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Autore: Lady Amber    11/06/2010    7 recensioni
Questa storia è ambientata nell’episodio “La galassia in pericolo” , e più in particolare nel momento della partenza di Spock a bordo della Galileo… in pratica è la mia interpretazione di quella toccante scena percepita dal punto di vista del dottore. Mi ha commossa così tanto che non ho proprio potuto fare a meno di ricamarci su un po’ di sano angst... Spero che vi piaccia.
Genere: Triste, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Leonard H. Bones McCoy, Spock
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Messaggio dell’autrice: Questa è la prima volta che scrivo una fan fiction seria… o almeno che faccio un tentativo XD È ambientata nell’episodio “La galassia in pericolo” , in particolare nel momento della partenza di Spock a bordo della Galileo… in pratica è la mia interpretazione di quella toccante scena percepita dal punto di vista del dottore. Mi ha commossa così tanto che non ho proprio potuto fare a meno di ricamarci su un po’ di sano angst (che io adoro) T_T Ehm, spero che non mi sia venuta troppo deprimente ^_^” Aspetto il verdetto del pubblico!




“Mi auguri buona fortuna.”

Lo fisso per qualche secondo, immobile. Mi immergo completamente in quei Suoi bellissimi occhi scuri e profondi, bui come una notte senza Luna ma pervasi da un indefinito barlume di luce a cui non riesco a dare un nome. Cerco disperatamente di trovare qualcosa, qualsiasi cosa che possa almeno provare ad esprimere il turbinio di emozioni che imperversa nel mio animo stanco. Non c’è nulla. Vuoto totale.

Rimango in silenzio. Non rispondo al saluto, anzi, distolgo vilmente lo sguardo, incapace di reggere il confronto con quelle due brillanti gocce di ossidiana che mi scrutano prepotenti nel profondo, speranzose, risvegliando in me strane sensazioni da tempo assopite. Perché non dico nulla? Perché non riesco a trovare neanche una singola, dannata parola da dire? Eppure basterebbe così poco…

Sei troppo orgoglioso, sussurra una vocina malevola da un cantuccio della mia mente. Esattamente come Lui. Troppo orgoglioso per ammettere la tua sconfitta. O forse… troppo spaventato per accettare la Sua partenza.

Riporto esitante lo sguardo su di Lui. Ora il riflesso di attesa e di speranza che poco fa aveva infiammato i Suoi occhi si è spento. Se ne è andato con la velocità di un lampo, e adesso il Suo viso si è rabbuiato, nuovamente nascosto dietro la sua solita maschera di presunta e ostentata indifferenza. Quella stessa maschera che di tanto intanto ha scostato per me, per Jim, i Suoi amici, i Suoi fratelli, permettendoci di scorgere uno sprazzo fugace della Sua anima irreparabilmente vulcaniana ma anche indiscutibilmente umana. È in momenti come questo che ci ha timidamente concesso la Sua fiducia, come un animale selvatico che dubita fino all’ultimo anche di una mano amica. E io l’ho ripagato facendogli male. Con il mio ostinato silenzio l’ho ferito più di quanto avrebbero potuto fare mille insulti.

Lui sposta il peso da un piede all’altro, inclinando la testa da un lato, e continua a fissarmi concentrato, come se stesse cercando inutilmente di decifrare quello che mi passa per la testa. Poi, con gli angoli della bocca sottile contratti per il dolore, l’amarezza a stento trattenuta, annuisce lentamente e si volta di scatto, dandomi le spalle. Era di lacrime quel fulgido scintillio che mi è balenato per un attimo davanti allo sguardo? No, non è possibile. I vulcaniani non piangono. Lui non piange. Non ha pianto quando il dolore è stato così lancinante da minacciare di ucciderlo (1). Non ha pianto quando Suo padre è stato a un soffio dalla morte per una Sua stessa colpa (2). Perché mai dovrebbe piangere proprio ora, in questo momento?

Guardo la Sua figura snella farsi sempre più piccola mentre avanza inesorabile nell’immenso hangar verso quella dannata navicella. Non si gira. Neanche una volta. Un’ondata di angoscia mi travolge mentre la consapevolezza di ciò che ho fatto mi colpisce con la violenza di un fiume in piena. Se ne sta andando, e questa volta per sempre. Non tornerà affatto da questa missione suicida, e Lui lo sa, l’ha sempre saputo. Improvvisamente tutti i gesti, le parole, le occhiate che mi ha rivolto nelle ultime ore acquistano un senso… stava cercando di dirmi addio. E io non ho voluto ascoltarlo. Gli ho sbattuto la porta in faccia, stupidamente inconsapevole del fatto che lui non sarebbe più tornato a bussarvi. E tutto questo per colpa del mio orgoglio. Di quel mio dannatissimo orgoglio.

Ma stavolta non vincerà, posso combatterlo… sconfiggerlo forse. Posso farlo per Lui.

Faccio per seguirlo in quell’immenso spazio vuoto ma di colpo le porte dell’hangar si chiudono con un fischio acuto, tranciando brutalmente anche l’ultima speranza che avevo per chiedergli perdono. A Lui, il mio amico, il mio antagonista, il mio rompiscatole dalle orecchie a punta, il mio complessato mezzo vulcaniano… il mio Amore. Me ne rendo conto solo ora che mi ha abbandonato lasciando in me un vuoto gelido e incolmabile, proprio qui, al centro del mio petto.

Poso la mia mano calda sulla superficie fredda e liscia del metallo della paratia. Sì,il mio T’hy’la. E ora se n’è andato per sempre.

“Buona fortuna, Spock..” sussurro, mentre i singhiozzi mi assalgono e una singola, solitaria lacrima scivola bollente lungo la mia guancia arrossata dal pianto.



(1)    Ep. “Pianeta Deneva”
(2)    Ep. “Viaggio a Babel”
   
 
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