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Autore: Lady_Firiel    06/06/2010    6 recensioni
In una sala d'aspetto di uno studio medico, si può incontrare qualcuno di inaspettato. E, magari, anche un po'... particolare
[Edward Elric spiega l'alchimia ad una bimba... innocente?]
Genere: Commedia | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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During waiting

During waiting



«Al, sei sicuro di non volere che ti accompagni?»
Alphonse Elric, un sedicenne nuovamente in possesso del proprio corpo, sospirò per quella che doveva essere la settecentotrentottesima volta nell’arco dei quarantacinque minuti che avevano trascorso in quella stanza.
«Sì, fratellone, sono sicuro al centocinque percento di non avere bisogno che mi accompagni…»
«Sicuro?»
Settecentotrentanove. Alla prossima gli avrebbe mollato un pugno in testa, parola sua.
Che diamine, era tanto buono e paziente, specie con il suo apprensivo fratellone, ma quello era troppo!
«Fratellone, ti ho già detto settecentotrentotto volte che sì, sono sicurissimo…»
Edward borbottò, come se il tono seccato di Alphonse non fosse più che giustificato e gli rappresentasse quasi una mancanza di rispetto.
Il maggiore dei fratelli Elric prese a girare i pollici, uno di carne ed uno metallico, in attesa che la signora entrata prima di loro uscisse per lasciare il posto ad Al.
Erano dal medico per un controllo di routine: dacché Alphonse aveva recuperato il proprio corpo, per evitare inconvenienti Izumi aveva suggerito loro di recarsi periodicamente da un dottore per degli accertamenti; era fondamentale che la salute del ragazzo fosse ottima, in quel periodo.
In quel momento entrarono in sala d’attesa una signora, doveva essere sulla trentina, con una bimba certo più piccola dei cinque anni al seguito: la donna era banale, fisico asciutto, seno di medie dimensioni, gambe lunghe e classici “trampoli” di cinque centimetri buoni.
La bambina, invece, aveva un bel faccino tondo e roseo, due riccioluti codini dorati e occhioni cerulei.
Il più giovane dei due ragazzi sorrise, intenerito, a quella vista, sentimentale come suo solito; Ed si limitò a sbuffare, pensando che i marmocchi portassero solo noia.
Come le pulci e le zecche.
Le due si accomodarono accanto a loro proprio mentre la porta dello studio si apriva, lasciandone uscire una paziente con corti ricci brizzolati.
«Arrivederci signora Jones. Il prossimo» chiamò il medico; Al si alzò in piedi, lanciando un’occhiata di controllo al fratello prima d’entrare e chiudersi la porta alle spalle.
Scese il silenzio nella sala, fin quando il cellulare della donna non prese a vibrare e quella si alzò di scatto, scusandosi con lui ed uscendo, lasciando la figlia seduta in sala d’attesa.
Ed la fissò di sottecchi, sospettoso, quasi si trattasse di una cassa di odioso latte, ma la piccola lo ignorò, iniziando a giocherellare pacificamente con il pallottoliere di legno poggiato sul tavolino, accanto a vecchie riviste da comare pettegola.
Le sue dita piccole e paffute facevano viaggiare le sferette colorate da un lato all’altro dell’asta, unica parte metallica dell’intera costruzione, producendo un ticchettio non abbastanza leggero per il Fullmetal Alchemist.
Preso da un improvviso tic alla palpebra sinistra, quella più vicina al flagello portatile –che poi, ma s’era visto lui?-, il ragazzo borbottò qualcosa di indubbiamente sconveniente, facendo girare la bambina.
«Hai detto qualcosa?» gli chiese, facendo roteare su loro stesse le sferette blu delle unità.
«Non potresti spostarti più in là? Il rumore che fai mi dà fastidio…» sibilò, già infastidito dal fatto che la mocciosa gli avesse rivolto la parola.
Ma la piccola lo fissò con aria di sfida, l’espressione angelica con cui era entrata completamente dissolta.
«No» fu la laconica risposta, pronunciata con un tono che non ammetteva repliche; Elric rimase spiazzato.
«Cosa?»
«Ho detto no. Scusa, non è mica tua la sala d’aspetto, no?»
«Che c’entra? Io ero qui prima di te, sei tu che ti devi spostare…»
«Non è vero!» protestò la piccola, infervorandosi tanto che le gote le divennero rosse; ecco perché non sopportava i bambini, lui.
«Senti, c’è tanto spazio, perché non ti sposti solo un po’? Bastano un paio di sedie…» ritentò, la pazienza agli sgoccioli. Anzi, praticamente esaurita.
La bambina corrugò le sopracciglia, diffidente.
«Dovresti essere più educato con le signorine, sai? Se ti comporti così non troverai mai una fidanzata!» gli appuntò, con malvagia pignoleria.
Il ragazzo sgranò gli occhi: e quella mocciosa che diamine ne sapeva di quelle storie!
«Scommetto che non hai la fidanzata, vero?» lo schernì, dispettosa, accantonando il pallottoliere.
«Non sono affari tuoi!» si difese Ed, brusco, arrossendo.
«E secondo me nessuna ti vuole…» proseguì, imperterrita.
«Ma tu chi sei, un cane dell’esercito mandato per pedinarmi?!» domandò, ironicamente infastidito. Lei inclinò il capo, curiosa.
«Cosa sono i cani dell’esercito?»
«I militari»
«Oh. Mia mamma dice che i militari sono gente cattiva…» annotò con semplicità
Acciaio si sentì in dovere di screditare quella teoria.
«Non è vero, non sono tutti cattivi. Io ne conosco tanti che» deglutì nell’ammetterlo «sono davvero delle brave persone…»
E pensò a Roy Mustang e ai suoi uomini.
«Tu dici?» s’informò lei, ancora dubbiosa.
Il biondino s’animò, felice di avere finalmente la conversazione “dalla parte del manico”.
«Ma certo! Sai, anche se sono giovane anche io sono un militare. Sono un Alchimista di Stato…» disse, il petto gonfio d’orgoglio.
«Anche i bambini possono fare i militari?»
«Bambini?! Io ho diciassette anni!»
La bambina arricciò il nasino.
«Non si dicono le bugie!» lo rimbeccò, severa.
Una vena pulsò sulla fronte di Acciaio.
“Io la scuoio” macchinò, irritato.
«A diciassette anni si è più alti di così…» puntualizzò ancora.
E no, che diamine!
«Chi sarebbe il fagiolino minuscolo e invisibile all’occhio umano?!» sbraitò, partendo per la tangente come al solito e ricevendo un’occhiata compassionevole dalla piccola.
«Ma guarda che io non ho mica detto tutto quello…» gli fece notare, perplessa.
«Ma sono sicuro che l’hai pensato!» recriminò, additandola.
«Oh, tu sei un mago?» chiese, curiosa, ignorando le accuse e la rabbia –tra l’altro ingiustificata- del ragazzo.
«Eh? No, io sono un alchimista…»
«E gli alchimisti non sono maghi?»
«Beh, no, gli alchimisti sono alchimisti»
«E che differenza c’è?»
«I maghi non esistono, se non nei libri di fiabe. Loro creano le cose dal nulla, e non si può fare…»
«E perché?»
«Beh, perché ogni cosa deve seguire la legge dello scambio equivalente: per ottenere qualcosa è necessario dare in cambio qualcos’altro che abbia il medesimo valore…»
«Non ho capito…» s’imbronciò la bambina, incrociando le braccia.
Ed rise, affettuosamente, e si spostò sulla sedia accanto, sistemandosi vicino alla sua interlocutrice.
«Ti faccio un esempio, ok? Se tu, che so, hai una bambola che per te, ehm, importa uno, con l’alchimia la puoi trasformare solo in un’altra bambola che per te importerebbe uno… Mi capisci?»
Lei parve rifletterci, poi annuì.
«Bene, ma questo non è tutto: per poter trasmutare, in alchimia si dice così, bisogna sacrificare non solo qualcosa dello stesso valore, ma anche della stessa massa… sai cos’è la massa?»
Lei corrugò la fronte, pensandoci.
«Il peso?»
«Sì, più o meno…» le sorrise Elric, accontentandosi.
«Quindi le due bambole devono pesare uguali?»
«Sì, esatto. A questo punto si può effettuare la trasmutazione. Hai capito il principio dello scambio equivalente?»
Annuì.
«Ma vale solo per le cose uguali?»
Ed si grattò il capo.
«Beh, in verità no, vale per tutte le cose che non siano esseri viventi, ma è troppo complicato da spiegare…»
«Perché le persone no?»
Sospirò.
«Ogni essere vivente, umano od animale, è composto da tre “parti”: il corpo, la mente e l’anima…»
«Cos’è l’anima?»
“Merda” imprecò tra sé.
«L’anima… Beh, ecco, è una “cosa” che c’è dentro di te, cioè… Mm, è come se fosse il tuo fantasma personale…»
La bambina sgranò gli occhioni azzurri.
«Io ho un fantasma dentro di me?!» s’informò, spaventata.
«Sì, cioè, no, insomma… Uff, non è un fantasma, perché non si può vedere… E poi è una cosa buona…»
«Non fa paura l’anima?»
«No»
Si rilassò.
«Allora mi piace. E poi?»
«Beh, con una trasmutazione si può ricreare un corpo umano, che è composto da vari ingredienti…»
«Come le torte?»
Gli venne da ridere.
«Sì, più o meno. Comunque, se con degli ingredienti puoi, diciamo, “pagare” il corpo, non esiste un prezzo per l’anima di un essere vivente, perché… Beh, un’anima non ha valore quantificabile…»
«Che vuol dire quantificabile?»
«Ehm… Che non puoi dire con esattezza quale sia»
«Ah»
«Per questo non si possono trasmutare gli esseri viventi. Capito?»
La piccola portò un ditino alle labbra, pensierosa. Poi domandò:
«E la mente? Che fine fa?»
«Beh, teoricamente la mente è un insieme di dati, quindi può essere ricreata attraverso una trasmutazione…»
«Eh?»
«Ah, giusto. Dunque, hai capito cos’è una trasmutazione e come funziona?» s’accertò, prima di continuare.
Lei annuì, entusiasta.
«Sì! Una trasmutazione è un modo per trasformare una cosa in un’altra cosa uguale!»
Ed ridacchiò: sì, espresso in maniera estremamente elementare, ma il concetto c’era. Più o meno.
«Esatto, più o meno è così. Bene, ora devi sapere che la mente umana è formata da… Mm, come spiegartelo in parole semplici?» ponderò, incrociando le braccia ed aggrottando le bionde sopracciglia.
La piccola attese, in silenzio.
«Beh, dunque… Se ti dicessi che i ricordi sono come lunghe sequenze di numeri?»
«Cos’è una sequenza?»
«Ah, è un lungo “elenco” di numeri…»
«Vuoi dire che nella nostra testa ci sono tanti numeri che galleggiano?» s’informò, perplessa e confusa.
«Beh, ecco… No, non proprio. Cioè…» il ragazzo si grattò la testa, sentendosi impantanato.
«Uffa, non ho capito!» si lagnò la bambina.
«Sì, beh… è che sono cose complicate da spiegare…»
«Sei tu che non sei capace» lo accusò, indispettita.
«Non è vero! Non è che non sappia spiegarle, è che sono complicate!» si difese, arrossendo, colto in fallo.
«Mah…» si limitò a dire lei, stringendosi nelle spalle e tornando a concentrarsi sulle sfere colorate dell’abaco.
Edward era basito: non poteva mica lasciar perdere una conversazione del genere così, in quel modo!
Aprì la bocca per dirle il fatto proprio, quando la porta dello studio si aprì e ne uscì Alphonse, tutto sorridente.
«Fratellone, ho finito! È andato tutto bene, visto?» lo rassicurò, divertito; gli si avvicinò e, vedendolo imbronciato, domandò:
«Fratellone, va tutto bene?»
Quello borbottò qualcosa di incomprensibile, ma certamente poco educato.
«Fratellone!»
«Sì, sì, va tutto bene, Al. Solo una cosa…» rispose, alzandosi in piedi e precedendo il fratello fuori dalla sala d’attesa, mentre la madre della bambina si accingeva a rientrare.
«Cosa?»
«Ricordami di non avere mai dei figli»
«Eh? Fratellone, cosa stai dicendo?»
Ed non si dilungò in alcuna sorta di spiegazione; si limitò ad una laconica e sibillina affermazione:
«Perché i bambini vogliono sapere troppo e capiscono poco…»
Schernito da una bimbetta di appena quattro anni.
Dura la vita, vero Edward?



Konnichi wa, gente! ^^

Dunque, venerdì ero dal dentista e stavo aspettando di entrare in quell’odiosissimo studio; mentre stavo in piedi nella sala d’attesa, ho visto una bambina –no, non come quella della fic- che giocava con il pallottoliere ed un altro “coso” che non saprei descrivervi, ma il cui “scopo” era sempre smuovere delle palline da una parte all’altra.
Mi è venuto da pensare che i bambini sono davvero una cosa incredibile, perché riescono a trovare divertimento anche nelle cose più piccole, e così ho immaginato il nostro Mame-chan in una sala d’attesa alle prese con una mocciosa petulante. Che somiglia anche un po’ a Candy Candy, ma questo non c’entra nulla. ^^
Ebbene, dopo due giorni eccovi qua la fic che ne è uscita. Certo, non era proprio quello che m’ero immaginata, ma tant’è…
Non mi convince tantissimo la conclusione, quindi sono ben accetti suggerimenti, critiche e consigli ^^
Grazie a tutti per la lettura, alla prossima! ^^

I personaggi non mi appartengono e nel mio fruire di essi non vi è alcuno scopo di lucro.

Lady_Firiel


   
 
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