Buonsalve a
tutti!
Questa piccola one-shot, nata
di getto da una scoperta da me oggi compiuta, nasce per un preciso compito: non
voglio spiegarlo io, perché con queste righe non voglio fare della letteratura,
quanto lanciare un Messaggio. Vorrei poteste comprendere voi stessi. Vi sembrerà
di leggere un accaduto incredibile; in realtà non lo è. Sono certa che molti
comprenderanno cosa intende il suo finale.
NB: la prima parte di questa
fan fiction vi apparirà confusa, difficile da capire. A fondo pagina, alla fine
della fic, ho messo la spiegazione di alcune cose che sicuramente non si
comprendono di primo getto: potete andare direttamente lì e leggerle per
comprendere meglio fin dall’inizio, oppure godere della confusione (io ho sempre
creduto sia un valido elemento).
A voi la scelta, a voi
l’interpretazione e… a voi la lettura ;)
-x-x-x-
Sul pavimento.
Orizzontalmente? Preferibile.
Ma, tentando
verticalmente, la dispersione sarebbe minore.
Cosa
fare?
Si consiglia: non si
corra troppo.
Orizzontalmente.
Prendere velocità è pericoloso? Sì, può esserlo.
«Planare?
Ingiusto, ingiusto. Piena ferita. Balzando.»
Bisbigli. Qualcuno
ragionava, a voce bassa.
Prendere velocità?
Pericoloso, pericoloso. Troppo rischioso. Con cautela.
Optò per il pavimento.
Sdraiarsi, avrebbe rilassato la mente.
Testa triangolare,
smussati gli angoli. La poggiò. Poggiò anche il tronco. Sì,
orizzontalmente.
La creatura si sdraiò
sul pavimento, rilassandosi completamente. Chiuse le fessure oculari, affinché i
sensi non l’avrebbero distratta dalla concentrazione.
Voleva
comunicare.
«Posso
vedere i fratelli cosmici? Sogno. Obbligo di prova. Manderò un
messaggio.»
Potrò
raggiungere altri alieni? Lo desidero. Devo tentare. Voglio
comunicare.
Così
gli avevano insegnato. Mani sul tronco, mente libera. Mente libera, quindi non
vuota. Occhi chiusi. E poi, volteggiare.
Nella
sua comunità, qualcuno di grande esperienza aveva spiegato alla creatura che la
mente era più forte di un mezzo spaziale. Voleva comunicare? Doveva dimenticare
che esisteva e che poteva toccare con mano. Avrebbe dovuto chiudere gli occhi e
rilassarsi, poggiare le mani in grembo. Eliminare il senso della vista, cosicché
non potesse confondersi, per questo chiudeva gli occhi. Poi, palpebre chiuse,
doveva immaginare di girare. Girare, volteggiare, sentire che lo spazio attorno
a sé si muoveva, lo circondava come se avesse avuto un’orbita attorno a lei. Lo
fece.
«Io
ho nelle mani le possibilità. Ho l’anima potente di torrente.
Sogno.»
Io
ce la posso fare, ho le prove. Ho una mente potente. Lo Voglio
fare.
Bisbigliava,
ancora.
Ogni
luogo è ogni luogo. Anche la culla di nascita. Bastava
esserci.
Era
nella sua casa, perché un luogo valeva l’altro, anche la propria abitazione.
L’importante, era che lo facesse.
Respirava,
tranquillamente. Aveva già cominciato, nella sua costruzione del processo. Ad
occhi chiusi, tutto era nero, e questo semplificava il processo. Lo spazio già
girava, era stata brava, la creatura. Non era facile. Lo spazio prese
quell’orbita, e presto, senza immaginare alcunché, sentì che essere a terra non
aveva più valore.
Ma poi prese velocità:
la rotazione cominciava a diventare forte, e questo non doveva accadere. Correre
al primo tentativo poteva essere rischioso, rimanere troppo scottati al
“risveglio”.
Paura. Cominciò a
spaventarsi. Non doveva girare velocemente, doveva
rallentare.
Ma la sua mente aveva
già un moto centrifugo.
Ella aveva anima
potente di torrente.
La sua anima, la sua
mente era forte, poteva controllare il processo. Non doveva aver paura, e non ci
sarebbe riuscita. La creatura non si concentrò, pensò soltanto a girare, ancora.
Doveva imporselo, per avere controllo. Come quando si guida. Bisogna guidare,
per non accelerare troppo.
E’ freddo. E’ buio
fluorescente.
Presto, percepì che la
rotazione non diventava semplicemente costante, ma prendeva anche forma più
eterea, leggera, “fresca”, e spostava la sua anima, la sua
mente.
C’era riuscita, stava
viaggiando.
Poteva sembrare
impossibile? Oh, no, non lo era. L’universo era un contenitore conservativo di
materia, niente moriva o finiva, come la coscienza –o la vita, avrebbero detto
altri—, semplicemente si trasformava. Cosa significava
quindi?
Significava che ogni
cosa, ogni oggetto, ogni creatura biologica vivente, tutto nell’universo era
sempre la stessa materia, riciclata e riutilizzata più volte. Come insegnava la
Scienza, la materia non può essere ne creata ne distrutta, ogni atomo aveva la
stessa identica età, quei lunghi, immensi tredici miliardi di anni, perché molti
elementi fisici agivano in modo conservativo. Come la gravità, come i campi
elettro-magnetici.
Quindi, la sua mente
ora, che come ogni organo era in grado di emettere onde, semplicemente viaggiava
in un materiale adiacente al suo.
Non conosceva le
strade, ma non era importante, perché voleva solo comunicare, e la prima
presenza con un frequenza simile alla propria che avrebbe incontrato, sarebbe
diventata il suo personale incontro ravvicinato del terzo tipo. O forse,
quarto.
Eccolo, la percepiva.
Altre onde, altre frequenze e lunghezza d’onda: erano pensieri, era un’altra
anima, un’altra mente che ne emetteva, una forma di vita?
«Fratello
cosmico?» bisbigliò, nella semi-trance, senza emettere un suono però, perché le
parole erano solo nella sua mente, solo lì era stato trasferito tutto; anche la
comunicazione.
Racchiudersi!
Spavento.
Aveva
percepito qualcosa. Dopo il suo bisbiglio mentale, le frequenze che aveva
avvertito e raggiunto, viaggiando chissà dove, avevano avuto un’oscillazione più
irregolare e frenetica.
Forse
stupore?
Sì,
era una prova sufficiente: aveva agganciato una
comunicazione.
Era
tempo di parlare.
Mi
senti?
Sì.
Sì io ti sento. Chi sei? Da dove parli?
Ho
viaggiato tanto, ma solo in senso di spazio. Ci è voluto poco in realtà. Volevo
comunicare. Volevo cercare altri… altri alieni. Non volevo credere di essere…
solo.
Quindi,
sei un alieno? Come è possibile? Sei un telepate? Ma quale telepatia potrebbe
essere così dannatamente potente?
Io
non sono un telepate. Nessuno di noi lo è. Ancora. Però ho una mente, ho
imparato a controllarla, a comprenderne il potere. Sono riuscito a viaggiare! Mi
sono confuso con lo spazio… è così bello… come fai tu a
sentirmi?
Non
lo so, non ne ho idea… Io non ho di queste potenzialità, la mia razza non ne ha.
E’ un vero peccato. Ma sono felice di essere in grado di riceverti. Che cosa
strana… senza ne strumenti, ne console di
comunicazione…
Console?
Che cos’è?
E’
l’unica cosa che ci permette di parlare a grandi distanze spaziali. Come vedi,
la nostra specie necessità di queste cose per poterlo fare. Al contrario della
tua.
Ma
anche noi abbiamo degli strumenti simili nel nostro mondo! Però le cose
materiali sono fuorvianti…
Non
saprei. Non sono certo noi umani potremmo farlo…
Voi…
vostra alleanza porta bandiera “umani”?
Cosa? Cosa stai
dicendo? Non ti capisco…
Io… viaggia tuo appello
come uomo che ride?
Oh mio dio… io non
capisco più le tue parole. Puoi parlarmi come prima?
Prima? Passo di
partenza?
Non riesco più a
sentirti. Parlami. Non ricevo più le tue parole. Non
ricevo…
Non ricevo
più…
Non
ricevo…
Non…
«Capitano?
Capitano, mi sente?»
Irrequietezza,
occhi contratti.
«Jim?»
Aprì
gli occhi.
Jim
Kirk, aprì gli occhi di scatto, ma senza muovere un
muscolo.
Li
fece voltare a destra e a sinistra, guardandosi attorno, riconoscendo il proprio
alloggio, riascoltando il cullante, profondo ronzio dei
motori.
«Capitano?»
Spock.
Era Spock che lo stava chiamando, seduto sul materasso, forse nel tentativo di
svegliarlo da un inquieto sonno.
«Oh
Spock… Cosa è successo?» gli domandò, mettendosi seduto sul letto, guardandolo
tra l’affaticato e il preoccupato.
Spock
sollevò un sopracciglio con aria scettica: «Non capisco, Capitano. Se si
riferisce alla nave, è in perfetta autonomia, gli strumenti sono in fase, i
computer operano—»
«No,
no! Intendo… qui dentro… non è successo niente?» domandò il capitano, con
sguardo apprensivo ma occhi attenti.
Spock
lo guardò dapprima intensamente, senza fare una piega o muovere un muscolo, come
era solito, poi schiuse le labbra per parlare: «Lei sembrava agitarsi nel
sonno.»
«Stavo
dormendo?»
«Affermativo.»
«Ne
è sicuro?»
Spock
si sistemò meglio sul punto in cui sedeva, per guardare più intensamente negli
occhi il giovane uomo che aveva di fronte. Nel mentre, la sua mente era in
elaborazione, pronta a fare rapporto di ciò che aveva registrato: «Ero venuto
presso il suo alloggio per informarla di un comunicato della Flotta, ma quando
ho notato che non rispondeva nonostante i numerosi richiami, ho digitato il
codice di accesso di sicurezza: sono entrato, e l’ho trovata dormiente. Ero
pronto a congedarmi, ma poi ho notato che sembrava irrequieto: inoltre, muoveva
le labbra, come a comporre delle parole, ma non usciva alcun suono.» dichiarò
neutro e professionale.
Kirk
si illuminò, e con impeto chiese: «Componevo parole? Che parole? E’ riuscito a
comprenderne qualcuna Spock?» afferrò con garbo le spalle del
vulcaniano.
«No,
signore. Niente che fosse riconducibile alla nostra lingua. Dal debole labiale,
sembrava parlare una lingua a noi del tutto sconosciuta.»
Kirk
distolse lo sguardo, lasciando calare lentamente le dita dalle braccia del primo
ufficiale, riflettendo.
Spock
corrucciò la fronte: «Qualcosa la turba, signore?»
Kirk
scosse la testa, poi ritrattò: «No, non proprio. Cioè, credo di aver sognato.
Stavo parlando con qualcuno, ma c’era qualcosa di strano… è… incomprensibile per
me.»
Spock
sembrò riflettere qualche secondo, poi, vedendo la confusione del suo amico e
capitano, propose: «Forse potrei aiutarla? Permette?» sollevò una
mano.
Kirk
sembrò non comprendere subito, poi l’intuizione gli suggerì le intenzioni
dell’amico. Annuì.
Spock
avvicinò le dita al volto di Kirk, poggiando i polpastrelli sui punti di
fusione, mentre l’altro chiudeva gli occhi.
Anche
Spock lo fece, e presto entrò in atto la fusione mentale: come sempre, Spock
aggrottò solo lievemente le sopracciglia, come in concentrazione, muovendo quasi
impercettibilmente il capo, mentre sondava.
Ad
operazione conclusa, distanziò con incredibile lentezza la mano dal capitano,
mormorando: «Affascinante… incredibile.» forse lieve stupore? Ben celato dallo
sguardo serio e dal tono profondo.
«Cosa?
Cos’ha visto?»
Pochi
secondi di pausa, sufficienti a raccogliere le idee e le parole adeguate:
«Sembra che lei, in un apparente sonno, sia entrato in contatto con una forma di
vita sconosciuta.»
Jim
sgranò gli occhi: «Allora non era un sogno! Com’è possibile? Come ha
fatto?»
Spock
scosse la testa lievemente: «Improbabile comprendere con precisione l’intero
processo. Ma è certo che, come le ha detto, non si tratta di telepatia. Egli è
riuscito a fondere la propria immaterialità, quella parte dell’essere che voi
usate chiamare “anima”, con lo spazio. Non credo il suo tentativo di
comunicazione provenisse da un luogo nelle nostre vicinanze. Al contrario,
oserei ipotizzare non fosse parte di questa galassia.»
«Possibile?
Così distante? Come fa a dirlo?» domandò curioso e incredulo al contempo il
capitano.
Spock
chinò il capo di lato: «Vede, come telepate, spesso mi è possibile riconoscere
frequenze di pensiero di una certa natura. Nonostante egli non comunicasse
telepaticamente, la sua essenza ha viaggiato egualmente sotto forma di
radiazione, energia. E ho riscontrato che quel tipo di frequenza, era identico
ad alcuni da noi registrati in occasioni in cui ci è stato possibile sfiorare
portali per altri universi.»
Kirk
apparve incredulo: «Vuole dire che era di un altro
universo?»
«E’
estremamente probabile.»
Silenzio.
Jim non fu capace di pronunciare un’altra parola, troppo grande era lo stupore.
Era capitato loro poche volte, nelle loro missioni, di fare esperienze che
comprendevano universi paralleli, e ogni volta era rimasto, molto nel fondo,
sconcertato. Un’altra galassia poteva essere una sorprendente sorpresa, ma un
altro universo era qualcosa che non poteva limitarsi al solo
fascino.
Dopo
quei lunghi secondi, Jim si ritrovò a ridere piano, abbassando il capo e
sorridendo ironico: «Si direbbe l’Enterprise abbia indirettamente infranto la
Prima Direttiva.»
Spock
accennò un impercettibile quanto aleggiante sorriso: «In un certo senso si
potrebbe dire questo.»
«Sa…»
disse Kirk, rammentando l’esperienza «è stato sorprendente. Una creatura di un
altro universo che comunica con me. Sono stato anche un po’ invidioso, e
gliel’ho detto. Avere simili capacità…»
«Capitano.»
Jim
alzò lo sguardo verso il suo primo ufficiale, raccogliendo
l’attenzione.
«Vede,
dalla fusione, ho potuto riscontrare molte similitudini fra noi e queste
creature. I loro pensieri, le loro sensazioni. Erano estremamente simili. C’è
stata paura e sorpresa anche nell’altra creatura. Inoltre, c’è un’altra
cosa.»
«Cosa?»
domandò cauto Kirk, ma estremamente determinato a sapere.
«La
creatura, durante il viaggio, ha cercato. E, non per un fortuito caso, ha
trovato lei. Probabilmente la sua personale frequenza durante il “volo
extracorporeo” ne ha incontrate molte altre, ma non simili alle proprie e con
cui non poteva quindi interagire,
fino a che non ne ha percepita una molto simile. Una mente,
simile.»
Kirk
lo guardava intensamente, forse in attesa. Rapito dalla possibile
risposta.
«Comprende
cosa significa?» sopracciglia sollevate, ma senza scetticismo, sorriso debole ma
intenso, sguardo comunicativo.
Jim
Kirk pensò, mentre osservava il proprio riflesso sulle cornee del
compagno.
Poi,
lentamente, annuì in silenzio.
Spock
ricambiò lo sguardo.
Un
sospiro: «Quanto abbiamo perso, nella nostra comunione col materiale… potremo
mai allenare la nostra mente in modo adeguato?»
Il
vulcaniano si alzò dal letto, allacciò le mani dietro la schiena, con sguardo
quasi solenne; l’umano seguì i suoi movimenti con gli occhi: «La ricezione, è
stato solo il primo passo.»
La
prima parte della one-shot presenta frasi con tag
diversi.
Le
indicazioni sono le seguenti:
·
Le
parti scritte in grassetto sono le parole di un narratore interno della storia,
quindi non sono pensieri del “protagonista”;
·
Le
parti scritte in corsivo, sono la traduzione delle parole della
creatura;
·
Le
normali parti, sono il narratore esterno.
Inoltre:
so
che non tutti avete avuto modo di vedere The Next Generation, ma per chi
l’avesse fatto, ho tentato di emulare il linguaggio degli extraterrestri
dell’episodio “Darmok”. In ogni
modo, non sono gli stessi.