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Autore: likeasong    06/06/2010    3 recensioni
A Claire le venne da ridere, non ci credeva. Non aveva mai creduto alle coincidenze, ma ora era davanti all’evidenza, come poteva negare? Cosa succederebbe se Claire si ritrovasse i fratelli Jonas nel suo studio fotografico e loro le nascondessero un segreto? Piccolo "sequel" di Photograph diviso in due capitoli.
Genere: Romantico, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Joe Jonas, Kevin Jonas, Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti!
Non so quanti di voi abbiano letto la mia shot "Photograph", ma nel caso non l'aveste fatto credo che non troverete la trama di questa piccola fan-fiction troppo difficile da capire.
Questo è un piccolo "sequel" diviso in due parti.
Sarei davvero felice se coloro che magari la leggeranno la commentassero per dirmi il loro giudizio negativo o positivo.
A questo punto non mi resta che augurarvi una buona lettura (si spera) :)
Il mio scritto non è a scopo di lucro e i Jonas non mi appartengono. Claire, in quanto è una mia creazione, mi appartiene.

FLOWERS FOR A GHOST

You disappear with all your good intentions
And all I am is all I could not mention.
Like who will bring me flowers when it's over
And who will give me comfort when it's cold.

Claire camminava distrattamente lungo quella strada secondaria di Londra. Era una mite domenica di settembre, ma Paul, il suo assistente, non ci aveva dato importanza e l’aveva chiamata ugualmente alle otto di quella mattina, dicendole che c’era un’urgenza e che doveva venire immediatamente nello studio. Per tutta risposta la donna, con la voce ancora impastata dal sonno, gli aveva gridato che faceva la fotografa e non l’infermiera in una sala operatoria e quindi, di urgenze nel suo campo, non ne avrebbe mai sentito parlare. Gli aveva sbattuto il telefono in faccia e si era rimessa velocemente sotto le coperte. Ma Paul non si era abbattuto e l’aveva richiamata per altre tre volte, finché Claire si era arresa. Si era cambiata velocemente e adesso si trovava davanti alla porta verde del suo studio fotografico.
Erano passati cinque anni da quando l’aveva comprato, dopo alcuni mesi trascorsi a Plymouth. Non ci aveva impiegato troppo tempo a trovarlo; certo, non si trovava nel centro della città e questo le faceva perdere molte possibilità lavorative, ma era confortevole. La donna si fermò un attimo ad osservare la targa con il suo nome: ancora non riusciva a crederci che aveva uno studio tutto suo. Era stato il suo sogno da sempre ed ora finalmente poteva toccarlo con le mani.
Suonò il campanello e sentì la voce metallica di Paul dal citofono. «Chi è?»
Claire sbuffò: Paul era un buon assistente, questo non poteva metterlo in dubbio, chi si sarebbe recato al lavoro la domenica mattina anche se non rientrava nelle proprie mansioni? Ma era puntiglioso e qualche volta isterico e questo non faceva altro che infastidire la donna. «Chi vuoi che sia alle nove di domenica mattina?»
Per tutta risposta ottenne una serie di brontolii e poi la porta si aprì.
Salì le scale senza troppa fretta e, prima di fare l’ultimo scalino, si ritrovò Paul davanti.
«Prima di entrare, ascoltami.» sussurrò con quella voce melliflua e con gesti esageratamente femminili. Nonostante anche lui si fosse dovuto svegliare presto, era vestito in modo impeccabile, come sempre: camicia con motivo scozzese con gli ultimi bottoni lasciati aperti, cardigan rosso e jeans neri. Il tuo correlato da un paio di mocassini rossi. Era eccentrico, sì. Ma Claire lo adorava per questo e appena lo aveva visto lo aveva subito assunto. Ed ora non rimpiangeva quella scelta.
«Spero che il motivo per cui mi ha buttato giù dal letto questa mattina sia importante.» esclamò Claire, senza fare caso al tono di voce che aveva mantenuto il suo assistente.
«Sssh, tesoro, non fare rumore.» mormorò, mettendole una mano sulla bocca. «Questa mattina mi ha chiamato un manager di non-so-quale-band, di cui fanno parte dei fratelli americani, e mi ha detto che il loro fotografo “ufficiale” aveva dato buca e che ne serviva immediatamente un altro. Ha fatto un rapido giro di chiamate e tutti hanno consigliato te. Così adesso si trovano esattamente sul tuo divanetto ad attendere che tu scatti loro delle foto per il loro tour promozionale di non-so-quale-album
Conclusa la spiegazione, allontanò la mano dalla bocca della donna che stava assumendo un colorito vermiglio in faccia.
«CHE COSA?» bisbigliò a bassa voce, ma mettendo inquietudine lo stesso. «Io dovrei scattare delle foto per una band? Ma lo sanno cosa sono io? Io fotografo paesaggi, attimi di vita quotidiana, rubo emozioni con degli scatti nascosti, ma non fotografo una band che si mette lì, su uno sfondo bianco, a fare due sorrisetti falsi per delle fan.»
Paul la guardò intimorito con quei suoi grandi occhi verdi, corrucciò la fronte e assunse la solita faccia che usava quando voleva che Claire lo ascoltasse.
La donna scosse la testa e i suoi boccoli castani, che aveva lasciato crescere in tutti quegli anni, ondeggiarono sulla schiena. «Almeno ci pagano bene?» sbuffò.
«Profumatamente.» dichiarò Paul, con un sorriso che, se possibile, andava da una parte all’altra della faccia.
Si avviarono verso lo studio e Claire appese il giubbotto blu all’attaccapanni dell’ingresso. «Intrattienili ancora un po’, vado a sistemare la stanza.»
In realtà, non sapeva per niente come doveva strutturarla: non aveva mai fatto un set fotografico nel suo studio e di conseguenza non sapeva cosa avrebbe dovuto sistemare. Cercò nei meandri della sua mente qualcosa che avesse visto negli studi di altri fotografi e tentò di riprodurlo nel suo: non era il massimo, ma poteva andare.
Si mosse verso il corridoio, avviandosi verso una macchinetta di caffè: era come una droga per lei, non riusciva ad iniziare a lavorare se prima non ne aveva bevuto almeno una tazzina. Oltrepassando la sala da dove arrivava un parlottio concitato di voci maschili, fece cenno a Paul di far accomodare la band nello studio che aveva preparato.
L’aroma del caffè si stava già spargendo in tutto l’ambiente e questo bastò a rilassare Claire. Prese la sua tazzina e, facendo attenzione a non sporcare la sua camicetta bianca, si riavviò verso il suo studio.
Non gettò neppure un’occhiata ai tre ragazzi che stavano amabilmente parlottando tra loro appoggiati al muro, concentrata com’era nel non rovesciarsi il liquido caldo addosso. Lo appoggiò sul tavolo pieno di scartoffie e cominciò a trafficare con la macchina fotografica, quando una risata, inconfondibile, le giunse all’orecchio.
Non era possibile. Era lo stesso suono, la stessa melodia, che aveva.. No, la mente stava davvero lavorando troppo. Nel mondo siamo molto più di sei miliardi, tra tutte queste persone le probabilità che loro sarebbero capitati nel suo studio erano tanto rare quanto impossibili. Claire scosse la testa e continuò a sorseggiare il suo caffè, mentre un sorriso le spuntava sulle labbra. Non credeva che il loro ricordo le sarebbe saltato in mente di nuovo, capitava sempre nei momenti più strani e impensati.
Prese la macchina fotografica per distrarsi e cominciò a montare l’obbiettivo.
«Joe, sei sempre il solito. Possibile che dopo tutti questi anni continui a lamentarti?» esclamò una voce maschile: bassa, roca al punto giusto, ma con quel pizzico di giovinezza che sembrava non averlo abbandonato negli anni.
Claire sobbalzò e lasciò cadere ciò che aveva in mano: fino a quel momento non aveva fatto molto caso alle loro voci, ma adesso.. Adesso non solo le sembrò di riconoscere una risata, ma anche un nome e una voce.
Continuava a dare loro la schiena, facendo finta di riordinare alcuni fogli sul tavolo e sorseggiando un po’ del suo caffè, mentre stava solamente cercando di riordinare i suoi pensieri sconnessi.
«Ehm.. ehm..» Qualcuno tossicchiò alle sue spalle e lei istantaneamente si girò come un automa. Fu il componente, che a suo parere era il più grande, a parlare. «Mi scusi non vorremmo sembrare scontrosi, ma noi avremmo un’intervista da fare dopo e siamo un po’ di fretta.»
Claire abbassò lo sguardo. «Certo, certo..» biascicò, senza capire nulla delle parole dette da quell’uomo. No, la sua mente era rimasta ferma alla vista di quegli occhi. I suoi occhi. Non c’era più alcun dubbio erano loro.
«Prego, sistematevi in quell’angolo. Farò prima alcune foto per sistemare la luce e altri effetti.» disse la donna, facendo di tutto pur di evitare i loro sguardi. I tre si diressero nella direzione indicata dal braccio della donna, ma sembrava che sapessero già esattamente come muoversi.
«Paul, non mi piace questo sfondo bianco. Per niente. Non abbiamo qualcosa di colorato da mettere dietro?» chiese rivolta all’assistente, dopo i primi scatti.
Una risata cristallina arrivò da uno dei tre, forse il mezzano. «Una nostra vecchia amica odiava il bianco. Troppo simile agli ospedali diceva sempre.»
Claire si voltò verso di loro e il cuore mancò un battito. Si ricordavano. Si ricordavano di lei, nonostante tutti questi anni.
Il minore scosse la testa. «Scusalo da parte nostra, non è capace a tenere la bocca chiusa, signorina..» Si bloccò a metà strada, rendendosi conto che non sapevano il nome di questa nuova fotografa.
«È vero, non sappiamo il suo nome. Non ci siamo neppure presentati.» disse il maggiore, sfoderando uno smagliante sorriso.
A Claire le venne da ridere, non ci credeva. Non aveva mai creduto alle coincidenze, ma ora era davanti all’evidenza, come poteva negare?
«Sono Claire.» esordì indecisa. «Claire Roberts.» concluse, sorridendo timidamente.
Un silenzio pesante scese nello studio. I tre fratelli rimasero immobili, con gli occhi leggermente sgranati e la bocca semi-chiusa; la donna si domandò se avessero anche smesso di respirare.
Dopo alcuni secondi che parvero minuti, Nick parlò. «Sei davvero tu?» La sua voce tremava, lo sentiva chiaramente.
«A quanto pare.. Sì.»
Il minore riempì la distanza che li separava con pochi passi e la chiuse in un abbraccio, sorprendendo lei e tutti i presenti della stanza.
«Mi sei mancata, Claire.» le sussurrò in un orecchio.
Tremenda, tremenda verità.
«Mi sei mancato anche tu, piccolo President.» Anche se ormai piccolo non era più, ridacchiarono insieme per quel nomignolo: come ai vecchi tempi.
Si staccò dal calore di quell’abbraccio e si ritrovò davanti gli altri due che attendevano il loro turno.
«Quanto ci hai fatto aspettare per rivederti?» ridacchiò Joe, stringendola tra le sue braccia.
«Troppo, Danger.» sussurrò. «Troppo tempo.»
E quando anche lui si staccò, fu il suo turno, Kevin. Lo temeva quel contatto, cosa avrebbe provato? Sarebbe stato lo stesso anche con lui? Avrebbe risentito le emozioni di un tempo?
Ma tutte quelle riflessioni furono inutili nel momento esatto in cui lui la strinse in una dolce stretta fra le sue braccia: tutti i suoi pensieri svanirono, le preoccupazioni sfumarono pian piano e solo un grandissimo rumore arrivò dritto dal cuore: era come se avesse ricominciato a vivere.
Sì, decisamente una parte del suo cuore, non sapeva quale e non sapeva come, era ancora innamorata di quell’uomo.
«Kevin..» sussurrò all’altezza del suo collo, provocandogli un brivido che sentì anche lei. «Mi sei mancato.» Lui le posò un tenero bacio tra i capelli e continuò a cullarla lentamente, cercando di recuperare tutto quel calore che si era perso negli anni.
Paul che per tutto il tempo aveva seguito la scena in disparte si avvicinò e Claire, sentendo il ticchettio dei suoi mocassini sul parquet, si voltò verso di lui, che non aspettava altro che spiegazioni. «Paul,» iniziò con un enorme sorriso sulle labbra e con le guance che erano avvampate. «questi sono Nick, Joe e Kevin, ovvero i Jonas Brothers, ma anche i miei migliori amici.. fino a quando non sono scappata qui.»
«Ma lo sei ancora.» esclamò Joe, gongolando per aver ritrovato Claire. Tipico di lui: il suo sorriso era un marchio che non se ne andava mai dal suo volto e che rallegrava chiunque si trovasse con lui. «Cosa credevi? Che ci fossimo scordati di te? Kevin non faceva altro che guardare le vecchie foto.»
«Stai zitto!» mormorò a denti stretti Kevin, tirandogli un affettuoso ceffone sulla testa.

***

«Quanto rimanete a Londra?» domandò timorosamente Claire. Non voleva sapere che tra non molto ci sarebbe stato un altro saluto, non voleva sapere che mancava poco alla loro partenza, non voleva ritrovarsi a sperare di non dimenticarli. Non voleva ricominciare senza di loro.
«Un paio di giorni.» mormorò Kevin. «Qualche intervista, qualche photoshoot promozionale, due concerti e poi ripartiamo per altre città europee..» Si bloccò, non sapendo bene come continuare.
«Poi, ritorneremo in America..» continuò Nick, concludendo il discorso che il maggiore aveva lasciato in sospeso. «A tempo indeterminato.»
La donna sospirò e guardò al di fuori del vetro di quel Cafè londinese: piccolo e poco affollato; perfetto per ritrovarsi con delle star internazionali. Avevano annullato tutti gli impegni di quella giornata, ricevendosi le maledizioni del loro manager che si era ritrovato a dover fare un enorme quantità di telefonate per scusarsi a nome dei Jonas Brothers.
Claire ebbe la sensazione che ci fosse qualcosa di non detto, qualche segreto che legasse i tre fratelli, ma che non le volevano rivelare.
«Vi mancherà la vostra casa.» disse la donna, più che una domanda sembra un’affermazione rivolta anche a sé stessa. «Come stanno i vostri genitori? Frankie?»
«Tutto bene. Il nostro fratellino è già alle prese con le fidanzatine: figuriamoci, senza rendercene conto è cresciuto: ormai è un uomo.» ridacchiò Joe.
Claire scosse la testa: povero Frankie, chissà quante battute di Joe si sarà ricevuto in questi anni. «E voi? Come siete messi in campo amoroso?»
Un rapido gioco di sguardi fra i fratelli, poi tutti scossero la testa. «Siamo giunti alla conclusione che voi ragazze siete impossibili. E poi tra i tour e i vari viaggi non abbiamo tempo per l’amore.» Nick parlò freddamente e a Claire sembrò quasi che stessero parlando con un qualsiasi giornalista e non con la loro vecchia migliore amica. Si portò alla bocca la tazzina di tè e lasciò cadere il discorso, non prima di aver lanciato un’occhiata a Kevin e aver visto che i suoi occhi guizzavano all’esterno, come se cercassero di non incontrare i suoi.



Fine prima parte.
  
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