Il figlio del demonio
* Halloween *
Ivan lanciò uno sguardo sconvolto al piccolo cowboy che lo
aveva appena superato.
Cercò di dire qualcosa, ma la cosa gli risultava alquanto
difficile.
Quando però il piccolo cowboy tornò sui suoi passi,
fermandosi sul ciglio della strada per sparare pallini gialli contro un indiano
poco lontano, gli tornò improvvisamente il dono della parola. Con voce atona ed
incredula mormorò, rivolto a nessuno in particolare:
- Sembra un film horror -
Mattia che gli camminava affianco in religioso silenzio,
timoroso della possibile reazione del compagno, sentendo quelle parole si
illuminò in volto.
Sollevato e divertito rispose:
- No, dai, horror no… più fantascientifico se vuoi -
Ivan si fermò, costringendo l’altro ad imitarlo. Lo
squadrò, nero in volto:
- Mattia, non prendermi in giro. Siamo in maggio, o
sbaglio ? -
Il ragazzino non disse niente, spaventato dal tono
dell’altro e si limitò ad annuire.
Ivan annuì, poi fingendo di riflettere continuò:
- Sbaglio io, o i travestimenti normalmente si relegano ad
ottobre ? -
Mattia, non sapendo bene come comportarsi, fece per dire
qualcosa. Ivan fu più veloce:
- Sempre se non sbaglio, Halloween infatti è il 31
ottobre, giusto ? Mi spieghi come mai allora, qui sono tutti in costume ? No,
perché non mi sembra di essermi fumato niente stamattina e … -
Mattia lo interruppe, portando le mani davanti a sé con il
fare di chi vuole risolvere tutto:
- Avevo avvertito tuo zio che forse era meglio farti
cominciare domani, ma lui ha insistito dicendo che invece ti saresti
divertito… che così ti potevi distrarre… -
Ivan scosse la testa, più confuso di prima:
- Vi siete travestiti per me ? -
Mattia sgranò gli occhi, scuotendo rapido la testa:
- No, certo che no! Che hai capito ? -
Ivan sbuffò, portandosi una mano alla fronte e lanciando
un’occhiata minacciosa al ragazzino:
- Senti, non sono io che non mi so spiegare. Ti decidi a
parlare chiaro ?! -
- Allora… -
Mattia annuì ancora, prendendo un bel respiro e scrutando
pensieroso attorno a sé:
- Non c’è niente da spiegare, ecco! Solo oggi ci si
poteva presentare in costume. So che sembra assurdo, ma davvero da noi non è
strano: ci sono anzi cose decisamente più strambe e … -
Ivan riprese a camminare, smettendo di ascoltarlo e
borbottando sottovoce:
- Quindi voi così, avete deciso di ripeter Halloween ? -
Il ragazzino, di nuovo al suo fianco tutto sorridente, gli
fece segno di sì.
Ivan scosse la testa, sconfortato, continuando a camminare
in direzione del cortile della scuola.
- E i costumi sono estesi a … ? -
Mattia non rispose subito, non capendo la domanda. Quando
parlò lo fece con titubanza.
- Tutte le scuole, se è questo che vuoi sapere -
Ivan ridacchiò, aspettandosi quella risposta. Si girò
appena verso di lui, squadrandolo sovrappensiero, prima di bisbigliare
incredulo:
- E non dirmi che anche tu… -
A fargli morire le parole in bocca fu però il gesto che
Mattia stava compiendo: aveva infilato una mano nella cartella a tracolla,
tirandone fuori una mascherina verde che fece per indossare.
Ivan lo bloccò, afferrandogli di slancio la mano:
- Starai scherzando -
Mattia sgranò gli occhi, fissandolo sospettoso ed agitato:
- Bè, no, veramente. La vorrei mettere. -
Ivan basito gli liberò la mano, portandosela sulla bocca a
coprire un sorriso.
Il ragazzino leggermente risentito indossò la maschera,
tornando poi a frugare nella borsa.
Ne tirò fuori un cappello da Peter Pan, con tanto di piuma
colorata, che porse ad Ivan.
Il ragazzo non prese il cappello, osservandolo con le
sopracciglia inarcate.
Mattia fece spallucce, porgendoglielo nuovamente:
- Jeremy me l’ha consigliato: dice che per te è
perfetto -
Ivan aveva ripreso a camminare, attraversando il
cancelletto d’entrata, e sentendo le ultime parole del ragazzino non
riuscì più a trattenere le risate.
Cominciò a sghignazzare selvaggiamente, piegato in due
dalle risa. Non poteva essere!
Doveva essere assolutamente uno scherzo, non c’erano
altre spiegazioni.
Quando, con le lacrime agli occhi, riuscì a tornare in posizione
eretta, fermò uno sguardo su Mattia che lo fissava senza capire.
Allungò un braccio, afferrando il cappello e mettendolo
nello zaino, sempre sotto gli occhi increduli dell’altro.
Con voce ancora sconvolta dal ridere mormorò:
- Non credere che lo metterò: morirei piuttosto. Però lo
prendo lo stesso… a casa provvederò a farlo ingoiare a Jeremy -
Detto questo si decise finalmente a guardarsi attorno,
smettendo di focalizzare la sua attenzione unicamente su Mattia.
Con sorpresa si accorse di trovarsi già nel cortile della
scuola: non si era nemmeno accorto di esserci arrivato, eppure la frotta di
ragazzi che lo attorniava non lasciava altre spiegazioni.
Girando piano su di sé, lasciò vagare lo sguardo su tutti
quanti: per quanto potessero essere decisamente in minoranza numerica rispetto
alla sua vecchia scuola, attiravano decisamente molto di più
l’attenzione. Non c’erano gruppi, o almeno non in quel momento: se
ne stavano tutti sparpagliati, senza alcun ordine, chi nel giardino chi già sulle
scale.
La cosa più sconvolgente era però che davvero erano
travestiti: Ivan fino all’ultimo aveva sperato in uno scherzo, ma a
quanto pareva si sbagliava.
Si lasciò distrarre da quell’eterogeneità:
c’erano fate, eroi, vampiri, mostri…
Si accorse di star trattenendo il respiro solo quando
sentì i colpetti di Mattia sul braccio che richiamavano la sua attenzione.
Con aria ancora persa lo guardò interrogativo:
- Che c’è ? -
- Vuoi scappare ? –
Ivan inarcò ancora il sopracciglio, nel gesto che Mattia
aveva già imparato a temere.
- No, perché… mi sembri sconvolto e non vorrei
vederti scappare a gambe levate -
Ivan accennò quello che con un po’ di fantasia
poteva essere visto come sorriso.
- No, credo di no. Penso rimarrò qui. Siete strani forti,
lo sai ? -
Mattia sorrise, ridacchiando cauto.
- Già. E questo è ancora niente. Entriamo ? -
Ivan seguì il movimento del capo di Mattia, individuando
il portone di ingresso.
Annuì, muovendo piano i primi passi su per le scale.
Era ancora sul terzo scalino, quando sentì una risata
dietro di sé. Fece per voltarsi, incuriosito, ma Mattia gli fece segno di no.
- Andiamo dai, non ci fare caso -
Ivan sollevò ancora il piede, deciso a fare come diceva il
ragazzino, ma la risata eruppe di nuovo.
Si voltò questa volta, fermando immediatamente lo sguardo
su tre o quattro ragazzi.
Erano poco lontani, fermi ai piedi delle scale, divertiti
da qualcosa e scossi dalle risa.
Quando il ragazzo al centro lo indicò con un cenno del
capo, alimentando le risate, si accorse di essere proprio lui quel qualcosa di
divertente.
Mattia non appena si rese conto che Ivan aveva capito,
afferrò saldamente una parte dello zaino del ragazzo, tirandolo verso
l’alto.
- Iv. saliamo dai! Non farci caso -
Ivan lo ascoltò, annuendo piano e gli sorrise candido.
- Mattia, ma ti pare che me la prendo ? Non mi ascolti
allora quando parlo: ti ho detto che ho intenzione di starmene buono -
Il ragazzino avrebbe dovuto sentirsi rinfrancato e
rassicurato da quelle parole, eppure ancora non era tranquillo.
Continuò a tirare l’altro, leggermente preoccupato
dal fatto che non si muovesse.
Ivan studiava, seriamente interessato, il ragazzo che lo
aveva indicato: indossava un mantello nero, una maglietta a mezze maniche con
la S di Superman e in testa, per concludere, teneva quella che sembrava tanto
un’aureola.
Scuotendo la testa, il ragazzo riprese a salire le scale,
divertito dall’assurdità della scena.
Mattia, sollevato, lo seguì. Non aveva fatto pochi
scalini, però, che vide Ivan fermarsi ancora.
- Il nuovo arrivato, ragazzi. Non lo vogliamo accogliere
come si deve ? -
Ivan sentendosi chiamato in causa tornò a girarsi: a
parlare era stato lo stesso ragazzo che prima stava osservando.
Scese uno scalino, fermando gli occhi su di lui.
- Hai qualche problema ? -
Lo aveva chiesto con voce tagliente: un tono che fece
rabbrividire Mattia.
Il ragazzo ai piedi della scala scosse la testa,
sorridendo beffardo.
- No, cosa te lo fa pensare? Piuttosto tu, dì un po’
, cos’è che fai ? Il becchino, forse ? -
Ivan rispose al sorriso dell’altro, scendendo un
altro scalino.
Il becchino…
Guardò i suoi vestiti: il jeans e la camicia nera,
sorridendo.
- Battute così penose non le sentivo da tempo... ehm, tu
saresti ? -
L’altro smise di sorridere e fece per ribattere, ma
Ivan, ormai di fronte a lui, non gliene diede il tempo: quando parlò lo fece
con cattiveria, seriamente infastidito.
- Lascia che ti aiuti. Ho come l’impressione che il
tuo povero neurone sia già troppo affaticato. Vediamo: dovresti essere un misto
fra Zorro, Superman e un tenero angioletto, vero ? Cos’ è stamattina non
sapevi scegliere che costume mettere ? Perché, quello che indossi, se mi
permetti, non è propriamente esatto e anche una scimmia se ne accorerebbe. Ma
no, perdonami, forse la scimmia ha più cervello di te, povero cerebroleso.
Potrei anche azzard… -
Le parole furono troncate ad Ivan dal violento tiro che
Mattia diede al suo zaino.
Con rabbia il ragazzo abbassò lo sguardo sull’altro,
furioso per l’interruzione.
- Non avevi detto che volevi startene buono, cazzo ? E che
fai ti metti ad insultare… -
- Scusatemi –
Sia Mattia che Ivan alzarono il viso, distratti
dall’intervento esterno: era sempre lo stesso ragazzo, il cerebroleso.
Aveva un’aria tutt’altro che amichevole e,
come notò Ivan con rimpianto, non ce l’avevano neanche i suoi amici.
Ivan sospirò, preparandosi ad ascoltarlo e ricordando i
propri propositi: non poteva attaccare briga, si era promesso di starsene
buono.
Con un rapido controllo si accorse anche dei tantissimi
occhi puntati su di sé e, infastidito, fece per riprendere a salire le scale.
Si sentì però afferrare di nuovo lo zaino e girandosi,
trovò a mantenerlo questa volta, il cerebroleso, tutto sorridente:
- Non ho finito -
Ivan assottigliò gli occhi, fissandolo con aria superiore.
- Lascia il mio zaino -
- No –
Ivan squadrò sorpreso l’altro: sembrava per niente
intimorito e continuava a trattenerlo sorridendo tranquillo.
A quel punto anche Ivan sorrise, contento per qualche
assurdo motivo, che l’altro gli avesse tenuto testa.
Solo in seguito capì che ne era contento perché in quel
modo gli aveva dato un pretesto.
Un pretesto per infrangere sul nascere la sua promessa.
Sempre sorridendo Ivan strinse le dita.
Sorrideva ancora quando centrò con un potente diritto la
mascella dell’altro.
*