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Autore: allanon9    12/06/2010    4 recensioni
Cosa è successo tra il momento in cui RJ abbandona Jane e il fatidico "Due giorni dopo"? Spolier 2x23 un po' Jisbon.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Patrick Jane
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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Autore: Allanon9
Spoilers:
2x23
Pairing:
Jane, Lisbon.
Rating: A
ngst.
Disclaimer: I personaggi citati in questa fanfiction non mi appartengono, ho solo preso liberamente spunto dalla serie "The Mentalist" di proprietà della CBS.

 

Tiger tiger

 

Patrick fu svegliato da un angoscioso urlo. Sbattè le palpebre disorientato solo per scoprire che era lui che stava urlando.

Il cuore martellava furioso nel suo petto come dopo una lunga corsa.

Doveva essersi addormentato ed aveva avuto un incubo.

Fece un profondo respiro, per calmarsi, e subito fu colto da  un senso di nausea: l’odore del sangue era ancora forte.

Pensò a quello che era successo, lo sguardo cadde sul corpo di Wesley ai suoi piedi… non si muoveva più… doveva essere morto.

Ancora morte.

Gli venne voglia di piangere, ma scoprì di non averne più la forza, era esausto.

Cercò di forzare il celofane che lo teneva legato strettamente alla poltrona ma non ci riuscì.

“Lisbon!” gridò disperato alla sala vuota.

Ad un tratto sentì un tramestio e delle voci concitate provenire da dietro di lui.

“Sono qui!” gridò ancora.

“Jane, sei tu?” chiese la voce preoccupata di Lisbon.

“Lisbon!” borbottò senza più forze Jane.

“Rigsby chiama i paramedici…Cho presto aiutami a liberarlo…Grazie a Dio Jane…Cho fai in fretta! Stai bene?”

Le parole si accavallavano nella bocca di Lisbon, era troppo agitata e spaventata. Stavolta pensava davvero che non l’avrebbe salvato, che non sarebbe arrivata in tempo.

Jane la guardava come in trance, incapace di spiccicare una sola parola, sotto shock.

“Jane…” gli disse poggiandogli una mano sulla spalla, mentre Cho tagliava il celofane.

“Era qui Lisbon, è stato qui e li ha uccisi tutti!” le disse piano.

“Chi?” chiese lei dolcemente.

“Red John.”

Teresa trattenne il fiato e solo allora alzando gli occhi verso il muro vide la faccina sorridente grondante sangue.

“Stai tranquillo Jane, andrà tutto bene.” Gli disse aiutandolo ad alzarsi.

Era stato troppe ore seduto e quasi non riusciva a camminare.

Lui la guardò con i suoi profondi occhi azzurri pieni di dolore e lei si sentì stringere il cuore.

“Andrà tutto bene Jane.” Gli ripeté aiutandolo a salire sull’ambulanza.

“Non ho bisogno di andare all’ospedale Lisbon, sto bene.” Le disse cercando di scendere.

“Non stiamo andando all’ospedale tranquillo, il dottore vuole solo vedere come stai.”

Lui la guardò di nuovo ed annuì.

Il paramedico gli tastò il livido sulla tempia destra e lui sobbalzò leggermente, poi gli tastò la testa con le mani e gli controllò le pupille.

“Non sembra che ci siano danni seri agente Lisbon, ma consiglio che si sottoponga ad una TAC per accertare che non ci sia commozione cerebrale, le pupille sono un po’ dilatate ma potrebbe essere a causa dello shock.”

Jane parve riscuotersi dal torpore in cui era caduto, se pensavano che fosse scioccato l’avrebbero fatto sottoporre a terapia psichiatrica.

“Non sono sotto shock, sto bene. Portami a casa Lisbon.” Disse alzandosi e quasi saltando giù dall’ambulanza.

“Ci scusi dottore, grazie. Jane aspetta!” gli gridò dietro.

“Portami a casa, al CBI o dove vuoi tu Lisbon, ma non in ospedale!” La faccia pietosa di Jane la commosse.

“Ok, andiamo in centrale. Te la senti di rilasciare una dichiarazione?” gli chiese.

“Sì.” Rispose lui respirando sollevato.

“Bene. Cho, io e Jane torniamo al CBI, tu e Rigsby ce la fate da soli?”

“Sì capo.” Rispose Cho calmo come al solito.

“Andiamo.” Disse allora Lisbon, scortando Jane al suv.

Jane rimase silenzioso per tutto il tragitto, il volto girato verso il finestrino.

Lisbon ogni tanto lo guardava in tralice preoccupata.

“Smetti di fissarmi Lisbon, sto bene.” Disse lui voltandosi a guardarla.

“Non ti stavo fissando.” Rispose lei arrossendo.

“Lo facevi.”

“Non è vero!”

“Lisbon…” disse lui sorridendo leggermente.

“Ok, e che sono preoccupata Jane. C’è qualcosa che vuoi dirmi di non ufficiale?”

Lui sorrise tristemente scuotendo la testa.

“No, ti racconterò tutto alla centrale.”

“Ok.”

Arrivati in centrale Lisbon portò Jane nel suo ufficio e dopo aver chiamato Van Pelt, che appena lo vide lo abbracciò forte, accese il registratore e lui cominciò a raccontare quello che era successo dal momento in cui le aveva lasciato il messaggio in segreteria.

Raccontò di come i tre ragazzi l’avevano catturato per ucciderlo e dell’arrivo tragico e provvidenziale di Red John e del modo in cui aveva ucciso prima Dylan e Ruth e poi il povero Wesley.

Naturalmente omise di dire quello che Red John gli aveva detto e cioè che Kristina lo mandava a salutare e di quella poesia recitata nel suo orecchio e che ancora girava senza sosta nel suo cervello.

Né gli disse della disperazione provata nell’assistere all’agonia di due dei tre ragazzi uccisi: Ruth già ferita dallo sparo e poi orribilmente accoltellata e Wesley che era stato ferito alla gamba e che si era dissanguato davanti ai suoi occhi.

Non era pronto a rivelare quei particolari, anche se Lisbon li poteva immaginare: erano scritti nei suoi occhi grandi e lucidi, nelle tracce di lacrime sul suo viso sporco di polvere.

“Va bene così, Jane.” Disse Lisbon spegnendo il registratore.

“Se non c’è altro…” disse speranzosa.

“Non c’è altro.” Mentì lui con un piccolo sorriso.

“Ok. Van Pelt porta la deposizione alla trascrizione e poi fagliela firmare.” Ordinò alla recluta.

“Sì capo. Patrick sono contenta che tu stia bene.” Disse prima di uscire.

“Grazie Grace, anch’io.” Rispose l’uomo alzandosi.

“Se vuoi andare a casa ti accompagno.” Disse Lisbon.

Lui sorrise, uno dei suoi rari sorrisi sinceri che dedicava solo a lei.

“Più tardi, mi vorrei distendere sul divano se non ti dispiace, dopo aver bevuto una tazza di the.”

“ Ti faccio compagnia, io ho bisogno di un buon caffè.”

Si diressero al cucinino.

Sedevano silenziosi sorbendo le loro bevande quando l’agente speciale Hightower fece la sua comparsa.

“Voi due nel mio ufficio, subito.” Ordinò dirigendosi verso l’ufficio.

“Jane hai disobbedito ai miei ordini e sei quasi morto, ti rendi conto di questo vero? Inoltre ti sei rifiutato di farti vedere in ospedale. Questo è veramente troppo.” Disse arrabbiata l’ Hightower.

“Maddleine…” iniziò lui.

“No, non stasera Jane. Lisbon ti ordino di scortare il tuo consulente in ospedale per i controlli di rito. E se non volesse seguirti…sparagli.”

“Si signora.” Disse Lisbon alzandosi.

Jane guardò Hightower con l’ombra di un sorriso negli occhi chiari, era bello essere a casa.

“Andiamo Jane.”

Patrick seguì Teresa stranamente docile, e lei lo guardò sorpresa ma non fece commenti.

Arrivati in ospedale Jane fu affidato ad un infermiere che lo portò a fare la TAC.

Lisbon lo aspettò seduta nelle scomode sedie della sala d’aspetto.

Meno di venti minuti dopo fu chiamata dallo stesso infermiere che aveva scortato Jane, il neurologo voleva parlare con lei visto che il paziente Jane era piuttosto irrequieto.

“Agente Lisbon, stavo dicendo al signor Jane che dovrebbe rimanere qui stanotte sotto osservazione, ma non sente ragioni.” Le comunicò il medico.

Lei alzò gli occhi al cielo.

“E’ così grave?”

“No, in realtà ha una lievissima commozione cerebrale ma è lo stato di shock post traumatico che mi preoccupa maggiormente.” Le rispose il dottore.

“Sciocchezze, sto benissimo.” Intervenne Jane. “Mi fa solo un po’ male la testa, niente che una delle tue aspirine non possa risolvere Lisbon.” Aggiunse sorridendo beffardo.

“Agente Lisbon, lo dimetterò a patto che stanotte qualcuno lo sorvegli.”

Lisbon guardò prima Jane e poi il dottore nel panico: ”Io? No!” disse scuotendo la testa.

“Allora dovrà rimanere qui.”

“Ti prego Lisbon…” Lo sguardo di bambino perso di Jane la fece sospirare esasperata, possibile che riuscisse sempre a farle fare quello che lui voleva quando sfoderava quell’espressione?

“Andiamo.”

“Grazie.” Disse lui sincero.

Lei borbottò qualcosa che lui non capì e insieme uscirono dall’ospedale.

“Dove vuoi andare Jane, a casa o al CBI?” gli chiese mettendo in moto.

“A casa, ho bisogno di una doccia e voglio buttar via questi vestiti, puzzano.” Disse togliendosi la giacca e lanciandola nel sedile di dietro.

“Non è vero Jane.” Disse lei immettendosi nel traffico.

L’appartamento di Jane era piccolo ed ordinato.

“Fai pure come se fossi a casa tua Lisbon, io torno subito.” Disse sparendo nella camera da letto.

Teresa si guardò in giro cercando un segno della vita precedente di Jane ma non trovò nulla, neppure una foto.

Jane si spogliò e si mise sotto l’acqua bollente della doccia, si strofinò fino a che la pelle non gli diventò rossa per il troppo sfregare e per il calore eccessivo dell’acqua, avrebbe voluto liberarsi dei ricordi come stava facendo con lo sporco che si sentiva attaccato alla pelle, ma per quanto facesse loro rimanevano perfettamente attaccati alla sua mente.

Dopo essersi asciugato e lavato i denti, indossò dei jeans e una maglietta e raggiunse Lisbon nel saloncino.

“Hei!” disse alla donna seduta sul divano.

“Hei.” Rispose lei notando come fosse affascinante con quei vestiti informali ed i capelli umidi.

“Hai fame?” le chiese andando verso il cucinino, apparentemente ignaro di aver letto i pensieri di Lisbon nei suoi occhi.

“No, ma accetterò un caffè se ne hai.”

Jane le sorrise.

“Spiacente, solo the.”

“Ok, vada per il the.” E alzandosi lo raggiunse.

“Come va il mal di testa?” gli chiese sedendosi al tavolo.

“Uhm…sopportabile. Ci vuoi il latte nel the?”

“No. Se vuoi l’aspirina…”

“Grazie, ne ho presa una quando sono uscito dalla doccia. Ho dei biscotti col the sono deliziosi.” Disse cambiando discorso e prendendo la scatola dall’armadietto sopra la cucina.

“Ne assaggerò uno.” Disse lei prendendo il dolcetto.

Era al cioccolato. Jane mangiava sempre cioccolato quando si sentiva a disagio o triste per qualcosa, l’aveva notato spesso.

“Tutto bene?” gli chiese sorseggiando la bevanda che il suo consulente le aveva versato in una simpatica tazza colorata.

“Sì naturalmente.” Rispose lui sorridendole ma non guardandola in faccia.

Lisbon non insistette più di tanto, sapeva che Jane era più restio di lei a condividere le sue emozioni.

“Mi dispiace Jane di non essere arrivata prima, avrei potuto arrestarlo.”

“Non importa Lisbon, mi spiace solo per quei poveri ragazzi. Beh in realtà Dylan e Ruth erano veramente diabolici, ma Wesley era solo una mente debole, comunque non meritavano quella fine.” Mormorò alzandosi.

“E’ così.” Concordò Lisbon.

“Jane…”

“Lisbon se vuoi puoi tornartene a casa, ti assicurò che non chiuderò occhio quindi non corro pericolo.” Le disse col suo solito tono scherzoso.

“No, resto.” Lui alzò le spalle con non curanza.

“Come vuoi.”

“Credo che Hightower ti consiglierà la terapia psichiatrica appena ne avrà occasione Jane.”

Lui sorrise sedendosi sul divano.

“Lo so, ma andrà bene vedrai.” Disse facendole l’occhiolino.

“Non lo so Jane, stavolta non ci sarà il dottor Carmen a valutarti.”

Jane fece finta di rabbrividire. “Me la caverò lo stesso.”

 

Due giorni dopo.

 

Lisbon fissava il suo consulente attraverso le vetrate del bullpen.

Erano due giorni che stava seduto rigido sul suo divano con quel libro in mano a torturarsi le labbra con la mano libera.

A cosa stava pensando? Teresa era quasi sicura che le avesse mentito quando le aveva detto che Red John non gli aveva detto niente.

Entrò nell’ufficio e dopo avergli dato un’occhiata preoccupata gli chiese: “Tutto bene Jane?”

Lui si girò verso di lei.

“Sì sto bene.” Le rispose.

“Sicuro che non ti abbia detto niente? Ma proprio niente?”

Lui evitò di guardarla e rispose: “Niente di niente.”

Lei sembrò dubbiosa ma non insisté.

“Ok.” Ed uscì dal bullpen.

Dopo dieci minuti anche Jane uscì senza dire niente a nessuno, Lisbon si sarebbe insospettita naturalmente, ma ormai doveva avere dei sospetti sulla sua omissione.

Salì sulla sua auto e si diresse verso l’autostrada in direzione di Malibù.

Arrivò nella sua grande e vuota casa sul mare nel tardo pomeriggio, il sole stava quasi per tramontare.

Salì le scale ed entrò in quella che era stata la sua stanza da letto e si distese sul materasso sotto l’orribile faccina rossa. Le tende ondeggiavano alla leggera brezza che entrava dalla finestra aperta. Con voce flebile cominciò a recitare:

“Tigre, tigre… di fiamma splendente... nelle notturne foreste. Quale mano, quale occhio immortale formò la tua terribile simmetria?"

Chiuse gli occhi, un flebile sorriso aggraziò le sue labbra piene.

I sonniferi stavano cominciando a fare effetto, gli avrebbero concesso quel riposo che gli era negato da sei anni ormai.

Avrebbe trovato la soluzione a quell’enigma, ne era certo, Red John aveva avuto sicuramente un motivo per recitargli quei versi, pensò prima di sprofondare nell’incoscienza di un sonno senza sogni.

 

Spero che vi sia piaciuta, mi è sembrato carino inserire quello che penso possa essere successo tra il momento in cui Red John lascia Patrick disperato nell’Hotel e il fatidico due giorni dopo.

Mi raccomando recensite.

Alla prossima.

 

 

 

 

 

  
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