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Autore: cabol    31/05/2010    2 recensioni
Un ladro del calibro di Blackwind e una potente gilda dei ladri inevitabilmente sarebbero giunti allo scontro. Così, la capitale della Repubblica di Elos viene sconvolta da una feroce guerra fra fazioni che potrebbe portare addirittura a sconvolgere l'assetto dello stato.
Contemporaneamente, un'assassina distrutta dal dolore cerca la vendetta contro chi le ha ucciso l'uomo che amava.
Mille e mille sono le leggende che i bardi raccontano, sull’isola di Ainamar. Innumerevoli gli eroi, carichi della gloria di imprese epiche. Eppure, in molti cantano anche le imprese di un personaggio insolito, che mosse guerra al suo mondo per amore di giustizia.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'I misteri di Ainamar'
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Capitolo Uno

Quella sera d’autunno, nella sala sotterranea, cuore di una delle gilde meglio organizzate dell’intera Ainamar[1], un’atmosfera di tensione aleggiava sul lungo tavolo, attorno al quale era riunito l’intero consiglio degli anziani.
La gilda dei ladri e degli assassini di Elosbrand[2] rischiava seriamente di perdere la propria coesione intorno al suo capo riconosciuto e indiscusso da oltre due decenni. L’anziano Ravenclaw vedeva, per la prima volta, messa in discussione la propria autorità.

In che razza di pasticcio mi sono ficcato?

La questione in sé era quasi irrilevante. Ravenclaw sapeva perfettamente che non era altro che un pretesto per scuotere la sua autorità. E sapeva anche che si era cacciato in una posizione difficile da difendere. E tutto per un’irrazionale simpatia per un tizio che non conosceva e col quale non aveva mai avuto nulla a che fare. Lui che aveva fatto eliminare centinaia di avversari, senza un’ombra di rimorso, esitava a ordinare l’uccisione di quel tipo.
Il problema non era certamente il fatto che non gli aveva mai fatto assolutamente nulla, né che gli avesse, una volta, involontariamente fatto un favore eliminando un pericoloso concorrente. No. Ravenclaw sapeva benissimo che tutto questo non gli avrebbe mai impedito di uccidere o far uccidere qualcuno. Il problema era, semplicemente, che quel tizio gli piaceva.

Possibile che mi stia rammollendo?

Mentre i suoi occhi grigi esploravano i volti dei tantissimi convenuti, la sua mente lucida cercava di esaminare la situazione. Ammirava lo stile e la spavalderia di quel misterioso individuo. Doveva ammetterlo. Per questo lo aveva tollerato. Per questo non aveva mai nemmeno ipotizzato di avvicinarlo per affiliarlo alla gilda. Lo ammirava ma sapeva benissimo che era quanto di più lontano da lui ci potesse essere.

O no?

Per un attimo si rivide da giovane, pieno di baldanza e di ideali. Ideali che aveva sacrificato sull’altare dell’avidità di ricchezza e potere, senza rimpianti.

O no?

Sospirò. Forse stava davvero invecchiando, se aveva permesso a una romanticheria di influenzarlo nelle sue decisioni e nella sua inflessibile politica nella gilda. Il suo sguardo cadde sul giovane Snake. Un lampo d’odio balenò nei suoi occhi. Quello lo avrebbe fatto eliminare senza rimpianti, anzi con somma soddisfazione. Quello era il vero nemico. Guardò i volti dei suoi uomini. Quanti di loro gli sarebbero restati fedeli? E quanti sarebbero saltati sul carro di quell’imbonitore da fiera? Un sorriso amaro gli affiorò sulle labbra. Come gli avrebbero fatto comodo dei leali paladini, in quel momento!
Snake si guardava intorno soddisfatto. La sua fazione era cresciuta a dismisura, negli ultimi tempi, acquistando col denaro la fedeltà che non era riuscito a conquistare con la ragione ed il suo innegabile fascino. Era un simpaticone, dall’identità rispettabile di un mercante e costruttore che aveva accumulato in pochi anni un titolo nobiliare e una ricchezza colossale. Era uno di quei tipi tutti pacche sulle spalle, abilissimi nel conquistare la fiducia degli ingenui. Fino a quando questi, sulle spalle, non avrebbero ricevuto, invece della solita simpatica pacca, una assai meno simpatica pugnalata. La sua ambizione era sfrenata e la sua politica semplice ed efficace: tutto quello che arricchisce è lecito, corrompere chi si può comprare, eliminare in ogni modo quelli al di là delle sue possibilità di corruzione.
Ravenclaw era uno di quelli. Non perché non fosse avido ma perché non avrebbe ceduto un’oncia del suo potere per nessun motivo. E Snake anelava a quel potere. Con la gilda al suo servizio, avrebbe potuto compiere il salto di qualità cui ambiva con tutto se stesso: influenzare la politica stessa di Elosbrand e, forse, diventare egli stesso uno dei senatori o, addirittura uno dei tre Patriarchi.
Il chiacchiericcio della sala cessò improvvisamente.
Circus, uno degli anziani della gilda detto così per aver lungamente lavorato fra gli acrobati, aveva preso la parola.
«Fratelli, sorelle, fate silenzio! L’assemblea ha inizio».
Amava rivolgersi così ai suoi compagni di gilda. Lui che aveva esordito sulla strada del crimine sterminando la propria famiglia. Qualche timida risata sottolineò la sua minacciosa ironia.
«La parola al riverito Snake, che ha richiesto la convocazione di quest’assemblea plenaria».
Il riverito Snake si alzò dalla poltrona, accanto allo scranno occupato da Ravenclaw. Ignorò ostentatamente l’anziano capo che, da parte sua, gli riservò un freddo sorriso.
«Ho chiesto di parlare davanti a tutti voi perché è l’onore di noi tutti in gioco, questa sera. Il nostro onore ed i nostri interessi. Perché non possiamo permettere a nessuno di farsi beffe della gilda. Eppure, si è permesso, per la prima volta, a qualcuno che con noi non ha nulla a che fare di svolgere la sua attività. Questo mina alla base la nostra forza. Perché noi siamo forti solo se siamo uniti e se non permettiamo agli estranei di intralciare le nostre attività. Da alcuni anni, questo non è più vero. L’atteggiamento inflessibile della gilda si è rammollito davanti ad uno sconosciuto comparso dal nulla. Questi ha osato svolgere attività ladresche senza essersi affiliato ed evitando ogni contatto con noi. Anzi, ha esordito proprio con il danneggiare seriamente un nostro affiliato che è stato costretto addirittura a fuggire dalla nostra città. Parlo del riverito messer Caerl Branagh».
«Mi ricordo, infatti, quanto hai pianto, alla notizia della sua partenza». La voce ironica di Ravenclaw interruppe l’appassionato sermone di Snake, suscitando alcuni scoppi di risa fra gli astanti.
«Ma io sono un affiliato, mi pare. Questo mi dà il diritto di criticare altri affiliati ma non permetterò mai a un estraneo di fare lo stesso. Io ho troppo a cuore gli interessi della gilda per permettere che qualcuno possa danneggiarci. Ora chiedo a quest’assemblea di far cessare questo scempio. Chiedo che sia ripristinata la nostra legge. Chiedo che chi ha l’onore di presiederci senta anche il dovere di difenderci. Chiedo che l’intruso sia eliminato».
Un boato accolse le parole dell’oratore, il cui sguardo soddisfatto si posò, per la prima volta, sul volto livido di Ravenclaw.
«Snake, quell’uomo è un pericolo solo se lo stuzzichiamo. Se lo lasciamo in pace, farà la sua vita senza interferire coi nostri affari».
«Ti sei rammollito, Ravenclaw. Non so perché ti ostini a difenderlo. A meno che tu non ci stia nascondendo qualcosa. Forse hai qualche interesse al di fuori della gilda? Temo che sia giunto il momento di sceglierci un nuovo capo. Uno che sappia farsi rispettare e che abbia veramente a cuore i nostri interessi».
«Se vuoi una dimostrazione di come io sappia farmi rispettare, non vedo l’ora di dartela. Potrebbe essere molto… istruttivo, non credi?».
«Non ti temo, Ravenclaw. Perché quest’assemblea è con me. Perché i nostri interessi vengono prima di tutto e tutti i nostri affiliati sono d’accordo nel difenderli. Perché solo gli idioti potrebbero agire contro i propri interessi. Quanti idioti ci sono in quest’assemblea?».
Circus intervenne, prima che Ravenclaw potesse replicare.
«Credo che non ci sia motivo di litigare fra noi. Possiamo mettere ai voti la proposta di Snake».
Ravenclaw tacque. Anche Circus era passato dalla parte del suo rivale. Per denaro o per ambizione poco importava. Si rese conto della precarietà della propria posizione. Aveva una sola via d’uscita per guadagnare il tempo necessario a recuperare consensi nella gilda. Una votazione lo avrebbe condotto inevitabilmente a uno scontro dal quale sarebbe uscito sconfitto.
«Non è necessario, Circus. Pur non concordando affatto con quanto sostiene Snake, penso non sia utile creare spaccature nella gilda. Snake, sei autorizzato a eliminare Blackwind».

***

Arel si chiedeva cosa potesse significare tutta quella gente assiepata intorno alla Casa della Gioia, il tempio di Yavië[3] di Elosbrand. Era una dolce e soleggiata mattina d'autunno, come solo quella stagione sa regalare dopo oltre una settimana di piogge torrenziali. La ragazza, ancora assonnata, si guardava intorno con evidente curiosità mentre intorno a lei si radunavano nobili, popolani, mercanti e miserabili. Per quanto ne sapeva, quello non era un giorno particolare per la chiesa della Dea Sorridente.
Era tornata in città giusto la sera prima, a un'ora infame, dopo una marcia di diverse miglia, sicché si era subito ficcata sotto le coperte, rinunciando a priori a qualsiasi ipotesi di cena. Era stanchissima e non desiderava altro che una riposante dormita. Invece, alle prime luci dell'alba, un gran vocio l'aveva tirata giù dal letto. La prima cosa che aveva notato era che gli oggetti della stanza erano tutti al loro posto. Quella constatazione le cagionò un moto di sollievo. Il suo controllo sul potere era migliorato tantissimo ma, specialmente quando era stanca, le capitava di spostare qualcosa nel sonno, talora con esiti disastrosi. Forse per quello, forse perché il sole si stava arrampicando su un cielo finalmente sereno, si era alzata di buon umore nonostante avesse dormito solo poche ore, ed era scesa in strada seguendo la sua inguaribile curiosità.
Per risparmiare tempo, aveva rinunciato a indossare l'armatura ma non a cingere la fedele spada. Avvertì subito la strana eccitazione che pervadeva le vie della città, creando dappertutto un curioso brusio di sottofondo. Cercò di indagarne la ragione ma riuscì a capire solo che doveva essere morto qualcuno. Eppure, non c'erano i segni del lutto cittadino, dunque non doveva trattarsi di un nobile né di un governante.
Adocchiò due elegantoni che passeggiavano chiacchierando a voce sufficientemente alta da essere abbastanza udibili.
«È stato certamente un bene per tutti noi. In fondo doveva essere di umili natali».
«In che senso, scusate? Ah, forse pensate che un gentiluomo non possa abbassarsi a ... ».
«Niente affatto. Non capite. Un gentiluomo non ruba. Prende ciò che gli serve. Perché gli dei ci hanno messo al di sopra della gente comune e per noi non valgono le regole che si applicano alle classi inferiori. Quell’alone di moralità che circondava quell'uomo è un evidente indizio di bassa estrazione. Un nobile non è morale né immorale. Semplicemente è superiore agli altri per volontà degli dei».
Arel alzò gli occhi al cielo. Le prudevano le mani e sentiva erompere la voglia di reagire violentemente davanti a quei discorsi. Una volta, solo pochi anni prima, probabilmente avrebbe preso a calci quei due ma ormai era troppo esperta per cadere in simili tentazioni. Decise comunque di allontanarsi dai due damerini prima di combinare un guaio.
Vide quello che pareva un mugnaio e cercò di captare cosa stava dicendo alla moglie.
«Ti dico che è lui!».
«Quello che ha cacciato Branagh? Gli dei lo abbiano in gloria, allora. Senza di lui saremmo ancora nelle mani di quell'usuraio!».
Una pattuglia della Guardia di Elos[4] si frappose tra lei e la coppia, impedendole di udire altro. Ma anche i militari parlavano fra loro e Arel intese che alcuni di loro sostenevano con forza che l’audace e misterioso stratega che aveva condotto una compagnia della Guardia a spazzar via una banda di briganti orchi che infestava i Boschi Occidentali[5], sparendo poi col bottino sequestrato a quei furfanti, fosse proprio colui del quale stava per celebrarsi il funerale.
La ragazza era ormai notevolmente incuriosita. Chi mai poteva essere il misterioso avventuriero la cui morte stava radunando tanta gente? Conoscendosi, Arel sapeva benissimo che non avrebbe avuto pace finché non l’avesse saputo. Si avvicinò a un capannello di persone e tese le orecchie cercando nuovi indizi. A sentire quella gente, quasi certamente era stato lui a svuotare il forziere di Lady Imbert, riempiendolo di splendide rose rosse in omaggio alla sua straordinaria bellezza. Era stato lui a smascherare i coniugi Fester e il loro odioso delitto. Si vociferava che fosse stato lui colui che aveva salvato i membri della Corporazione dei Mercanti dall’incendio della loro sede, salvo poi borseggiarli tutti e sparire.
Arel non sapeva che pensare. Si trattava evidentemente di un ladro. Eppure pareva aver goduto di un’insolita simpatia popolare.
L’unica cosa certa di quella faccenda era che non la riguardava per nulla, dunque fu tentata di tornare sui propri passi, quando la sua attenzione fu attratta da un foglio di carta svolazzante nel vento. Lo afferrò al volo. Era un proclama che doveva essere stato affisso a un palo, fino a poco prima. Qualcuno l’aveva evidentemente staccato e gettato via.

Chiunque sia in grado di portare notizie tali da consentire la cattura del bandito Blackwind sarà ricompensato con 4000 monete d’oro. Chi dovesse assicurarlo alla giustizia, vivo o morto, sarà ricompensato con 12000 monete d’oro.

In calce all’avviso, la firma di Lord Boris Elucin, cancelliere del tribunale di Elosbrand.

Blackwind.

Alla mente della giovane donna tornarono alcuni ricordi del suo precedente soggiorno in città. Quel tipo aveva smascherato pubblicamente un ratto mannaro del quale non ricordava assolutamente il nome ma che era sicuramente uno degli individui più sordidi della città. E ricordava bene l’arresto del trafficante James Brook, anch’egli derubato e smascherato dal misterioso avventuriero.
Riprese il cammino, scambiando qualche parola con le persone che incontrava per la via. Lo stile e l’umorismo di quell’individuo nel farsi beffe degli avversari l’avevano reso popolare, sebbene si trattasse evidentemente di un personaggio sempre in bilico fra bene e male, fra disonestà e ribellione all’ingiustizia, fra atti di eroismo e furti con destrezza.
A quanto pareva, doveva avere l’abitudine di scegliere le sue vittime fra i trafficanti, i corrotti, i profittatori. Questo spiegava la sua popolarità presso la gente comune e anche il fatto che nessuno fosse in grado di descriverlo con certezza né di attribuirgli un nome o un passato, doveva aver contribuito alla sua leggenda. Infine, concluse la ragazza, doveva esercitare un indubbio fascino sul gentil sesso. Arel sorrise nell’udire i sospiri di tante ragazze dagli occhi umidi che cinguettavano degli incantevoli sguardi o dei baci ardenti di quel misterioso individuo. Fu infastidita quando si rese conto che si stava chiedendo se avrebbe trovato anche lei tanto affascinante quel tipo.
Dunque Blackwind era morto. Normalmente la faccenda non l’avrebbe sfiorata che marginalmente ma ormai si era incuriosita. Ormai Arel voleva capirne qualcosa di più.

Una curiosità stupida? Può darsi. Ma si fanno tante cose stupide, nella vita.

Una di più non avrebbe cambiato granché.
Ormai era giunta al tempio e si mescolò alla folla.
La Casa della Gioia era una costruzione elegante, a pianta ottagonale, circondata da un agile colonnato che s’interrompeva solo davanti all’ampio portone d’ingresso, sormontato da un timpano decorato da eleganti bassorilievi rappresentanti miti collegati alla fertilità.
Varcato il portone bronzeo, si accedeva a un’ampia navata, illuminata da numerose bifore che alleggerivano le pareti, dando quasi l’impressione che le capriate che sorreggevano il soffitto poggiassero sulla luce proveniente dall’esterno.
Al centro della navata un catafalco sorreggeva il feretro semplice, di ebano lucido, intorno al quale erano schierati sei mercenari della Guardia di Elos, in alta uniforme. L’ufficiale che li comandava, un giovane biondo dal volto intelligente, guardava il sarcofago con occhi stranamente arrossati.
L’orazione funebre della sacerdotessa di Yavië fu breve, vagamente ammonitrice e sicuramente permeata di simpatia e rimpianto per il defunto. Arel ebbe l’impressione che la fulva religiosa dovesse aver conosciuto di persona il compianto Blackwind. Ma ben altre cose destarono l’interesse della giovane avventuriera.
Un paladino di Mirpas[6], il famoso sir Alaum Sevendal, rappresentava le autorità cittadine, sorvegliando con i suoi occhi dorati la gente che affollava l’ampia navata, forse verificando le intenzioni dei presenti con i suoi poteri divini. Accanto a lui una giovane elfa di sfolgorante bellezza, vestita con la semplice eleganza della sua razza, pareva controllare i movimenti di coloro che entravano nel tempio.
L’attenzione di Arel fu poi attratta da una giovane donna, elegantemente vestita di nero, i cui capelli color dell’oro fuoriuscivano da una veletta corvina. Il volto, incantevole, era segnato da un dolore senza lacrime. Si era avvicinata al feretro con passo agile, scansando le guardie, per depositarvi un fiore scarlatto. Lo sguardo del paladino si era fissato sulla giovane donna, scrutandola attentamente. Arel si sentì rabbrividire. Quegli occhi d’oro parevano poter penetrare attraverso qualsiasi corazza per giungere fin dentro l’anima. Ciononostante, la giovane donna vestita di nero aveva alzato gli occhi e sostenuto lo sguardo di sir Alaum senza battere ciglio.
Eppure quegli occhi color della notte erano arrossati in un modo sospetto.
Distratta da quella scena, Arel inciampò e quasi travolse un giovane uomo che si trovava davanti a lei. Si maledisse per tanta goffaggine e si affrettò a chiedere scusa allo sconosciuto, che però le rivolse un cordiale sorriso.
«Arel! Quanto tempo! Ti ricordi di me? Sono Sigmund, il bardo».
Nei meandri della memoria della giovane guerriera fece capolino il viso punteggiato di efelidi di un adolescente di celeberrima curiosità e dalle velleità da bardo.
«Ma certo, Sigmund! Sono stata via per quasi due anni e non ti avevo riconosciuto … sei cresciuto … non avevi quei baffi, allora».
Sigmund si lisciò con orgoglio malcelato i curatissimi mustacchi che gli adornavano il viso, dandogli un aspetto decisamente più maturo dei suoi diciotto anni scarsi. Il sorriso malizioso, però era rimasto lo stesso e così la sua erudizione sui fatti altrui.
«Sai chi è quella bionda? La chiamano Oleandro Nero. È un’assassina, una delle migliori. Chissà, forse rimpiange di non essere stata lei ad ammazzarlo».
«Perché?». Arel lo guardò meravigliata. «Tu sai chi è stato?».
Il sorriso del bardo si allargò.
«Certo! Io ho visto com’è andata. Qualche giorno fa, una sera di fitta pioggia, avevo visto una pattuglia della Guardia di Elos correre verso la splendida villa del famoso impresario Foonnier. Incuriosito, la seguii, nonostante la pioggia si stesse rapidamente trasformando in una vera bufera.
La villa di sir Clay Foonnier è una piccola ma imponente fortezza, costruita abbastanza recentemente nella parte nuova della città, in pratica alla foce dell’Elos[7], a picco su di un’alta scogliera. Alla luce di un lampo, potei scorgere una figura vestita di nero muoversi agilmente fra i merli e non ebbi dubbio alcuno nell’identificarla. Era certamente Blackwind. Qualcuno gridò e le guardie accorsero sulla torre a strapiombo sul mare, inseguendo la preda. Un nugolo di frecce si alzò in volo, seguite da clangore di spade. La figura ammantata di nero balzò su di un merlo, inseguita da frecce e torce e uomini in arme. Un urlo feroce. Come una farfalla che muore sbattendo le ali, il fuggitivo parve librarsi in volo per poi cadere a precipizio verso le acque. Le frecce lo inseguirono. Le voci divennero concitate e numerose teste si sporsero fra i merli, scrutando nell’oscurità. Altre frecce. Urla esultanti tuonarono sulla torre massiccia, scuotendone le antiche pietre. Il nemico era caduto».
Una pausa teatrale, mentre lo sguardo del giovane spaziava nella navata del tempio, rivedendo forse la scena descritta.
«Solo due giorni dopo, le acque restituirono il corpo con gli eleganti abiti neri, strappati dagli urti sugli scogli. Lord Elucin proprio ieri ha comunicato ufficialmente ai cittadini di Elosbrand che la giustizia aveva trionfato e che potevano finalmente dormire sonni tranquilli. La leggenda di Blackwind è giunta al termine».

[1] La grande isola dove sono ambientati questi racconti
[2] Grande città portuale, capitale della Repubblica di Elos
[3] Dea dell'Amore terreno, protettrice delle famiglie e dei focolari domestici
[4] Compagnia militare incaricata di mantenere l’ordine nella Repubblica di Elos
[5] Estese e pericolose foreste a ovest di Elosbrand
[6] Dio delle Arti e dell'Armonia
[7] Il fiume alla cui foce sorge il porto di Elosbrand

  
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