Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: Sheep    11/06/2010    7 recensioni
A tutti gli artisti prima o poi, l'ispirazione viene a mancare. E se questa volta capitasse proprio Nick?
Genere: Romantico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nick Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Beh, che dire? Finalmente riesco a postare qualcosa. E’ da un po’ che volevo farlo ma a turno la voglia di scrivere e/o le idee scarseggiavano, finché un bel giorno quell’anima pia di Nick non mi ha dato l’ispirazione. Adesso vi lascio alla lettura, le recensioni sono sempre gradite . :3 Fatemi sapere.
Un bacio,
Sheep.

PS. Io e l'html non andiamo molto d'accordo. Mi scuso per eventuali problemi.

I Jonas non mi appartengono e questa one shot non ha alcuno scopo di lucro.

Ovviamente, per Nicholas.
Perché senza di lui la mia ispirazione
Sarebbe nulla.


Inspiration
My life is brilliant.
My love is pure.
Lanciai la penna contro il muro, catturato da un istinto rabbioso e irrefrenabile.
Il pezzo di carta rimase a fissarmi inerme, nascosto dietro alle parole che avevo accuratamente scribacchiato e poi nervosamente cancellato qualche minuto dopo, per tutto il pomeriggio, senza arrivare a nessunissima conclusione. Uno schianto secco e acuto fu tutto ciò che udii nei successivi dieci secondi. La bic cadde a terra, ancora integra, sul parquet chiaro di cui mia madre era letteralmente innamorata e nello studio calò di nuovo un silenzio tombale, scandito a tratti dal ticchettio dell’orologio a parete.
Eravamo nel pieno del giugno più torrido e soffocante della mia intera esistenza; Sentivo il cotone della canottiera fradicio e bollente sulla schiena, attaccato alla pelle umida, la mano addormentata per tutto quel tempo in cui avevo tenuto in mano la biro. Il nervosismo mi aveva messo sottosopra lo stomaco, pareva pulsasse nelle vene. Avevo voglia di distruggere con tutta la foga che mi si era annidata in corpo prima quel fottutissimo foglio che giaceva sotto il mio naso con aria beffarda, poi la scrivania in ciliegio, la sedia, la lampada accesa e qualunque altra cosa mi fosse capitata sotto mano.
La finestra, che in quei giorni lasciavamo socchiusa per impedire al  sole bruciante di invadere la stanza e rovinare il colore dell’arredamento –idea di mamma, ovviamente-, mi incuteva non solo un’ansia logorante ma anche un assurdo senso di oppressione.
Mi sentivo innervosito e stizzito all’incirca come una donna di mezza età prossima alla menopausa, al punto che il mio stesso respiro affaticato o i passi di mio fratello al piano superiore erano diventati motivo di assoluto fastidio e  repulsione.
Maledissi il mio mestiere di cantautore, tutte quelle idee che all’inizio mi sembravano perfette e che puntualmente, a rileggerle,  si rivelavano completamente inadatte o inascoltabili. Presi anche un taccuino, in cerca del modo che agevolasse di più la mia mente a lavorare.
Non ne ricavai niente se non il mio nome scarabocchiato più volte al centro della pagina.

{Nicholas, Nicholas, Nicholas, Nicholas.}

Emisi un rantolo di disperazione, spensi la luce e mi alzai, dirigendomi verso la finestra.
Mi affacciai nell’asfissiante clima quasi-estivo di Dallas. I sobborghi più ricchi, come quello in cui mi trovavo, erano rinfrescati da irrigatori, così il nostro prato era più verde del solito mentre il resto della città appariva appassito e sfibrato. Immaginai che la maggior parte dei cittadini –come il postino di passaggio che mi stava lanciando sguardi infami- mi stesse invidiando in quel momento e sentii un sorriso sfiorarmi le labbra. Chi avrebbe mai potuto immaginare che mia madre, dopo aver frequentato un circolo di ambientalisti, aveva abolito ogni forma di condizionatore presente in casa?
“Lo faccio per il nostro pianeta, cari.” Aveva detto, e così ci eravamo visti strappare da uomini in tuta blu uno dei beni primari –a detta di Joe - assolutamente fondamentali –Hai la minima idea di che effetto avrà sulla mia pelle, mamma?-. Considerando poi anche il fatto che mio fratello minore, durante una delle sue corse col cane, aveva messo fuori uso due su quattro dei ventilatori presenti in casa, eravamo davvero nella merda rispetto all’arrivo molto prossimo di luglio.
Mi stiracchiai, avvicinai le ante della finestra, spensi la lampada e uscii.
Che senso avrebbe avuto restarsene a poltrire tutto il pomeriggio aspettando che arrivasse quella dannata ispirazione- il che equivaleva a dire che gli asini volassero?
Decisi istantaneamente che sarei uscito, fischiai ad Elvis e prima che chiunque in casa potesse rendersene conto –tanto dormivano tutti- mi ritrovai in strada. Dallas era deserta perciò la prospettiva era ottima: niente paparazzi né fan. Non fraintendetemi, adoravo la mia notorietà, ma quella era davvero la giornata meno adatta ad affrontare i rischi e le complicazioni del mio lavoro.
Passammo nel parco circa un’oretta quando il mio umore cominciò a dare lievi segni di miglioramento.
I colori del prato, degli alberi, dei fiori, anche se notevolmente più tenui, regalavano al mio animo la serenità e la freschezza di cui avevo bisogno. Lasciai libero il mio golden retriever e mi distesi sul prato, all’ombra di un albero. Una manciata di secondi dopo chiusi gli occhi ed entrai in una fase di rilassamento profondo.


Mi svegliai solo un’oretta più tardi, con la schiena a pezzi, e mi ci volle un po’ per tornare tra i vivi.
Il mio primo pensiero, quando finalmente riuscì a connettere il cervello, fu Elvis. Ovviamente, non era più nei paraggi e istantaneamente sperai che, ovunque si fosse cacciato, non fosse uscito fuori dai giardini.
Mi alzai di scatto e, ignorando il moto vertiginoso della terra tutt’intorno, senza nemmeno pensare al mio aspetto fisico che doveva essere a dir poco disastroso, o alle conseguenze che avrebbero potuto essere seri guai, iniziai a fischiare e a chiamarlo ad alta voce.
Nessun bestione mi corse incontro, né udii nessun abbaio per i successivi quindici minuti. Tutto ciò che ottenni fu l’attenzione di una ventina di persone, non senza occhiatacce.
“Giornata di merda.” Mormorai tra me e me. “Che giornata di merda.”
Imperterrito, continuai a cercare per un po’, vagabondando a vuoto per il parco senza una meta, come uno di quei pazzi barboni che comparivano ogni tanto.
Yeah, she caught my eye,
As we walked on by.
She could see from my face that I was,
Fucking high,

Lo ritrovai, ovviamente. Non molti minuti dopo, accucciato ai piedi di una grande quercia. Il mio primo istinto fu quello di ucciderlo, soppiantato però subito dalla voglia di coccolarlo.
“Maledetto sacco di pulci …” Lo rimproverai, grattandogli la testa mentre prendeva a leccarmi le mani. E fu proprio allora, mentre confessavo al mio cane di essere stato in pensiero per lui, che la mia giornata cambiò irreversibilmente. Mi fermai, con gli occhi sgranati, Elvis che ancora mi mordeva il braccio.
L’ispirazione mi era appena passata davanti, proprio sotto il naso. A qualche metro di distanza, una ragazza camminava mano nella mano con un giovane alto e forzuto, pompato come un giocatore di rugby.
Non era anonima, nemmeno bellissima. Aveva lunghi capelli rossi, di un rosso forte e non arancionastro, ma nemmeno una di quelle tinture da quattro soldi che pubblicizzano in televisione. Quei capelli erano irrimediabilmente e dannatamente naturali, lucenti, creavano un forte contrasto con la pelle nivea. I boccoli cremisi, raccolti in una coda morbida, incorniciavano lineamenti dolci, ben disegnati, e occhi a mandorla chiari, certamente verdi o azzurri- non ho mai avuto modo di appurarlo. Era alta, con un fisico asciutto, esile, nascosto in un vestitino a fiori, che a confronto col biondo accanto avrebbe potuto risultare invisibile. Ma lei brillava, non so come facesse, giuro che brillava. Si voltò per un secondo dalla mia parte come se avesse avvertito la mia presenza. E mi sorrise, che mi sentii sparire, che percepii il tempo fermarsi  e retrocedere, per poi accelerare, mentre le parole della canzone mi scorrevano già in mente, vivide.
Mi sorrise, e in quel momento la mia anima si distaccò dal mio corpo e volò in alto, verso il Paradiso.

And I don’t think that I’ll see her again.
But we shared a moment that will last till the end.
Inutile dire che non l’ho più rivista. Mai più.
E non credo che mai la rivedrò. Vado al parco ogni giorno, da allora, ma più per abitudine che altro.
Non è più tornata; Né lei, né lo scimmione biondo probabile giocatore di rugby. Forse erano stranieri, o forse gli fa schifo quel posto, chi lo sa.  Di lei non rimarrà altro che una canzone e uno splendido, nitido ricordo.

  
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