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Autore: Sidereal Space Seed    10/06/2010    3 recensioni
[Star Trek - The Original Series] La Fisica ci fa da guida verso l'ignoto; l'uomo, ci fa da guida nella valle dell'ignoranza.
Ma, come per ogni cosa, esistono le eccezioni.

Anche per l'Umanità c'è Speranza.
Genere: Science-fiction, Mistero, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: James T. Kirk, Nuovo Personaggio, Spock
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buonsalve a tutti!

Questa piccola one-shot, nata di getto da una scoperta da me oggi compiuta, nasce per un preciso compito: non voglio spiegarlo io, perché con queste righe non voglio fare della letteratura, quanto lanciare un Messaggio. Vorrei poteste comprendere voi stessi. Vi sembrerà di leggere un accaduto incredibile; in realtà non lo è. Sono certa che molti comprenderanno cosa intende il suo finale.

NB: la prima parte di questa fan fiction vi apparirà confusa, difficile da capire. A fondo pagina, alla fine della fic, ho messo la spiegazione di alcune cose che sicuramente non si comprendono di primo getto: potete andare direttamente lì e leggerle per comprendere meglio fin dall’inizio, oppure godere della confusione (io ho sempre creduto sia un valido elemento).

A voi la scelta, a voi l’interpretazione e… a voi la lettura ;)

 

 

-x-x-x-

 

 

 

Sul pavimento. Orizzontalmente? Preferibile.

Ma, tentando verticalmente, la dispersione sarebbe minore.

Cosa fare?

Si consiglia: non si corra troppo.

Orizzontalmente. Prendere velocità è pericoloso? Sì, può esserlo.

«Planare? Ingiusto, ingiusto. Piena ferita. Balzando.»

Bisbigli. Qualcuno ragionava, a voce bassa.

Prendere velocità? Pericoloso, pericoloso. Troppo rischioso. Con cautela.

Optò per il pavimento. Sdraiarsi, avrebbe rilassato la mente.

Testa triangolare, smussati gli angoli. La poggiò. Poggiò anche il tronco. Sì, orizzontalmente.

La creatura si sdraiò sul pavimento, rilassandosi completamente. Chiuse le fessure oculari, affinché i sensi non l’avrebbero distratta dalla concentrazione.

Voleva comunicare.

«Posso vedere i fratelli cosmici? Sogno. Obbligo di prova. Manderò un messaggio.»

Potrò raggiungere altri alieni? Lo desidero. Devo tentare. Voglio comunicare.

Così gli avevano insegnato. Mani sul tronco, mente libera. Mente libera, quindi non vuota. Occhi chiusi. E poi, volteggiare.

Nella sua comunità, qualcuno di grande esperienza aveva spiegato alla creatura che la mente era più forte di un mezzo spaziale. Voleva comunicare? Doveva dimenticare che esisteva e che poteva toccare con mano. Avrebbe dovuto chiudere gli occhi e rilassarsi, poggiare le mani in grembo. Eliminare il senso della vista, cosicché non potesse confondersi, per questo chiudeva gli occhi. Poi, palpebre chiuse, doveva immaginare di girare. Girare, volteggiare, sentire che lo spazio attorno a sé si muoveva, lo circondava come se avesse avuto un’orbita attorno a lei. Lo fece.

«Io ho nelle mani le possibilità. Ho l’anima potente di torrente. Sogno.»

Io ce la posso fare, ho le prove. Ho una mente potente. Lo Voglio fare.

Bisbigliava, ancora.

Ogni luogo è ogni luogo. Anche la culla di nascita. Bastava esserci.

Era nella sua casa, perché un luogo valeva l’altro, anche la propria abitazione. L’importante, era che lo facesse.

Respirava, tranquillamente. Aveva già cominciato, nella sua costruzione del processo. Ad occhi chiusi, tutto era nero, e questo semplificava il processo. Lo spazio già girava, era stata brava, la creatura. Non era facile. Lo spazio prese quell’orbita, e presto, senza immaginare alcunché, sentì che essere a terra non aveva più valore.

Ma poi prese velocità: la rotazione cominciava a diventare forte, e questo non doveva accadere. Correre al primo tentativo poteva essere rischioso, rimanere troppo scottati al “risveglio”.

Paura. Cominciò a spaventarsi. Non doveva girare velocemente, doveva rallentare.

Ma la sua mente aveva già un moto centrifugo.

Ella aveva anima potente di torrente.

La sua anima, la sua mente era forte, poteva controllare il processo. Non doveva aver paura, e non ci sarebbe riuscita. La creatura non si concentrò, pensò soltanto a girare, ancora. Doveva imporselo, per avere controllo. Come quando si guida. Bisogna guidare, per non accelerare troppo.

E’ freddo. E’ buio fluorescente.

Presto, percepì che la rotazione non diventava semplicemente costante, ma prendeva anche forma più eterea, leggera, “fresca”, e spostava la sua anima, la sua mente.

C’era riuscita, stava viaggiando.

Poteva sembrare impossibile? Oh, no, non lo era. L’universo era un contenitore conservativo di materia, niente moriva o finiva, come la coscienza –o la vita, avrebbero detto altri—, semplicemente si trasformava. Cosa significava quindi?

Significava che ogni cosa, ogni oggetto, ogni creatura biologica vivente, tutto nell’universo era sempre la stessa materia, riciclata e riutilizzata più volte. Come insegnava la Scienza, la materia non può essere ne creata ne distrutta, ogni atomo aveva la stessa identica età, quei lunghi, immensi tredici miliardi di anni, perché molti elementi fisici agivano in modo conservativo. Come la gravità, come i campi elettro-magnetici.

Quindi, la sua mente ora, che come ogni organo era in grado di emettere onde, semplicemente viaggiava in un materiale adiacente al suo.

Non conosceva le strade, ma non era importante, perché voleva solo comunicare, e la prima presenza con un frequenza simile alla propria che avrebbe incontrato, sarebbe diventata il suo personale incontro ravvicinato del terzo tipo. O forse, quarto.

Eccolo, la percepiva. Altre onde, altre frequenze e lunghezza d’onda: erano pensieri, era un’altra anima, un’altra mente che ne emetteva, una forma di vita?

«Fratello cosmico?» bisbigliò, nella semi-trance, senza emettere un suono però, perché le parole erano solo nella sua mente, solo lì era stato trasferito tutto; anche la comunicazione.

Racchiudersi!

Spavento.

Aveva percepito qualcosa. Dopo il suo bisbiglio mentale, le frequenze che aveva avvertito e raggiunto, viaggiando chissà dove, avevano avuto un’oscillazione più irregolare e frenetica.

Forse stupore?

Sì, era una prova sufficiente: aveva agganciato una comunicazione.

Era tempo di parlare.

 

Mi senti?

Sì. Sì io ti sento. Chi sei? Da dove parli?

Ho viaggiato tanto, ma solo in senso di spazio. Ci è voluto poco in realtà. Volevo comunicare. Volevo cercare altri… altri alieni. Non volevo credere di essere… solo.

Quindi, sei un alieno? Come è possibile? Sei un telepate? Ma quale telepatia potrebbe essere così dannatamente potente?

Io non sono un telepate. Nessuno di noi lo è. Ancora. Però ho una mente, ho imparato a controllarla, a comprenderne il potere. Sono riuscito a viaggiare! Mi sono confuso con lo spazio… è così bello… come fai tu a sentirmi?

Non lo so, non ne ho idea… Io non ho di queste potenzialità, la mia razza non ne ha. E’ un vero peccato. Ma sono felice di essere in grado di riceverti. Che cosa strana… senza ne strumenti, ne console di comunicazione…

Console? Che cos’è?

E’ l’unica cosa che ci permette di parlare a grandi distanze spaziali. Come vedi, la nostra specie necessità di queste cose per poterlo fare. Al contrario della tua.

Ma anche noi abbiamo degli strumenti simili nel nostro mondo! Però le cose materiali sono fuorvianti

Non saprei. Non sono certo noi umani potremmo farlo…

Voi… vostra alleanza porta bandiera “umani”?

Cosa? Cosa stai dicendo? Non ti capisco…

Io… viaggia tuo appello come uomo che ride?

Oh mio dio… io non capisco più le tue parole. Puoi parlarmi come prima?

Prima? Passo di partenza?

Non riesco più a sentirti. Parlami. Non ricevo più le tue parole. Non ricevo…

Non ricevo più…

Non ricevo…

Non…

 

«Capitano? Capitano, mi sente?»

Irrequietezza, occhi contratti.

«Jim?»

Aprì gli occhi.

Jim Kirk, aprì gli occhi di scatto, ma senza muovere un muscolo.

Li fece voltare a destra e a sinistra, guardandosi attorno, riconoscendo il proprio alloggio, riascoltando il cullante, profondo ronzio dei motori.

«Capitano?»

Spock. Era Spock che lo stava chiamando, seduto sul materasso, forse nel tentativo di svegliarlo da un inquieto sonno.

«Oh Spock… Cosa è successo?» gli domandò, mettendosi seduto sul letto, guardandolo tra l’affaticato e il preoccupato.

Spock sollevò un sopracciglio con aria scettica: «Non capisco, Capitano. Se si riferisce alla nave, è in perfetta autonomia, gli strumenti sono in fase, i computer operano—»

«No, no! Intendo… qui dentro… non è successo niente?» domandò il capitano, con sguardo apprensivo ma occhi attenti.

Spock lo guardò dapprima intensamente, senza fare una piega o muovere un muscolo, come era solito, poi schiuse le labbra per parlare: «Lei sembrava agitarsi nel sonno.»

«Stavo dormendo?»

«Affermativo.»

«Ne è sicuro?»

Spock si sistemò meglio sul punto in cui sedeva, per guardare più intensamente negli occhi il giovane uomo che aveva di fronte. Nel mentre, la sua mente era in elaborazione, pronta a fare rapporto di ciò che aveva registrato: «Ero venuto presso il suo alloggio per informarla di un comunicato della Flotta, ma quando ho notato che non rispondeva nonostante i numerosi richiami, ho digitato il codice di accesso di sicurezza: sono entrato, e l’ho trovata dormiente. Ero pronto a congedarmi, ma poi ho notato che sembrava irrequieto: inoltre, muoveva le labbra, come a comporre delle parole, ma non usciva alcun suono.» dichiarò neutro e professionale.

Kirk si illuminò, e con impeto chiese: «Componevo parole? Che parole? E’ riuscito a comprenderne qualcuna Spock?» afferrò con garbo le spalle del vulcaniano.

«No, signore. Niente che fosse riconducibile alla nostra lingua. Dal debole labiale, sembrava parlare una lingua a noi del tutto sconosciuta.»

Kirk distolse lo sguardo, lasciando calare lentamente le dita dalle braccia del primo ufficiale, riflettendo.

Spock corrucciò la fronte: «Qualcosa la turba, signore?»

Kirk scosse la testa, poi ritrattò: «No, non proprio. Cioè, credo di aver sognato. Stavo parlando con qualcuno, ma c’era qualcosa di strano… è… incomprensibile per me.»

Spock sembrò riflettere qualche secondo, poi, vedendo la confusione del suo amico e capitano, propose: «Forse potrei aiutarla? Permette?» sollevò una mano.

Kirk sembrò non comprendere subito, poi l’intuizione gli suggerì le intenzioni dell’amico. Annuì.

Spock avvicinò le dita al volto di Kirk, poggiando i polpastrelli sui punti di fusione, mentre l’altro chiudeva gli occhi.

Anche Spock lo fece, e presto entrò in atto la fusione mentale: come sempre, Spock aggrottò solo lievemente le sopracciglia, come in concentrazione, muovendo quasi impercettibilmente il capo, mentre sondava.

Ad operazione conclusa, distanziò con incredibile lentezza la mano dal capitano, mormorando: «Affascinante… incredibile.» forse lieve stupore? Ben celato dallo sguardo serio e dal tono profondo.

«Cosa? Cos’ha visto?»

Pochi secondi di pausa, sufficienti a raccogliere le idee e le parole adeguate: «Sembra che lei, in un apparente sonno, sia entrato in contatto con una forma di vita sconosciuta.»

Jim sgranò gli occhi: «Allora non era un sogno! Com’è possibile? Come ha fatto?»

Spock scosse la testa lievemente: «Improbabile comprendere con precisione l’intero processo. Ma è certo che, come le ha detto, non si tratta di telepatia. Egli è riuscito a fondere la propria immaterialità, quella parte dell’essere che voi usate chiamare “anima”, con lo spazio. Non credo il suo tentativo di comunicazione provenisse da un luogo nelle nostre vicinanze. Al contrario, oserei ipotizzare non fosse parte di questa galassia.»

«Possibile? Così distante? Come fa a dirlo?» domandò curioso e incredulo al contempo il capitano.

Spock chinò il capo di lato: «Vede, come telepate, spesso mi è possibile riconoscere frequenze di pensiero di una certa natura. Nonostante egli non comunicasse telepaticamente, la sua essenza ha viaggiato egualmente sotto forma di radiazione, energia. E ho riscontrato che quel tipo di frequenza, era identico ad alcuni da noi registrati in occasioni in cui ci è stato possibile sfiorare portali per altri universi.»

Kirk apparve incredulo: «Vuole dire che era di un altro universo?»

«E’ estremamente probabile.»

Silenzio. Jim non fu capace di pronunciare un’altra parola, troppo grande era lo stupore. Era capitato loro poche volte, nelle loro missioni, di fare esperienze che comprendevano universi paralleli, e ogni volta era rimasto, molto nel fondo, sconcertato. Un’altra galassia poteva essere una sorprendente sorpresa, ma un altro universo era qualcosa che non poteva limitarsi al solo fascino.

Dopo quei lunghi secondi, Jim si ritrovò a ridere piano, abbassando il capo e sorridendo ironico: «Si direbbe l’Enterprise abbia indirettamente infranto la Prima Direttiva.»

Spock accennò un impercettibile quanto aleggiante sorriso: «In un certo senso si potrebbe dire questo.»

«Sa…» disse Kirk, rammentando l’esperienza «è stato sorprendente. Una creatura di un altro universo che comunica con me. Sono stato anche un po’ invidioso, e gliel’ho detto. Avere simili capacità…»

«Capitano.»

Jim alzò lo sguardo verso il suo primo ufficiale, raccogliendo l’attenzione.

«Vede, dalla fusione, ho potuto riscontrare molte similitudini fra noi e queste creature. I loro pensieri, le loro sensazioni. Erano estremamente simili. C’è stata paura e sorpresa anche nell’altra creatura. Inoltre, c’è un’altra cosa.»

«Cosa?» domandò cauto Kirk, ma estremamente determinato a sapere.

«La creatura, durante il viaggio, ha cercato. E, non per un fortuito caso, ha trovato lei. Probabilmente la sua personale frequenza durante il “volo extracorporeo” ne ha incontrate molte altre, ma non simili alle proprie e con cui non poteva quindi interagire, fino a che non ne ha percepita una molto simile. Una mente, simile.»

Kirk lo guardava intensamente, forse in attesa. Rapito dalla possibile risposta.

«Comprende cosa significa?» sopracciglia sollevate, ma senza scetticismo, sorriso debole ma intenso, sguardo comunicativo.

Jim Kirk pensò, mentre osservava il proprio riflesso sulle cornee del compagno.

Poi, lentamente, annuì in silenzio.

Spock ricambiò lo sguardo.

Un sospiro: «Quanto abbiamo perso, nella nostra comunione col materiale… potremo mai allenare la nostra mente in modo adeguato?»

Il vulcaniano si alzò dal letto, allacciò le mani dietro la schiena, con sguardo quasi solenne; l’umano seguì i suoi movimenti con gli occhi: «La ricezione, è stato solo il primo passo.»

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La prima parte della one-shot presenta frasi con tag diversi.

Le indicazioni sono le seguenti:

 

·         Le parti scritte in grassetto sono le parole di un narratore interno della storia, quindi non sono pensieri del “protagonista”;

·         Le parti scritte in corsivo, sono la traduzione delle parole della creatura;

·         Le normali parti, sono il narratore esterno.

 

Inoltre: so che non tutti avete avuto modo di vedere The Next Generation, ma per chi l’avesse fatto, ho tentato di emulare il linguaggio degli extraterrestri dell’episodio “Darmok”. In ogni modo, non sono gli stessi.

 

 

 

 

 

  
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