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Autore: Lady Chaos    31/05/2010    2 recensioni
Io.
L’ultimo frammento esanime della cera pallida di una candela spenta. Di un iroso fuoco placato dalle deleterie tempeste di una pioggia tagliente che perfora gli animi.
Il vento gelido e crudele l’ha dissestata rabbiosamente senza lasciare che l’ultima goccia del lume di cera grondasse sicura e lucida dal moccolo, delineando lentamente i suoi contorni prima di staccarsi definitivamente e di abbandonarlo in un crepitio secco, essiccando nel legno freddo.
E io ti chiedo: «E … lei?»
Tu ghigni allegro.
Mi sorridi di nuovo.
Spalanco gli occhi incredula.
Ti giri e prendi a camminarmi dinnanzi senza rivolgermi più nemmeno il minimo strascico di un’altra delle tue occhiate procaci, ed io, fuggo, al riparo, lontana da te. [...]
Genere: Romantico, Triste, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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   §Heartless§

Tu.
Tu che sei l’astro brillante che fomenta d’amore ogni mio battito.
L’arcobaleno che dipinge di vita ogni mia giornata presa dal buio più tetro. Il sorriso che prosciuga ogni mio pianto.
Tu che mi nutri di speranze, che mi appaghi dei tuoi languidi sguardi, gli stessi che pian piano sviscerano in me, una fossa di mille e dolci illusioni eteree colme di sogni celestiali e favolosi che al sol rintocco di una loro fioca immagine, suscitano una gioia innata che scuote aspirazioni dominanti in me, una sola e insignificante briciola di carne.
Tu.
Tu che stravolgi il mio mondo, che ne assorbi le sue più intime componenti.
Che infrangi i miei sensi, che stimoli i miei più nascosti fervori.
Che plasmi la purezza dell’amore, donandomela con attenzione e con cura fra le mani, come delicati  fili di madreperla che a rilento scivolano fra le mie dita minute.
Che tempri le mie forze, rendendomi rapidamente pronta per continuare a lottare, ancora, quello stesso vigore che trema lungo le mie braccia stanche.
Tu.
Tu che hai acceso la primavera nel mio Io più profondo, inciso soltanto dalle gelide raffiche della solitudine.
Dagli ardenti squarci della finzione.
Dall’agonia che mi aggredisce, perché prima o poi, avrò paura di cedere e di iniziare a cadere poco a poco nell’oscurità più sconosciuta e lontana.
Tu.
Tu che brilli nei miei occhi con nerbo, ogni qualvolta pronuncio soltanto flebilmente le prime lettere del tuo nome, che levi sospiri leggeri dalle mie labbra che tramutano in tremori inarrestabili dopo averti appena nominato per intero, che mi fai contorcere lo stomaco, che mi fai sudare le mani.
Tu.
Tu che mi annebbi la vista: vedo solo te al centro della mia realtà, a nessun altro è permesso usurpare il nostro spazio, perché ci sei tu che ne fai parte e io che ti assisto in incognito, sperando che tu non te ne accorga, che ti ammiro in gran segreto e che contemplo da lontano la tua figura irraggiungibile, che mi fa sentire indegna di avvicinarmi alla tua persona.
Mi sorridi. Ti guardo. Ti volti e m’imprimi in viso un rasserenante velo di felicità. E poi, io mi giro. Ma tu già sorridi a lei.
Digrigno i denti. Stringo la mascella. Indurisco lo sguardo. Premo i pugni.
Mi tranquillizzi: eccoti, mi stai guardando di nuovo.
Ed io, come sempre, ricambio.


Io.
L’ultimo frammento esanime della cera pallida di una candela spenta. Di un iroso fuoco placato dalle deleterie tempeste di una pioggia tagliente che perfora gli animi.
Il vento gelido e crudele l’ha dissestata rabbiosamente senza lasciare che l’ultima goccia del lume di cera grondasse sicura e lucida dal moccolo, delineando lentamente i suoi contorni prima di staccarsi definitivamente e di abbandonarlo in un crepitio secco, essiccando nel legno freddo.
E io ti chiedo: «E … lei?»
Tu ghigni allegro.
Mi sorridi di nuovo.
Spalanco gli occhi incredula.
Ti giri e prendi a camminarmi dinnanzi senza rivolgermi più nemmeno il minimo strascico di un’altra delle tue occhiate procaci, ed io, fuggo, al riparo, lontana da te.
Ispiro profondamente, poggio una mano lungo il petto che emette forti sospiri agitandosi, abbasso la testa con resa, capace di rendere un' ultima vista afflitta solamente alla melma fangosa distesa sotto ai miei piedi, che la percorrono a passi lenti con cautela.
E mi dilanio l’animo rapito dal tuo cuore.
E le impurità dei miei palpiti spezzati dal labile fermento di una fine fredda che ha sfregiato i miei respiri, iniziano a scorrermi in viso lesti, inattuabili da arrestare, impossibili da trattenere.
E sgorgo lacrime inette di controllarsi, stille limpide che imbevono la mia pelle scialba dell’ultimo chiarore del tramonto che si rispecchia nei miei occhi bruni, chiusi abilmente dalle palpebre pesanti per non poter più essere in grado di scorgere il più minimo barlume di luce, che mi accecherebbe inesorabile.
Non riesco a ridestarmi: laceranti cori strazianti prendono lentamente voce, iniziando a riecheggiare fra le pareti del mio cuore infranto, logorano la mia anima con indifferenza, senza voler capire qual’ è il vero male che fanno accrescere sempre più, come farebbero le più cupe tenebre su di un cielo terso, mi ricopre leggiadro, posandosi sulla superficie riarsa delle mio ardimento da sempre incontrastato.
E ora?
Cosa riusciresti a fartene dei brandelli cui hai ridotto i miei abbagli?
Cosa ci vedresti nelle scaglie del mio cuore che hai falciato senza pietà?
Cosa potresti dire se ti trovassi innanzi, tutto ciò che straripa la mia natura deturpata dalla tua euforia?
Cosa penseresti di me, dei miei sentimenti, della mia frivolezza?
Sì, frivola. Così mi sento.
Io che ho pensato di poter solamente credere ad una meravigliosa lusinga di te e di me, delle nostre mani intrecciate, dei nostri fiati mozzati dai sussulti di un bacio che ci avrebbe finalmente uniti.
Ma tu questo non lo sai. Non puoi saperlo.
Il dolce volto che hai, non può comprendere.
Mi fermo.
E ti osservo in silenzio.
Il tumulto più grande che può sconvolgere un cuore a metà, è sapere che l’altra non potrà mai più esistere.
E si annerisce, ne rimane solo una misera ombra, che si nasconde.
E se tu un giorno, persino lontano, ti trovassi a chiedermi perché ora ti sono così distante, cosa potresti credere che io ti risponda?
«Dimmi, secondo te avrebbe senso continuare a combattere contro l’ignoto? Certo, contro le avversità che tutti i giorni questa vita ci pone sfacciatamente davanti, ma ti sei mai chiesto se non sapendo a cosa vai incontro, come ti potresti sentire? Cosa riuscirebbe a sussurrarti l’eco della coscienza?»
Chissà come risponderesti tu. Si sa, che quando siamo innamorati, riusciamo a vedere nell'altro solamente ciò che più ci compiace, un riflesso di noi stessi che non esiste, perché non siamo noi ad esserlo, ma colui o colei che rispecchia le nostre più piacevoli allucinazioni.
Perdonami, se mi sono permessa di renderti parte di me.


Fine

Dedicata a te, che non la leggerai mai.

Doris.

  
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