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Autore: Erik Winterking    29/05/2010    5 recensioni
Ok, prima pubblicazione su questo sito (molto bello, tra l'altro)! Speriamo di aver capito tutto su come funziona, e (ovviamente) che la storia piaccia. Un lavoro originale, una storia che ho scritto un anno fa. Originariamente doveva essere a lieto fine, ma mi succede spesso che i racconti prendano strade diverse da quelle che prospettavo. Buona lettura!
Genere: Romantico, Malinconico, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Re d'Inverno


    C'era una volta, tanto tempo fa, un grande re. I suoi detrattori lo chiamavano “Re Senzaterra”, perché il suo regno era il luogo più desolato del mondo, e nessuno vi abitava; ma in realtà egli era il re delle Terre del Nord, e tutti lo conoscevano come Re d'Inverno.
    Ed era bello! Aveva in sé la bellezza della regalità, e la maestosità dell'inverno... era alto più della media – mezzo palmo in più di una persona normale – e di carnagione chiara, sì che sembrava a volte uno spettro, a volte una figura scolpita nei ghiacci del suo reame.
    Chissà, forse era davvero così! Si sarebbero spiegati i giochi di luce tra i suoi lunghi capelli biondi, e nella folta barba che incorniciava il suo viso, tali che li facevano sembrare sempre innevati, come se fosse immerso nella morsa di un gelo perenne.
    Poiché nel suo regno non vi era alcuno da amministrare, il Re spesso viaggiava. Attraverso i reami vicini, sempre seguendo l'inverno, visitando il mondo senza mai fermarsi, cercando qualcosa che pacificasse il suo cuore inquieto...
    E non c'era corte in cui almeno una dama non dedicasse a lui un pensiero, stregata dalla sua bellezza; ma era sempre un pensiero non ricambiato, e per questo ne soffrivano, perché il suo cuore era di ghiaccio e come tale mordeva per il freddo, non per crudeltà, ma perché non poteva far altro; e il Re non conosceva i sentimenti, e non sapeva cosa volesse dire amare.


    Durante uno dei suoi viaggi, alla presenza della corte che lo ospitava si trovava anche la cantrice più famosa del tempo… la più famosa, sia per la sua bravura nel canto e nella narrazione, sia perché era l'unica donna cantastorie che il mondo conoscesse.
    Anche di lei, come del Re, si sapeva molto poco. La sua vita era quasi una leggenda come quelle che raccontava; ma nessuno si curava di ciò quando cantava, incantando chiunque con la sua voce. Per questo la chiamavano Voce dell’Estate; e quanto era adatto quel nome!
    Perché davvero chi l’avesse sentita avrebbe riconosciuto nella limpidezza dei suoi toni lo scorrere lento e dolce dei fiumi, e la freschezza del sussurro della brezza leggera tra le chiome degli alberi... o si sarebbe perso nei suoi occhi, verdi come un prato rigoglioso, o sarebbe rimasto incantato dai suoi capelli, rossi come il cielo al tramonto.
    Oh sì! Anche lei era bella! E se il Re sembrava scolpito nel ghiaccio, tutto in lei diceva che era figlia delle foreste, e libera e fiera come l’aria. E anche lei era amata, ma pochi avevano il coraggio di confessarlo; sembrava troppo divina perché i semplici uomini attorno a lei potessero sperare di essere ricambiati nella loro adorazione.
    Così Voce dell’Estate conobbe il Re d’Inverno, e anche lei ne rimase incantata: e quel giorno cantò come non aveva mai cantato prima, con tutta la forza della sua passione, sempre sperando in un cenno, o uno sguardo del Re; ma egli rimase impassibile, sordo alla voce che catturava ogni altra persona intorno a lui.
    Ma lei era un’avventuriera, e aveva viaggiato a lungo, come il Re; e non si arrendeva facilmente, perché la sua forza stava anche nell’ostinazione con cui seguiva i suoi sogni. Così si mise in viaggio precedendolo; l’anno era giovane, e visitò molte corti, sempre cantando per lui, sempre narrando meglio di quanto avesse mai fatto, sempre sperando di vedere un cambiamento in quel volto di ghiaccio che sognava ogni notte...
    Il Re, però, non mutò mai la sua espressione, né diede segno di averla riconosciuta. L’anno volse al suo termine, ed egli si preparò a tornare al suo palazzo, dove avrebbe passato i prossimi tre mesi, da solo, come era sempre stato, a riflettere, come aveva sempre fatto.


    Giunse infine in vista del Palazzo di Ghiaccio, nel cuore del suo reame. Le linee familiari dell’edificio si stagliarono contro il cielo, appena visibili. Era costruito interamente in ghiaccio e neve, e sembrava sorgere dal suolo come una montagna. Certo non era così alto, tranne per una torre, che dal lato orientale si innalzava, sempre più sottile e fragile nell’aspetto, fino a confondersi con il cielo stesso. Nelle Terre del Nord nessuno viveva, e nel palazzo non v’erano servitori; ma il palazzo stesso obbediva al volere del suo signore, che aveva il dominio sui ghiacci e sulle loro creature, fossero animali o cose.
    Avvicinandosi al portone del castello, il Re scorse una figura. Una donna stava aspettando, di fronte all'ingresso sbarrato. Voce dell'Estate aveva preceduto il Re alla sua dimora, ed ora lo accoglieva con uno splendido sorriso. «Mio signore, buongiorno – esordì con un inchino – Mi avete già visto in molti reami e quindi mi conoscete, ma lasciate che mi presenti di nuovo. Mi chiamo Voce dell'Estate, cantastorie girovaga, e chiedo l'onore di essere ammessa nella vostra corte.»
    Il Re ascoltò il breve discorso con attenzione, senza nascondere il sorriso accennato sulle sue labbra. «È un onore per me accogliere un bardo abile come te – rispose – ma temo di non poterti dare un gran benvenuto. Oltre che re, sono anche l'unico abitante di queste terre, l'unico capace di sopportare le terribili temperature dell'inverno qui. Ascoltami attentamente! Vattene finché sei in tempo. Nella mia corte non vi sono fuochi, banchetti o danze, né cortigiani da allietare con canzoni o leggende. Questo non è il tuo posto; vattene, prima che il gelo spenga la tua vita.»
    «Mio signore – replicò allora Voce dell'Estate – non ho paura del freddo. Un fuoco troppo forte arde dentro di me, perché possa essere spento solo dai ghiacci del vostro reame. Vi prego, lasciatemi rimanere, per potermi esibire nell'unico luogo che non ho mai visitato; se davvero non c'è nessun altro oltre a voi, allora canterò solo per voi...»
    «Ahimé, temo che non sarò il tuo pubblico migliore – si scusò il Re – perché ballate e narrazioni mi coinvolgono molto poco. Ma, se proprio vuoi rimanere, allora sii pure mia ospite. Ho cercato di salvarti.» Ciò detto, le fece strada nel palazzo, accompagnandola ai suoi alloggi e mostrandole come raggiungere la sala da pranzo e ogni luogo di cui avesse avuto bisogno.
    Così quella sera Voce dell'Estate cantò nel Palazzo del Ghiaccio, dando vita alle sale fredde e spoglie, scaldandole come non lo erano state mai... ma il cuore del sovrano non ne fu toccato, e il suo volto rimase immutato, come scolpito nelle mura stesse del palazzo. E dopo quella sera si cantò ancora, nelle sere seguenti, che divennero settimane, e poi mesi...


    Dopo due mesi trascorsi invano, Voce dell'Estate dubitava. Non riusciva a comprendere il Re, quell'uomo i cui occhi di ghiaccio non brillavano mai, né per allegria, né per collera. Si poteva davvero definire uomo? Questi pensieri, questi dubbi, la tormentavano impedendole di dormire; così aveva deciso di esplorare il palazzo, nel tentativo di distrarsi.
    Mentre vagava nelle sale di cristallo, un suono la raggiunse. Cos'era? Una voce? Eppure ricordava quasi l'urlo feroce del vento in una tempesta, e anche il cupo rimbombo di un tuono... ma... senza dubbio, era una voce! E di chi? Il Re era l'unico essere parlante oltre a lei nel palazzo – o almeno, lei non aveva mai sentito altri; era dunque suo quel suono ipnotizzante? Ma da dove veniva?
    Voce dell'Estate seguì quell'incantesimo, cercando di orientarsi tra i corridoi dalle pareti ingannevoli, finché non giunse ad una scala, i cui scalini irregolari salivano a spirale in lontananza, sempre più in alto... e salì, ad altezze che non aveva mai raggiunto, – che nessuno aveva mai raggiunto prima – ad ogni passo sempre più vicina, il canto del Re sempre più forte e sicuro...
    E dopo un viaggio lunghissimo arrivò in cima. Le scale sbucavano in una piccola stanzetta circolare con le pareti in sottile ghiaccio trasparente. L'aria era calda, grazie alla luce concentrata del sole che splendeva nel cielo terso; lo strato di nubi grigie che si vedeva da terra si trovava in basso, simile ad un fondale indistinto che annullava ogni percezione dello spazio. Intorno alla stanzetta c'era un piccolo balcone che seguiva il bordo della torre, protetto da una balaustra che arrivava all'altezza dello stomaco del Re.
    Lui era lì, in piedi, che urlava verso il cielo. Le parole che diceva si confondevano con il terribile fischio del vento che cresceva o diminuiva a seconda del suo tono di voce; e c'era qualcosa di terribile nella sua figura, mentre l'aria spazzava il Pinnacolo gonfiando le sue vesti e i suoi capelli, conferendogli lo splendore di un'incarnazione della potenza stessa.
    Voce dell'Estate uscì e il freddo la aggredì, più feroce e intenso che a terra. Il gelo la strinse in una morsa che mozzò il suo respiro. E improvvisamente, seppe che il suo tempo stava scadendo. Il Re, udendo lo scatto della serratura della porta, si girò verso l'intrusa.
    «Perché sei qui?» chiese in tono cupo e minaccioso. Il vento si calmò, ma era come la quiete che precede la tempesta. Sembrò che le nubi si alzassero, mentre il freddo si faceva ancora più intenso.
    «Mio signore – rispose lei – vi ho sentito cantare, ma non sapevo foste voi... e volevo vedere chi fosse.»
    «Una mezza bugia, una mezza verità – replico il sovrano – sapevi benissimo che potevo essere solo io, dato che non c'è nessun altro qui. Eppure hai voluto lo stesso raggiungermi... perché? Forse conosco la risposta a questa domanda... anche tu, come ogni altra dama, desideri il mio amore? È così?»
    «No, perché non sono una dama. E sì, perché vi amo. E vi posso dire che l'amore non è un sentimento che io abbia provato spesso; solo altre due volte, ma brevi come un sogno. Eppure, non mi è mai successo di provarlo in modo così potente...»
    Il Re rise. Una risata tagliente come le lame di vento che soffiavano là in alto, oltre le nubi, e al tempo stesso vuota di crudeltà o allegria. Era solo un suono, senza un vero significato.
    «Ma perché, perché non volete vedere la realtà? Perché vi ostinate a voler soffrire? Te lo dirò, come ho detto ad altre cento dame prima di te: io non posso amare. Sono il signore del gelo! Sovrano delle terre ghiacciate, dei venti del Nord! E sono parte io stesso del freddo che governo, e non posso essere scaldato, o morirò. Non conosco sentimenti; la gioia, la collera, l'amore, l'odio, sono solo vuote parole per me. Quindi vattene, e lasciami da solo, come è destino che sia.»
    Voce dell'Estate ascoltò quel discorso senza credere alle proprie orecchie. Eppure, il tono che aveva usato lasciava intendere che era tutto vero. Le sue peggiori paure si realizzarono, e sentì la fiamma che l'aveva scaldata per tutto quel tempo vacillare sempre più, fin quasi a spegnersi, mentre ogni calore abbandonava il suo corpo. Con le sue ultime forze si avvicinò al Re.
    «Come volete, mio signore. Il mio tempo sta scadendo; come avevate detto, il gelo sta spegnendo la mia vita... ma chiedo che mi sia concesso un ultimo desiderio, prima di andarmene; di donarvi l'ultima scintilla del fuoco che in questi mesi mi ha scaldato. Voglio baciarvi.»
    Il Re acconsentì. Così Voce dell'Estate lo baciò sulle sue labbra di ghiaccio, ed erano fredde! E il gelo la ferì, e le tolse ogni calore. Ma la scintilla, quell'ultimo istante in cui il suo cuore aveva palpitato, era passato nel corpo del Re. Quell'istante in cui aveva sentito calore, per la prima volta nella sua vita! Il tocco leggero delle labbra della ragazza sulle sue...
    La ragazza! Voce dell'Estate si era accasciata a terra. Oh, no! Non le sarebbe successo niente, non doveva! Velocemente, freneticamente la prese tra le braccia e la portò nella piccola stanza, al riparo dal freddo. E sentiva com'era freddo il suo corpo, e sentiva come si faceva fredda l'aria intorno a lui... Oh! Sentiva! Dopo tanti anni, sentiva! Entrò nella stanza, e dolcemente la adagiò a terra. Faceva così caldo lì dentro! Si sarebbe ripresa, e sarebbe stata bene, e sarebbero stati insieme! Com'era bella! Perché lo vedeva solo adesso, perché non l'aveva notato prima? Intanto però, la ragazza non dava segni di vita. Ma stava bene, vero? Un fuoco simile non poteva spegnersi, ora capiva, un fuoco simile non poteva morire! Ora capiva!
    Prese le sue mani. Erano fredde, e rigide come ghiaccio, come il ghiaccio in cui lui a lungo aveva vissuto. Le accarezzò il viso, quel viso che non aveva mai visto davvero, ma che ricordava come allegro e pieno di vita, e di un magnifico color rosato, mentre adesso era bianco, più bianco della neve stessa. E infine cercò di ascoltare il battito del suo cuore, quel cuore che gli aveva dato così tanto... ma solo il silenzio gli rispose.
    Il Re capì, e il peso della comprensione lo schiacciò. Si rannicchiò su di lei, cullandola, per un tempo indefinito, poi si alzò e cominciò a scendere le scale del Pinnacolo. Scese, e scese, e camminò, lungo i corridoi che sparivano dietro di lui, mentre il Palazzo, il simbolo del suo orgoglio e del suo potere, si dissolveva seguendo la volontà del suo padrone.
    Alla fine, intorno a lui rimase solo una sala, piccola e spoglia, e fredda. Il Re si fermò al suo centro, e si inginocchiò con la ragazza in braccio. E pianse, pianse tutte le lacrime che non aveva mai pianto nella sua vita, che congelarono addosso a loro per il freddo, unendoli sotto un guscio trasparente che avrebbe fatto loro da monumento funebre. E presto anche il Re morì, e ne fu felice, perché sarebbe finalmente stato insieme a lei... per l’eternità.

   
 
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