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Autore: Kioto    06/06/2010    3 recensioni
"Berlino era grande. Berlino era cupa.
Berlino era la nostra tana."
La storia si svolge nel futuro, attorno al 2015, in una Germania diversa da quella che conosciamo ora. Richiama un po' il periodo della seconda guerra mondiale per la tensione e la paura che c'è nell'aria, ma quegli avvenimenti non fanno parte della trama.
Se accadono determinate cose hanno tutte un significato che magari verrà spiegato più avanti nella storia o che è già stato spiegato in precedenza con un sottile filo di collegamento. Tuttavia vi informo che chi legge deve avere una mente pronta a tutto, al peggio come al meglio. Inoltre vorrei precisare che la situazione è drammatica, quindi qualche gesto che potrebbe essere avventato in realtà non lo è.
Il titolo della fan fic è ispirato dall'omonima canzone dei Cinema Bizarre e, oltre alla progatonista femminile, il secondo personaggio principale è Tom Kaulitz. Gradirei che quello che ho scritto non venisse copiato e/o pubblicato da qualche altra parte senza il mio consenso. Grazie per l'attenzione.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Settembre.
Berlino era fredda.
Ormai da troppo tempo le sue strade risuonavano prive di un briciolo di felicità adolescenziale.
Le foglie degli alberi iniziavano già a seccarsi.
Nessun bambino le raccoglieva da terra per osservarle con stupore.
Solo uno spazzino vecchio e ricurvo su se stesso che lavorava per i fatti suoi.
Il mondo gridava di smetterla.
L'umanità pregava la fine di quella tortura.
Ma noi, eravamo intrappolati da troppo tempo ormai.
Circa tre anni prima un laboratorio di scienziati era esploso lasciando evadere una quantità incalcolata di virus che aveva contaminato l'intera Germania e non solo.
Grosse mura dotate di sensori elettrici furono innalzate per tutto il perimetro tedesco e fu imposto a tutti di non allontanarsi dalla nazione.
Io non ero tedesca.
E sapevo per certo, che non avrei mai più visto la mia patria, dopo allora.
Una telefonata al mese era quello che ci concedevano.
Eravamo costretti a camminare col volto basso, spesso incappucciati.
La libertà era quasi scomparsa.
I negozi avevano orari ristretti.
Nessuno aveva più contatti con noi.
Eravamo infetti.
Quanto sarebbe durato il virus? Nessuno lo sapeva.
Al governo tedesco aveva preso potere una dittatura austriaca e il capo dello stato si faceva chiamare "Il Sergente".
Erano sopraggiunte pattuglie di polizia da ogni dove che non permettevano contatti con l'esterno.
Era stato proibito il rapporto sessuale tra procreatori per evitare di creare bambini malati.
Nel caso una donna rimanesse incinta, era obbligatorio che abortisse e nel caso in cui venisse sorpresa durante atti sessuali, sarebbe stata resa sterile.
Era la fine dell'esistenza umana.
La Germania stava perdendo tutti i suoi abitanti a causa di un errore scientifico.
Come ho già detto all'inizio, era Settembre e passeggiavo sola nel viale di un parco dove la luce traspariva difficilmente dagli alberi secchi.
La tranquillità regnava sovrana.
Nessuna mosca volava.
Ogni tanto si sentivano spari di rivolte o cose simili; ma mai qualcuno era riuscito ad uscire.
E quasi nessuno ci sperava ancora.
Mi sedetti su una panchina mentre il vecchio si allontanava.
Rimasi sola, a fissarmi le unghie.
La mia vita scorreva infelice e senza senso. Niente contava più.
- Scusa, è libero? - chiese una voce grossa e calda.
Mi voltai a guardare la persona.
- Sì, prego - risposi facendogli spazio.
Era un ragazzo, più o meno della mia età.
Qualcosa mi diceva che lo avevo già visto. Ma con tutti i test che ci avevano fatto, tutte le medicine che ci avevano iniettato per non aggravare la situazione, la perdita di memoria era uno dei problemi più frequenti.
Era strano incontrare qualcuno di simile anagraficamente. Nessuno usciva più dalle case, ormai.
- Come mai in giro? - chiese.
- In casa non c'era molto da fare - risposi.
Potrebbe sembrare strano, ma quando incontri qualcuno che sà quello che provi, inizi ad esprimerti senza troppi ripensamenti.
Hai bisogno di parlare con qualcuno che possa capirti.
- Comunque io sono Tom - si presentò porgendomi una mano.
Non mi era nuovo neanche il nome.
Forse, qualche anno prima, l'avevo già incontrato.
O forse lo conoscevo di vista.
- Andrea - risposi disegnando un sorriso.
Ricambiò l'espressione sorridente.
E da allora, quasi tutto cambiò prospettiva.
   
 
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