.
Takeshi alzò di nuovo le spalle, questa volta dimenticandosi di sorridere.
-Non preferiresti avere qualcuno che ti aiuti? Che semplicemente ti faccia compagnia? Devono essere tristi quattro mura, se guardate tutto il tempo in solitudine…-
Gokudera scattò, quasi punto nell’intimo.
Non c’era certo bisogno di un idiota con la mania del baseball per arrivare a certi concetti.
-Non ho bisogno di gente inutile! Vivo benissimo così!-
Lo vide sorridere, mentre una mano sollevata prontamente andò alle labbra a nascondere un leggero sghignazzo poco gentile.
-Mica parlavo di me…-
Silenzio, stasi.
Un leggero rossore testimoniò la comprensione – il collegamento del cervello correttamente funzionante.
Hayato imprecò, rifiutandosi di guardare quel viso.
-Che razza di cretino!-

Pian piano le tazze vennero svuotate, il calore si propagò dagli stomaci all’intero corpo, la pioggia che impregnava i vestiti evaporò nell’aria circostante.
L’orologio appeso al muro bianco segnava le 18 passate.
Gokudera, con la sua poca finezza, fece notare la cosa, ben contento di avere una scusa per levarsi di torno quell’ospite non esattamente desiderato.
-Non dovresti tornartene a casa, ora?-
Un tuono fece vibrare le persiane appena schiuse sulla finestra – la tempesta, fuori, impazzava ancora.
Un brivido leggero lungo le ossa, ma niente di più.
Takeshi sorrise, cercando di temporeggiare.
-Se me ne andassi adesso il fatto che abbia cercato riparo qui perderebbe di valore, no? Arriverei a destinazione fradicio così come sono entrato qui!-
In effetti Hayato era davvero tentato di mandarlo fuori a calci, pioggia o non pioggia, ma si trattenne semplicemente lanciando frecciate piene di veleno.
-Infatti non capisco perché tu sia voluto venire! Casa tua non è poi così distante!-
Forse fu per il fatto che Gokudera gli stava dando le spalle – con ostinazione, senza guardarlo in faccia – o forse fu per il movimento troppo repentino che mosse i piedi di Takeshi. Non lo seppero spiegare, eppure le braccia di Yamamoto riuscirono perfettamente a chiudersi attorno alle spalle di Hayato, trattenendolo contro il suo corpo.
Calda la pelle, salda la presa.
Con gli occhi sbarrati dalla sorpresa, Hayato fissava il vuoto mentre Yamamoto sussurrava una carezza velata vicina al suo orecchio.
Un richiamo schiuse le sue labbra – come se fosse proprio lui ad avere bisogno e non a subirlo passivamente.
-Hayato…-
Gokudera dovette imprecare necessariamente prima di stringere tra le sue dita la mano grande di Takeshi.


La pioggia cade sul corpo, picchiettando la coscienza e cullando la mente con una dolce canzone armoniosa.
Lenta, l’acqua scivola sulla pelle, tracciando sentieri e diramazioni come più le aggrada al momento. Come una carezza dolce e allo stesso imposta.
Non si può trattenere con la mano, inarrestabile compie il suo cammino fino alla fine.
E tremano i muscoli nascosti sotto l’epidermide, trema la carne al contatto intimo.
Il freddo penetra oltre, fin nelle ossa.
Fastidiosa, perché non usa violenza eppure raggiunge ogni cosa, scavando in profondità – insidiosa come poche altre cose.

Un bacio, dopo un altro e ancora un terzo.
Un tocco non fugace sui capelli, una carezza lungo la schiena e sul petto – la lingua che danza tra le labbra e sulla pelle.
Due occhi che si perdono, due occhi che ritrovano.
Pace, alla fine.


La luce filtrava come imbarazzata attraverso le persiane, colpendo la pelle chiara ed esposta, appena scoperta dalle lenzuola scure.
Takeshi sbatté le palpebre, aprendo poi le labbra ad un sorriso.
Si sollevò dal materasso, scoprendo appena il petto nudo – guardando con due occhi fin troppo contenti la finestra.
-Hayato, è tornato il sole…-
   
 
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