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Autore: maryusa    31/05/2010    18 recensioni
Mamoru trova un oggetto misterioso che si rivelerà essere la causa dei suoi guai! Grazie a questa sua disavventura riuscirà a conoscere meglio e ad apprezzare una persona molto speciale ... la sua Odango ^_^
Genere: Generale, Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mamoru/Marzio, Sorpresa, Usagi/Bunny
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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So che non potete credere ai vostri occhi, ma sono proprio io!

Non scrivevo da tanto, tantissimo tempo!

Purtroppo sono stata molto impegnata, ma, adesso che le scuole sono chiuse, non devo più dare ripetizioni il pomeriggio, quindi ho molto più tempo da dedicare alle fan fiction!!!

Questa nuova one-shot da il via al mio tanto atteso periodo di scrittura ^_^

Il mio obiettivo per questa estate sarà concludere e sistemare le due storie che ho in sospeso (spero proprio di farcela).

 

Per quanto riguarda questa storia, la si può collocare durante la prima serie si Sailor Moon, subito prima che Usagi e Mamoru avessero quel loro famoso incontro in ascensore ^^

È un racconto leggero, quasi una favoletta. Mi è venuta in mente mentre guardavo uno dei miei cartoon preferiti “Detective Conan”.

Spero vi piaccia, e se potete fatemi sapere che ne pensate … sarò davvero felicissima di leggere le vostre opinioni ^^

A presto, Maryusa

 

Buona lettura

 

 

MAMO-CHAN

 

La Luna, alta nel cielo, illuminava il viale alberato. Un'altra battaglia era stata vinta e lui non era ancora stanco. C’era calma, c’era pace, ancora per poco, ma voleva comunque godere appieno di quella briciola di tranquillità. Il nemico diventava sempre più temibile, le battaglie più pericolose, ma non si sarebbe mai dato per vinto; e lo avrebbe fatto per i suoi ricordi, per il suo passato, ma soprattutto per lei, Sailor Moon. Aveva imparato a conoscere Sailor Moon e ad apprezzare tutti i suoi pregi, nonché i difetti. La sua goffaggine e la sua paura erano ampiamente compensate dal suo coraggio e dalla sua generosità. E anche se adesso erano nemici, perché interessati entrambi ai cristalli dell’arcobaleno, lei poteva contare sempre su di lui: l’avrebbe protetta, anche a costo della sua vita.

 

Un intenso luccichio catturò i suoi pensieri. C’era qualcosa a terra, qualcosa di prezioso. Lo raccolse e con grande sorpresa notò che si trattava di una chiave. Per l’esattezza una chiave d’oro massiccio, con incastonata una gemma preziosa, forse un rubino. Un oggetto che doveva valere di sicuro un sacco di soldi. Si guardò intorno ma non c’era nessuno. Strinse la chiave in un pugno e avvertì una forte energia provenire da quella. Era forse un oggetto … magico? La guardò più attentamente, ma non notò niente di strano; era notte fonda e la stanchezza giocava brutti scherzi. Il giorno dopo avrebbe consegnato la chiave alla polizia, non poteva tenerla per sé.

 

Tornato a casa lanciò la sua giacca blu sul divano e si diresse sul balcone; voleva guardare la Luna ancora un po’ prima di andare a dormire. Un leggero venticello gli smuoveva i capelli corvini e il colletto della candida camicia. Il panorama della città era meraviglioso, da togliere il fiato, ma a lui non importava, ormai non riusciva più a cogliere le piccole grandi gioie della vita. La sua mente pensava solo alla guerra, a quale sarebbe stata la prossima mossa dei nemici, se sarebbe morto giovane. Ah, come avrebbe voluto non avere di questi tormenti, vivere tranquillo e sereno … come i bambini! Sorrise. I bambini non avevano di certo preoccupazioni, i loro unici pensieri erano: mangiare, dormire e divertirsi! Accompagnato da questi pensieri, infilò la mano nella tasca dei pantaloni ed istintivamente strinse la chiave che aveva trovato, accarezzando con il pollice la gemma incastonata … e fu in quel momento che accadde: la chiave divenne improvvisamente rovente, e iniziò a sprigionare una grande quantità di energia. Rientrò in casa, cercò di liberarsi di quell’oggetto maledetto, ma sembrava essersi attaccato alla sua mano. Poi un’intensa luce rosa riempi la camera e perse i sensi.

 

Si risvegliò solo alcune ore più tardi. Era a terra nel suo salotto. Si sentiva come al risveglio da una sbronza. Traballante si alzò in piedi, sembrava tutto a posto, tutto in ordine. C’era però qualcosa di strano, sembrava tutto più … grande! Si stropicciò gli occhi e fissò le sue mani. Non era possibile, ma cosa era successo alle sue mani, quelle non erano le sue mani. Corse ansioso nella sua camera da letto e si bloccò davanti al grande specchio. Terrorizzato fissava la sua immagine: Mamoru Chiba era diventato un bambino!

 

 

Ma che diavolo era successo. Ormai si fissava in quello specchio da circa un’ora senza arrivare ad una soluzione plausibile. Era un bambino. Era piccolo! Anche i suoi abiti si erano rimpiccioliti con lui. Quanti anni poteva avere … sette o forse otto anni. Come poteva affrontare la sua missione in quello stato? Forse stava sognando? Si diede un pizzicotto sul braccio … no, non stava sognando. Ma allora cosa aveva causato quella trasform- «LA CHIAVE!» urlò, persino la sua voce era quella di un bambino. Si diresse nel salotto ed eccola a terra, la causa del suo problema. Quella chiave era davvero magica. Lui aveva pensato di voler ritornare bambino ed ecco che era accaduto. Tutta colpa di quella chiave. Era tra le sue mani, adesso doveva solo desiderare di ritornare grande e tutto si sarebbe risolto. «Stupida chiave fammi ritornare grande» … niente. Si meravigliò della formula da lui usata, anche il suo linguaggio era come quello di un bambino. Decise di avere un altro atteggiamento, la chiave poteva avere dei sentimenti e doveva trattarla nel modo adeguato «Bellissima chiave dorata, ti prego riportami al mio normale aspetto … ti prego, oh incantevole chiave» ancora niente. Le provò tutte, addirittura strofinò la chiave credendo che un genio abitasse dentro di lei, ma ogni tentativo era risultato vano. Alla fine provò anche a distruggerla scaraventandola contro il muro, ma nemmeno un graffio. L’unica cosa che gli restava da fare era trovare il proprietario, senz’altro conosceva i segreti della chiave e lo avrebbe aiutato.

 

Raccolse la chiave e dopo aver indossato le sue scarpe, diventate anch’esse della misura giusta, corse come un forsennato nel luogo del ritrovamento. Deluso si accorse che non c’era anima viva. Ma quell’oggetto aveva tutta l’impressione di essere importante, il proprietario sicuramente lo stava cercando! «C’È NESSUNO» urlò con tutta l’aria che aveva nei polmoni «EHI, QUALCUNO MI SENTE». Nessuno. Poi, d’un tratto scorse una bambina dai codini rosa, sembrava disperata. Che ci faceva una bambina alle sei mattino per strada? Stava forse cercando la sua chiave? «EHI TU!» la bambina sembrò non accorgersi di lui, e si addentrò nel parco. «ASPETTA!» Mamoru le corse dietro senza notare il furgone bianco che arrivava da destra. Rimase pietrificato, tutto aveva immaginato, tranne che sarebbe morto così … come un bambino che non sa attraversare la strada. Era la fine.

 

 

Quella notte proprio non riusciva a prendere sonno, pensava all’ultimo scontro con i nemici, e la cosa la turbava. Ogni battaglia che affrontava diventava sempre più cruenta ed impegnativa. Per fortuna c’era Milord a tirarla fuori dai guai, ma non poteva sempre fare affidamento su di lui. Doveva imparare a cavarsela anche senza il suo aiuto, soprattutto adesso che era stata nominata leader delle guerriere Sailor. Lo Scettro Lunare le aveva conferito dei poteri e delle responsabilità che non era sicura di volere, ma li aveva accettati. Non poteva deludere le sue amiche, non poteva deludere Luna; loro contavano su di lei. Dalla finestra vicino al suo letto poteva perfettamente scorgere la Luna; presto avrebbero trovato la principessa di quel pallido astro nel cielo e le sue sciagure sarebbero terminate. Non vedeva l’ora! Si girò da un lato, raggomitolandosi sotto le fresche lenzuola, cercando di conquistare il sonno perduto, ma si sentiva scomoda … si girò dall’altro lato, ma niente. Ormai il sonno era andato. Decise così di alzarsi. Si vestì facendo attenzione a non svegliare la sua gattina e scese giù in cucina. In quel momento si rese conto che era domenica e che si era messa l’uniforme scolastica. La solita sbadata, come poteva essere proprio lei il capo delle guerriere Sailor? Prima o poi avrebbe deluso tutti! In preda ad un grande senso di frustrazione uscì fuori di casa e si incamminò per le vie desolate di Tokyo.

 

Era seduta su una panchina nel parco a guardare la Luna specchiarsi nel laghetto. Pensava alla sua vita, a come voleva ritornare ad essere una ragazza normale e spensierata come le altre … la sua identità di Sailor Moon non le andava più a genio; voleva scappare, andare via , lontano. Non voleva più mentire alla sua famiglia, ai suoi amici, a Naru. Non voleva più fingere che tutto andasse bene, che ce l’avrebbero fatta, che avrebbero trovato la principessa e il cristallo d’argento e sconfitto finalmente i nemici. Come poteva essere così ipocrita, lei stessa non credeva a ciò che diceva. La verità era che aveva paura; paura dei nemici, paura della sua incompetenza. Lei non era fatta per combattere: era goffa e scoordinata! Le sue amiche potevano essere messe in pericolo a causa delle sue incapacità, soprattutto Milord: lui era quello che si esponeva sempre di più per proteggerla. E se fosse successo qualcosa di brutto? No, non poteva nemmeno immaginare quanto avrebbe sofferto. Così, immersa nel suo dolore passò la notte su quella panchina, a farle compagnia solo la Luna e i suoi pensieri più intimi e profondi.

 

Il sole stava sorgendo. Era ora di tornare a casa, Luna poteva essere preoccupata per la sua assenza. Aveva la schiena a pezzi; quella di passare la notte nel parco non era stata affatto una buona idea, da aggiungere alla lunga lista degli sbagli di Usagi Tzukino.

 

«C’È NESSUNO» qualcuno aveva urlato, dalla voce sembrava un bambino.

 

Che ci faceva un bambino in giro a quell’ora? Decise di seguire quella voce. Dopo una breve ricerca ecco scovato il piccolo che aveva urlato. Correva, sembrava molto agitato. Stava attraversando di corsa la strada senza accorgersi del furgone che arrivava a tutta velocità. «EHI PICCOLO, ATTENTO» ma quello non l’aveva sentita. D’istinto scattò verso il ragazzino. Riuscì ad afferrarlo e a tuffarsi dall’altra parte della strada appena in tempo. Infondo, passare la nottata nel parco, non era stato proprio un male, se le era servito per salvare quel bambino da morte certa.

 

 

Cos’era successo? Non era stato travolto, no, era illeso. Qualcuno lo aveva salvato, e adesso lo stringeva forte a sé. Poteva sentire il suo cuore battere all’impazzata e il suo respiro affannato. Si scostò per vedere in faccia il suo salvatore e poterlo ringraziare. Ma quella era … Usagi? L’Odango, protagonista di innumerevoli sfottò, gli aveva appena salvato la vita. Il mondo stava proprio andando al contrario: lui era diventato un bambino pasticcione e Usagi un’eroina.

 

«Stai bene piccolino?» Usagi si era messa seduta e scrutava dolcemente quel frugoletto.

 

Piccolino? Se solo avesse saputo chi fosse in realtà, lo avrebbe preso in giro a vita! «Si, sto bene … non mi sono fatto niente»

 

«Ah, meno male» sorrise sollevata, mentre cercava di alzarsi a fatica. Una goccia di sangue le scese dal ginocchio destro fino a raggiungere la caviglia.

 

«Ma sei ferita!» Mamoru era visibilmente preoccupato. «Forse ci vogliono dei punti»

 

Punti? Beh, se voleva spaventarla ci era riuscito. «Ma no, è solo un graffio. Niente punti, ok? Niente punti!»

 

«Aspetta metti questo» Mamoru prese il fazzoletto che aveva in tasca e le fasciò il ginocchio.

 

«Grazie, non preoccuparti …» Anche se era solo un bambino, quel gesto la fece arrossire. «Ma che ci fa un bambino della tua età per le strade a quest’ora del mattino?»

 

Bella domanda. E adesso cosa le diceva? «Niente … e tu che ci facevi in giro?»

 

«Io sono grande e posso uscire quando mi pare e piace!»

 

Ma certo che aveva una bella faccia tosta. Lo trattava con superiorità solo perché era più alta. Se solo fosse stato delle sue reali dimensioni, sarebbe stata tutta un’altra storia. «Io devo andare» doveva trovare la bambina dai codini rosa. «Grazie di tutto»

 

«Mi raccomando quando attraversi le strade … fai attenzione» Usagi si incamminò verso casa, fece un passo zoppicante, poi un altro, e poi … la testa le iniziò a girare e si aggrappò ad un palo della luce per non finire a terra.

 

«Va tutto bene?» il piccolo Mamoru le andò incontro. Non aveva una bella cera, non andava affatto bene. «Forse hai una commozione cerebrale?»

 

«Commozione cerebrale? Che parolone per un bambino … comunque va tutto bene, solo un capogiro. Adesso vai a casa, i tuoi saranno preoccupati …»

 

Come poteva lasciarla sola in quello stato? Poteva svenire da un momento all’altro. Decise di accompagnarla a casa, glielo doveva. Gli aveva salvato la vita ed era il minimo che potesse fare per lei, la bambina l’avrebbe cercata dopo. «Appoggiati a me, ti accompagno a casa …»

 

«Ma no, vai a casa piccolo, io sto bene …»

 

«Insisto» era deciso del fatto suo.

 

Usagi lo guardava meravigliata. Le sembrava di conoscere quello sguardo, ma dove l’aveva visto? «E va bene puoi accompagnarmi a casa» Si appoggiò a lui, ma senza appesantirsi troppo, era pur sempre un bambino e le arrivava appena alla vita.

 

«Dimmi un po’, quanti anni hai?»

 

Mamoru rispose senza pensarci più di tanto «Sette! Credo»

 

«Io mi chiamo Usagi … e tu, come ti chiami?»

 

«Mamoru» si pentì quasi subito di averle dato il suo vero nome, e se si fosse insospettita?

 

Usagi si fermò di scatto. Afferrò il piccolo Mamoru per le spalle e iniziò a fissarlo intensamente negli occhi. Ecco dove aveva visto quello sguardo; quello era la versione miniaturizzata di Mamoru Chiba! «Assomigli tanto a una persona che conosco, guarda caso si chiama proprio come te»

 

«Dav-vero? Io … non conosco nessuno col mio nome!» era di vitale importanza che Usagi non sospettasse di niente.

 

«Si, ma tu sei molto più carino di lui!» Usagi divenne tutta rossa.

 

Ma guarda un po’, sapeva di avere un certo fascino, ma mai avrebbe sospettato che Usagi lo trovasse carino.

 

«Siamo arrivati» i due si fermarono davanti ad una graziosa villetta a due piani. «Senti un po’, piccolo Mamoru, adesso mi dici perché andavi così di fretta?»

 

«Stavo inseguendo una bambina, devo restituirle una cosa che le appartiene» era la verità.

 

«E la tua famiglia sa che sei in giro? Potrebbero preoccuparsi»

 

«I miei genitori sono morti … io non ho nessuno» perché le raccontava quelle cose? Forse dipendeva dal fatto che adesso era un bambino. Si sentiva triste e solo, voleva piangere, proprio non riusciva a frenare le sue emozioni.

 

Usagi lo guardava intenerita, era un bambino molto maturo per la sua età. Non se la sentiva di lasciarlo da solo «Mi è venuta un’idea! Adesso facciamo colazione e poi andiamo a cercare la tua amichetta insieme … ti va?»

 

«Dici sul serio?» un sorriso sincero si stampò sul volto di Mamoru. Usagi avrebbe sacrificato la sua domenica per star dietro ad un moccioso. Non voleva approfittare, ma sentiva di aver bisogno di un aiuto, in due avrebbero cercato meglio.

 

«Ma certo, tanto non ho niente da fare …»

 

 

«Benedetta ragazza … ma dov’eri finita! Mi hai fatto preoccupare» Luna era saltata sulla spalla di Usagi.

 

«Ero andata a compiere una missione … salvare la vita di un bambino!»

 

«Un bambino?»

 

«Si, è giù che mi aspetta … dobbiamo trovare una bambina misteriosa»

 

«Ma non ricordi? Dovevamo andare al tempio di Rei … per gli allenamenti!»

 

«Lo so Luna, ma quel bambino non ha nessuno ed ha bisogno del mio aiuto!» come poteva deluderlo.

 

In altre circostanze Luna avrebbe fatto di tutto per intralciare i piani di Usagi; lei non aveva bisogno di distrazioni, e soprattutto in quel momento doveva pensare solo ed esclusivamente alla sua missione. Ma non poteva comunque dirle di no, finalmente vedeva Usagi più serena. Ultimamente aveva notato un atteggiamento distaccato, triste e malinconico. Se quel bambino la faceva star meglio allora non avrebbe interferito in alcun modo. Usagi aveva bisogno di staccare la spina! «Ok, ma mi raccomando sii prudente!»

 

 

Mamoru era seduto in salotto. Si guardava intorno incuriosito, era tutto molto ordinato; c’erano bei mobili, bei quadri … la famiglia di Usagi doveva essere benestante. Una cosa colpì particolarmente il bambino: la foto di famiglia. Prese la cornice tra le mani e la scrutò attentamente. Chissà come doveva essere avere una famiglia.

 

«Mamo-Chan! Vieni in cucina, ti preparo qualcosa» Usagi indugiò un attimo, poi notò la foto che Mamoru aveva tra le mani «Ma quella è la foto di famiglia!» si avvicinò al bimbo «Questi sono i miei genitori, questa sono io, e questo qui è mio fratello … adesso sono fuori città perché mio fratello deve partecipare ad una gara di matematica. È molto bravo a scuola … a differenza mia»

 

«Sembrate molto felici» Si poteva leggere nel suo tono di voce una punta di invidia mista a tristezza.

 

«Si, lo siamo» Non era giusto parlare della propria famiglia con un bambino che non l’aveva più. «Vieni con me in cucina, ho una sorpresa per te!»

 

«Mamo-Chan, ti piacciono le frittelle?»

 

Frittelle? Lui odiava le frittelle … avrebbe preferito una tazza di caffè amaro e al massimo una brioche. «Beh, non mi piacciono!»

 

«Ma che assurdità, a tutti i bambini piacciono le frittelle! E poi quelle che preparo io sono davvero speciali … sono anche più buone di quelle di Makoto! Ma che resti un segreto, non voglio che in giro si sappia, altrimenti tutti vorrebbero che io preparassi le mie frittelle … sai che noia!»

 

La modestia fatta a persona «Ok … ma non chiamarmi più in quel modo ridicolo!»

 

«Mamo-Chan? E perché no? È così grazioso, adatto ad un piccolo ometto come te! … e poi devo distinguerti dall’altro Mamoru»

 

«L’altro Mamoru … com’è?» non che gli importasse l’opinione di Usagi, la sua era solo un’infantile curiosità. Tanto già lo sapeva che aveva una pessima reputazione con lei … voleva solo la conferma.

 

«Mamoru è …» Usagi si allontanò dai fornelli. Guardava in alto alla ricerca della parola più sensata da utilizzare «Lui è … un bravo ragazzo!» Ritornò preparare le frittelle. «Un tipo in gamba, colto, intelligente … una persona seria! Lui è stato sfortunato come te, non ha avuto l’affetto di una famiglia, ma se l’è cavata. Io, non so se avrei avuto la sua stessa forza, per questo lo ammiro.»

 

Il piccolo Mamoru era rimasto a bocca aperta per lo shock. Non credeva che Usagi pensasse quelle cose su di lui. Quasi si sentiva in colpa per come l’aveva sempre trattata. «Quindi tu e questo Mamoru siete dei grandi amici?»

 

Usagi non riuscì a trattenere la risata «Oh no … stai scherzando? Io e Mamoru, amici, neanche per sogno! … noi non ci sopportiamo molto. Non facciamo altro che insultarci e litigare»

 

«Ma da come ne avevi parlato mi sembrava che tu e Mam-»

 

Usagi lo interruppe «Ogni volta che guardo Mamoru negli occhi vedo tanta tristezza, gli altri non notano niente, ma io vedo; vedo il suo dolore, la sua solitudine … ma, quando mi prende in giro cambia! È rilassato, sereno, a volte sembra quasi un'altra persona! A me interessa che sia felice, e non mi importa se mi odia … e sai che ti dico? Adoro odiarlo!» Forse aveva parlato un po’ troppo, ma si sentiva a suo agio a parlare con il piccolo Mamoru, non le sembrava di avere di fronte un bambino.

 

“Adoro odiarlo” solo Usagi poteva fare un’affermazione simile; non era mai stato tanto contento che una persona lo odiasse. Fu in quel momento che Mamoru capì che infondo Usagi era la più grande amica che potesse avere. «Lui non ti odia …» disse a bassissima voce.

 

«Basta parlare di queste cose, perché … ARRIVANO LE FRITTELLE!»

 

Mamoru guardava incerto la montagna di frittelle posta davanti a lui. Era una quantità imbarazzante. Non era certo di riuscire a mangiare, come non era certo che gli piacessero.

 

«Avanti, assaggia, sono ottime!» Usagi lo fissava trepidante aspettando un suo assenso.

 

L’odore era buono, ma non si fidava, sapeva che Usagi era una schiappa in cucina. Dopo tutto, come poteva deluderla, aveva preparato tutte quelle frittelle per lui, e poi aveva appena scoperto che in fondo gli voleva bene. Un boccone, che sarà mai … al massimo avrebbe vomitato …

 

«Ma … sono buonissime!» non aveva mai assaggiato in vita sua una prelibatezza simile.

 

«Sapevo che ti sarebbero piaciute!» Usagi si sedette di fronte al piccolo, anche lei con un piattone di frittelle «Beh, buon appetito!»

 

 

Dopo l’abbondante colazione, Usagi e il piccolo Mamoru ritornarono al parco, alla ricerca della bambina misteriosa. Setacciarono centimetro per centimetro tutta la zona, alla ricerca di qualche indizio e chiesero ad ogni visitatore del parco se avesse visto una strana bambina dai codini rosa. purtroppo senza alcun risultato.

 

Usagi si sedette un attimo ad una panchina a riprendere fiato «Forse non è qui»

 

«E dove potrebbe essere?»

 

«Non so … mi hai detto che devi restituirle una cosa che ha perso … forse è andata alla polizia?»

 

Giusto! Come aveva fatto a non pensarci prima «Hai ragione, andiamo!» Il piccolo si mise a correre in direzione della stazione di polizia.

 

«Aspettami …» ma dove le prendeva tutte quelle energie? Erano le undici del mattino e lei era già esausta.

 

 

«Ma certo che ho visto una bambina dai codini rosa, è passata di qui circa un’ora fa» il poliziotto sembrava molto disponibile.

 

«E non ha notato niente di strano?» Mamoru cercò di indagare.

 

«No, aveva perso una chiave» il poliziotto sorrise «l’ha chiamata La Chiave del Tempo

 

La chiave del tempo … adesso era sicuro più che mai che quella bambina centrava con la sua trasformazione. Forse quella chiave era una strumento che permetteva di manipolare il tempo. Certo, era proprio così, quella chiave aveva portato il suo corpo indietro nel tempo.

 

«E adesso dove è andata?»

 

«Le ho chiesto se si era persa, se era sola, dove fossero i suoi genitori … ma lei deve essersi spaventata ed è scappata via. Ho provato a rincorrerla ma è sparita nel nulla» questo era tutto quello che il poliziotto fu in grado di dire.

 

«Hai visto Mamo-Chan, siamo sulla pista giusta!» il sorriso di Usagi trasmise un po’ di ottimismo al piccolo.

 

«Può indicarci in che direzione è andata?»

 

«Si, da quella parte!»

 

«Grazie di tutto!»

 

Camminarono sotto un sole rovente … camminarono … camminarono e camminarono! Faceva davvero caldo nonostante fosse quasi autunno.

 

«Ehi Mamo-Chan, non credi che dovremmo riposarci?» Usagi era distrutta, altro che allenamenti.

 

«NO! Non possiamo già fermarci» erano ancora all’inizio delle ricerche.

 

«Ma non sei stanco?»

 

«Usagi, ti capisco se non vuoi più aiutarmi … io posso cavarmela anche da solo» non era quello che voleva, glielo si leggeva in faccia, ma d'altronde non poteva costringerla a partecipare a quell’assurda missione.

 

«Ma che dici … certo che voglio aiutarti» Usagi assunse un espressione seria e decisa «mi è venuta un’altra idea: andiamo a chiedere al Crown, è proprio dietro l’angolo … magari la piccola era stanca ed affamata ed è andata a mangiare un boccone!»

 

Chissà perché, ma Mamoru aveva come l’impressione che quella fosse solo una scusa per riposarsi, c’era comunque un fondo di verità nelle parole di Usagi. Magari avrebbero scovato nuovi indizi.

 

 

«Ciao Motoki!»

 

«Usagi che piacere vederti» Motoki era alquanto sorpreso di vedere Usagi in compagnia di un bambino.

 

«Sono solo di passaggio, stiamo cercando una bambina è una cosa importante …»

 

«Lasciami indovinare … alta più o meno così, capelli rosa …»

 

«Si è lei!» Mamoru era sorpreso, non tanto perché Motoki aveva conosciuto la bambina in questione, ma del fatto che Usagi aveva avuto ancora ragione.

 

«Usagi è forse una tua parente? Sai, ti somigliava moltissimo …»

 

«Veramente non l’ho mai vista in faccia … è un’amica di Mamo-Chan!»

 

«Piacere di conoscerti Mamo-Chan» Motoki era sempre molto gentile con i bambini.

 

«Il mio nome è Mamoru!» disse imbronciato. Quel nomignolo proprio non gli andava a genio.

 

«Ehi Motoki, non noti una certa somiglianza con un altro Mamoru?» la risatina beffarda di Usagi era alquanto fastidiosa.

 

«Adesso che lo guardo più attentamente … gli somiglia moltissimo! E poi ha anche lo stesso nome … forse Mamoru ha un figlio segreto!»

 

«Peccato che non è qui, mi sarei divertita a prenderlo in giro!» rideva divertita.

 

«Usagi, sei la solita!»

 

«Ammettilo che è divertente!»

 

«Beh si, è divertente»

Il piccolo Mamoru stava iniziando ad infastidirsi. Era lì per cercare quella bambina e non per essere preso in giro. «Scusami Usagi,» disse in tono seccato «ma forse hai dimenticato perché siamo qui!»

 

«Ma certo … non ho dimenticato la nostra missione» diede un colpetto affettuoso sulla testa del piccolo «ascolta Motoki, sai dirmi dov’è andata quella bambina?»

 

«Non so, è scappata via …»

 

«E non ricordi neanche in che direzione è andata?»

 

«No … ma potete chiedere ai clienti seduti a quel tavolo … hanno pagato loro il conto della piccola!» Motoki indicò un tavolo all’esterno del locale.

 

Mamoru si precipitò fuori per chiedere informazioni. Non ci mise molto tempo a scoprire tutte le notizie che desiderava. Adesso sapeva in che direzione si era diretta la piccola.

 

 

Usagi seguiva Mamo-Chan, in mano aveva un paio di sacchetti bianchi.

 

«Cos’hai lì?» piccolo curioso!

 

«Il nostro pranzo ovviamente … la nostra missione richiede molte più energie di quanto mi aspettassi» Usagi gli porse un sacchetto «tieni, queste sono le tue!»

 

Mamoru aprì il suo sacchetto, e con grande sorpresa trovò cinque polpette di riso «Grazie!»

 

Usagi sorrideva mentre già aveva addentato la prima polpetta «Mamo-Chan, dove siamo diretti?»

 

«Quelle persone al Crown mi hanno detto che la bambina era corsa via in questa direzione … e sai cosa c’è da queste parti?»

 

«No … non mi viene in mente!»

 

«Un parco giochi!»

 

«Ma certo … elementare Watson!» era ovvio, come aveva fatto a non pensarci prima lei.

 

«Ma piantala … tu non ci saresti mai arrivata»

 

Usagi si fermò di colpo, lo sguardo basso, l’espressione triste «Dopo tutto quello che ho fatto per te, questo è il modo con cui mi tratti?»

 

Oh no, non ricordava che Usagi fosse così suscettibile «Scusa io non volevo offenderti …»

 

Usagi fece un balzo in avanti «Fregato! Il primo che arriva al parco giochi è il più intelligente!»

 

Come attrice non valeva un granché, ma lo aveva ugualmente ingannato. No, non ci stava a perdere, era più che evidente che il più intelligente era lui. Corse con tutta la forza che aveva in quelle sue gracili gambe, ma niente da fare, Usagi era molto più veloce. Però poteva anche rallentare un po’, stava comunque gareggiando con un bambino: I bambini si fanno vincere!

 

«Prima!» urlava Usagi euforica «Inchinati di fronte alla mia intelligenza»

 

«Non vale tu hai le gambe più lunghe delle mie, e poi sei partita in vantaggio!» era stata scorretta.

 

«E dai, ammettilo che sono più veloce e intelligente di te!»

 

«MAI»

 

«OK … sarà meglio riprendere la nostra ricerca … tu vedi quella bambina?»

 

Quel parco era davvero molto grande e con decine e decine di bambini «No, non la vedo»

 

«Facciamo così: mentre la cerchiamo, tu chiedi ai bambini in giro se l’hanno notata, io parlerò con le loro mamme»

 

Tutte le tracce li avevano condotti lì, ciò nonostante non riuscirono a trovare la piccola, né a ricavare qualsiasi informazione utile. Chiesero ad ogni bambino, a ciascun genitore, ma niente. Eppure erano così vicini dal trovarla … dove avevano sbagliato?

 

Mamoru era demoralizzato «Non riuscirò mai a trovarla»

 

«Non preoccuparti, la troveremo» Usagi cercava di infondere coraggio al piccolo «Domani riprenderemo le ricerche, e son sicura che la troveremo»

 

«Domani?»

 

«Si, il sole sta tramontando e sarà più difficile cercare qualcuno al buio. E poi, hai bisogno di ripos-»

 

«Ma io non posso fermarmi, devo trovarla!»

 

«Andiamo, no fare i capricci! Dimmi dove abiti, ti accompagno … domani cercheremo questa bambina»

 

Capricci? Quella era una questione di vita o di morte. Non poteva fermarsi o sarebbe stato perduto. Lui doveva riacquistare le sue reali somiglianze, non ne poteva più di essere un bambino. «Allora vattene, io non ho bisogno di te!»

 

«Ma che dici, non potrei mai lasciare un bambino qui, tutto solo!»

 

Ma lui non era un bambino e non volva più esserlo «tanto l’ho capito che a te non importa niente di me, tantomeno della bambina dai codini rosa. Tu hai cercato solo un pretesto per distrarti dai tuoi doveri. Non puoi immaginare quanto per me sia importante trovare quella bambina, per te invece è stato solo un diversivo, un divertimento! Sei e resterai sempre la solita Odango: stupida, svogliata ed infantile. Prenditi le tue responsabilità e lasciami in pace … VATTENE VIA!» voltò le spalle e corse via, lontano.

 

Usagi rimase impalata per diversi minuti a riflettere su quello che le aveva detto il piccolo Mamoru. Si sentiva ferita, piangeva. Mai delle parole le erano risultate più pungenti, ma erano vere. Quel piccolo furfante sembrava che la conoscesse da sempre. Era riuscito ad inquadrarla nel giro di una sola giornata. Voleva inseguirlo, ma non lo fece. Che se la cavasse da solo. Tanto meglio, almeno adesso non doveva preoccuparsi di quello stupido marmocchio! Ma, in realtà le cose non stavano proprio così; per lei non era stato un diversivo aiutare quel bambino. Lo aveva aiutato semplicemente perché voleva farlo, perché era nella sua natura. Lei era fatta così, se qualcuno si trovava in difficoltà doveva assolutamente aiutarlo. Si asciugò le lacrime. Non era il momento di piangere, doveva trovare il piccolo Mamo-Chan.

 

 

Mamoru ripercorse tutti i passi della piccola; ritornò al Crown, ormai chiuso, andò nuovamente alla stazione di polizia, ed infine al parco. Della bambina neanche l’ombra. Il Sole era ormai tramontato e le speranze di trovarla al buio erano davvero pochissime. Gli venne in mente Usagi. L’aveva davvero trattata male. Si era data tanta pena per lui; senza chiedergli nessuna spiegazione lo aveva aiutato, e si era rivelata davvero utile … per ben due volte aveva intuito i passi della bambina. E lui come l’aveva ringraziata? Trattandola male e mandandola a quel paese! Non meritava il suo aiuto. Si avvicinò al laghetto che c’era nel parco e osservò il suo riflesso nell’acqua. Sarebbe rimasto un bambino per sempre, era la giusta punizione per essere stato una persona tanto orribile! Una lacrima scese giù dal suo viso e cadde in acqua a deformare la sua immagine. Dopo quella prima lacrima, tante altre andarono a farle compagnia. Voleva smettere di piangere, ma non ci riusciva. Si coprì gli occhi e si accasciò sul terreno erboso. Tra un singhiozzo e l’altro si addormentò.

 

Quasi istintivamente Usagi si diresse nel parco, il posto dove tutto ebbe inizio. Non le ci volle molto per scovare il piccolo Mamoru addormentato sulle rive del lago. Era così dolce mentre dormiva, un angioletto. Lo sollevò di peso e lo mise sulla sua schiena. Dormiva davvero profondamente. Non ebbe cuore di svegliarlo, quel piccolo selvaggio era esausto. Lo avrebbe portato a casa sua, l’indomani mattina avrebbe deciso cosa fare, anche se non aveva i genitori, qualcuno era sicuramente in pena per lui. Giunti a casa, lo sistemò nel suo letto. Mentre gli toglieva le scarpe notò qualcosa uscirgli da una tasca, una chiave. Quella chiave? Oh, era davvero un oggetto meraviglioso. Lo prese in mano e non poté non notare l’incredibile flusso di energia che sprigionava. Chissà quali misteri nascondeva quel bambino. Gli rimise la chiave nella tasca e lo coprì con le lenzuola rosa. Indossò la sua leggera camicia da notte e sciolse i lunghissimi codini. Si sedette sul davanzale della finestra ad osservare la Luna e ringraziare il cielo per la piacevole giornata trascorsa; era riuscita a distrarsi e non pensare ai nemici, e per questo doveva ringraziare solo Mamo-Chan. Tra le mani stringeva il ciondolo che Milord le aveva donato. Lo aprì ed una malinconica melodia riempì la camera e il suo cuore.

 

Quella triste e familiare melodia svegliò Mamoru dal suo sonno. Ma dov’era finito? Non era nel suo letto. La calda luce del lume sul comodino illuminava velatamente quella stanza. Mobili bianchi, tanti peluches e un intenso profumo di vaniglia ad avvolgergli i sensi. Era sicuramente la camera di una ragazza. E poi la vide, era bellissima, identica alla principessa per la quale aveva passato molte notte insonni. Tra le mani un carillon, lo stesso che lui aveva dato a Sailor Moon. Una lacrima rigò la guancia della fanciulla, brillava come una gemma preziosa.

 

«Sei triste?»

 

Con un gesto rapidissimo Usagi si asciugò la lacrima e chiuse il carillon impedendogli di suonare «Perdonami … non volevo svegliarti»

 

«A cosa stavi pensando?»

 

«Pensavo che oggi ho passato davvero una bella giornata, sono stata molto bene insieme a te» sorrideva.

 

«Ma prima, mi sembravi molto triste»

 

Usagi si sedette sul letto e gli accarezzò i capelli «ripensavo a quello che mi hai detto prima di scappare»

 

Mamoru arrossì «quello che ti ho detto non lo pensavo sul serio … ero stanco ed arrabbiato»

 

«Ma hai detto comunque delle cose vere. Oggi sarei dovuta andare ad allenarmi, è il mio dovere, ma, non mi piace combattere, anche se per finta. Alla fine ho preferito passare la mia giornata insieme a te. Quindi avevi ragione tu, sei stato solo un diversivo, una distrazione. Beh, almeno all’inizio era così, ma poi mi sono affezionata a te e alla tua causa e, sono stata molto felice di aiutarti»

 

Mamoru la fissava smarrito, cosa significava che doveva combattere … e poi quel ciondolo, com’era finito nelle sue mani? Che lei fosse, aveva paura soltanto a pensarlo … Sailor Moon?

 

«Usagi, dove l’hai preso quel ciondolo?»

 

«Questo?» Usagi si fece tutta rossa in volto «questo me l’ha regalato un ragazzo misterioso. Una persona speciale. Lui è sempre pronto ad aiutarmi, ed ha grande fiducia in me e nelle mie possibilità. Ma non sa con chi ha realmente a che fare … io sono un disastro! Presto lo deluderò … deluderò tutti coloro che si fidano di me» si fece improvvisamente triste.

 

Adesso non aveva più dubbi, stava parlando di Milord. Non avrebbe mai immaginato che Usagi in realtà fosse la grande Sailor Moon; chissà perché la scoperta lo rese molto felice «andiamo, non sei un disastro … vedrai, non deluderai nessuno!»

 

«Stai scherzando! Sono piena di difetti: sono stupida e infantile, lo hai detto anche tu, e poi sono pigra che neanche puoi immaginare, pasticciona, per non parlare del fatto che cerco sempre di scappare dalle mie responsabilità …» si sdraiò a fissare il soffitto «sono un caso disperato!»

 

«Hai dimenticato di dire che sei coraggiosa e altruista, pronta a rischiare la propria vita per aiutare gli altri. Sei gentile, simpatica, in tua compagnia non ci sia annoia mai. Sei sempre tanto allegra; la tua allegria è contagiosa, riesci a far dimenticare agli altri i propri problemi. Sei attenta e responsabile: ti sei presa cura di me, e anche se non sai chi sono mi hai accolto nella tua casa, mi hai dato da mangiare e mi hai seguito nella mia assurda missione. Tu sei una persona unica, speciale. Non potrai mai deludere nessuno, perché chi ti conosce può considerarsi già fortunato!» Mamoru la fissava divertito «Ah dimenticavo, prepari le frittelle più buone del mondo!»

 

Usagi lo guardava incredula. Si avvicinò ancora di più al piccolo e lo abbracciò «Grazie Mamo-Chan»

 

Mamoru era felice. Si sentiva così bene e a suo agio tra le braccia di Usagi, che avrebbe voluto restare così per il resto della sua vita.

 

«È ora di dormire» Usagi spense il lume e si sdraiò nel letto insieme a Mamoru. «Buonanotte Mamo-Chan»

 

«Buonanotte Usagi» Mamoru si sentiva finalmente protetto, amato. Da tanto non provava tali sensazioni. Adesso più che mai non poteva restare bambino. Come poteva proteggere Sailor Moon in quello stato? Si strinse ancora di più nel caldo abbraccio di Usagi. Doveva assolutamente ritornare ad essere un uomo e doveva farlo per lei, perché le voleva bene … l’amava. Finalmente aveva qualcuno per cui combattere. Accompagnato da questi pensieri si addormentò tra le braccia della sua Odango.

 

Il risveglio di Mamoru fu qualcosa di estremamente piacevole. Con la mano accarezzava la schiena scoperta di Usagi, puro velluto. Lei aveva la testa appoggiata al suo petto, le braccia ad avvolgerlo dolcemente, e sul viso un’espressione serena; bella da mozzare il fiato. La strinse ancora di più a sé; com’era piccola tra le sue braccia, già, perché lui era finalmente ritornato ad essere un uomo. Le baciò lievemente la fronte, mentre diede una rapida occhiata alla sveglia; erano appena le cinque del mattino. Meglio andar via, se Usagi si fosse svegliata in quel momento le sarebbe venuto come minimo un infarto! Si alzò facendo attenzione a non svegliarla. Raccolse le sue scarpe da terra e aprì la finestra. Prima di andare però, un ultimo saluto alla sua Odango; quelle labbra, così invitanti, non chiedevano altro che i suoi baci. Le si chinò vicino per soddisfare il suo ultimo desiderio e le rubò un bacio. «Grazie di tutto Usagi» bisbigliò impercettibilmente; e poi se ne andò.

 

 

Adesso che era finalmente ritornato delle sue somiglianze, gli restava un’unica cosa da fare: restituire la chiave alla sua proprietaria. Si trasformò in Milord, e come per incanto, sapeva perfettamente dove andare, riusciva ad avvertire l’energia della bambina. L’inseguimento lo portò in un cantiere edile. Si guardò intorno, e finalmente la vide, nascosta sotto una grande impalcatura.

 

«Mammina dove sei?» la piccola piangeva disperata.

 

«Ehi, piccola, che ci fai in questo posto tutta sola?»

 

«E tu chi sei? VAI VIA!»

 

«Non voglio farti de male, sono venuto qui solo per restituirti questa» Milord le porse la chiave «è la tua chiave del tempo, vero?»

 

«Ma questa è la mia chiave!» La bambina sgranò gli occhi ed afferrò subito la chiave dalla mano di Mamoru.

 

«Mi dici un po’ a cosa ti serve? Di me puoi fidarti»

 

Certo che poteva fidarsi, le aveva appena dato l’oggetto più importante che possedesse «Con questa posso viaggiare nel tempo»

 

«Davvero … quindi tu non sei di quest’epoca?»

 

«No, io vengo dal futuro. Sono giunta nel passato perché la mia mamma è in pericolo e qui avrei trovato il modo di salvarla; ma era la prima volta che usavo la chiave e sono andata troppo indietro nel tempo. Adesso che l’ho ritrovata potrò andare nell’epoca giusta e aiutare la mia mamma»

 

Mamoru era stupito, non avrebbe creduto ad una sola parola se lui stesso non avesse provato sulla sua pelle gli effetti di quella chiave «attenta a non perderla di nuovo … dovresti portarla al collo come una collana, così sarà più al sicuro»

 

«Mi ha detto la stessa cosa il mio papà, infatti mi ha dato questa» tirò fuori una catenina d’oro «Ma avevo così tanta fretta di partire che ho dimenticato di usarla»

 

«Buon viaggio piccolina …»

 

«Grazie di tutto» la bambina afferrò la chiave, che adesso pendeva dal suo collo, chiuse gli occhi e improvvisamente fu avvolta da una luce rosa. Un attimo dopo era svanita nel nulla.

 

 

Il suono della sveglia destò Usagi dai suoi sogni. «AHHHHHHHH» era da tanto che non dormiva così serenamente. «Mamo-Chan?» si alzò di scatto; il piccolo non era nel letto accanto a lei. «Mamo-Chan, dove sei?» le sue scarpe erano sparite, che se ne fosse andato? La finestra era aperta, Usagi andò per chiuderla quando notò sul davanzale una rosa rossa accompagnata da un bigliettino:

 

Cara Usagi,

se sono riuscito a risolvere i miei problemi

lo devo solo a te.

Non ti dimenticherò mai,

a presto.

 

Mamo-Chan

 

E così se n’era andato. Un senso di tristezza l’attanagliò. Avrebbe voluto almeno salutarlo, ma ormai non c’era più niente che lei potesse fare.

 

Indossò la sua uniforme scolastica e preparò la cartella: era pronta per andare a scuola. Era in anticipo, quindi decise di passare prima dal Crown a salutare Motoki, e chissà magari avrebbe incontrato un bambino di sua conoscenza.

 

«Buongiorno Motoki»

 

«Buongiorno a te Usagi … oggi sei molto mattiniera» solitamente Usagi non si fermava al Crown di primo mattino, ma la si vedeva spesso passare a tutta velocità mentre si dirigeva verso scuola.

 

«E così siamo cadute dal letto questa mattina»

 

Quella voce, a chi poteva appartenere se non a quell’antipatico di Mamoru Chiba. Ed eccolo lì, seduto beato al bancone intento a leggere il giornale. «Per la cronaca: non sono affatto caduta dal letto! È forse un reato alzarsi presto la mattina?»

 

“Adoro odiarlo” … Mamoru ripensava sorridente alle parole di Usagi. Come poteva non accontentare quel suo desiderio di odio, d'altronde, lui adorava essere odiato da lei.

 

Che odioso! Cosa c’era di così divertente nelle sue parole da farlo ridere? Lo guardava sconcertata cercando le parole più adatte per colpirlo e affondarlo, quando la sua attenzione fu catturata da ciò che Mamoru stava mangiando «ma guarda … non sapevo che ai BAKA piacessero le frittelle!»

 

Mamoru doveva aspettarselo «Sai, sono tante le cose che non sai di me»

 

«Tzè, quel poco che so basta e avanza!» Usagi mise il broncio e si voltò per non guardarlo più in faccia.

 

Mamoru rise di gusto «Sei sempre la solita Odango!»

 

In quel momento Usagi ebbe come un’illuminazione. “Sei e resterai sempre la solita Odango” … erano le parole del piccolo Mamoru. Come faceva a sapere di quel nomignolo, solo Mamoru Chiba la chiamava Odango. E se in realtà Mamo-Chan fosse … no, non poteva essere. Doveva ammettere però che Mamo-Chan era molto simile a Mamoru, anche lui aveva perso i genitori, e poi il suo comportamento era molto maturo per un bambino della sua età. Usagi frugò nella sua cartella, tra le mani aveva il fazzoletto che Mamo-Chan aveva utilizzato per medicarla, lo aveva lavato e stirato con la speranza di poterglielo restituire. In un angolo del fazzoletto c’erano due iniziali: MC. Mamoru Chiba! Usagi si avvicinò a Mamoru ed iniziò a fissarlo intensamente negli occhi. Quegli occhi, quello sguardo, erano un qualcosa di unico. Ormai non c’erano più dubbi, Mamo-Chan era proprio lui.

 

«Beh, adesso che c’è?» Mamoru era arrossito, essere osservato in quella maniera da Usagi lo mise un po’ in imbarazzo.

 

«Niente» Usagi arrossì a sua volta. «Ero passata per restituirti questo» appoggiò il fazzoletto sul bancone.

 

Mamoru guardava sconcertato quel fazzoletto. C’erano molte cose che voleva dirle, ma rimase come paralizzato. Lei sapeva.

 

«Oh no, sta suonando la campanella; vado o arriverò tardi a scuola» Usagi si diresse come una furia verso l’uscita. «A PRESTO MAMO-CHAN!» urlò prima di sparire dietro le porte scorrevoli.

 

Mamoru osservava sorridente la sagoma di Usagi allontanarsi «A presto, mia principessa, mia guerriera, mia dolcissima Odango»

 

fine

 

 

 

 

   
 
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