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Autore: Lely1441    11/06/2010    6 recensioni
Un albergo come teatro di una vicenda che di normale ha ben poco. No, non stiamo parlando di un remake di Shining, bensì di un'AU in cui Winry rincorre Ed, Ling rincorre Lan Fan e le donne... Be', le donne rincorrono Roy. Così tra maledizioni, improperi, incendi e sorprese avrete modo di scoprire cosa si cela dietro alla parola Malizia.
[America; anni '50/'60]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Edward Elric, Ling Yao, Riza Hawkeye, Roy Mustang, Winry Rockbell
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Un ringraziamento speciale alla beta di questa storia, la mami ♥
 
 
~ Malice ~
 
 
Gli uomini sono convinti di essere loro a scegliere le donne, ma non sanno che, nel momento in cui scelgono, sono già stati scelti. [Marilyn Monroe]
 
 
 
Capitolo primo ~ Vecchie fiamme e nuovi incontri; Chi non muore si rivede, bimbo!
 
 
Riza Hawkeye non era mai stata un’amante del lusso, quindi storse lievemente il naso davanti alla Hall del Plaza Hotel in cui si trovava: metri e metri di tappezzeria rosso sangue, legno dorato e oro vero, marmo bianco italiano, specchiere settecentesche in ogni dove… Un obbrobrio, insomma.
Sospirò davanti a tutto quel pacchiano spreco, che era in grado di impressionare chiunque, ma non lei. Fece segno al tassista che aveva trasportato le sue valigie di lasciarle all’entrata, mentre si dirigeva con passo sicuro verso il bancone d’accoglienza e si levava i lunghi guanti beige. Il Receptionist, un uomo alto e piuttosto avvenente, le sorrise accogliente.
«Buonasera, Miss».
«Buonasera, Mister Kimbley», rispose lei, dando un’occhiata al bigliettino appuntato sul taschino dell’uomo. «Devo prendere possesso della camera che ho prenotato la scorsa settimana, sono Miss Hawkeye».
L’uomo chinò il capo sul registro delle prenotazioni, trovò il nome e la guardò, soddisfatto.
«Stanza 473, Miss Hawkeye, ecco qui le chiavi. Le chiamo subito un fattorino per i bagagli», rispose, con un tono vagamente lusingatore, e la donna confermò la sua prima impressione: un uomo viscido, assolutamente viscido.
«Grazie mille, Mister», disse, prendendo con due dita le chiavi e dirigendosi verso l’ascensore dorato. Mentre le porte si chiudevano su quel fasto inutile, Riza sospirò pensando a tutto ciò che l’aspettava. Veramente un duro lavoro.
 
«Non sopporto più di stare qua dentro», borbottò Edward, contrariato.
«E perché mai? L’albergo non è di tuo gradimento?», lo prese in giro Winry, sporgendosi oltre la sua spalla per osservare meglio il disegno sul suo tecnigrafo.
«Winry, mi copri la luce», brontolò lui, scostandosi ed evitando accuratamente di guardare in faccia l’amica, che si limitò a sogghignare e ad accendere la piccola lampadina del tavolo inclinato.
«Et voilà», cinguettò, in un modo che non gli piacque affatto. Lei continuò ad aggirarsi per quello studio improvvisato, curiosando e mettendo le mani dovunque, mentre Edward tentava invano di ignorarla.
«Comunque mi riferivo al fatto che questo studio non è il nostro… E poi non capisco perché non possa tornare nel mio appartamento: quello non è andato a fuoco», riprese lui il discorso. L’uomo all’altro capo della stanza sbuffò rumorosamente, rischiando di far scivolare a terra il giornale in precario equilibrio sopra il suo volto, strumentalizzato a proteggere il suo sonno dalla luce dannatamente importuna del primo pomeriggio. Edward lo fissò malissimo (o meglio, fissò la suola delle scarpe che spuntava dal basso tavolino, visto che l’uomo aveva scelto come materasso la chiara moquette della stanza) e riprese a parlare. «Insomma, Winry, capisco lui… Ma perché anch’io
Il mese prima era andato a fuoco uno dei palazzi della 9th Avenue; lo stesso palazzo in cui risiedeva l’appartamento e lo studio di Roy Mustang, uno dei più famosi architetti di New York.
«Perché altrimenti ci saremmo dovuti pagare l’affitto di un nuovo locale, genio», rispose apaticamente Roy. Era vero: Winry era la nipote della proprietaria di tutta la catena dei Plaza Hotel e si era offerta di aiutarli, ma solo se in cambio Edward avesse soggiornato nel sontuoso albergo per tutta la durata delle operazioni di ristrutturazione.
«Non è colpa mia se lei è troppo tirchio per prenderne un altro», ringhiò il ragazzo, ancora arrabbiato. «Per colpa sua ci sono finito di mezzo io, e neanche a farlo apposta sotto ricatto!»
«Be’, Edward, obiettivamente se tu non avessi accettato saresti rimasto senza lavoro, visto che non ti avrei ripreso con me nel minuscolo piccolo studiolo che avremmo dovuto occupare per chissà quanto tempo», rispose serafico l’altro, senza muoversi dalla posa di mummia assunta, con le braccia incrociate sul petto. L’altro architetto strinse gli occhi, cercando di calmarsi: ma la visione continua di Winry che srotolava lietamente progetti su progetti, mescolandoli felice come una bambina davanti ai suoi regali di Natale, non l’aiutò. Affatto.
«Winry, la vuoi piantare?», sbraitò ad un certo punto. La ragazza alzò su di lui la migliore occhiata del suo repertorio.
«Siamo nervosetti oggi, eh?», ironizzò lei, continuando come se niente fosse. Si era messa a sedere sul pavimento e ormai si era formata una vera e propria montagna di carta intorno a lei.
«Non sono nervoso», sbottò lui, nervoso. Winry alzò scettica un sopracciglio e sorrise tra sé e sé, esattamente come Roy. «Ma quello che non capisco davvero è perché io debba partecipare a queste stupide serate mondane; è solo un modo per sperperare tempo e denaro, senza contare tutti i discorsi di quei ricconi da strapazzo che non sanno far altro che parlare di banalità…»
«Si dà il caso che quei ricconi da strapazzo siano le nostre galline dalle uova d’oro, pronti ad essere spennati in qualsiasi momento», ribatté Roy, alzandosi e mettendo via il giornale, canticchiando un motivetto. «Faresti bene a ricordarti chi ti dà il modo di mangiare, piccolo ingrato».
«Ah, di sicuro lei non morirebbe mai di fame: ha le sue donne che la mantengono».
«Tutta invidia», cantilenò il suo datore di lavoro, con un sorrisetto compiaciuto. «Se tu non hai fortuna con le donne, per forza che ti annoi».
«Non è che non abbia fortuna, non sa proprio come prenderle. Credo sia una disfunzione genetica dei suoi cromosomi», aggiunse Winry.
«Parla quello che non riesce a trovarsi una fidanzata neanche a pagarla!», sibilò Edward. «Non è in grado di tenersene stretta una per più di un mese, di questo passo non si sposerà mai!»
Roy gli rivolse un’occhiata compassionevole.
«Come se io lo volessi. Le donne sono fiori meravigliosi, ma stanno bene dove sono, non vanno colte e portate a casa… Perderebbero la loro bellezza ed il loro profumo».
Il sopracciglio di Winry si arcuò.
«Avrei qualcosa da ridire su questo…», iniziò lei. Edward sbuffò, si alzò e prese la sua giacca.
«Mi faccio un giro. Quando avrete finito di scannarvi chiamatemi pure». Uscì dallo studio e si fermò per un istante, passandosi una mano nei lunghi capelli biondi raccolti in una coda alta. A volte si chiedeva come riuscisse a sopportarli: già presi singolarmente erano due brutte bestie, ma insieme… Insieme erano quanto di più simile ad una condanna divina potesse esserci.
Si diresse agli ascensori, meditando che girovagare un po’ nei corridoi tutti uguali dell’hotel fino all’ora di cena non sarebbe stata una cattiva idea.
«Deve salire?», domandò la donna all’interno, una volta che le porte si furono aperte. Edward annuì senza pensare, affiancandosele e fissando ostinatamente i numeretti in alto che segnavano i piani. Terzo, quarto, quinto… Le porte si riaprirono e il ragazzo la osservò dirigersi con le chiavi in mano verso quella che presumeva essere la sua stanza. Aleggiava una strana sensazione nell’abitacolo, come se da quella persona dipendesse una parte più o meno importante di sé. Fece spallucce e aspettò di arrivare all’ultimo piano per uscire sull’enorme terrazza del tetto. Finalmente ossigeno!
 
***
 
«Buongiorno, principe, la stavamo aspettando», lo accolse Mister Bradley, il vice-direttore del Plaza Hotel di New York. Il giovane fissò attentamente l’uomo davanti a lui, mentre delle guardie del corpo gli si piazzavano ai lati. «Immagino che sia estenuato dal lungo viaggio, quindi sarò lieto di accompagnarla nella sua suite», continuò. Il principe annuì e tutta la delegazione cinese si avviò quindi agli ascensori.
L’uomo aveva già sentito parlare della… vivacità del ragazzo, e della sua assoluta incapacità di rimanere senza combinare guai per un lasso di tempo maggiore a quello di due ore, e quindi aveva deciso di mettere tutto il personale del settimo piano a sua disposizione. Anzi, l’intero piano era stato svuotato e i clienti trasferiti – con molte scuse e molte lusinghe – ad altre camere.
Non per niente, ma il ragazzo aveva già incendiato un albergo.
«Dunque, questa è la sua suite; nelle camere ai lati prenderanno posto le sue guardie del corpo», disse il vice-direttore, facendo segno ad un cameriere con lui di aprire la porta e di lasciar entrare il principe per primo. Il ragazzo si fece avanti e rimase piuttosto perplesso alla vista di una ragazza con gli occhi a mandorla in piedi all’interno della stanza.
«E lei?», chiese, sinceramente stupito.
«Lei è la sua cameriera personale», illustrò Bradley, mentre l’altra si inchinava fin quasi a mezzo busto. Il ragazzo si guardò in giro, annuendo tra sé e sé. «Basterà informarla di qualsiasi suo desiderio e noi provvederemo a soddisfarlo».
«Di dove sei?», chiese Ling, in cantonese, alla ragazza, che sobbalzò. Gli altri si rivolsero uno sguardo di non comprensione, ma Bradley le fece segno di rispondere.
«Xingye, signore», rispose lei, sempre nella sua lingua. L’altro sorrise incoraggiante.
«Davvero un bel posto, io ho passato metà della mia vita ad Hong Kong e l’altra qui in America… Sarei felice di rispolverare un po’ del nostro dialetto con te».
Lei chinò il capo interdetta come assenso.
«Va bene, credo di essere a posto», riprese il principe, tornando all’inglese e congedando quindi tutto il personale. «E non mi farò scrupoli nel riferirle qualsiasi cosa mi passi per la testa, stia tranquillo», soggiunse, vedendo che l’uomo stava già per ribattere.
«Ai suoi ordini».
La porta si richiuse e la stanza ripiombò nel silenzio.
«Siamo rimasti soli soletti, a quanto pare», disse Ling, allargando le braccia e andando verso la finestra. La ragazza non rispose. «Come ti chiami?»
«Lan Fan, signore».
«E sei la mia guardiana o sbaglio?»
Lei sollevò di scattò la testa, corrucciando le sopracciglia.
«Perché me lo domanda?», chiese soltanto, prendendo tempo. Sul viso del principe spuntò un lieve ghigno.
«Perché ho una certa fama. Sono abituato a controllori travestiti da personale – o personale adibito a controllore, come preferisci –, non saresti sicuramente la prima. E nemmeno l’ultima!»
La ragazza rimase in silenzio. Aveva l’ordine di non parlare, ma il principe glielo stava chiedendo esplicitamente.
«Sono solamente una cameriera». Mezza bugia, mezza verità.
«Capisco…», rispose lui, serio. Improvvisamente si voltò e batté le mani, entusiasta. «Mi annoio. Che ne dici di uscire?»
«Ma signore, Mister Bradley mi ha pregato di farla rimanere in stan-»
«Non un’altra parola, Lan Fan, o riferirò che sono al corrente di avere un guinzaglio dietro».
Lan Fan arrossì furiosamente, facendo dei pensieri non politicamente corretti nei suoi confronti.
«E dove vorrebbe andare, signore?», chiese, arrendendosi.
«Non lo so… Intanto proviamo in giro per l’albergo, poi si vedrà!», ridacchiò lui, con la migliore espressione da idiota del repertorio. Si avviò verso la porta, con Lan Fan che lo seguiva come un’ombra, e mentre la apriva aggiunse: «E ti proibisco di chiamarmi signore. Sono Ling».
Lan Fan fece un respiro profondo. Sarebbe stata più dura di quello che aveva pensato.
 
***
 
L’enorme salone in stile Vittoriano era gremito di gente ricca e facoltosa, e gli occhi di Roy si illuminarono. Che idea geniale era stata quella di venire a lavorare in un albergo a cinque stelle!
«Ok, questo è il piano: separiamoci, io andrò a cercare possibili clienti là», ed indicò un gruppetto di giovani ragazze annoiate in evidentissimo bisogno di aiuto, «mentre tu lì».
Ed sollevò un sopracciglio, irritato.
«Perché a lei toccano le ragazze e a me dei vecchi signori che parlano sicuramente di politica?»
Roy gli rivolse uno sguardo di commiserazione. Certo che alla sua età lui era più sveglio!
«Perché», sillabò lentamente, come se stesse parlando con un bambino particolarmente stupido, «non saresti capace di riuscire ad intrattenere decentemente nemmeno tua nonna sorda, figuriamoci delle meravigliose fanciulle in fiore! Con quegli uomini ti basterà inserirti e mugugnare ogni tanto il tuo assenso, aspettando il primo calo di silenzio per promuoverci. Le donne, invece, hanno il curioso vizio di stare davvero attente a ciò che diciamo e di interpretarlo comunque a loro piacimento. Bisogna possedere il dono dell’ambiguità, cosa di cui tu sei evidentemente sprovvisto».
Stavano scendendo in silenzio le scale – be’, più o meno in silenzio, dato le parolacce in aramaico che stava borbottando il più giovane – quando Roy si bloccò di colpo, aguzzando la vista. Sbiancò, gettò un improperio e corse giù fino a riuscire a nascondersi dietro una colonna. Ed lo raggiunse, pensando che questa era la volta in cui gli era definitivamente andato in pappa il cervello, e lo vide sbirciare continuamente verso un punto preciso del salone. Aspettando di trovarsi davanti ad un mostro – o al Comandante Armstrong, che riusciva sempre a… svettare letteralmente sopra tutti – rimase deluso quando non notò nulla di che.
«Edward, ho bisogno del tuo aiuto».
L’altro fece tanto d’occhi. No, addirittura?
«Si sente male?»
L’altro lo ignorò, indicandogli solamente il buffet poco lontano.
«Ora tu vai lì, prendi un vassoio qualsiasi ed un tovagliolo e me li porti qui. Vai!», aggiunse, notando l’aria esitante di Ed.
«Obbedisco», sibilò lui, andando al tavolo e raccattando ciò che gli serviva. Tornò poco dopo, e l’altro si mise il tovagliolo al braccio ed afferrò il piatto di portata, prendendo un grande respiro.
«Ok, io ora sparirò», disse semplicemente. Il collega lo guardò.
«Lo so che è pazzo, ne avevo il sospetto da tempo… Ma questo supera ogni limite!»
«Non sono pazzo! Tu… Tu non puoi capire», bofonchiò Roy, mentre Ed sollevò gli occhi al cielo, esasperato.
«Per forza non capisco, non parla!» Poi, quasi illuminato da una folgorazione divina: «… E il lavoro?! No, perché io non me lo sorbisco da solo, sia chiaro, mi rifiuto categoricamente!»
Il suo tono di voce si era già alzato e diverse persone si erano voltate verso di loro. Roy represse l’istinto di soffocarlo con qualcosa o di dargli il vassoio in testa – unicamente perché gli serviva, eh, non per altro – e gli rispose.
«Nella folla c’è una persona che conosco. Questioni di donne, figuriamoci se avresti compreso al primo colpo».
«Be’, con lei sono sempre questioni di donne!», lo rimbrottò Ed, per nulla rabbonito. «Mi ripeto: e il lavoro?»
«E il lavoro… Il lavoro oggi salta, non mi fido a lasciarti da solo».
«Ehi, cosa sta insi-»
«Sta’ zitto, idiota! E seguimi».
Fingendo di non sentire le maledizioni neanche troppo velate dell’altro, Roy si aggiustò il papillon con un gesto nervoso e si avviò verso l’uscita, tenendo il capo rivolto ostinatamente alla sua sinistra. Ce l’aveva quasi fatta, era arrivato all’altra parte della sala, quando un grasso signore lo urtò e lui finì addosso ad un’altra donna, annaffiandola di Martini. Lei fece per esplodere in una lunga tirata sulla sbadataggine dei camerieri, ma Roy la fece tremare nel profondo con uno dei suoi soliti sguardi da ammaliatore e lei richiuse la bocca, come ipnotizzata.
«Mi scusi davvero dell’incidente… Sono sicuro che l’albergo le offrirà il risarcimento dei danni», mormorò con voce suadente, facendo un mezzo inchino. Edward ebbe l’impulso fortissimo di sbattere la testa contro un muro, ma si trattenne.
«Oh… Sì, certo… Nessun problema, è solo una piccola macchia…»
Mustang le rivolse un sorriso grato, si girò e fece qualche passo, infilandosi nello spazio vuoto, adibito alle persone di servizio, dietro alle colonne.
«Vedi, Ed, questo si chia-»
Edward non seppe mai cosa fosse questo questo di cui l’altro parlava. Non che gli fosse poi importato granché: era più impegnato ad osservare la scena davanti ai suoi occhi.
«Buonasera, Mister Mustang», disse la donna che li aveva seguiti. Roy deglutì e sbatté un paio di volte le palpebre. E questo non era dovuto all’avvenenza della stessa.
«Buonasera, Miss Hawkeye».
La donna rise lievemente, osservandolo con uno sguardo particolare.
«Oh, allora mi ha riconosciuta, Mister Mustang. Pensavo si fosse dimenticato di me», disse pacata. Lo sguardo di Ed vagava come impazzito dall’uno all’altra, interessato. Sembrava di assistere ad un incontro di pugilato, ma senza saltelli e guantoni.
Ed Edward impazziva per la boxe.
Lo sguardo di Roy Mustang scattò più e più volte verso le porte della grande sala, inconsciamente attratto dalle uniche vie di fuga offerte. Una volta tanto, era a corto di parole.
«Ehr, non potrei mai, Miss. È un piacere rivederla», disse lui, provando a riproporre uno dei suoi sorrisi che gli erano valsi il successo presso quelle donne facoltose che erano sempre più che entusiaste di affidargli qualche progetto. O meglio, che si affidavano a lui con ben altri progetti per la testa.
“Bugiardo infame!”, pensò Ed, avvertendo la sua falsità perfino nella contrattura delle spalle che si intravvedeva da sotto la giacca. La donna sorrise, socchiudendo gli occhi, ed il ragazzo rimase ammaliato dalla serenità che pareva emanare. Solo per un attimo, però.
«Un piacere davvero, se la prima cosa che ha fatto una volta essersi accorto della mia presenza è stata quella di fingersi un cameriere e gettare il primo cocktail capitato tra le mani addosso ad una donna per avere la scusa di fuggire…».
Roy Mustang passò alla ricognizione delle finestre; non erano troppo in alto, dopotutto. Dannazione, odiava sentirsi con le spalle al muro, e lei c’era riuscita. Lei ci riusciva sempre!
«Non è assolutamente vero, lei mi sottovaluta. Non getterei mai addosso ad una donna qualcosa che le possa rovinare il vestito, non sapendo quanto lavoro di preparazione della stessa ci sia stato dietro».
Un lampo divertito attraversò lo sguardo della donna, che ribatté pronta:
«Ne sono certa: dopotutto, non per niente si è fatto una fama di un dato genere».
Roy non trovò niente di meglio che farle un sorriso stiracchiato ed un cenno del capo come commiato.
«Spero ci rivedremo in… condizioni più gradevoli per entrambi», rispose, e l’altra sorrise ironicamente.
«Temo non sia questione di condizioni, Mister, ma sono più che certa che ci rivedremo», furono le sue ultime parole, prima di allontanarsi, tornando una delle tante nella calca.
Passarono diversi minuti in silenzio, prima che Roy Mustang sferrasse inferocito un pugno contro il muro.
«Chi era quella, capo?», chiese Ed, evitando di guardare un’attempata signora di mezza età che se ne andava borbottando sbalordita qualcosa sul malcostume dell’epoca.
«Una strega, ecco chi era», mugugnò Roy, rivolto al muro. Si voltò di scatto e fece per andarsene velocemente, quando scivolò sulla macchia provocata prima da lui stesso e finì steso lungo per terra. Un cameriere non fece in tempo a fermarsi e gli rovinò addosso, mandando a far cozzare il vassoio d’argento per terra, ottenendo come risultato che i bicchieri si infrangessero e inondassero di schegge e spumante Roy.
Ed si voltò preoccupato, e notò degli occhi nocciola che li fissavano. Miss Hawkeye si girò e tornò a parlare con un gruppo di persone, ma improvvisamente l’affermazione dell’altro non gli pareva più tanto esagerata…
 
 
 
~ Fine primo capitolo
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Et voilà. Sono di supercorsissima, devo scappare a prepararmi =A=
Domani aggiorno Thirty e posto un’altra cosina, però, tranquille :P
Allora, altra AU. Non dico nulla, vediamo cosa ne pensate voi, su cos’avrà fatto Roy a Riza, o Riza a Roy… (E chi lo sa si tagli la lingua, non vale perché l’ho detto io ù_ù).
E per ultimo, ancora un buon RoyAi Day da parte mia, cicce ♥
See ya! ♥
   
 
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