Germania odiava le urla. Erano assillanti, gli facevano venire il mal di testa. Odiava le urla di Italia quando chiedeva aiuto, odiava le grida di America quando attaccava, odiava gli strilli di Lovino quando cercava d’intimorirlo.
Ma, sopra a tutto, odiava le urla di quegli sporchi cani giudei che ci mettevano sempre troppo tempo a crepare, in quelle maledette camere a gas.
Ludwig credeva davvero in quello che faceva. Credeva davvero di poter pulire il mondo da quella razza sporca e inquinante, di poter rendere la Grande Germania un Impero che facesse impallidire quello Romano. Credeva davvero che quegli esseri rinchiusi nei Campi con le divise a righe non meritassero nient’altro che ciò che avevano: la morte certa.
Osservò impassibile le mandrie di ebrei che si dirigevano verso le docce mortifere, l’espressione stanca e il volto scavato e segnato dal lavoro nel campo di concentramento.
Raramente aveva riflettuto su come ciò che faceva potesse essere visto dal mondo esterno. Quelle rare volte si era risposto che, semplicemente, non gli importava. Avrebbero capito dopo l’importanza di quegli atti. Che, per quando potessero essere atroci, bestiali, erano giustificati e, a suo parere, giusti.
«Herr Deutschland!¹».
Germania si voltò, accigliato, verso una delle SS di guardia alle camere a gas.
L’SS, ritto come un fuso, alzò la mano col palmo spiegato verso di lui, fissando un punto al di sopra della punta del suo capo.
«Sono tutti dentro, Herr Deutschland!».
Germania annuì, posò una mano sulla spalla della guardia e borbottò un ‘procedete’.
Alzò a sua volta il palmo.
L’SS si voltò per dare l’ordine ai sottoposti. Germania strinse le labbra.
«Wache²!», sbraitò.
Il ragazzino si voltò. Non doveva avere più di diciannove anni, il viso ancora paffuto e il corpo troppo magro che si perdeva quasi nell’uniforme.
«Sì, Herr Deutschland?», rispose, a voce alta, le mani lungo i fianchi, strette, il mento alto.
«Heil Hitler³!».
L’altro sobbalzò, annuì e portò nuovamente il braccio verso il cielo, fiero, ingenuo.
«Heil Hitler!».
Germania tornò a fissare l’edificio grigio ed imponente di fronte a lui.
Due uomini, sulla cima, si affrettarono a versare lo Zyklon B nella grata sopra la camera all’ordine della giovane SS. Germania chiuse gli occhi.
Ricominciavano le urla.


Il fumo che usciva dalle ciminiere lo infastidiva terribilmente. Appestava l’aria.
«Puzzano di più quando bruciano», berciò, piantando la punta del fucile contro una pietra. Sospirò.
«Germania? Ma davvero porti gli ebrei nei forni?» pigolò Italia, infagottato nell’uniforme, una svastica sul braccio a rendere chiaro a tutti da che parte stava.
Germania si voltò verso l’alleato, con una smorfia sul volto pallido. Strinse il manico dell’arma sino a far diventare bianche le nocche.
«A volte è necessario fare cose che non si vorrebbero fare, Italia. Un giorno, forse, mi capirai», mormorò, chiudendo il discorso con una forte pacca sulla spalla dell’altro.
Avrebbe voluto distogliere lo sguardo prima, per non vedere l’orrore negli occhi di Italia e vedervi riflesso quello di tutto il mondo.
Tutto il mondo non capiva.



¹Herr Deutschland: Signor Germania.
²Wache: Guardia.
²Heil Hitler: Evviva Hitler, saluto utilizzato dai nazisti per onorare Adolf Hitler.
Note:
Premetto: non sono fascista, non amo per niente ciò che ha fatto la Germania, però avevo voglia di scriverci su. Non mi piace affatto questa fanfic, ma miss England (quell'infame di Brì) mi ha ordinato di postarla. Prendetevela con lei e_e/
Adesso vado perché non ho voglia di fare note lunghe.
Byez!
A.