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Autore: Diana924    01/06/2010    2 recensioni
Billie si trova in Giappone per lavoro,non sa ancora di quello che le capiterà quando dovrà verificare una vecchia leggenda...
Genere: Dark, Sovrannaturale, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Mi trovavo in Giappone per due motivi: visitare la terra di mio padre e per scrivere il mio primo articolo. Infatti, ho iniziato da poco a scrivere per una testata locale: il “ Sant Antonio Tribune ”, per cui anche mia madre scriveva. Durante la guerra, mio nonno, Sean McCormik, aveva conosciuto una giapponese, Chio Chang, mia nonna, si erano sposati e trasferiti in America. Venticinque anni dopo mia madre, durante un viaggio per festeggiare la fine dell’Università aveva conosciuto Takeshi Addo, mio padre. Stessa vicenda identica a quella del nonno e della nonna, mio padre a Sant Antonio avrebbe aperto un ristorante giapponese, e ancora,malgrado siano passati ventiquattro anni, si ostina a non voler parlare inglese, lo legge, ma preferisce di gran lunga la sua lingua. Se deve dire qualcosa a mio nonno, mi usa come “piccione viaggiatore”. In ogni caso, la mia era stata un’infanzia felice, e ora a ventiquattro anni, ero finalmente nel Paese di cui mia nonna cantava le lodi. Arrivata in albergo chiamai mia madre e le chiesi di chiedere ad Arold, il direttore, su che cosa si doveva basare il mio articolo.

Mi rispose che il mio pezzo doveva trattare del rapporto tra i gatti e il popolo giapponese, comprese le numerose leggende, anzi, soprattutto quelle. << Ora iniziamo anche a scrivere di leggende? Credevo che il nostro fosse un giornale serio >>.  << Capisco il tuo risentimento, ma è questo quel che vogliono i lettori, emozioni forti >>. Riattaccai e mi misi a cercare su Internet le notizie generali, e m’imbattei in una leggenda alquanto bizzarra. Si trattava del bakeneko, il gatto fantasma, il sito affermava che i bakeneko erano o lo spirito di un gatto che non si voleva separare dal padrone o si trasformavano se erano troppo anziani. Una cosa in particolare mi sorprese: chi curava il sito giurava che un bakeneko viveva in una casa di Tokio, ad Ikebukoro, vicino la fermata del metro. Mi venne da ridere, si è mai sentito di uno spirito che decide di abitare vicino ad una stazione del metro! E’ anacronistico ma efficace. Mi ripromisi di andare a controllare e dopo chiamai mia nonna al telefono. Come il solito la nonna non rispondeva al primo squillo, diceva che portava sfortuna, ma al decimo, e iniziava tutte le conversazioni telefoniche con: << Sono Chio, ho settantasei anni e in Giappone facevo l’infermiera, tu chi sei? >> << Nonna, sono io, Billie, sono vent’anni che dici quella frase, per questo papà ti comprò tre anni fa un cordless >> le risposi. << Billie, allora, ti piace la terra di tua nonna e di tuo padre? >>, la nonna è sempre stata sincera e odia le frasi di circostanza. << Il Giappone è fantastico: nonna, che cosa sai della leggenda del bakeneko? >> le chiesi, ora o mai più. << Il gatto fantasma? Ricordo che mia madre mi raccontava che era lo spirito di un gatto, che poteva camminare anche sulle zampe posteriori e che quando prendeva sembianze umane manteneva qualcosa di felino. Ne ero terrorizzata >>. Dopo aver riattaccato, con la promessa di tenerla informata, mi misi direttamente a dormire. Quella notte feci un sogno bizzarro: vedevo davanti a me una casa e qualcuno che mi faceva segno di entrare, io muovevo i primi passi in quella direzione, ma dopo poco giravo su me stessa e iniziavo a correre, mentre correvo sentivo degli strani suoni, a metà fra delle parole e un miagolio soffocato. Mi risvegliai in preda ad un gran terrore, siccome erano già le sei di mattina ritenni inutile tentare di riprendere sonno. Così presi un libro che mi aveva consigliato mia madre: “ Memorie di una Geisha ”. In capo a mezz’ora ne avevo letto quarantacinque pagine, e pensare che sono una lettrice molto lenta, di solito.

Alle sette mi preparai e scesi nella hall per la colazione. Dopo chiesi ad un fattorino dove si trovava Ikebukoro e con che linea della metro ci si arrivava. Avrei dovuto cambiare la metro soltanto una volta, ciò mi confortò.

Impiegai un’ora ad arrivare a destinazione, e quando domandai dove si trovava la famosa casa soltanto una bambina, subito dopo ceffonata dalla madre in preda ad una crisi di terrore, m’indico la strada.

La casa era semplice ed assolutamente anonima, ma al contempo sembrava che sprigionasse qualcosa di non ben definito, ma non per questo meno terrificante. Mentre estraevo la macchina fotografica per scattare delle foto, sentii un rumore, come di una finestra che si apriva e dopo di un salto. Mi spaventai, ma subito dopo minimizzai, poteva essere stato il vento. Udii dei passi e subito dopo vidi un uomo. Era circa sulla trentina, alto, sicuramente un occidentale, capelli neri corti e un completo che mal si adattava al periodo dell’anno. Aveva in sé qualcosa di nobile e di sfuggente al tempo stesso, come i gatti persiani. Mi vide e sorrise, ma con un sorriso strano, sembrava un predatore che ha appena puntato la preda e si appresta a darle la caccia. Gli sorrisi a sua volta e iniziammo a parlare. Mi disse che si chiamava Georges Sainclair, di avere trentun’anni e di fare l’agente immobiliare. Era entrato nella casa perché la sua agenzia era stata incaricata di venderla. << Quella? – domandai - ma se è stregata, secondo i vicini ci abita uno spirito, e tu e la tua agenzia volete venderla! >> esclamai. << Non mi dirai che credi a queste leggende, una bella ragazza come te, nel XXI secolo che crede alle vecchie leggende? >> ribatte lui ironico, sfoderando un sorriso misterioso che mi sorprese. I suoi denti erano bianchissimi, ma irregolari, sembravano quelli di un gatto. Dopo un po’ gli suonò il cellulare, e mi resi conto che parlava una lingua strana. Finito di parlare mi disse che era coreano, il suo capo infatti parlava quella lingua. Mentre lo salutavo, mi chiese se volevo accettare un suo invito a cena. Mi sorprese e gli assicurai che accettavo. Mi disse: << Ci vediamo qui alle sette, sii puntuale, ok? >>

Durante il resto della giornata fui molto nervosa, mi recai in biblioteca a cercare delle informazioni sui gatti nella cultura giapponese, e tornata in albergo chiamai mia madre e mia nonna, non so il perchè, ma non dissi a nessuna delle due che di lì a poco sarei dovuta andare a cena con un tizio che non conoscevo per niente. In ogni caso per le sette ero vicino la casa, ad aspettarlo. I miei pensieri correvano a Georges, a com’era stato gentile, ai suoi modi ricercati, al suo buon gusto, ma anche ai suoi misteriosi tentativi di evitare domande personali e a come sembrava godersi il sole, ancora un po’ e avrebbe fatto le fusa; e a come doveva essere stato agile a saltare da una finestra al secondo piano e atterrare intero.

Apparve, questa volta uscì dalla porta principale, puntualissimo. Si era cambiato e ora indossava un completo molto elegante, appena mi vide mi sorrise, lo stesso sorriso di prima, ma c’era qualcosa d’inquietante. Il ristorante era molto carino, mi sorprese quello che mangiò, sembrava una dieta più adatta ad un gatto che ad un essere umano.

Per il resto fu di una cortesia esemplare e continuò ad evitare le mie domande sulla sua famiglia. Al caffè, che non toccò, mi decisi e gli feci una domanda che da un po’ mi ronzava in testa: << Questa mattina, come hai fatto a saltare dal secondo piano e a non romperti niente? Anzi ad apparire in meno di cinque secondi davanti a me? >>. << Abilità, faccio molta palestra e cerco di tenermi in forma, non era la prima volta che saltavo da quella finestra >> ribatté lui, aveva una risposta per tutto, ma i miei dubbi restavano. Dopo mi riaccompagnò in albergo e mi salutò dicendomi che l’indomani aveva parecchio da fare e che quindi si doveva alzare presto.

Il giorno dopo sul giornale lessi una notizia spaventosa: un’intera famiglia era sta massacrata da un ignoto che era entrato nottetempo, solo la figlia della coppia, di tre anni era stata risparmiata. Guardando la foto riconobbi la bambina che mi aveva consigliato dov’era la casa. Il particolare strano era che i resti dei genitori erano quasi irriconoscibili, come se qualcuno li avesse mangiati. La bambina, interrogata dalla polizia, continuava a dire una sola parola: << Neko, neko!!! >> ovvero “ il gatto, il gatto ”. Fu in quel momento che ripensai a tutte le coincidenze che mi erano capitate in quei giorni: la casa, la bambina, Georges e la sua bizzarra agilità, il suo aspetto fisico, i suoi denti, la sua dieta, e soprattutto capii che il famoso impegno era stato quello di massacrare chi aveva fatto la spia e aveva rivelato dove viveva. Ma aveva risparmiato la bambina, come per far capire che la morte era una punizione troppo tenera, la peggiore era quella di credere che i genitori fossero morti per quello che aveva fatto, indicare una casa ad una sconosciuta, e di farla sentire colpevole per il resto della sua vita.

D’impulso presi il cellulare e chiamai Georges, ma una voce mi disse che il numero era inesistente, cosa che mi spaventò, ma non molto.

Fu dopo che fui presa da un autentico terrore, quando chiamata la sua agenzia, mi dissero che nessuno là dentro aveva mai sentito nominare Georges Sainclair.

Molte domande iniziarono a circolare nella mia testa: uno ero stata fortunata perchè per il momento mi aveva graziato, due sapeva dove abitavo, tre era uno spirito, quattro poteva cambiare aspetto quando voleva, cinque sicuramente era nei suoi piani l’idea di mangiarmi, come aveva fatto con quella sventurata famiglia. Pensai anche a comunicare alla reception che volevo restare sola, ma ciò non escludeva che con una scusa lui poteva entrare. Per tre infernali minuti riflettei accuratamente e alla fine me ne venne soltanto una: non sono mai stata una fifona, perciò sarei tornata alla casa, avevamo di nuovo appuntamento lì, e avrei cercato di affrontarlo. Infatti mentre mi facevo la doccia squillò il telefonino, era mia nonna, la salutai e l’aggiornai sulle ultime novità che riguardavano il mio articolo e le annunciai che oggi sarebbe stato l’ultimo giorno e che domani sarei tornata negli Stati Uniti. << Ma perché cara? Il Giappone è bellissimo, resta ancora altri due giorni almeno, tanto questo è un viaggio che ti paga il giornale, puoi restare quanto vuoi >>. mi rispose lei. << E’ meglio di no nonna, mamma ieri mi ha detto che Arold aveva paura che a lavoro mi considerassero una raccomandata e lui stesso mi aveva caldamente consigliato di rientrare appena il mio pezzo fosse finito >>. Mia nonna cedette. Avevo appena posato il cellulare che riprese a suonare. Era lui.

<< Ciao Billie, mi chiedevo se potevi passare vicino la casa, è molto importante per me vederti >>. ora capii il suo piano: aveva cercato di sedurmi in vari modi, ma lui non si era innamorato di me, mia nonna mi raccontava che gli spiriti sono incapaci di provare quei sentimenti che per noi sono normali, l’amore e l’odio per esempio. Mi aveva visto fin dalla prima volta come una preda, qualcosa da mangiare, e per riuscirci aveva adottato questa strategia. Ma c’era un problema: qualcuno aveva parlato e aveva rivelato dove viveva, così lui aveva risolto il problema alla radice, uccidendo quella famiglia e risparmiando soltanto la bambina, per farle capire che se ci fosse stata una seconda volta lei doveva restare zitta e ferma. Fu con questi pensieri che giunsi all’appuntamento.

Era là come due giorni fa, con lo stesso abito, e il vederlo mi provocò una vertigine di paura allo stato puro.

 Si avvicinò e prima che potesse dirmi qualcosa lo anticipai. << So chi sei, o che cosa sei e che cosa hai fatto ieri notte >>, semplice, senza girarci attorno. << Brava, un applauso alla tua bravura, ma dimmi, non hai paura di me ora che sai che non sono umano? >> << Un po’ si, lo ammetto, ma ti voglio chiedere due cose: mostrati nella tua vera forma e fammi vedere l’interno di questa casa! >> esclamai. << L’ultimo desiderio del condannato a morte, eh? - replicò lui - va bene, ti accontenterò >>. Così sì “ trasformò ”, anche se credo che questa parola non dia pienamente l’idea di ciò che vidi. In ogni caso dopo tre secondi di fronte a me c’era un gatto, che si muoveva a due zampe, ed era alto un metro e mezzo. Giunti alla porta stando dritto mi disse, con la stessa voce di prima, ma con un miagolio che non riusciva a celare, se potevo aprire la porta. Ubbidì.  Quello che vidi mi paralizzò: decine d’ossa bianche spolpate giacevano alla rinfusa sul pavimento, qualcuna era aperta e il midollo era stato succhiato. << Ho visto – dissi - un’ultima cosa, puoi tornare umano? >> << Non vedo perché non ti dovrei accontentare >> replicò.  Non sapeva che mi ero cautelata e che avevo nascosto un coltello, comprato, mentre raggiungevo la casa. Non appena si ritrasformò lo colpì, fortunatamente gli recisi una vena. Poi, ricordandomi del sogno feci dietro-front e fuggii. Appena fuori, chiusi la porta e poi non mi girai più indietro. Arrivai all’albergo sventatissima, presi le valige e corsi all’aeroporto. Ora mi trovo a casa mia e mi sento braccata da nemici invisibili, ho paura del buoi e sobbalzo appena sento un rumore. Bussano alla porta e devo andare a vedere chi è…

   
 
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